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Assad

“Se i massacri continueranno, non rimarrà un solo alawita in Siria”

di Rayan Safar – L’Orient Today 

Yara* non ha aspettato che i combattenti raggiungessero Qardaha prima di fuggire. Allertata da amici e residenti dei villaggi vicini, che l’avevano avvertita che fazioni armate stavano entrando nelle case e uccidendo persone, ha raccolto alcuni averi ed è fuggita con i suoi genitori e suo fratello in un frutteto lì vicino.

“Siamo arrivati ​​qui giovedì alle 13:00. Dopo due ore, abbiamo iniziato a sentire degli spari e il fumo si è diffuso ovunque. Non so esattamente chi siano questi gruppi armati”, ha detto il trentenne residente nella città natale della famiglia Assad.

Venerdì mattina, suo fratello è riuscito a tornare per valutare i danni a casa loro. “Hanno incendiato la nostra casa, hanno distrutto tutto ciò che c’era intorno”, ha detto Yara disperata. “Hanno anche rubato una motocicletta”.

E’ in corso il più violento scontro tra le forze di sicurezza ufficiali e le fazioni pro-Assad dalla caduta del regime, in seguito a un’imboscata in cui sono rimasti uccisi 13 membri delle prime. Migliaia di uomini armati, formalmente parte delle forze armate o meno, si sono riversati sulla costa alawita per eliminare i “resti del vecchio regime”. La situazione è rapidamente degenerata, sollevando timori di conflitti settari e aggravando le preoccupazioni esistenziali tra la minoranza che costituisce il 10 percento della popolazione.

Circa 745 civili uccisi

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha riferito che “745 civili alawiti sono stati uccisi nelle regioni della costa siriana e dei monti Latakia dalle forze di sicurezza e dai gruppi affiliati”. Dal lato dei combattenti, gli scontri hanno causato 273 morti tra membri delle forze di sicurezza e combattenti lealisti, secondo la stessa fonte. Il bilancio complessivo ieri era di 1.018 morti.

La città di Banyas ha sofferto in modo particolare. “Hanno ucciso quasi tutti nel mio quartiere, quasi tutti”, grida Nour*, originaria di al-Qusur Shamali. La giovane donna ha perso cinque dei suoi amici e le loro famiglie, “compresi bambini di 3 e 6 anni”. Nour, che ha sempre vissuto nella zona, ha detto che ora porta le cicatrici di quei giorni tragici. “Sai, qui tutti si conoscono; non posso dirti cosa prova la gente”. Secondo lei, i combattenti hanno costretto i residenti a cancellare video e foto dei massacri dai loro telefoni, confermando i racconti di altri intervistati.

La maggior parte dei civili uccisi erano uomini nella regione di Latakia, che ospita i tre quarti della popolazione alawita del paese. Gli uomini sono stati “imprigionati o semplicemente fucilati senza motivo in alcune aree, come ad al-Shalfatiyya”, ha scritto l’esperto Cédric Labrousse su X. Le atrocità si sono verificate anche “nelle aree agricole dell’entroterra alawita, con esecuzioni gratuite e sommarie, chiaramente mirate alla setta, contro lavoratori, contadini e altri”, ha concluso Labrousse.

Immagini inquietanti di corpi insanguinati sparsi lungo le strade, nonché scene di umiliazione che coinvolgono gli alawiti, sono state ampiamente condivise sui social media.

“Fazioni fanatiche dell’esercito e terroristi stanno liquidando alawiti, civili, bambini, donne, giovani e anziani, con il pretesto che sono resti del precedente regime”, ha affermato un residente di Tartous. “Questo non significa che non ci siano resti del vecchio regime, ma stanno approfittando della situazione per commettere massacri”.

Per 48 ore, Yara e i suoi genitori sono rimasti nel frutteto. “Ci nascondiamo tra gli alberi e ci copriamo con rami per non essere visti”, dice, inviando un video che mostra la luce del sole che filtra attraverso le foglie. “Sentiamo voci intorno a noi, ma non sappiamo se sono persone come noi o no”. Le scorte di cibo stanno diminuendo. “Stiamo finendo cibo e medicine. Mia madre ha la pressione alta; è in pessime condizioni”, dice Yara, chiaramente preoccupata.

“Voi Nusayris, voi maiali”

La scena si ripete a qualche decina di chilometri di distanza, all’incrocio delle province di Latakia e Hama. Salah* è lì, in cima a una montagna, con i suoi tre figli e decine di altri alawiti fuggiti dai combattimenti e dalle atrocità. “I suoni degli spari di tutti i tipi di armi hanno riempito i villaggi per giorni”, racconta. “Ieri sera hanno ucciso il mio vicino, un commerciante locale, davanti ai suoi figli”.

Secondo Salah, gli autori di queste azioni sono per lo più combattenti stranieri, “ceceni, uzbeki o tagiki”. Salah, il cui fratello è stato ucciso in una violenza simile nei mesi precedenti, oscilla tra rabbia e disperazione. “Non so cosa dire. È troppo. Dalla caduta del regime, ogni settimana c’è un rapimento, e pochi giorni dopo, la persona rapita viene uccisa e gettata nelle foreste o nei fiumi che circondano i nostri villaggi. Se la situazione rimane così, con massacri ogni giorno, non rimarrà nessuno della setta alawita”.

Le sue parole riecheggiano quelle di Mazen*, la cui zona è sotto il fuoco di elicotteri, artiglieria e fucili da diversi giorni. “Ho visto uomini sparare alla gente. Li ho sentiti dire: ‘Siamo venuti per uccidervi, voi Nusayris, voi maiali.’ Ci sono state numerose vittime civili disarmate. Non mi sento più al sicuro nella mia regione o nel mio Paese, e ho paura di spostarmi perché sono alawita.”

Da un lato, le forze di sicurezza governative hanno lottato per ristabilire l’ordine nelle regioni a forte densità alawita di Homs, Tartous e Latakia dalla caduta del regime, e gli eventi di questa settimana hanno dimostrato in modo lampante questa debolezza. Dall’altro, c’è ambiguità che circonda il coinvolgimento di alcune fazioni alleate con la rivoluzione, o persino di elementi al suo interno, in queste atrocità. Ciò ha alimentato la sfiducia tra la popolazione alawita nei confronti della nuova leadership.

“I combattenti che seminano il terrore sono mascherati; non sappiamo esattamente a quale fazione appartengono”, spiega Mazen. “Attualmente c’è un convoglio militare all’ingresso del mio villaggio, ma ha fatto il giro del villaggio e non ha registrato alcuna infrazione”.

Aggiunge: “Quando si sono verificate le violazioni, non c’erano forze ufficiali a difenderci”. Ancora nel frutteto mentre cala la notte, Yara concorda: “Sono stati pubblicati molti messaggi sulle pagine Facebook e abbiamo chiesto aiuto, ma non abbiamo ricevuto risposta”.

Nour accenna direttamente a una cospirazione. “Giovedì i jihadisti hanno annunciato sui social media che sarebbero venuti nella nostra regione per ucciderci. E cosa hanno fatto le autorità? Niente. Quando hanno iniziato a reagire? Oggi, dopo che 164 persone erano già state uccise ad al-Qusur Shamali”. Per la giovane donna, “Le forze di sicurezza hanno deliberatamente permesso che ciò accadesse. Altrimenti, si sarebbero mosse per salvarci”.

A Tartous, il residente ha anche contattato le forze di sicurezza. “Alcuni di loro hanno detto che non potevano influenzare alcune delle fazioni a loro affiliate perché avevano un’ideologia estremista. Ciò significa che il potere attuale non ha autorità su tutti i suoi membri, compresi l’esercito e le fazioni, e non può controllarli”.

Queste testimonianze sono in netto contrasto con il messaggio fermo che Ahmad al-Sharaa ha tentato di trasmettere venerdì sera. Il presidente ad interim ha invitato le sue truppe a esercitare moderazione, promettendo che chiunque “danneggi civili innocenti sarà severamente giudicato”, mentre la sua amministrazione lotta per presentare l’immagine di una Siria unita.

*Per motivi di sicurezza, i nomi delle persone citate nell’articolo sono stati cambiati.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in francese su L’Orient Le-Jour.

Redazione Italia

Alawiti massacrati in Siria, l’UE protegge il governo dei tagliagole jihadisti

Per celebrare l’ascesa di Al Jolani e di HTS, l’Unione Europea  il 25 febbraio 2025 ha dichiarato la sospensione delle sanzioni alla Siria per “sostenere la transizione politica inclusiva”, la “ripresa economica e la stabilizzazione del Paese”.

Non ci voleva un indovino per capire che un ex-terrorista di Al-Qaeda responsabile di massacri brutali prima o poi facesse vedere il suo vero volto, come purtroppo sta accadendo in queste ore.

Una conta infinita di morti civili, tra cui donne e bambini, una giostra infernale di oltre 30 nomi di villaggi alawiti, sulla costa siriana e sulle rive dell’Oronte, dove i corpi degli uccisi sono rimasti a lungo per le strade e dove le case hanno bruciato dopo il passaggio di miliziani sunniti, siriani ma anche stranieri. Dei paesi occidentali e arabi solo la Francia ha condannato le violenze contro gli alawiti siriani (branca dello sciismo identificata da decenni col potere  della famiglia Assad, dissoltosi lo scorso 8 dicembre).

Nella nuova Siria “democratica” governata da ex-tagliagole del Fronte al-Nusra, Abu Amsha, capo di una delle principali milizie del paese, ha inviato i suoi uomini a massacrare gli alawiti sulla costa pronunciando le seguenti parole: “O la Siria diventerà tutta sunnita, o la bruceremo. (…) Chiunque respiri, eliminatelo. Chiunque dica una parola, eliminatelo, chiunque abbia un’arma, eliminatelo, chiunque manifesti, eliminatelo. Niente altro che questo può essere fatto per sistemare le cose” – queste le parole di Abu Amsha.

Un terrorista di HTS ha celebrato il massacro degli alawiti nella città di Baniyas, dicendo: “C’era una città in Siria chiamata Baniyas. Era per metà sunnita e per metà alawita, oggi è per metà sunnita e per metà morta.” Questi sono i tagliagole ex-qaedisti che Europa e Turchia hanno sempre definito “resistenza moderata siriana” e che adesso stanno sostenendo in Siria.

Da giovedì 6 marzo – dopo un agguato da parte dei miliziani alawiti, indicati come “membri dell’ex regime”, contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Jabla, a sud di Latakia, principale porto siriano – le forze di sicurezza e i loro alleati, affiliati al governo di Al Jolani, stanno facendo strage di civili di minoranza sciita alawiti e cristiana in esecuzioni sommarie, accompagnate da saccheggi di case e proprietà, nelle zone di Latakia e dintorni.

Secondo i media mainstream occidentali, sono stati l’uccisione di 14 armati governativi e gli attacchi sferrati da altre cellule dell’ex regime nella regione di Latakia e a Baniyas anche contro civili sunniti (la Rete siriana ha contato 26 civili sunniti uccisi) ad aver innescato una spirale di violenza. I ribelli alawiti siriani, in particolare nella regione di Latakia e nel sud della Siria, rifiutano l’attuale governo golpista ed hanno fatto manifestazioni di massa con assalti alle truppe governative. Contemporaneamente sono partite esecuzioni sommarie da parte dell’esercito governativo, gran parte delle quali sono state compiute tra venerdì e sabato mattina nelle case, per le strade, negli oliveti e nei campi di grano della zona costiera e a ovest di Hama.

Bisogna ricordare però che i massacri che si stanno consumando in Siria ai danni degli alawiti hanno un origine ben precisa, provocata da mesi di persecuzioni, arresti arbitrari, sparizione di persone ed abusi nei loro confronti.

L’Osservatorio per i diritti umani in Siria, che da quasi 20 anni monitora e documenta le violazioni nel paese, ha contato finora massacri di civili uccisi in 40 diverse località tra le regioni di costiere e quelle di Hama e Homs, che hanno coinvolto alawiti e cristiani. Questi ultimi, secondo l’Osservatorio, sono stati uccisi da jihadisti filo-governativi stranieri – caucasici, dell’Asia centrale, nordafricani, egiziani, cinesi – “che non riescono a distinguere tra alawiti e cristiani”. Su questo si era espresso il 9 marzo il patriarca ortodosso di Antiochia che nell’omelia della domenica ha confermato che i massacri di civili hanno colpito anche “molti cristiani innocenti”. “Coloro che sono stati uccisi non erano tutti uomini fedeli al regime, la maggior parte erano civili innocenti e disarmati, tra cui donne e bambini” – ha detto il patriarca ortodosso.

