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Cisgiordania

Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia. Incontro a Piacenza

Mercoledì 12 marzo si è svolto a Piacenza, nella sala de “Il Samaritano”, un interessante incontro dal titolo “Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia”.

La serata, promossa da Salaam, Ragazzi dell’Olivo di Piacenza e da Amnesty International, sempre di Piacenza, ha avuto come ospiti Elisa Brunelli, giovane giornalista e autrice di diverse inchieste anche per Altreconomia e Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia. Il tutto è stato introdotto e moderato da Rita Casalini, affidataria di Salaam, Ragazzi dell’Olivo.

Di fronte a una platea di un centinaio di persone, le nostre ospiti ci hanno ben illustrato sia la terrificante situazione di Gaza sia quella, forse meno nota, della Cisgiordania occupata, anch’essa estremamente grave per la popolazione palestinese.

Tina Marinari ha presentato e ampiamente argomentato il rapporto ai A.I. “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza”. Ha illustrato il grande lavoro fatto da Amnesty Interntional per raccogliere prove – sia attraverso oltre 200 interviste, sia con immagini e video – che dimostrano l’intenzione genocidiaria di Israele nei confronti della popolazione palestinese di Gaza. Il tutto a partire da quanto viene enunciato nella Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite del 1948.

Elisa Brunelli ha illustrato – anche attraverso una serie di slide – la sua inchiesta “Il calibro dei coloni”. Questa ricerca – dati alla mano – dimostra il traffico di armi dall’Italia a Israele. Le ditte italiane Beretta e Fiocchi esportano in Cisgiordania armi che vengono acquistate dai coloni israeliani, che ne fanno ampiamente uso contro la popolazione palestinese. In ogni città o villaggio ci sono negozi dove si possono acquistare queste armi e addestrare le persone, compresi ragazzini.

Ricordiamo che l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele contravviene a decine e decine di risoluzioni ONU e che la Corte Internazionale di Giustizia l’ha dichiarata illegale il 19 luglio 2024

Sempre Elisa Brunelli ha parlato di un’altra sua inchiesta – “Il limbo dell’accoglienza anche per minori e feriti evacuati da Gaza” – dove viene denunciato che, a fronte delle dichiarazioni ufficiali del governo italiano sulla “generosità” nell’accogliere minori palestinesi feriti e/o gravemente malati per essere curati in ospedali italiani – nei fatti lo Stato italiano non ha fatto nulla (trasporto a parte): l’accoglienza e la presa in carico di queste famiglie sono state completamente scaricate su varie associazioni del terzo settore.

Oltre alla complicità dell’Italia nella vendita di armi ai coloni israeliani, Tina Marinari ha sottolineato la responsabilità del nostro Paese nel non aver fatto nulla di nulla, non solo in aiuto della popolazione di Gaza sottoposta da oltre 15 mesi a un assedio spaventoso, ma ancor meno sul piano diplomatico per ricercare e favorire trattative tra il governo israeliano, Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese per giungere non solo a tregue che fermino morti e distruzioni e liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma riescano a perseguire una soluzione di pace tra i due popoli, pace che per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia.

Ultima nota: una serata nel segno delle donne. La conduttrice nella sua introduzione ha citato la filosofa Hannah Arendt, secondo la quale le donne si conoscono e riconoscono per convergenza. L’unica soluzione per evitare l’identificazione per contrasto è non sentirsi parte di un popolo geografico, ma del popolo dei sofferenti e degli oppressi.

Chiara Casella, per le famiglie affidatarie di Salaam Ragazzi dell’Olivo, PiacenzaLidia Gardella, Amnesty International, Piacenza

Redazione Italia

Cisgiordania nord“Sfollamenti e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”

Cisgiordania nord, MSF: “Sfollamenti di massa e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”
40.000 persone sfollate da gennaio a Jenin, Tulkarem e Nur Shams

24 marzo 2025 – Medici Senza Frontiere (MSF) lancia un allarme sulle decine di migliaia di persone sfollate nel nord della Cisgiordania, che non hanno un riparo sicuro, servizi essenziali né accesso all’assistenza sanitaria.

