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Argo Catania

Catania, iniziative per ricordare il dramma del popolo palestinese: fermare il genocidio!

La fragile tregua nella Striscia di Gaza aveva fatto sperare, se non nella pace, che i Palestinesi potessero almeno tentare di ricostruire, seppure per un periodo limitato, una parziale vita ‘normale’. Per quanto possibile in un territorio devastato. Così non è stato. Elettricità a singhiozzo, aiuti umanitari centellinati e, ora, ripresa delle azioni militari israeliane, che continuano a decimare la popolazione civile. La solidarietà internazionale verso i Palestinesi non solo non si è fermata ma, con voce ancora più forte, pretende un cessate il fuoco duraturo e la fine del genocidio. Per questo anche nell’ultima settimana la Città, in diverse occasioni, ha ricordato il dramma del popolo palestinese. Con il flash mob del 23 marzo, organizzato dai Catanesi Solidali con il Popolo Palestinese [guarda il video su .argocatania]. Con il convegno di Amnesty Internazional dello scorso 26 marzo, di cui ci parla Enrico Fisichella, studente di lettere classiche nel nostro Ateneo. Con la manifestazione di domenica 30 di cui pubblichiamo alcune immagini.

Per una volta all’Università l’informazione diventa conoscenza. 26 Marzo: Amnesty International ha presentato, all’Università di Catania, il rapporto sul genocidio di Israele contro la popolazione a Gaza, incontro meritoriamente promosso da DiGa, osservatorio permanente su Diseguaglianze, Informazione, Guerre e Ambiente, composto da docenti di Unict.

“Ma l’evento – ha ricordato Gianni Piazza, membro del DiGa – non sarebbe stato possibile se nell’ultimo anno gli studenti e i giovani non si fossero mobilitati e non avessero fatto sentire con forza la loro opinione, con l’occupazione nel maggio dell’anno scorso e i numerosi incontri e dibattiti”.

Docenti e studenti insieme quindi, ma anche cittadini, per ascoltare una delle voci più autorevoli sul tema e capire qualcosa in più “perché la narrazione che sentiamo ogni giorno sui media è pericolosamente unilaterale, ritornante ossessivamente su bugie cui è impossibile continuare a credere, e le parole che sentiamo sembrano non poter restituire più nulla di vero né essere degne di fiducia, esibiscono solo violenza normalizzata” ha detto Giuditta Nicosia, che ha parlato a nome del gruppo “StudentXPalestina”.

Nell’incontro infatti le parole sono state usate con cura, il loro peso misurato e saggiato continuamente, per capire, sapere, non sbagliare. Le parole si sono miracolosamente avvicinate alle cose, nonostante che “non è facile dire le cose che dico, non è bello ripeterle”, come ha limpidamente ammesso Tina Marinari, dell’Ufficio Campagne Amnesty International Italia, dopo aver riferito che – dati Save the Children – un bambino su 3 a Gaza ha subito una forma di amputazione, chiaramente senza anestesia, senza medicine, bloccate dall’esercito israeliano.

Nonostante che il prof. Husam Mahmoud Abu al-Nasr in collegamento da Ramallah, Cisgiordania, parlasse in arabo e venisse tradotto – si può immaginare con quale fatica – da Souadou lagdaf, docente di Unict.

Nell’ultimo anno abbiamo assistito all’accendersi di un vivo dibattito in Italia e nel mondo: è lecito usare la parola genocidio? Oppure, come ha detto Liliana Segre, ci si deve limitare a parlare di “crimini contro l’umanità”? rigorosamente nell’espressione: compiuti-sia-da-Hamas-sia-dall’esercito-israeliano?

La posizione di Amnesty è molto chiara: “ci sono sufficienti elementi per concludere che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata”.

“Genocidio” secondo la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, ratificata anche da Israele nel 1950. Non è solo una questione lessicale: Amnesty sottolinea che la Convenzione non si limita a obbligare gli Stati firmatari a punire il genocidio, ma impone il dovere inderogabile di prevenirlo e sanziona anche l’incitamento e la complicità.