Tra i miliziani jihadisti – come dimostrano diverse testimonianze, foto e filmati – ci sono combattenti caucasici, dell’Asia Centrale e della Cina, rimasti negli ultimi tre mesi sulle montagne tra le regioni di Idlib e quella di Latakia.

Ci sono video raccapriccianti con persone civili e ragazzi inseguite e sparate al momento. Anche la BBC conferma rastrellamenti e omicidi di civili  da parte delle zone governative. C’è anche una petizione che sollecita L’Onu a farsi carico della questione.

Le forze di HTS hanno ucciso anche lo sceicco Abdurrahman Dalia, un religioso sunnita di Idlib, dopo che aveva condannato il massacro degli alawiti nella regione costiera siriana.

Il padre di padre Gregorios Bishara, sacerdote della chiesa di Nostra Signora dell’Annunciazione, è stato ucciso questa mattina per mano delle fazioni armate pro-HTS che hanno fatto irruzione nella città di Baniyas. La parrocchia greca di Antiochia di Latakia sta evacuando i greci di Antiochia dalla regione di Qirdaha, dove si stanno verificando massacri contro gli alawiti. Chiediamo alla Grecia e a Cipro di sostenere questi sforzi.

Il bilancio è in continuo aggiornamento, mentre arrivano dalle varie località colpite i necrologi delle famiglie sterminate, assieme alle numerose foto di corpi scomposti – la cui autenticità è stata verificata incrociando diverse testimonianze sul terreno – e senza vita di uomini, donne e bambini, riversi a terra, sui divani, sui letti, con fori di arma da fuoco al capo, al ventre, al petto.

Così, mentre la “Rete Siriana per i Diritti Umani” – da alcuni considerata vicina al nuovo governo golpista guidato dall’autoproclamato presidente Ahmad Sharaa (al-Jolani), ex comandante di Al-Qaeda in Iraq e fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts) – riferiva di oltre 120 militari governativi uccisi “da membri dell’ex regime degli Assad”; in Siria il bilancio del massacro delle minoranze (su tutte, quelle alauite, cristiane e druse) è salito a 2.500 morti in due giorni.

Continuano ad arrivare testimonianze audiovisive cruente, sovente riprese dalle stesse bande di tagliagole jihadisti (spesso stranieri) che si accaniscono nei villaggi e quartieri con stragi di giovani inermi, di donne, di bambini. Diffondono perfino le immagini con cui strappano il cuore dal petto o decapitano le vittime, con il fine di terrorizzare e far fuggire chi non hanno ancora raggiunto.

Come ha dichiarato Pino Cabras:

“Sono dotati di centinaia di pickup nuovi fiammanti: come per l’ISIS e al-Qa’ida qualche anno fa, il denaro arriva a fiumi da attori ben addentro ad apparati statali legati alle alleanze NATO. Di sicuro sono incoraggiati e coordinati dal nuovo regime di Al-Jolani (un ex-ISIS) che ha rovesciato Assad. Sì, quel tipo barbuto passato dal farsi selfie in tenuta da sgozzabimbi all’indossare completi che mimano una qualche acrobatica rispettabilità.
Riepiloghiamo: squadracce di assassini ferocissimi e guidati dal nuovo governo siriano hanno già fatto una strage quasi doppia rispetto alla strage del 7 ottobre 2023 (quella usata da Bibi il Massacratore, dall’Occidente e dai suoi media come l’unico metro assoluto dell’orrore che doveva giustificare ogni abuso in risposta).”

Nessun giornale italiano del mainstream ha parlato del massacro di cristiani ed alawiti in Siria. Forse la notizia crea imbarazzo: dopo avere esaltato i jihadisti al potere, non è facile scrivere che si tratta di tagliagole. Meglio ignorare la nuova carneficina in atto, anche perché i video, raccapriccianti, nessuno riuscirebbe a guardarli!

Di fronte a questa furia genocida la portavoce Kaja Kallas, Alta Rappresentante dell’inesistente politica estera della UE, ha dichiarato:

“L’Unione Europea condanna fermamente i recenti attacchi, presumibilmente condotti da elementi filo-Assad, contro le forze del governo ad interim nelle aree costiere della Siria e ogni forma di violenza contro i civili.”

La UE invece di condannare il genocidio di civili in Siria, ha condannato gli sciiti alawiti siriani che si sono ribellati, definendoli le “forze di Assad”.

Di fronte alle aberrazioni commesse dai terroristi che governano la Siria, un comunicato del genere è vergognoso. Un comunicato ributtante che rovescia la realtà e che spiega il cinismo agghiacciante e la menzogna patologica dei burocrati di Bruxelles. La condanna dell’UE nei confronti di “elementi pro-Assad” mentre centinaia di alawiti inermi stanno venendo massacrati a sangue freddo è sorprendente e allo stesso tempo sconcertante e vergognosa. Questa è la stessa UE che ha condannato Hamas per non aver accettato l’estensione della prima fase del cessate il fuoco a Gaza, quando è Israele che ha violato gli accordi imponendo il blocco degli aiuti nella Striscia. L’UE, “baluardo della democrazia e dei diritti umani”, dunque sostiene il genocidio israeliano a Gaza, la violenza settaria contro civili inermi in Siria, e rifiuta la prospettiva di un negoziato in Ucraina promuovendo il riarmo contro una minaccia inesistente. L’UE nella sua dichiarazione ha sostenuto il governo provvisorio golpista di stampo ex-qaedista della Siria, rendendosi complice del massacro in Siria.

Per contro, il segretario di Stato USA, Marco Rubio, fa uscire un comunicato che ripristina un minimo di decenza: “Gli Stati Uniti condannano i terroristi islamici radicali, compresi i jihadisti stranieri, che negli ultimi giorni hanno ucciso persone nella Siria occidentale. Gli Stati Uniti sono al fianco delle minoranze religiose ed etniche della Siria, tra cui le comunità cristiana, drusa, alawita e curda, ed esprimono le proprie condoglianze alle vittime e alle loro famiglie.”

Risalta così maggiormente la follia che ha imprigionato l’Europa istituzionale. E nel momento in cui gli “ursuliani” chiamano “putiniani” quelli che non vogliono la loro guerra, proprio in Siria scopriamo che un minimo di civiltà è ora protetto proprio dai russi: migliaia di disperati hanno trovato riparo, protezione e un pasto caldo nella base militare russa di Khmeimim.

Nel frattempo, il presidente del governo di transizione Amhed al-Sharaa (già Abu Muhammad al-Julani) è intervenuto ieri sera con un discorso pubblico, di fatto a sostegno delle uccisioni in corso, minacciando “i membri dell’ex regime” di arrendersi senza però condannare le violazioni dei miliziani fino a poche settimane ai suoi ordini. In seguito ha aggiunto: “Dobbiamo preservare l’unità nazionale e la pace interna, possiamo convivere”. Una convivenza che c’è sempre stata in Siria tra minoranza cristiane, islamiche sciite e sunnite e druse che è stata proprio messa in crisi fin dal 2011 con lo scoppio della guerra in Siria e l’avvento delle truppe jihadiste sul territorio. Una crisi – secondo Wikileaks ben voluta da USA e Israele – che ha fatto di tutto per far crollare l’unico avamposto laico e pluralista del Medioriente: la Siria baathista.

In altre parole dopo la caduta di Assad la situazione ha preso una brutta bruttissima piega  come ad esempio è successo in Libia anni fa e ancora continua.

Lorenzo Poli

8 marzo 2025: Donne in Siria, ieri e oggi

Le DONNE siriane IERI e OGGI nel paese aggredito e ora occupato da terroristi e invasori stranieri. Oggi più che mai, un po’ di chiarezza, documentazioni e dati di fatto inoppugnabili è necessario ribadirli, non potranno cambiare le cose, ma anche solo per rendere onore alla verità storica e alla giustizia, e forse anche per rendere onore alle straordinarie donne siriane per il futuro, grigio, cupo ma che già sta muovendo verso RESISTENZA e NON accettazione di un presente jihadista e tragico.

Con questo lavoro, non intendo entrare nel merito degli avvenimenti accaduti nel dicembre scorso, tuttora estremamente indecifrati e non chiari, anche se poco alla volta la verità, sulla base dei dati di fatto locali e geopolitici, sta emergendo.

Questo lavoro vuole solo rendere onore e giustizia alle donne di quella Siria, che per tredici lunghi, dolorosi e sanguinosi anni, hanno resistito e si sono battute, al di là di ideologie politiche, differenze di fedi, etnie, culture, per difendere un paese e una società, non certo immune da errori, limiti, contraddizioni, storture, corruzioni…ma dove ogni donna siriana aveva diritti, libertà, prospettive e ruoli ai più alti livelli della società e in tutti gli ambiti delle istituzioni civili, politiche e militari.

Dove ogni donna è sempre stata libera di scelte, comportamenti, rivendicazioni e diritti inalienabili. Anche per l’ONU, la Siria è stata storicamente il paese arabo e musulmano più avanzato, rispettoso e socialmente più progressista, circa la condizione della donna nella società.

Confrontando le popolazioni degli Stati Uniti e la Repubblica Araba Siriana (318,9 milioni gli USA; 23 milioni la RAS) e le donne in posizioni di comando, gli Stati Uniti sembrano essere abitanti delle caverne tribali in confronto alla Siria. Basta notare quante donne siriane avevano importanti ruoli guida nel governo siriano di Unità nazionale. Il ruolo delle donne nella magistratura, nelle scuole, nella sanità, nell’esercito, nella resistenza contro l’aggressione. Donne laiche, religiose delle dodici fedi nel paese, tradizionaliste o modernizzate, socialiste, comuniste, TUTTE patriote. Memorizziamo i loro volti. Memorizziamo i loro nomi e confrontiamo tutti i diritti da esse acquisiti, la cultura della tutela delle donne in Siria, il loro ruolo vitale, con la realtà della Siria “liberata” di oggi e quella dei paesi aggressori e potremo capire QUANTO hanno perso, oggi, che il paese è stato “liberato” dalle forze jihadiste e terroriste, alleate e protette dell’occidente, dalla NATO attraverso la Turchia e da Israele abile attore manipolatore dello scenario mediorientale.

Ogni giorno, per gli ultimi tredici anni le donne siriane hanno seppellito figli, fratelli e mariti, vittime di una cinica aggressione che ha avuto e ha tuttora i vari burattinai padroni del paese che è stato occupato. Tutti celati dietro al terrorismo jihadista, con un ex comandante dell’ISIS e poi di Al Nusra, con una taglia di 10 milioni di dollari, auto elettosi presidente del paese, avendo compiuto il lavoro sporco, ed oggi benedetto come “figliuol prodigo” da tutti, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche cristiane, già dimenticatesi di ciò che hanno avuto, in tutti i sensi dalla Siria laica, multietnica, multi religiosa e multipartitica, in termini di diritti, protezione ed economici in questi cinquant’anni.

Come in tutti i conflitti sono sempre le donne a cercare con ogni mezzo di continuare a provvedere alle famiglie, a confortare bambini e sopravvissuti, a credere e lottare comunque, ad alimentare la speranza nella vita. Loro che la vita ce la donano. Quanto è successo e succede anche in Siria, così come in ogni guerra, non è altro che la conferma di quanto siano incredibilmente forti e imprescindibili.

In questo otto marzo, festeggiato in tutto il mondo come giornata internazionale della donna, vorrei riservarlo a loro e in un altro lavoro alle eccezionali ed eroiche donne palestinesi, senza dimenticare ogni donna in piedi o schiacciata nella lotta per la propria emancipazione, per la difesa della propria terra o per la liberazione del proprio paese. Dalle donne yemenite, a quelle libiche, afgane, cubane e così via.

Tutte incluse in un grande abbraccio di solidarietà e in un impegno costante di sostegno concreto.

Queste le parole del nuovo Ministro jihadista della giustizia: “…Applicheremo la legge islamica e impediremo alle donne giudice di ricoprire questa posizione esse dovranno affidare i loro casi a giudici uomini…”.