Dopo il cessate il fuoco di gennaio 2025 a Gaza, Israele ha avviato l’operazione militare Iron Wall nei territori occupati della Cisgiordania, costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case e lasciandole in una situazione estremamente precaria.

Israele deve interrompere immediatamente questi trasferimenti forzati e la risposta umanitaria deve essere intensificata per raggiungere chi ne ha bisogno.

“Non si vedevano sfollamenti forzati dei campi e una distruzione di questa portata da decenni.
Le persone non possono tornare nelle proprie case: l’accesso ai campi è stato bloccato dalle forze israeliane, le abitazioni e le infrastrutture sono state distrutte.
I campi sono diventati mucchi di macerie e polvere” spiega Brice de la Vingne, direttore delle operazioni di MSF per la Cisgiordania. “Israele deve fermare tutto questo ed è necessaria una maggiore risposta umanitaria”.

Dall’inizio della guerra a Gaza, nell’ottobre 2023, le forze israeliane hanno intensificato l’uso della violenza fisica estrema contro i palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania, come denunciato da MSF nel rapporto “Inflicting harm and denying care”.

Da ottobre 2023 in Cisgiordania sono stati uccisi 930 palestinesi, tra cui 187 bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

L’accesso alle cure mediche è stato gravemente compromesso, come riportato dai team di MSF sul campo, che hanno assistito a un’oppressione sistematica verso operatori sanitari e pazienti da parte di Israele.

La situazione è peggiorata ulteriormente dopo il cessate il fuoco a Gaza e l’avvio dell’operazione Iron Wall, che ha portato allo svuotamento dei 3 principali campi profughi del nord della Cisgiordania – Jenin, Tulkarem e Nur Shams – provocando lo sfollamento forzato di oltre 40.000 palestinesi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA).

“L’esercito [israeliano] ha fatto irruzione in casa nostra e ci ha ordinato di evacuarla. Non ci hanno permesso di portare via nulla – nemmeno i documenti.
Ci hanno solo detto: ‘Fuori’” racconta Issam, 55 anni, paziente di MSF sfollato dal campo di Nur Shams. “Essere sfollati è una grande sofferenza, un’angoscia silenziosa. Ti si annida nel cuore un dolore profondo e gli occhi si riempiono di lacrime, ma facciamo il possibile per trattenerle”.

Lo stato di salute mentale dei pazienti è allarmante: molte persone soffrono di stress, ansia e depressione a causa della violenza e dell’imprevedibilità delle incursioni e degli sfollamenti.
“Le persone non sanno cosa sia successo alle proprie case, ha subito perdite immense, incluso il senso stesso della propria esistenza” dice Mohammad, 30 anni, promotore della salute per MSF in Cisgiordania.

“I droni sorvolano le case, ordinando ai residenti di uscire. Di solito distruggono qualcosa, ma mai così tanto, una cosa del genere non era mai successa prima” racconta Abdel, residente del campo di Jenin.

MSF forniva supporto nei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, ma ha dovuto adattare le sue attività a causa dello sfollamento della popolazione e degli alti rischi per la sicurezza.

Oggi, i team MSF sono quotidianamente presenti a Tulkarem e Jenin con cliniche mobili, per offrire assistenza medica alle persone sfollate.
Le cliniche mobili di MSF trattano anche patologie croniche come diabete e ipertensione, aggravate dalla mancanza di accesso ai farmaci, ma anche infezioni respiratorie e disturbi muscolo-scheletrici.
I team di MSF distribuiscono inoltre kit igienici e pacchi alimentari per sostenere le persone costrette a fuggire e prive di risorse o beni personali.
MSF sta fornendo anche acqua all’ospedale Khalil Suleiman di Jenin, il principale della zona, colpito da frequenti interruzioni idriche a causa dei danni subiti durante le operazioni militari.

Medecins sans Frontieres

Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia. Incontro a Piacenza

Mercoledì 12 marzo si è svolto a Piacenza, nella sala de “Il Samaritano”, un interessante incontro dal titolo “Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia”.

La serata, promossa da Salaam, Ragazzi dell’Olivo di Piacenza e da Amnesty International, sempre di Piacenza, ha avuto come ospiti Elisa Brunelli, giovane giornalista e autrice di diverse inchieste anche per Altreconomia e Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia. Il tutto è stato introdotto e moderato da Rita Casalini, affidataria di Salaam, Ragazzi dell’Olivo.

