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carcere

Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

L'articolo Tra REMS, carceri e CPR proviene da .

Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

L'articolo Tra REMS, carceri e CPR proviene da .

Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

L'articolo Tra REMS, carceri e CPR proviene da .

Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

L'articolo Tra REMS, carceri e CPR proviene da .

Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

L'articolo Tra REMS, carceri e CPR proviene da .

Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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