SIRIA. IERI e OGGI

In Siria il vicepresidente della Repubblica Araba Siriana è stata Najah al Attar,  oggi ricercata. Suo padre era un partigiano che ha combattuto contro gli occupanti francesi per la liberazione del paese.

La vice presidenza siriana è nominata dal presidente e ha responsabilità simili a quelle degli Stati Uniti. Se il presidente siriano dovesse diventare inabile, il suo vice presidente assume la presidenza.

 

Queste erano le donne siriane di Ghouta, occupata dagli jiahadisti, rapite e messe in gabbia, poi liberate dall’Esercito Arabo Siriano, quando Al Jolani, comandante jihadista…era ancora cattivo.

La dott.ssa Bouthaina Shaaban   è stata tra le figure più importanti come consulente del presidente della Siria. Oggi ricercata. Docente di poesia all’Università di Damasco, oltre a un dottorato in letteratura inglese.

 

Donne sotto la legge jihadista

 

 

Sui fronti di battaglia, nella società, nelle famiglie: ferme e risolute nella difesa e rafforzamento della propria patria libera, sovrana, indipendente.              

 Gennaio 2025:  Rapita Rawan Saqour nella campagna di Hama

Rawan Saqour, giovane donna di Salhab, è stata rapita mentre viaggiava in auto. È stata presa con la forza in un posto di blocco controllato dai mercenari di al-Jolani. Scomparsa.

Sanitari e sanitarie dell’Ospedale di Damasco

Carolis Atallah Nahli, 19 anni, il 2 febbraio è stata rapita a JaramanaCarolis era studentessa di lingua francese all’Università di Damasco, dopo aver lasciato la casa dei suoi parenti. L’ultima volta era stata vista vicino al Care Hospital di Jaramana.

Studentessa dell’Università di Damasco

Questa era la dottoressa Hayat Ali Al-Najjar, rapita dalla “Sicurezza Generale”, un gruppo affiliato a Hayat Tahrir al-Sham (HTS), l’organizzazione terroristica.Questo gruppo opera sotto le vesti di “bande non identificate” per compiere rapimenti, furti ed estorsioni. Chiedono un riscatto alle famiglie delle vittime, per poi giustiziarle e attribuire falsamente i crimini a ignoti colpevoli, ritraendoli come episodi isolati.La dottoressa Hayat è stata presa semplicemente perché era Alawita.

Le suore trappiste del Monastero di Azeir, sempre rispettate.

Homs è stata rapita e uccisa la Dottoressa Rasha Nasser Al Ali. Taxi e veicoli privati vengono bloccati e se una donna viene trovata alla guida di un’auto, sia lei che il veicolo vengono presi.

Il suo corpo martoriato è stato ritrovato tre giorni dopo nei dintorni di Homs, dove insegnava l’arabo, oltre ad essere membro dell’Unione Scrittori Arabi.

Donne siriane in piazza a manifestare

Nagham Issa  del villaggio di Balqsah, è stata rapita mentre andava in una clinica a Homs per un controllo di gravidanza. Ha sopportato abusi fisici e umiliazioni per mano di militanti armati affiliati a Hayat Tahrir al-Sham  (HTS) che prima hanno chiesto un riscatto di 500 milioni di sterline siriane. Poi è stata atrocemente giustiziata. I militanti hanno inviato una foto del suo corpo al marito, dicendogli di cercare i suoi resti vicino all’ospedale.

Souria Habibi Ali ha perso 6 figli, tutti membri dell’Esercito Arabo Siriano, difendendo la loro patria all’interno dei suoi confini.

 

…Quando Al Jolani era capo della Polizia morale dell’ISIS e le donne venivano vendute come schiave del sesso.

 Nel “regime” siriano, quando le donne…si esprimevano.

Jihadisti chiusero due donne in una gabbia piena di morti, perchè vestivano all’occidentale…quando Al Jolani era un…cattivo.

 

Giovani donne siriane…quando c’era il “regime”.

 

Le MARTIRI della SIRIA

 Questa opera d’arte era stata realizzata in un parco

Siriano, per ricordare tutte le madri che hanno dato

alla luce i soldati che hanno perso la vita in questi

anni per la difesa del Paese…Oggi naturalmente nella “nuova”

Siria è stata distrutta dai liberatori

 

Immagini, senza parole…Per NON dimenticare quelle meravigliose donne che hanno dato la, loro vita per il proprio popolo, la propria Patria e la propria libertà.        AD MEMORIAM

 

 Il dolore condiviso per un martire tra donne siriane, cristiane e musulmane, in una chiesa cristiana.

 

Madri, mogli, sorelle, soldatesse, lavoratrici, studentesse, professioniste, volontarie, attiviste, credenti e laiche…TUTTE PATRIOTE. L’anima più vera della SIRIA che non c’è più. 

 La prima martire soldato siriana Mervat Sa’ad era di Lattakia.

La tenente dell’EAS e studentessa universitaria Iman Yousef  uccisa in un attentato terroristico a Homs.

La giornalista Yara Abbas, assassinata nel maggio 2013 dai terroristi

Le sorelle Marah Khadour e Batool Khador furono tra le 24 vittime massacrate in due attentati suicidi dei terroristi “moderati”, a Homs, il 26 gennaio 2015.

 Sidra Ahmed è stata tra le 10 vittime massacrate il 2 settembre 2015, quando un furgone pieno di esplosivi fu fatto esplodere fuori dalla scuola di Imad Ali a Lattakia.

 Sham Abji, 9 anni, rapita dalla casa dei nonni, violentata, poi soffocata e il suo corpo fu gettato nell’acqua a Idlib.

 

 

A cura di Enrico Vigna – SOS Siria/CIVG  

L'Antidiplomatico

“Se i massacri continueranno, non rimarrà un solo alawita in Siria”

di Rayan Safar – L’Orient Today 

Yara* non ha aspettato che i combattenti raggiungessero Qardaha prima di fuggire. Allertata da amici e residenti dei villaggi vicini, che l’avevano avvertita che fazioni armate stavano entrando nelle case e uccidendo persone, ha raccolto alcuni averi ed è fuggita con i suoi genitori e suo fratello in un frutteto lì vicino.

“Siamo arrivati ​​qui giovedì alle 13:00. Dopo due ore, abbiamo iniziato a sentire degli spari e il fumo si è diffuso ovunque. Non so esattamente chi siano questi gruppi armati”, ha detto il trentenne residente nella città natale della famiglia Assad.

Venerdì mattina, suo fratello è riuscito a tornare per valutare i danni a casa loro. “Hanno incendiato la nostra casa, hanno distrutto tutto ciò che c’era intorno”, ha detto Yara disperata. “Hanno anche rubato una motocicletta”.

E’ in corso il più violento scontro tra le forze di sicurezza ufficiali e le fazioni pro-Assad dalla caduta del regime, in seguito a un’imboscata in cui sono rimasti uccisi 13 membri delle prime. Migliaia di uomini armati, formalmente parte delle forze armate o meno, si sono riversati sulla costa alawita per eliminare i “resti del vecchio regime”. La situazione è rapidamente degenerata, sollevando timori di conflitti settari e aggravando le preoccupazioni esistenziali tra la minoranza che costituisce il 10 percento della popolazione.

Circa 745 civili uccisi

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha riferito che “745 civili alawiti sono stati uccisi nelle regioni della costa siriana e dei monti Latakia dalle forze di sicurezza e dai gruppi affiliati”. Dal lato dei combattenti, gli scontri hanno causato 273 morti tra membri delle forze di sicurezza e combattenti lealisti, secondo la stessa fonte. Il bilancio complessivo ieri era di 1.018 morti.

La città di Banyas ha sofferto in modo particolare. “Hanno ucciso quasi tutti nel mio quartiere, quasi tutti”, grida Nour*, originaria di al-Qusur Shamali. La giovane donna ha perso cinque dei suoi amici e le loro famiglie, “compresi bambini di 3 e 6 anni”. Nour, che ha sempre vissuto nella zona, ha detto che ora porta le cicatrici di quei giorni tragici. “Sai, qui tutti si conoscono; non posso dirti cosa prova la gente”. Secondo lei, i combattenti hanno costretto i residenti a cancellare video e foto dei massacri dai loro telefoni, confermando i racconti di altri intervistati.

La maggior parte dei civili uccisi erano uomini nella regione di Latakia, che ospita i tre quarti della popolazione alawita del paese. Gli uomini sono stati “imprigionati o semplicemente fucilati senza motivo in alcune aree, come ad al-Shalfatiyya”, ha scritto l’esperto Cédric Labrousse su X. Le atrocità si sono verificate anche “nelle aree agricole dell’entroterra alawita, con esecuzioni gratuite e sommarie, chiaramente mirate alla setta, contro lavoratori, contadini e altri”, ha concluso Labrousse.

Immagini inquietanti di corpi insanguinati sparsi lungo le strade, nonché scene di umiliazione che coinvolgono gli alawiti, sono state ampiamente condivise sui social media.

“Fazioni fanatiche dell’esercito e terroristi stanno liquidando alawiti, civili, bambini, donne, giovani e anziani, con il pretesto che sono resti del precedente regime”, ha affermato un residente di Tartous. “Questo non significa che non ci siano resti del vecchio regime, ma stanno approfittando della situazione per commettere massacri”.

Per 48 ore, Yara e i suoi genitori sono rimasti nel frutteto. “Ci nascondiamo tra gli alberi e ci copriamo con rami per non essere visti”, dice, inviando un video che mostra la luce del sole che filtra attraverso le foglie. “Sentiamo voci intorno a noi, ma non sappiamo se sono persone come noi o no”. Le scorte di cibo stanno diminuendo. “Stiamo finendo cibo e medicine. Mia madre ha la pressione alta; è in pessime condizioni”, dice Yara, chiaramente preoccupata.

“Voi Nusayris, voi maiali”

La scena si ripete a qualche decina di chilometri di distanza, all’incrocio delle province di Latakia e Hama. Salah* è lì, in cima a una montagna, con i suoi tre figli e decine di altri alawiti fuggiti dai combattimenti e dalle atrocità. “I suoni degli spari di tutti i tipi di armi hanno riempito i villaggi per giorni”, racconta. “Ieri sera hanno ucciso il mio vicino, un commerciante locale, davanti ai suoi figli”.

Secondo Salah, gli autori di queste azioni sono per lo più combattenti stranieri, “ceceni, uzbeki o tagiki”. Salah, il cui fratello è stato ucciso in una violenza simile nei mesi precedenti, oscilla tra rabbia e disperazione. “Non so cosa dire. È troppo. Dalla caduta del regime, ogni settimana c’è un rapimento, e pochi giorni dopo, la persona rapita viene uccisa e gettata nelle foreste o nei fiumi che circondano i nostri villaggi. Se la situazione rimane così, con massacri ogni giorno, non rimarrà nessuno della setta alawita”.

Le sue parole riecheggiano quelle di Mazen*, la cui zona è sotto il fuoco di elicotteri, artiglieria e fucili da diversi giorni. “Ho visto uomini sparare alla gente. Li ho sentiti dire: ‘Siamo venuti per uccidervi, voi Nusayris, voi maiali.’ Ci sono state numerose vittime civili disarmate. Non mi sento più al sicuro nella mia regione o nel mio Paese, e ho paura di spostarmi perché sono alawita.”

Da un lato, le forze di sicurezza governative hanno lottato per ristabilire l’ordine nelle regioni a forte densità alawita di Homs, Tartous e Latakia dalla caduta del regime, e gli eventi di questa settimana hanno dimostrato in modo lampante questa debolezza. Dall’altro, c’è ambiguità che circonda il coinvolgimento di alcune fazioni alleate con la rivoluzione, o persino di elementi al suo interno, in queste atrocità. Ciò ha alimentato la sfiducia tra la popolazione alawita nei confronti della nuova leadership.

“I combattenti che seminano il terrore sono mascherati; non sappiamo esattamente a quale fazione appartengono”, spiega Mazen. “Attualmente c’è un convoglio militare all’ingresso del mio villaggio, ma ha fatto il giro del villaggio e non ha registrato alcuna infrazione”.

Aggiunge: “Quando si sono verificate le violazioni, non c’erano forze ufficiali a difenderci”. Ancora nel frutteto mentre cala la notte, Yara concorda: “Sono stati pubblicati molti messaggi sulle pagine Facebook e abbiamo chiesto aiuto, ma non abbiamo ricevuto risposta”.