Di fronte a una platea di un centinaio di persone, le nostre ospiti ci hanno ben illustrato sia la terrificante situazione di Gaza sia quella, forse meno nota, della Cisgiordania occupata, anch’essa estremamente grave per la popolazione palestinese.

Tina Marinari ha presentato e ampiamente argomentato il rapporto ai A.I. “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza”. Ha illustrato il grande lavoro fatto da Amnesty Interntional per raccogliere prove – sia attraverso oltre 200 interviste, sia con immagini e video – che dimostrano l’intenzione genocidiaria di Israele nei confronti della popolazione palestinese di Gaza. Il tutto a partire da quanto viene enunciato nella Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite del 1948.

Elisa Brunelli ha illustrato – anche attraverso una serie di slide – la sua inchiesta “Il calibro dei coloni”. Questa ricerca – dati alla mano – dimostra il traffico di armi dall’Italia a Israele. Le ditte italiane Beretta e Fiocchi esportano in Cisgiordania armi che vengono acquistate dai coloni israeliani, che ne fanno ampiamente uso contro la popolazione palestinese. In ogni città o villaggio ci sono negozi dove si possono acquistare queste armi e addestrare le persone, compresi ragazzini.

Ricordiamo che l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele contravviene a decine e decine di risoluzioni ONU e che la Corte Internazionale di Giustizia l’ha dichiarata illegale il 19 luglio 2024

Sempre Elisa Brunelli ha parlato di un’altra sua inchiesta – “Il limbo dell’accoglienza anche per minori e feriti evacuati da Gaza” – dove viene denunciato che, a fronte delle dichiarazioni ufficiali del governo italiano sulla “generosità” nell’accogliere minori palestinesi feriti e/o gravemente malati per essere curati in ospedali italiani – nei fatti lo Stato italiano non ha fatto nulla (trasporto a parte): l’accoglienza e la presa in carico di queste famiglie sono state completamente scaricate su varie associazioni del terzo settore.

Oltre alla complicità dell’Italia nella vendita di armi ai coloni israeliani, Tina Marinari ha sottolineato la responsabilità del nostro Paese nel non aver fatto nulla di nulla, non solo in aiuto della popolazione di Gaza sottoposta da oltre 15 mesi a un assedio spaventoso, ma ancor meno sul piano diplomatico per ricercare e favorire trattative tra il governo israeliano, Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese per giungere non solo a tregue che fermino morti e distruzioni e liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma riescano a perseguire una soluzione di pace tra i due popoli, pace che per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia.

Ultima nota: una serata nel segno delle donne. La conduttrice nella sua introduzione ha citato la filosofa Hannah Arendt, secondo la quale le donne si conoscono e riconoscono per convergenza. L’unica soluzione per evitare l’identificazione per contrasto è non sentirsi parte di un popolo geografico, ma del popolo dei sofferenti e degli oppressi.

Chiara Casella, per le famiglie affidatarie di Salaam Ragazzi dell’Olivo, PiacenzaLidia Gardella, Amnesty International, Piacenza

Redazione Italia

Cisgiordania nord“Sfollamenti e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”

Cisgiordania nord, MSF: “Sfollamenti di massa e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”
40.000 persone sfollate da gennaio a Jenin, Tulkarem e Nur Shams

24 marzo 2025 – Medici Senza Frontiere (MSF) lancia un allarme sulle decine di migliaia di persone sfollate nel nord della Cisgiordania, che non hanno un riparo sicuro, servizi essenziali né accesso all’assistenza sanitaria.

Dopo il cessate il fuoco di gennaio 2025 a Gaza, Israele ha avviato l’operazione militare Iron Wall nei territori occupati della Cisgiordania, costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case e lasciandole in una situazione estremamente precaria.

Israele deve interrompere immediatamente questi trasferimenti forzati e la risposta umanitaria deve essere intensificata per raggiungere chi ne ha bisogno.