L’inerzia della comunità internazionale costituisce quindi non solo un fallimento morale, ma anche una violazione degli obblighi legali sanciti dal diritto. In particolare Amnesty invita gli Stati alleati di Israele a sospendere la fornitura, la vendita o il trasferimento diretto e indiretto a Israele di tutte le armi e di altre attrezzature militari e interrompere la fornitura di addestramento e di altra assistenza militare e di sicurezza.

Il rapporto è una straordinaria opera di conoscenza e di inchiesta: 212 interviste a vittime, sopravvissuti e testimoni, analisi di immagini satellitari, filmati autenticati, resoconti di stampa e analisi di esperti. Si concentra su tre dei cinque atti proibiti dalla Convenzione (ma ne basta uno perché si possa parlare di genocidio): “uccidere membri del gruppo”; “causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo”; e “infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita volte a provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte”.

Per configurare il genocidio, è cruciale dimostrare che tali atti siano stati perpetrati con l’intento specifico di distruggere il gruppo in quanto tale. Questo elemento soggettivo – l’intenzione – distingue il genocidio da altri crimini contro l’umanità. Nel caso di Israele, Amnesty ha raccolto e verificato prove che collegano le azioni militari e le dichiarazioni ufficiali a questa intenzione distruttiva.

Uccidere membri del gruppo: solo nei due mesi successivi agli attacchi di Hamas, l’aviazione israeliana ha effettuato circa 10.000 attacchi, molti dei quali con armi esplosive di vasta portata su aree densamente popolate: bombe da 100 a 900 chili. Attacchi sistematici e mai mirati a obiettivi militari, avvenuti perlopiù tra mezzanotte e le 4 di mattina. La sistematicità delle uccisioni dimostra un piano volto a eliminare una parte significativa della popolazione civile palestinese.

Deliberata esposizione a condizioni di vita calcolate per portare alla distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo: Israele ha imposto un blocco totale a Gaza, impedendo l’accesso a cibo, acqua, carburante e medicine. Un edificio su due nella Striscia è stato distrutto, il 75% degli abitanti sono sfollati e vivono in tende o altri rifugi di fortuna. Inoltre, il 97% dell’acqua disponibile non è potabile, mentre ospedali e cliniche hanno chiuso a causa della mancanza di elettricità e rifornimenti medici.

L’intento specifico: il ministro dell’Energia israeliano ha affermato: “È finita. Senza carburante, anche l’elettricità locale si spegnerà entro pochi giorni e i pozzi di pompaggio si fermeranno entro una settimana.” Numerosi funzionari israeliani hanno equiparato pubblicamente i palestinesi ad “animali” o “terroristi”, cancellando ogni distinzione tra civili e combattenti. Ad esempio, il presidente israeliano Herzog – incontrato ufficialmente il mese scorso da Mattarella – ha affermato che “non ci sono innocenti a Gaza”: l’intera popolazione può essere considerata un bersaglio legittimo.

Questo linguaggio è stato accompagnato da minacce dirette di distruzione, come quelle che invitavano a “spazzare via” i Gazawi: una narrativa che mira a legittimare l’inflizione di sofferenze collettive.

La presentazione di Amnesty ha arricchito l’intenso dibattito che vive a Catania come in molte città d’Italia: dieci giorni prima due lezioni del professore Arturo Marzano, professore dell’università di Pisa, hanno visto una grande partecipazione studentesca; così anche la manifestazione che ieri domenica 30 marzo si è tenuta in città.

Forse è vero quello che dice qualcuno, che è stato detto anche ieri e il 26: non sarà mai abbastanza. Ma almeno – non foss’altro che per noi stessi, per le nostre individuali coscienze – qualcosa si prova a dire, a capire. Anche a schierarsi, a prendere le parti di chi sta venendo schiacciato e umiliato: sappiamo che non si tratta di una partita calcistica, ma è innegabile quale delle due parti sia l’oppresso e quale l’oppressore. Fosse solo grazie alla lettura dei dati di Amnesty.

 

Genocidio in Palestina, fermiamolo.

 

 

Redazione Sicilia