Nour accenna direttamente a una cospirazione. “Giovedì i jihadisti hanno annunciato sui social media che sarebbero venuti nella nostra regione per ucciderci. E cosa hanno fatto le autorità? Niente. Quando hanno iniziato a reagire? Oggi, dopo che 164 persone erano già state uccise ad al-Qusur Shamali”. Per la giovane donna, “Le forze di sicurezza hanno deliberatamente permesso che ciò accadesse. Altrimenti, si sarebbero mosse per salvarci”.

A Tartous, il residente ha anche contattato le forze di sicurezza. “Alcuni di loro hanno detto che non potevano influenzare alcune delle fazioni a loro affiliate perché avevano un’ideologia estremista. Ciò significa che il potere attuale non ha autorità su tutti i suoi membri, compresi l’esercito e le fazioni, e non può controllarli”.

Queste testimonianze sono in netto contrasto con il messaggio fermo che Ahmad al-Sharaa ha tentato di trasmettere venerdì sera. Il presidente ad interim ha invitato le sue truppe a esercitare moderazione, promettendo che chiunque “danneggi civili innocenti sarà severamente giudicato”, mentre la sua amministrazione lotta per presentare l’immagine di una Siria unita.

*Per motivi di sicurezza, i nomi delle persone citate nell’articolo sono stati cambiati.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in francese su L’Orient Le-Jour.

Redazione Italia

Alawiti massacrati in Siria, l’UE protegge il governo dei tagliagole jihadisti

Per celebrare l’ascesa di Al Jolani e di HTS, l’Unione Europea  il 25 febbraio 2025 ha dichiarato la sospensione delle sanzioni alla Siria per “sostenere la transizione politica inclusiva”, la “ripresa economica e la stabilizzazione del Paese”.

Non ci voleva un indovino per capire che un ex-terrorista di Al-Qaeda responsabile di massacri brutali prima o poi facesse vedere il suo vero volto, come purtroppo sta accadendo in queste ore.

Una conta infinita di morti civili, tra cui donne e bambini, una giostra infernale di oltre 30 nomi di villaggi alawiti, sulla costa siriana e sulle rive dell’Oronte, dove i corpi degli uccisi sono rimasti a lungo per le strade e dove le case hanno bruciato dopo il passaggio di miliziani sunniti, siriani ma anche stranieri. Dei paesi occidentali e arabi solo la Francia ha condannato le violenze contro gli alawiti siriani (branca dello sciismo identificata da decenni col potere  della famiglia Assad, dissoltosi lo scorso 8 dicembre).

Nella nuova Siria “democratica” governata da ex-tagliagole del Fronte al-Nusra, Abu Amsha, capo di una delle principali milizie del paese, ha inviato i suoi uomini a massacrare gli alawiti sulla costa pronunciando le seguenti parole: “O la Siria diventerà tutta sunnita, o la bruceremo. (…) Chiunque respiri, eliminatelo. Chiunque dica una parola, eliminatelo, chiunque abbia un’arma, eliminatelo, chiunque manifesti, eliminatelo. Niente altro che questo può essere fatto per sistemare le cose” – queste le parole di Abu Amsha.

Un terrorista di HTS ha celebrato il massacro degli alawiti nella città di Baniyas, dicendo: “C’era una città in Siria chiamata Baniyas. Era per metà sunnita e per metà alawita, oggi è per metà sunnita e per metà morta.” Questi sono i tagliagole ex-qaedisti che Europa e Turchia hanno sempre definito “resistenza moderata siriana” e che adesso stanno sostenendo in Siria.

Da giovedì 6 marzo – dopo un agguato da parte dei miliziani alawiti, indicati come “membri dell’ex regime”, contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Jabla, a sud di Latakia, principale porto siriano – le forze di sicurezza e i loro alleati, affiliati al governo di Al Jolani, stanno facendo strage di civili di minoranza sciita alawiti e cristiana in esecuzioni sommarie, accompagnate da saccheggi di case e proprietà, nelle zone di Latakia e dintorni.

Secondo i media mainstream occidentali, sono stati l’uccisione di 14 armati governativi e gli attacchi sferrati da altre cellule dell’ex regime nella regione di Latakia e a Baniyas anche contro civili sunniti (la Rete siriana ha contato 26 civili sunniti uccisi) ad aver innescato una spirale di violenza. I ribelli alawiti siriani, in particolare nella regione di Latakia e nel sud della Siria, rifiutano l’attuale governo golpista ed hanno fatto manifestazioni di massa con assalti alle truppe governative. Contemporaneamente sono partite esecuzioni sommarie da parte dell’esercito governativo, gran parte delle quali sono state compiute tra venerdì e sabato mattina nelle case, per le strade, negli oliveti e nei campi di grano della zona costiera e a ovest di Hama.

Bisogna ricordare però che i massacri che si stanno consumando in Siria ai danni degli alawiti hanno un origine ben precisa, provocata da mesi di persecuzioni, arresti arbitrari, sparizione di persone ed abusi nei loro confronti.

L’Osservatorio per i diritti umani in Siria, che da quasi 20 anni monitora e documenta le violazioni nel paese, ha contato finora massacri di civili uccisi in 40 diverse località tra le regioni di costiere e quelle di Hama e Homs, che hanno coinvolto alawiti e cristiani. Questi ultimi, secondo l’Osservatorio, sono stati uccisi da jihadisti filo-governativi stranieri – caucasici, dell’Asia centrale, nordafricani, egiziani, cinesi – “che non riescono a distinguere tra alawiti e cristiani”. Su questo si era espresso il 9 marzo il patriarca ortodosso di Antiochia che nell’omelia della domenica ha confermato che i massacri di civili hanno colpito anche “molti cristiani innocenti”. “Coloro che sono stati uccisi non erano tutti uomini fedeli al regime, la maggior parte erano civili innocenti e disarmati, tra cui donne e bambini” – ha detto il patriarca ortodosso.

Tra i miliziani jihadisti – come dimostrano diverse testimonianze, foto e filmati – ci sono combattenti caucasici, dell’Asia Centrale e della Cina, rimasti negli ultimi tre mesi sulle montagne tra le regioni di Idlib e quella di Latakia.

Ci sono video raccapriccianti con persone civili e ragazzi inseguite e sparate al momento. Anche la BBC conferma rastrellamenti e omicidi di civili  da parte delle zone governative. C’è anche una petizione che sollecita L’Onu a farsi carico della questione.

Le forze di HTS hanno ucciso anche lo sceicco Abdurrahman Dalia, un religioso sunnita di Idlib, dopo che aveva condannato il massacro degli alawiti nella regione costiera siriana.

Il padre di padre Gregorios Bishara, sacerdote della chiesa di Nostra Signora dell’Annunciazione, è stato ucciso questa mattina per mano delle fazioni armate pro-HTS che hanno fatto irruzione nella città di Baniyas. La parrocchia greca di Antiochia di Latakia sta evacuando i greci di Antiochia dalla regione di Qirdaha, dove si stanno verificando massacri contro gli alawiti. Chiediamo alla Grecia e a Cipro di sostenere questi sforzi.

Il bilancio è in continuo aggiornamento, mentre arrivano dalle varie località colpite i necrologi delle famiglie sterminate, assieme alle numerose foto di corpi scomposti – la cui autenticità è stata verificata incrociando diverse testimonianze sul terreno – e senza vita di uomini, donne e bambini, riversi a terra, sui divani, sui letti, con fori di arma da fuoco al capo, al ventre, al petto.

Così, mentre la “Rete Siriana per i Diritti Umani” – da alcuni considerata vicina al nuovo governo golpista guidato dall’autoproclamato presidente Ahmad Sharaa (al-Jolani), ex comandante di Al-Qaeda in Iraq e fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts) – riferiva di oltre 120 militari governativi uccisi “da membri dell’ex regime degli Assad”; in Siria il bilancio del massacro delle minoranze (su tutte, quelle alauite, cristiane e druse) è salito a 2.500 morti in due giorni.

Continuano ad arrivare testimonianze audiovisive cruente, sovente riprese dalle stesse bande di tagliagole jihadisti (spesso stranieri) che si accaniscono nei villaggi e quartieri con stragi di giovani inermi, di donne, di bambini. Diffondono perfino le immagini con cui strappano il cuore dal petto o decapitano le vittime, con il fine di terrorizzare e far fuggire chi non hanno ancora raggiunto.

Come ha dichiarato Pino Cabras:

“Sono dotati di centinaia di pickup nuovi fiammanti: come per l’ISIS e al-Qa’ida qualche anno fa, il denaro arriva a fiumi da attori ben addentro ad apparati statali legati alle alleanze NATO. Di sicuro sono incoraggiati e coordinati dal nuovo regime di Al-Jolani (un ex-ISIS) che ha rovesciato Assad. Sì, quel tipo barbuto passato dal farsi selfie in tenuta da sgozzabimbi all’indossare completi che mimano una qualche acrobatica rispettabilità.
Riepiloghiamo: squadracce di assassini ferocissimi e guidati dal nuovo governo siriano hanno già fatto una strage quasi doppia rispetto alla strage del 7 ottobre 2023 (quella usata da Bibi il Massacratore, dall’Occidente e dai suoi media come l’unico metro assoluto dell’orrore che doveva giustificare ogni abuso in risposta).”

Nessun giornale italiano del mainstream ha parlato del massacro di cristiani ed alawiti in Siria. Forse la notizia crea imbarazzo: dopo avere esaltato i jihadisti al potere, non è facile scrivere che si tratta di tagliagole. Meglio ignorare la nuova carneficina in atto, anche perché i video, raccapriccianti, nessuno riuscirebbe a guardarli!

Di fronte a questa furia genocida la portavoce Kaja Kallas, Alta Rappresentante dell’inesistente politica estera della UE, ha dichiarato:

“L’Unione Europea condanna fermamente i recenti attacchi, presumibilmente condotti da elementi filo-Assad, contro le forze del governo ad interim nelle aree costiere della Siria e ogni forma di violenza contro i civili.”

La UE invece di condannare il genocidio di civili in Siria, ha condannato gli sciiti alawiti siriani che si sono ribellati, definendoli le “forze di Assad”.

Di fronte alle aberrazioni commesse dai terroristi che governano la Siria, un comunicato del genere è vergognoso. Un comunicato ributtante che rovescia la realtà e che spiega il cinismo agghiacciante e la menzogna patologica dei burocrati di Bruxelles. La condanna dell’UE nei confronti di “elementi pro-Assad” mentre centinaia di alawiti inermi stanno venendo massacrati a sangue freddo è sorprendente e allo stesso tempo sconcertante e vergognosa. Questa è la stessa UE che ha condannato Hamas per non aver accettato l’estensione della prima fase del cessate il fuoco a Gaza, quando è Israele che ha violato gli accordi imponendo il blocco degli aiuti nella Striscia. L’UE, “baluardo della democrazia e dei diritti umani”, dunque sostiene il genocidio israeliano a Gaza, la violenza settaria contro civili inermi in Siria, e rifiuta la prospettiva di un negoziato in Ucraina promuovendo il riarmo contro una minaccia inesistente. L’UE nella sua dichiarazione ha sostenuto il governo provvisorio golpista di stampo ex-qaedista della Siria, rendendosi complice del massacro in Siria.

Per contro, il segretario di Stato USA, Marco Rubio, fa uscire un comunicato che ripristina un minimo di decenza: “Gli Stati Uniti condannano i terroristi islamici radicali, compresi i jihadisti stranieri, che negli ultimi giorni hanno ucciso persone nella Siria occidentale. Gli Stati Uniti sono al fianco delle minoranze religiose ed etniche della Siria, tra cui le comunità cristiana, drusa, alawita e curda, ed esprimono le proprie condoglianze alle vittime e alle loro famiglie.”

Risalta così maggiormente la follia che ha imprigionato l’Europa istituzionale. E nel momento in cui gli “ursuliani” chiamano “putiniani” quelli che non vogliono la loro guerra, proprio in Siria scopriamo che un minimo di civiltà è ora protetto proprio dai russi: migliaia di disperati hanno trovato riparo, protezione e un pasto caldo nella base militare russa di Khmeimim.

Nel frattempo, il presidente del governo di transizione Amhed al-Sharaa (già Abu Muhammad al-Julani) è intervenuto ieri sera con un discorso pubblico, di fatto a sostegno delle uccisioni in corso, minacciando “i membri dell’ex regime” di arrendersi senza però condannare le violazioni dei miliziani fino a poche settimane ai suoi ordini. In seguito ha aggiunto: “Dobbiamo preservare l’unità nazionale e la pace interna, possiamo convivere”. Una convivenza che c’è sempre stata in Siria tra minoranza cristiane, islamiche sciite e sunnite e druse che è stata proprio messa in crisi fin dal 2011 con lo scoppio della guerra in Siria e l’avvento delle truppe jihadiste sul territorio. Una crisi – secondo Wikileaks ben voluta da USA e Israele – che ha fatto di tutto per far crollare l’unico avamposto laico e pluralista del Medioriente: la Siria baathista.

In altre parole dopo la caduta di Assad la situazione ha preso una brutta bruttissima piega  come ad esempio è successo in Libia anni fa e ancora continua.

Lorenzo Poli

8 marzo 2025: Donne in Siria, ieri e oggi

Le DONNE siriane IERI e OGGI nel paese aggredito e ora occupato da terroristi e invasori stranieri. Oggi più che mai, un po’ di chiarezza, documentazioni e dati di fatto inoppugnabili è necessario ribadirli, non potranno cambiare le cose, ma anche solo per rendere onore alla verità storica e alla giustizia, e forse anche per rendere onore alle straordinarie donne siriane per il futuro, grigio, cupo ma che già sta muovendo verso RESISTENZA e NON accettazione di un presente jihadista e tragico.

Con questo lavoro, non intendo entrare nel merito degli avvenimenti accaduti nel dicembre scorso, tuttora estremamente indecifrati e non chiari, anche se poco alla volta la verità, sulla base dei dati di fatto locali e geopolitici, sta emergendo.

Questo lavoro vuole solo rendere onore e giustizia alle donne di quella Siria, che per tredici lunghi, dolorosi e sanguinosi anni, hanno resistito e si sono battute, al di là di ideologie politiche, differenze di fedi, etnie, culture, per difendere un paese e una società, non certo immune da errori, limiti, contraddizioni, storture, corruzioni…ma dove ogni donna siriana aveva diritti, libertà, prospettive e ruoli ai più alti livelli della società e in tutti gli ambiti delle istituzioni civili, politiche e militari.

Dove ogni donna è sempre stata libera di scelte, comportamenti, rivendicazioni e diritti inalienabili. Anche per l’ONU, la Siria è stata storicamente il paese arabo e musulmano più avanzato, rispettoso e socialmente più progressista, circa la condizione della donna nella società.

Confrontando le popolazioni degli Stati Uniti e la Repubblica Araba Siriana (318,9 milioni gli USA; 23 milioni la RAS) e le donne in posizioni di comando, gli Stati Uniti sembrano essere abitanti delle caverne tribali in confronto alla Siria. Basta notare quante donne siriane avevano importanti ruoli guida nel governo siriano di Unità nazionale. Il ruolo delle donne nella magistratura, nelle scuole, nella sanità, nell’esercito, nella resistenza contro l’aggressione. Donne laiche, religiose delle dodici fedi nel paese, tradizionaliste o modernizzate, socialiste, comuniste, TUTTE patriote. Memorizziamo i loro volti. Memorizziamo i loro nomi e confrontiamo tutti i diritti da esse acquisiti, la cultura della tutela delle donne in Siria, il loro ruolo vitale, con la realtà della Siria “liberata” di oggi e quella dei paesi aggressori e potremo capire QUANTO hanno perso, oggi, che il paese è stato “liberato” dalle forze jihadiste e terroriste, alleate e protette dell’occidente, dalla NATO attraverso la Turchia e da Israele abile attore manipolatore dello scenario mediorientale.

Ogni giorno, per gli ultimi tredici anni le donne siriane hanno seppellito figli, fratelli e mariti, vittime di una cinica aggressione che ha avuto e ha tuttora i vari burattinai padroni del paese che è stato occupato. Tutti celati dietro al terrorismo jihadista, con un ex comandante dell’ISIS e poi di Al Nusra, con una taglia di 10 milioni di dollari, auto elettosi presidente del paese, avendo compiuto il lavoro sporco, ed oggi benedetto come “figliuol prodigo” da tutti, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche cristiane, già dimenticatesi di ciò che hanno avuto, in tutti i sensi dalla Siria laica, multietnica, multi religiosa e multipartitica, in termini di diritti, protezione ed economici in questi cinquant’anni.

Come in tutti i conflitti sono sempre le donne a cercare con ogni mezzo di continuare a provvedere alle famiglie, a confortare bambini e sopravvissuti, a credere e lottare comunque, ad alimentare la speranza nella vita. Loro che la vita ce la donano. Quanto è successo e succede anche in Siria, così come in ogni guerra, non è altro che la conferma di quanto siano incredibilmente forti e imprescindibili.

In questo otto marzo, festeggiato in tutto il mondo come giornata internazionale della donna, vorrei riservarlo a loro e in un altro lavoro alle eccezionali ed eroiche donne palestinesi, senza dimenticare ogni donna in piedi o schiacciata nella lotta per la propria emancipazione, per la difesa della propria terra o per la liberazione del proprio paese. Dalle donne yemenite, a quelle libiche, afgane, cubane e così via.

Tutte incluse in un grande abbraccio di solidarietà e in un impegno costante di sostegno concreto.

Queste le parole del nuovo Ministro jihadista della giustizia: “…Applicheremo la legge islamica e impediremo alle donne giudice di ricoprire questa posizione esse dovranno affidare i loro casi a giudici uomini…”.

SIRIA. IERI e OGGI

In Siria il vicepresidente della Repubblica Araba Siriana è stata Najah al Attar,  oggi ricercata. Suo padre era un partigiano che ha combattuto contro gli occupanti francesi per la liberazione del paese.

La vice presidenza siriana è nominata dal presidente e ha responsabilità simili a quelle degli Stati Uniti. Se il presidente siriano dovesse diventare inabile, il suo vice presidente assume la presidenza.

 

Queste erano le donne siriane di Ghouta, occupata dagli jiahadisti, rapite e messe in gabbia, poi liberate dall’Esercito Arabo Siriano, quando Al Jolani, comandante jihadista…era ancora cattivo.

La dott.ssa Bouthaina Shaaban   è stata tra le figure più importanti come consulente del presidente della Siria. Oggi ricercata. Docente di poesia all’Università di Damasco, oltre a un dottorato in letteratura inglese.

 

Donne sotto la legge jihadista

 

 

Sui fronti di battaglia, nella società, nelle famiglie: ferme e risolute nella difesa e rafforzamento della propria patria libera, sovrana, indipendente.              

 Gennaio 2025:  Rapita Rawan Saqour nella campagna di Hama

Rawan Saqour, giovane donna di Salhab, è stata rapita mentre viaggiava in auto. È stata presa con la forza in un posto di blocco controllato dai mercenari di al-Jolani. Scomparsa.

Sanitari e sanitarie dell’Ospedale di Damasco

Carolis Atallah Nahli, 19 anni, il 2 febbraio è stata rapita a JaramanaCarolis era studentessa di lingua francese all’Università di Damasco, dopo aver lasciato la casa dei suoi parenti. L’ultima volta era stata vista vicino al Care Hospital di Jaramana.

Studentessa dell’Università di Damasco

Questa era la dottoressa Hayat Ali Al-Najjar, rapita dalla “Sicurezza Generale”, un gruppo affiliato a Hayat Tahrir al-Sham (HTS), l’organizzazione terroristica.Questo gruppo opera sotto le vesti di “bande non identificate” per compiere rapimenti, furti ed estorsioni. Chiedono un riscatto alle famiglie delle vittime, per poi giustiziarle e attribuire falsamente i crimini a ignoti colpevoli, ritraendoli come episodi isolati.La dottoressa Hayat è stata presa semplicemente perché era Alawita.

Le suore trappiste del Monastero di Azeir, sempre rispettate.

Homs è stata rapita e uccisa la Dottoressa Rasha Nasser Al Ali. Taxi e veicoli privati vengono bloccati e se una donna viene trovata alla guida di un’auto, sia lei che il veicolo vengono presi.

Il suo corpo martoriato è stato ritrovato tre giorni dopo nei dintorni di Homs, dove insegnava l’arabo, oltre ad essere membro dell’Unione Scrittori Arabi.

Donne siriane in piazza a manifestare

Nagham Issa  del villaggio di Balqsah, è stata rapita mentre andava in una clinica a Homs per un controllo di gravidanza. Ha sopportato abusi fisici e umiliazioni per mano di militanti armati affiliati a Hayat Tahrir al-Sham  (HTS) che prima hanno chiesto un riscatto di 500 milioni di sterline siriane. Poi è stata atrocemente giustiziata. I militanti hanno inviato una foto del suo corpo al marito, dicendogli di cercare i suoi resti vicino all’ospedale.

Souria Habibi Ali ha perso 6 figli, tutti membri dell’Esercito Arabo Siriano, difendendo la loro patria all’interno dei suoi confini.

 

…Quando Al Jolani era capo della Polizia morale dell’ISIS e le donne venivano vendute come schiave del sesso.

 Nel “regime” siriano, quando le donne…si esprimevano.

Jihadisti chiusero due donne in una gabbia piena di morti, perchè vestivano all’occidentale…quando Al Jolani era un…cattivo.

 

Giovani donne siriane…quando c’era il “regime”.

 

Le MARTIRI della SIRIA

 Questa opera d’arte era stata realizzata in un parco

Siriano, per ricordare tutte le madri che hanno dato

alla luce i soldati che hanno perso la vita in questi

anni per la difesa del Paese…Oggi naturalmente nella “nuova”

Siria è stata distrutta dai liberatori

 

Immagini, senza parole…Per NON dimenticare quelle meravigliose donne che hanno dato la, loro vita per il proprio popolo, la propria Patria e la propria libertà.        AD MEMORIAM

 

 Il dolore condiviso per un martire tra donne siriane, cristiane e musulmane, in una chiesa cristiana.

 

Madri, mogli, sorelle, soldatesse, lavoratrici, studentesse, professioniste, volontarie, attiviste, credenti e laiche…TUTTE PATRIOTE. L’anima più vera della SIRIA che non c’è più. 

 La prima martire soldato siriana Mervat Sa’ad era di Lattakia.

La tenente dell’EAS e studentessa universitaria Iman Yousef  uccisa in un attentato terroristico a Homs.

La giornalista Yara Abbas, assassinata nel maggio 2013 dai terroristi

Le sorelle Marah Khadour e Batool Khador furono tra le 24 vittime massacrate in due attentati suicidi dei terroristi “moderati”, a Homs, il 26 gennaio 2015.

 Sidra Ahmed è stata tra le 10 vittime massacrate il 2 settembre 2015, quando un furgone pieno di esplosivi fu fatto esplodere fuori dalla scuola di Imad Ali a Lattakia.

 Sham Abji, 9 anni, rapita dalla casa dei nonni, violentata, poi soffocata e il suo corpo fu gettato nell’acqua a Idlib.

 

 

A cura di Enrico Vigna – SOS Siria/CIVG  

L'Antidiplomatico

“Se i massacri continueranno, non rimarrà un solo alawita in Siria”

di Rayan Safar – L’Orient Today 

Yara* non ha aspettato che i combattenti raggiungessero Qardaha prima di fuggire. Allertata da amici e residenti dei villaggi vicini, che l’avevano avvertita che fazioni armate stavano entrando nelle case e uccidendo persone, ha raccolto alcuni averi ed è fuggita con i suoi genitori e suo fratello in un frutteto lì vicino.

“Siamo arrivati ​​qui giovedì alle 13:00. Dopo due ore, abbiamo iniziato a sentire degli spari e il fumo si è diffuso ovunque. Non so esattamente chi siano questi gruppi armati”, ha detto il trentenne residente nella città natale della famiglia Assad.

Venerdì mattina, suo fratello è riuscito a tornare per valutare i danni a casa loro. “Hanno incendiato la nostra casa, hanno distrutto tutto ciò che c’era intorno”, ha detto Yara disperata. “Hanno anche rubato una motocicletta”.

E’ in corso il più violento scontro tra le forze di sicurezza ufficiali e le fazioni pro-Assad dalla caduta del regime, in seguito a un’imboscata in cui sono rimasti uccisi 13 membri delle prime. Migliaia di uomini armati, formalmente parte delle forze armate o meno, si sono riversati sulla costa alawita per eliminare i “resti del vecchio regime”. La situazione è rapidamente degenerata, sollevando timori di conflitti settari e aggravando le preoccupazioni esistenziali tra la minoranza che costituisce il 10 percento della popolazione.

Circa 745 civili uccisi

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha riferito che “745 civili alawiti sono stati uccisi nelle regioni della costa siriana e dei monti Latakia dalle forze di sicurezza e dai gruppi affiliati”. Dal lato dei combattenti, gli scontri hanno causato 273 morti tra membri delle forze di sicurezza e combattenti lealisti, secondo la stessa fonte. Il bilancio complessivo ieri era di 1.018 morti.

La città di Banyas ha sofferto in modo particolare. “Hanno ucciso quasi tutti nel mio quartiere, quasi tutti”, grida Nour*, originaria di al-Qusur Shamali. La giovane donna ha perso cinque dei suoi amici e le loro famiglie, “compresi bambini di 3 e 6 anni”. Nour, che ha sempre vissuto nella zona, ha detto che ora porta le cicatrici di quei giorni tragici. “Sai, qui tutti si conoscono; non posso dirti cosa prova la gente”. Secondo lei, i combattenti hanno costretto i residenti a cancellare video e foto dei massacri dai loro telefoni, confermando i racconti di altri intervistati.

La maggior parte dei civili uccisi erano uomini nella regione di Latakia, che ospita i tre quarti della popolazione alawita del paese. Gli uomini sono stati “imprigionati o semplicemente fucilati senza motivo in alcune aree, come ad al-Shalfatiyya”, ha scritto l’esperto Cédric Labrousse su X. Le atrocità si sono verificate anche “nelle aree agricole dell’entroterra alawita, con esecuzioni gratuite e sommarie, chiaramente mirate alla setta, contro lavoratori, contadini e altri”, ha concluso Labrousse.

Immagini inquietanti di corpi insanguinati sparsi lungo le strade, nonché scene di umiliazione che coinvolgono gli alawiti, sono state ampiamente condivise sui social media.

“Fazioni fanatiche dell’esercito e terroristi stanno liquidando alawiti, civili, bambini, donne, giovani e anziani, con il pretesto che sono resti del precedente regime”, ha affermato un residente di Tartous. “Questo non significa che non ci siano resti del vecchio regime, ma stanno approfittando della situazione per commettere massacri”.

Per 48 ore, Yara e i suoi genitori sono rimasti nel frutteto. “Ci nascondiamo tra gli alberi e ci copriamo con rami per non essere visti”, dice, inviando un video che mostra la luce del sole che filtra attraverso le foglie. “Sentiamo voci intorno a noi, ma non sappiamo se sono persone come noi o no”. Le scorte di cibo stanno diminuendo. “Stiamo finendo cibo e medicine. Mia madre ha la pressione alta; è in pessime condizioni”, dice Yara, chiaramente preoccupata.

“Voi Nusayris, voi maiali”

La scena si ripete a qualche decina di chilometri di distanza, all’incrocio delle province di Latakia e Hama. Salah* è lì, in cima a una montagna, con i suoi tre figli e decine di altri alawiti fuggiti dai combattimenti e dalle atrocità. “I suoni degli spari di tutti i tipi di armi hanno riempito i villaggi per giorni”, racconta. “Ieri sera hanno ucciso il mio vicino, un commerciante locale, davanti ai suoi figli”.

Secondo Salah, gli autori di queste azioni sono per lo più combattenti stranieri, “ceceni, uzbeki o tagiki”. Salah, il cui fratello è stato ucciso in una violenza simile nei mesi precedenti, oscilla tra rabbia e disperazione. “Non so cosa dire. È troppo. Dalla caduta del regime, ogni settimana c’è un rapimento, e pochi giorni dopo, la persona rapita viene uccisa e gettata nelle foreste o nei fiumi che circondano i nostri villaggi. Se la situazione rimane così, con massacri ogni giorno, non rimarrà nessuno della setta alawita”.

Le sue parole riecheggiano quelle di Mazen*, la cui zona è sotto il fuoco di elicotteri, artiglieria e fucili da diversi giorni. “Ho visto uomini sparare alla gente. Li ho sentiti dire: ‘Siamo venuti per uccidervi, voi Nusayris, voi maiali.’ Ci sono state numerose vittime civili disarmate. Non mi sento più al sicuro nella mia regione o nel mio Paese, e ho paura di spostarmi perché sono alawita.”

Da un lato, le forze di sicurezza governative hanno lottato per ristabilire l’ordine nelle regioni a forte densità alawita di Homs, Tartous e Latakia dalla caduta del regime, e gli eventi di questa settimana hanno dimostrato in modo lampante questa debolezza. Dall’altro, c’è ambiguità che circonda il coinvolgimento di alcune fazioni alleate con la rivoluzione, o persino di elementi al suo interno, in queste atrocità. Ciò ha alimentato la sfiducia tra la popolazione alawita nei confronti della nuova leadership.

“I combattenti che seminano il terrore sono mascherati; non sappiamo esattamente a quale fazione appartengono”, spiega Mazen. “Attualmente c’è un convoglio militare all’ingresso del mio villaggio, ma ha fatto il giro del villaggio e non ha registrato alcuna infrazione”.

Aggiunge: “Quando si sono verificate le violazioni, non c’erano forze ufficiali a difenderci”. Ancora nel frutteto mentre cala la notte, Yara concorda: “Sono stati pubblicati molti messaggi sulle pagine Facebook e abbiamo chiesto aiuto, ma non abbiamo ricevuto risposta”.

Nour accenna direttamente a una cospirazione. “Giovedì i jihadisti hanno annunciato sui social media che sarebbero venuti nella nostra regione per ucciderci. E cosa hanno fatto le autorità? Niente. Quando hanno iniziato a reagire? Oggi, dopo che 164 persone erano già state uccise ad al-Qusur Shamali”. Per la giovane donna, “Le forze di sicurezza hanno deliberatamente permesso che ciò accadesse. Altrimenti, si sarebbero mosse per salvarci”.

A Tartous, il residente ha anche contattato le forze di sicurezza. “Alcuni di loro hanno detto che non potevano influenzare alcune delle fazioni a loro affiliate perché avevano un’ideologia estremista. Ciò significa che il potere attuale non ha autorità su tutti i suoi membri, compresi l’esercito e le fazioni, e non può controllarli”.

Queste testimonianze sono in netto contrasto con il messaggio fermo che Ahmad al-Sharaa ha tentato di trasmettere venerdì sera. Il presidente ad interim ha invitato le sue truppe a esercitare moderazione, promettendo che chiunque “danneggi civili innocenti sarà severamente giudicato”, mentre la sua amministrazione lotta per presentare l’immagine di una Siria unita.

*Per motivi di sicurezza, i nomi delle persone citate nell’articolo sono stati cambiati.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in francese su L’Orient Le-Jour.

Redazione Italia

Alawiti massacrati in Siria, l’UE protegge il governo dei tagliagole jihadisti

Per celebrare l’ascesa di Al Jolani e di HTS, l’Unione Europea  il 25 febbraio 2025 ha dichiarato la sospensione delle sanzioni alla Siria per “sostenere la transizione politica inclusiva”, la “ripresa economica e la stabilizzazione del Paese”.

Non ci voleva un indovino per capire che un ex-terrorista di Al-Qaeda responsabile di massacri brutali prima o poi facesse vedere il suo vero volto, come purtroppo sta accadendo in queste ore.

Una conta infinita di morti civili, tra cui donne e bambini, una giostra infernale di oltre 30 nomi di villaggi alawiti, sulla costa siriana e sulle rive dell’Oronte, dove i corpi degli uccisi sono rimasti a lungo per le strade e dove le case hanno bruciato dopo il passaggio di miliziani sunniti, siriani ma anche stranieri. Dei paesi occidentali e arabi solo la Francia ha condannato le violenze contro gli alawiti siriani (branca dello sciismo identificata da decenni col potere  della famiglia Assad, dissoltosi lo scorso 8 dicembre).

Nella nuova Siria “democratica” governata da ex-tagliagole del Fronte al-Nusra, Abu Amsha, capo di una delle principali milizie del paese, ha inviato i suoi uomini a massacrare gli alawiti sulla costa pronunciando le seguenti parole: “O la Siria diventerà tutta sunnita, o la bruceremo. (…) Chiunque respiri, eliminatelo. Chiunque dica una parola, eliminatelo, chiunque abbia un’arma, eliminatelo, chiunque manifesti, eliminatelo. Niente altro che questo può essere fatto per sistemare le cose” – queste le parole di Abu Amsha.

Un terrorista di HTS ha celebrato il massacro degli alawiti nella città di Baniyas, dicendo: “C’era una città in Siria chiamata Baniyas. Era per metà sunnita e per metà alawita, oggi è per metà sunnita e per metà morta.” Questi sono i tagliagole ex-qaedisti che Europa e Turchia hanno sempre definito “resistenza moderata siriana” e che adesso stanno sostenendo in Siria.

Da giovedì 6 marzo – dopo un agguato da parte dei miliziani alawiti, indicati come “membri dell’ex regime”, contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Jabla, a sud di Latakia, principale porto siriano – le forze di sicurezza e i loro alleati, affiliati al governo di Al Jolani, stanno facendo strage di civili di minoranza sciita alawiti e cristiana in esecuzioni sommarie, accompagnate da saccheggi di case e proprietà, nelle zone di Latakia e dintorni.

Secondo i media mainstream occidentali, sono stati l’uccisione di 14 armati governativi e gli attacchi sferrati da altre cellule dell’ex regime nella regione di Latakia e a Baniyas anche contro civili sunniti (la Rete siriana ha contato 26 civili sunniti uccisi) ad aver innescato una spirale di violenza. I ribelli alawiti siriani, in particolare nella regione di Latakia e nel sud della Siria, rifiutano l’attuale governo golpista ed hanno fatto manifestazioni di massa con assalti alle truppe governative. Contemporaneamente sono partite esecuzioni sommarie da parte dell’esercito governativo, gran parte delle quali sono state compiute tra venerdì e sabato mattina nelle case, per le strade, negli oliveti e nei campi di grano della zona costiera e a ovest di Hama.

Bisogna ricordare però che i massacri che si stanno consumando in Siria ai danni degli alawiti hanno un origine ben precisa, provocata da mesi di persecuzioni, arresti arbitrari, sparizione di persone ed abusi nei loro confronti.

L’Osservatorio per i diritti umani in Siria, che da quasi 20 anni monitora e documenta le violazioni nel paese, ha contato finora massacri di civili uccisi in 40 diverse località tra le regioni di costiere e quelle di Hama e Homs, che hanno coinvolto alawiti e cristiani. Questi ultimi, secondo l’Osservatorio, sono stati uccisi da jihadisti filo-governativi stranieri – caucasici, dell’Asia centrale, nordafricani, egiziani, cinesi – “che non riescono a distinguere tra alawiti e cristiani”. Su questo si era espresso il 9 marzo il patriarca ortodosso di Antiochia che nell’omelia della domenica ha confermato che i massacri di civili hanno colpito anche “molti cristiani innocenti”. “Coloro che sono stati uccisi non erano tutti uomini fedeli al regime, la maggior parte erano civili innocenti e disarmati, tra cui donne e bambini” – ha detto il patriarca ortodosso.

Tra i miliziani jihadisti – come dimostrano diverse testimonianze, foto e filmati – ci sono combattenti caucasici, dell’Asia Centrale e della Cina, rimasti negli ultimi tre mesi sulle montagne tra le regioni di Idlib e quella di Latakia.

Ci sono video raccapriccianti con persone civili e ragazzi inseguite e sparate al momento. Anche la BBC conferma rastrellamenti e omicidi di civili  da parte delle zone governative. C’è anche una petizione che sollecita L’Onu a farsi carico della questione.

Le forze di HTS hanno ucciso anche lo sceicco Abdurrahman Dalia, un religioso sunnita di Idlib, dopo che aveva condannato il massacro degli alawiti nella regione costiera siriana.

Il padre di padre Gregorios Bishara, sacerdote della chiesa di Nostra Signora dell’Annunciazione, è stato ucciso questa mattina per mano delle fazioni armate pro-HTS che hanno fatto irruzione nella città di Baniyas. La parrocchia greca di Antiochia di Latakia sta evacuando i greci di Antiochia dalla regione di Qirdaha, dove si stanno verificando massacri contro gli alawiti. Chiediamo alla Grecia e a Cipro di sostenere questi sforzi.

Il bilancio è in continuo aggiornamento, mentre arrivano dalle varie località colpite i necrologi delle famiglie sterminate, assieme alle numerose foto di corpi scomposti – la cui autenticità è stata verificata incrociando diverse testimonianze sul terreno – e senza vita di uomini, donne e bambini, riversi a terra, sui divani, sui letti, con fori di arma da fuoco al capo, al ventre, al petto.

Così, mentre la “Rete Siriana per i Diritti Umani” – da alcuni considerata vicina al nuovo governo golpista guidato dall’autoproclamato presidente Ahmad Sharaa (al-Jolani), ex comandante di Al-Qaeda in Iraq e fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts) – riferiva di oltre 120 militari governativi uccisi “da membri dell’ex regime degli Assad”; in Siria il bilancio del massacro delle minoranze (su tutte, quelle alauite, cristiane e druse) è salito a 2.500 morti in due giorni.

Continuano ad arrivare testimonianze audiovisive cruente, sovente riprese dalle stesse bande di tagliagole jihadisti (spesso stranieri) che si accaniscono nei villaggi e quartieri con stragi di giovani inermi, di donne, di bambini. Diffondono perfino le immagini con cui strappano il cuore dal petto o decapitano le vittime, con il fine di terrorizzare e far fuggire chi non hanno ancora raggiunto.

Come ha dichiarato Pino Cabras:

“Sono dotati di centinaia di pickup nuovi fiammanti: come per l’ISIS e al-Qa’ida qualche anno fa, il denaro arriva a fiumi da attori ben addentro ad apparati statali legati alle alleanze NATO. Di sicuro sono incoraggiati e coordinati dal nuovo regime di Al-Jolani (un ex-ISIS) che ha rovesciato Assad. Sì, quel tipo barbuto passato dal farsi selfie in tenuta da sgozzabimbi all’indossare completi che mimano una qualche acrobatica rispettabilità.
Riepiloghiamo: squadracce di assassini ferocissimi e guidati dal nuovo governo siriano hanno già fatto una strage quasi doppia rispetto alla strage del 7 ottobre 2023 (quella usata da Bibi il Massacratore, dall’Occidente e dai suoi media come l’unico metro assoluto dell’orrore che doveva giustificare ogni abuso in risposta).”

Nessun giornale italiano del mainstream ha parlato del massacro di cristiani ed alawiti in Siria. Forse la notizia crea imbarazzo: dopo avere esaltato i jihadisti al potere, non è facile scrivere che si tratta di tagliagole. Meglio ignorare la nuova carneficina in atto, anche perché i video, raccapriccianti, nessuno riuscirebbe a guardarli!

Di fronte a questa furia genocida la portavoce Kaja Kallas, Alta Rappresentante dell’inesistente politica estera della UE, ha dichiarato:

“L’Unione Europea condanna fermamente i recenti attacchi, presumibilmente condotti da elementi filo-Assad, contro le forze del governo ad interim nelle aree costiere della Siria e ogni forma di violenza contro i civili.”

La UE invece di condannare il genocidio di civili in Siria, ha condannato gli sciiti alawiti siriani che si sono ribellati, definendoli le “forze di Assad”.

Di fronte alle aberrazioni commesse dai terroristi che governano la Siria, un comunicato del genere è vergognoso. Un comunicato ributtante che rovescia la realtà e che spiega il cinismo agghiacciante e la menzogna patologica dei burocrati di Bruxelles. La condanna dell’UE nei confronti di “elementi pro-Assad” mentre centinaia di alawiti inermi stanno venendo massacrati a sangue freddo è sorprendente e allo stesso tempo sconcertante e vergognosa. Questa è la stessa UE che ha condannato Hamas per non aver accettato l’estensione della prima fase del cessate il fuoco a Gaza, quando è Israele che ha violato gli accordi imponendo il blocco degli aiuti nella Striscia. L’UE, “baluardo della democrazia e dei diritti umani”, dunque sostiene il genocidio israeliano a Gaza, la violenza settaria contro civili inermi in Siria, e rifiuta la prospettiva di un negoziato in Ucraina promuovendo il riarmo contro una minaccia inesistente. L’UE nella sua dichiarazione ha sostenuto il governo provvisorio golpista di stampo ex-qaedista della Siria, rendendosi complice del massacro in Siria.

Per contro, il segretario di Stato USA, Marco Rubio, fa uscire un comunicato che ripristina un minimo di decenza: “Gli Stati Uniti condannano i terroristi islamici radicali, compresi i jihadisti stranieri, che negli ultimi giorni hanno ucciso persone nella Siria occidentale. Gli Stati Uniti sono al fianco delle minoranze religiose ed etniche della Siria, tra cui le comunità cristiana, drusa, alawita e curda, ed esprimono le proprie condoglianze alle vittime e alle loro famiglie.”

Risalta così maggiormente la follia che ha imprigionato l’Europa istituzionale. E nel momento in cui gli “ursuliani” chiamano “putiniani” quelli che non vogliono la loro guerra, proprio in Siria scopriamo che un minimo di civiltà è ora protetto proprio dai russi: migliaia di disperati hanno trovato riparo, protezione e un pasto caldo nella base militare russa di Khmeimim.

Nel frattempo, il presidente del governo di transizione Amhed al-Sharaa (già Abu Muhammad al-Julani) è intervenuto ieri sera con un discorso pubblico, di fatto a sostegno delle uccisioni in corso, minacciando “i membri dell’ex regime” di arrendersi senza però condannare le violazioni dei miliziani fino a poche settimane ai suoi ordini. In seguito ha aggiunto: “Dobbiamo preservare l’unità nazionale e la pace interna, possiamo convivere”. Una convivenza che c’è sempre stata in Siria tra minoranza cristiane, islamiche sciite e sunnite e druse che è stata proprio messa in crisi fin dal 2011 con lo scoppio della guerra in Siria e l’avvento delle truppe jihadiste sul territorio. Una crisi – secondo Wikileaks ben voluta da USA e Israele – che ha fatto di tutto per far crollare l’unico avamposto laico e pluralista del Medioriente: la Siria baathista.

In altre parole dopo la caduta di Assad la situazione ha preso una brutta bruttissima piega  come ad esempio è successo in Libia anni fa e ancora continua.

Lorenzo Poli

8 marzo 2025: Donne in Siria, ieri e oggi

Le DONNE siriane IERI e OGGI nel paese aggredito e ora occupato da terroristi e invasori stranieri. Oggi più che mai, un po’ di chiarezza, documentazioni e dati di fatto inoppugnabili è necessario ribadirli, non potranno cambiare le cose, ma anche solo per rendere onore alla verità storica e alla giustizia, e forse anche per rendere onore alle straordinarie donne siriane per il futuro, grigio, cupo ma che già sta muovendo verso RESISTENZA e NON accettazione di un presente jihadista e tragico.

Con questo lavoro, non intendo entrare nel merito degli avvenimenti accaduti nel dicembre scorso, tuttora estremamente indecifrati e non chiari, anche se poco alla volta la verità, sulla base dei dati di fatto locali e geopolitici, sta emergendo.

Questo lavoro vuole solo rendere onore e giustizia alle donne di quella Siria, che per tredici lunghi, dolorosi e sanguinosi anni, hanno resistito e si sono battute, al di là di ideologie politiche, differenze di fedi, etnie, culture, per difendere un paese e una società, non certo immune da errori, limiti, contraddizioni, storture, corruzioni…ma dove ogni donna siriana aveva diritti, libertà, prospettive e ruoli ai più alti livelli della società e in tutti gli ambiti delle istituzioni civili, politiche e militari.

Dove ogni donna è sempre stata libera di scelte, comportamenti, rivendicazioni e diritti inalienabili. Anche per l’ONU, la Siria è stata storicamente il paese arabo e musulmano più avanzato, rispettoso e socialmente più progressista, circa la condizione della donna nella società.

Confrontando le popolazioni degli Stati Uniti e la Repubblica Araba Siriana (318,9 milioni gli USA; 23 milioni la RAS) e le donne in posizioni di comando, gli Stati Uniti sembrano essere abitanti delle caverne tribali in confronto alla Siria. Basta notare quante donne siriane avevano importanti ruoli guida nel governo siriano di Unità nazionale. Il ruolo delle donne nella magistratura, nelle scuole, nella sanità, nell’esercito, nella resistenza contro l’aggressione. Donne laiche, religiose delle dodici fedi nel paese, tradizionaliste o modernizzate, socialiste, comuniste, TUTTE patriote. Memorizziamo i loro volti. Memorizziamo i loro nomi e confrontiamo tutti i diritti da esse acquisiti, la cultura della tutela delle donne in Siria, il loro ruolo vitale, con la realtà della Siria “liberata” di oggi e quella dei paesi aggressori e potremo capire QUANTO hanno perso, oggi, che il paese è stato “liberato” dalle forze jihadiste e terroriste, alleate e protette dell’occidente, dalla NATO attraverso la Turchia e da Israele abile attore manipolatore dello scenario mediorientale.

Ogni giorno, per gli ultimi tredici anni le donne siriane hanno seppellito figli, fratelli e mariti, vittime di una cinica aggressione che ha avuto e ha tuttora i vari burattinai padroni del paese che è stato occupato. Tutti celati dietro al terrorismo jihadista, con un ex comandante dell’ISIS e poi di Al Nusra, con una taglia di 10 milioni di dollari, auto elettosi presidente del paese, avendo compiuto il lavoro sporco, ed oggi benedetto come “figliuol prodigo” da tutti, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche cristiane, già dimenticatesi di ciò che hanno avuto, in tutti i sensi dalla Siria laica, multietnica, multi religiosa e multipartitica, in termini di diritti, protezione ed economici in questi cinquant’anni.

Come in tutti i conflitti sono sempre le donne a cercare con ogni mezzo di continuare a provvedere alle famiglie, a confortare bambini e sopravvissuti, a credere e lottare comunque, ad alimentare la speranza nella vita. Loro che la vita ce la donano. Quanto è successo e succede anche in Siria, così come in ogni guerra, non è altro che la conferma di quanto siano incredibilmente forti e imprescindibili.

In questo otto marzo, festeggiato in tutto il mondo come giornata internazionale della donna, vorrei riservarlo a loro e in un altro lavoro alle eccezionali ed eroiche donne palestinesi, senza dimenticare ogni donna in piedi o schiacciata nella lotta per la propria emancipazione, per la difesa della propria terra o per la liberazione del proprio paese. Dalle donne yemenite, a quelle libiche, afgane, cubane e così via.

Tutte incluse in un grande abbraccio di solidarietà e in un impegno costante di sostegno concreto.

Queste le parole del nuovo Ministro jihadista della giustizia: “…Applicheremo la legge islamica e impediremo alle donne giudice di ricoprire questa posizione esse dovranno affidare i loro casi a giudici uomini…”.

SIRIA. IERI e OGGI

In Siria il vicepresidente della Repubblica Araba Siriana è stata Najah al Attar,  oggi ricercata. Suo padre era un partigiano che ha combattuto contro gli occupanti francesi per la liberazione del paese.

La vice presidenza siriana è nominata dal presidente e ha responsabilità simili a quelle degli Stati Uniti. Se il presidente siriano dovesse diventare inabile, il suo vice presidente assume la presidenza.

 

Queste erano le donne siriane di Ghouta, occupata dagli jiahadisti, rapite e messe in gabbia, poi liberate dall’Esercito Arabo Siriano, quando Al Jolani, comandante jihadista…era ancora cattivo.

La dott.ssa Bouthaina Shaaban   è stata tra le figure più importanti come consulente del presidente della Siria. Oggi ricercata. Docente di poesia all’Università di Damasco, oltre a un dottorato in letteratura inglese.

 

Donne sotto la legge jihadista

 

 

Sui fronti di battaglia, nella società, nelle famiglie: ferme e risolute nella difesa e rafforzamento della propria patria libera, sovrana, indipendente.              

 Gennaio 2025:  Rapita Rawan Saqour nella campagna di Hama

Rawan Saqour, giovane donna di Salhab, è stata rapita mentre viaggiava in auto. È stata presa con la forza in un posto di blocco controllato dai mercenari di al-Jolani. Scomparsa.

Sanitari e sanitarie dell’Ospedale di Damasco

Carolis Atallah Nahli, 19 anni, il 2 febbraio è stata rapita a JaramanaCarolis era studentessa di lingua francese all’Università di Damasco, dopo aver lasciato la casa dei suoi parenti. L’ultima volta era stata vista vicino al Care Hospital di Jaramana.

Studentessa dell’Università di Damasco

Questa era la dottoressa Hayat Ali Al-Najjar, rapita dalla “Sicurezza Generale”, un gruppo affiliato a Hayat Tahrir al-Sham (HTS), l’organizzazione terroristica.Questo gruppo opera sotto le vesti di “bande non identificate” per compiere rapimenti, furti ed estorsioni. Chiedono un riscatto alle famiglie delle vittime, per poi giustiziarle e attribuire falsamente i crimini a ignoti colpevoli, ritraendoli come episodi isolati.La dottoressa Hayat è stata presa semplicemente perché era Alawita.

Le suore trappiste del Monastero di Azeir, sempre rispettate.

Homs è stata rapita e uccisa la Dottoressa Rasha Nasser Al Ali. Taxi e veicoli privati vengono bloccati e se una donna viene trovata alla guida di un’auto, sia lei che il veicolo vengono presi.

Il suo corpo martoriato è stato ritrovato tre giorni dopo nei dintorni di Homs, dove insegnava l’arabo, oltre ad essere membro dell’Unione Scrittori Arabi.

Donne siriane in piazza a manifestare

Nagham Issa  del villaggio di Balqsah, è stata rapita mentre andava in una clinica a Homs per un controllo di gravidanza. Ha sopportato abusi fisici e umiliazioni per mano di militanti armati affiliati a Hayat Tahrir al-Sham  (HTS) che prima hanno chiesto un riscatto di 500 milioni di sterline siriane. Poi è stata atrocemente giustiziata. I militanti hanno inviato una foto del suo corpo al marito, dicendogli di cercare i suoi resti vicino all’ospedale.

Souria Habibi Ali ha perso 6 figli, tutti membri dell’Esercito Arabo Siriano, difendendo la loro patria all’interno dei suoi confini.

 

…Quando Al Jolani era capo della Polizia morale dell’ISIS e le donne venivano vendute come schiave del sesso.

 Nel “regime” siriano, quando le donne…si esprimevano.

Jihadisti chiusero due donne in una gabbia piena di morti, perchè vestivano all’occidentale…quando Al Jolani era un…cattivo.

 

Giovani donne siriane…quando c’era il “regime”.

 

Le MARTIRI della SIRIA

 Questa opera d’arte era stata realizzata in un parco

Siriano, per ricordare tutte le madri che hanno dato

alla luce i soldati che hanno perso la vita in questi

anni per la difesa del Paese…Oggi naturalmente nella “nuova”

Siria è stata distrutta dai liberatori

 

Immagini, senza parole…Per NON dimenticare quelle meravigliose donne che hanno dato la, loro vita per il proprio popolo, la propria Patria e la propria libertà.        AD MEMORIAM

 

 Il dolore condiviso per un martire tra donne siriane, cristiane e musulmane, in una chiesa cristiana.

 

Madri, mogli, sorelle, soldatesse, lavoratrici, studentesse, professioniste, volontarie, attiviste, credenti e laiche…TUTTE PATRIOTE. L’anima più vera della SIRIA che non c’è più. 

 La prima martire soldato siriana Mervat Sa’ad era di Lattakia.

La tenente dell’EAS e studentessa universitaria Iman Yousef  uccisa in un attentato terroristico a Homs.

La giornalista Yara Abbas, assassinata nel maggio 2013 dai terroristi

Le sorelle Marah Khadour e Batool Khador furono tra le 24 vittime massacrate in due attentati suicidi dei terroristi “moderati”, a Homs, il 26 gennaio 2015.

 Sidra Ahmed è stata tra le 10 vittime massacrate il 2 settembre 2015, quando un furgone pieno di esplosivi fu fatto esplodere fuori dalla scuola di Imad Ali a Lattakia.

 Sham Abji, 9 anni, rapita dalla casa dei nonni, violentata, poi soffocata e il suo corpo fu gettato nell’acqua a Idlib.

 

 

A cura di Enrico Vigna – SOS Siria/CIVG  

L'Antidiplomatico

“Se i massacri continueranno, non rimarrà un solo alawita in Siria”

di Rayan Safar – L’Orient Today 

Yara* non ha aspettato che i combattenti raggiungessero Qardaha prima di fuggire. Allertata da amici e residenti dei villaggi vicini, che l’avevano avvertita che fazioni armate stavano entrando nelle case e uccidendo persone, ha raccolto alcuni averi ed è fuggita con i suoi genitori e suo fratello in un frutteto lì vicino.

“Siamo arrivati ​​qui giovedì alle 13:00. Dopo due ore, abbiamo iniziato a sentire degli spari e il fumo si è diffuso ovunque. Non so esattamente chi siano questi gruppi armati”, ha detto il trentenne residente nella città natale della famiglia Assad.

Venerdì mattina, suo fratello è riuscito a tornare per valutare i danni a casa loro. “Hanno incendiato la nostra casa, hanno distrutto tutto ciò che c’era intorno”, ha detto Yara disperata. “Hanno anche rubato una motocicletta”.

E’ in corso il più violento scontro tra le forze di sicurezza ufficiali e le fazioni pro-Assad dalla caduta del regime, in seguito a un’imboscata in cui sono rimasti uccisi 13 membri delle prime. Migliaia di uomini armati, formalmente parte delle forze armate o meno, si sono riversati sulla costa alawita per eliminare i “resti del vecchio regime”. La situazione è rapidamente degenerata, sollevando timori di conflitti settari e aggravando le preoccupazioni esistenziali tra la minoranza che costituisce il 10 percento della popolazione.

Circa 745 civili uccisi

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha riferito che “745 civili alawiti sono stati uccisi nelle regioni della costa siriana e dei monti Latakia dalle forze di sicurezza e dai gruppi affiliati”. Dal lato dei combattenti, gli scontri hanno causato 273 morti tra membri delle forze di sicurezza e combattenti lealisti, secondo la stessa fonte. Il bilancio complessivo ieri era di 1.018 morti.

La città di Banyas ha sofferto in modo particolare. “Hanno ucciso quasi tutti nel mio quartiere, quasi tutti”, grida Nour*, originaria di al-Qusur Shamali. La giovane donna ha perso cinque dei suoi amici e le loro famiglie, “compresi bambini di 3 e 6 anni”. Nour, che ha sempre vissuto nella zona, ha detto che ora porta le cicatrici di quei giorni tragici. “Sai, qui tutti si conoscono; non posso dirti cosa prova la gente”. Secondo lei, i combattenti hanno costretto i residenti a cancellare video e foto dei massacri dai loro telefoni, confermando i racconti di altri intervistati.

La maggior parte dei civili uccisi erano uomini nella regione di Latakia, che ospita i tre quarti della popolazione alawita del paese. Gli uomini sono stati “imprigionati o semplicemente fucilati senza motivo in alcune aree, come ad al-Shalfatiyya”, ha scritto l’esperto Cédric Labrousse su X. Le atrocità si sono verificate anche “nelle aree agricole dell’entroterra alawita, con esecuzioni gratuite e sommarie, chiaramente mirate alla setta, contro lavoratori, contadini e altri”, ha concluso Labrousse.

Immagini inquietanti di corpi insanguinati sparsi lungo le strade, nonché scene di umiliazione che coinvolgono gli alawiti, sono state ampiamente condivise sui social media.

“Fazioni fanatiche dell’esercito e terroristi stanno liquidando alawiti, civili, bambini, donne, giovani e anziani, con il pretesto che sono resti del precedente regime”, ha affermato un residente di Tartous. “Questo non significa che non ci siano resti del vecchio regime, ma stanno approfittando della situazione per commettere massacri”.

Per 48 ore, Yara e i suoi genitori sono rimasti nel frutteto. “Ci nascondiamo tra gli alberi e ci copriamo con rami per non essere visti”, dice, inviando un video che mostra la luce del sole che filtra attraverso le foglie. “Sentiamo voci intorno a noi, ma non sappiamo se sono persone come noi o no”. Le scorte di cibo stanno diminuendo. “Stiamo finendo cibo e medicine. Mia madre ha la pressione alta; è in pessime condizioni”, dice Yara, chiaramente preoccupata.

“Voi Nusayris, voi maiali”

La scena si ripete a qualche decina di chilometri di distanza, all’incrocio delle province di Latakia e Hama. Salah* è lì, in cima a una montagna, con i suoi tre figli e decine di altri alawiti fuggiti dai combattimenti e dalle atrocità. “I suoni degli spari di tutti i tipi di armi hanno riempito i villaggi per giorni”, racconta. “Ieri sera hanno ucciso il mio vicino, un commerciante locale, davanti ai suoi figli”.

Secondo Salah, gli autori di queste azioni sono per lo più combattenti stranieri, “ceceni, uzbeki o tagiki”. Salah, il cui fratello è stato ucciso in una violenza simile nei mesi precedenti, oscilla tra rabbia e disperazione. “Non so cosa dire. È troppo. Dalla caduta del regime, ogni settimana c’è un rapimento, e pochi giorni dopo, la persona rapita viene uccisa e gettata nelle foreste o nei fiumi che circondano i nostri villaggi. Se la situazione rimane così, con massacri ogni giorno, non rimarrà nessuno della setta alawita”.

Le sue parole riecheggiano quelle di Mazen*, la cui zona è sotto il fuoco di elicotteri, artiglieria e fucili da diversi giorni. “Ho visto uomini sparare alla gente. Li ho sentiti dire: ‘Siamo venuti per uccidervi, voi Nusayris, voi maiali.’ Ci sono state numerose vittime civili disarmate. Non mi sento più al sicuro nella mia regione o nel mio Paese, e ho paura di spostarmi perché sono alawita.”

Da un lato, le forze di sicurezza governative hanno lottato per ristabilire l’ordine nelle regioni a forte densità alawita di Homs, Tartous e Latakia dalla caduta del regime, e gli eventi di questa settimana hanno dimostrato in modo lampante questa debolezza. Dall’altro, c’è ambiguità che circonda il coinvolgimento di alcune fazioni alleate con la rivoluzione, o persino di elementi al suo interno, in queste atrocità. Ciò ha alimentato la sfiducia tra la popolazione alawita nei confronti della nuova leadership.

“I combattenti che seminano il terrore sono mascherati; non sappiamo esattamente a quale fazione appartengono”, spiega Mazen. “Attualmente c’è un convoglio militare all’ingresso del mio villaggio, ma ha fatto il giro del villaggio e non ha registrato alcuna infrazione”.

Aggiunge: “Quando si sono verificate le violazioni, non c’erano forze ufficiali a difenderci”. Ancora nel frutteto mentre cala la notte, Yara concorda: “Sono stati pubblicati molti messaggi sulle pagine Facebook e abbiamo chiesto aiuto, ma non abbiamo ricevuto risposta”.

Nour accenna direttamente a una cospirazione. “Giovedì i jihadisti hanno annunciato sui social media che sarebbero venuti nella nostra regione per ucciderci. E cosa hanno fatto le autorità? Niente. Quando hanno iniziato a reagire? Oggi, dopo che 164 persone erano già state uccise ad al-Qusur Shamali”. Per la giovane donna, “Le forze di sicurezza hanno deliberatamente permesso che ciò accadesse. Altrimenti, si sarebbero mosse per salvarci”.

A Tartous, il residente ha anche contattato le forze di sicurezza. “Alcuni di loro hanno detto che non potevano influenzare alcune delle fazioni a loro affiliate perché avevano un’ideologia estremista. Ciò significa che il potere attuale non ha autorità su tutti i suoi membri, compresi l’esercito e le fazioni, e non può controllarli”.

Queste testimonianze sono in netto contrasto con il messaggio fermo che Ahmad al-Sharaa ha tentato di trasmettere venerdì sera. Il presidente ad interim ha invitato le sue truppe a esercitare moderazione, promettendo che chiunque “danneggi civili innocenti sarà severamente giudicato”, mentre la sua amministrazione lotta per presentare l’immagine di una Siria unita.

*Per motivi di sicurezza, i nomi delle persone citate nell’articolo sono stati cambiati.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in francese su L’Orient Le-Jour.

Redazione Italia