“Non si vedevano sfollamenti forzati dei campi e una distruzione di questa portata da decenni.
Le persone non possono tornare nelle proprie case: l’accesso ai campi è stato bloccato dalle forze israeliane, le abitazioni e le infrastrutture sono state distrutte.
I campi sono diventati mucchi di macerie e polvere” spiega Brice de la Vingne, direttore delle operazioni di MSF per la Cisgiordania. “Israele deve fermare tutto questo ed è necessaria una maggiore risposta umanitaria”.

Dall’inizio della guerra a Gaza, nell’ottobre 2023, le forze israeliane hanno intensificato l’uso della violenza fisica estrema contro i palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania, come denunciato da MSF nel rapporto “Inflicting harm and denying care”.

Da ottobre 2023 in Cisgiordania sono stati uccisi 930 palestinesi, tra cui 187 bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

L’accesso alle cure mediche è stato gravemente compromesso, come riportato dai team di MSF sul campo, che hanno assistito a un’oppressione sistematica verso operatori sanitari e pazienti da parte di Israele.

La situazione è peggiorata ulteriormente dopo il cessate il fuoco a Gaza e l’avvio dell’operazione Iron Wall, che ha portato allo svuotamento dei 3 principali campi profughi del nord della Cisgiordania – Jenin, Tulkarem e Nur Shams – provocando lo sfollamento forzato di oltre 40.000 palestinesi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA).

“L’esercito [israeliano] ha fatto irruzione in casa nostra e ci ha ordinato di evacuarla. Non ci hanno permesso di portare via nulla – nemmeno i documenti.
Ci hanno solo detto: ‘Fuori’” racconta Issam, 55 anni, paziente di MSF sfollato dal campo di Nur Shams. “Essere sfollati è una grande sofferenza, un’angoscia silenziosa. Ti si annida nel cuore un dolore profondo e gli occhi si riempiono di lacrime, ma facciamo il possibile per trattenerle”.

Lo stato di salute mentale dei pazienti è allarmante: molte persone soffrono di stress, ansia e depressione a causa della violenza e dell’imprevedibilità delle incursioni e degli sfollamenti.
“Le persone non sanno cosa sia successo alle proprie case, ha subito perdite immense, incluso il senso stesso della propria esistenza” dice Mohammad, 30 anni, promotore della salute per MSF in Cisgiordania.

“I droni sorvolano le case, ordinando ai residenti di uscire. Di solito distruggono qualcosa, ma mai così tanto, una cosa del genere non era mai successa prima” racconta Abdel, residente del campo di Jenin.

MSF forniva supporto nei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, ma ha dovuto adattare le sue attività a causa dello sfollamento della popolazione e degli alti rischi per la sicurezza.

Oggi, i team MSF sono quotidianamente presenti a Tulkarem e Jenin con cliniche mobili, per offrire assistenza medica alle persone sfollate.
Le cliniche mobili di MSF trattano anche patologie croniche come diabete e ipertensione, aggravate dalla mancanza di accesso ai farmaci, ma anche infezioni respiratorie e disturbi muscolo-scheletrici.
I team di MSF distribuiscono inoltre kit igienici e pacchi alimentari per sostenere le persone costrette a fuggire e prive di risorse o beni personali.
MSF sta fornendo anche acqua all’ospedale Khalil Suleiman di Jenin, il principale della zona, colpito da frequenti interruzioni idriche a causa dei danni subiti durante le operazioni militari.

Medecins sans Frontieres

Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia. Incontro a Piacenza

Mercoledì 12 marzo si è svolto a Piacenza, nella sala de “Il Samaritano”, un interessante incontro dal titolo “Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia”.

La serata, promossa da Salaam, Ragazzi dell’Olivo di Piacenza e da Amnesty International, sempre di Piacenza, ha avuto come ospiti Elisa Brunelli, giovane giornalista e autrice di diverse inchieste anche per Altreconomia e Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia. Il tutto è stato introdotto e moderato da Rita Casalini, affidataria di Salaam, Ragazzi dell’Olivo.

Di fronte a una platea di un centinaio di persone, le nostre ospiti ci hanno ben illustrato sia la terrificante situazione di Gaza sia quella, forse meno nota, della Cisgiordania occupata, anch’essa estremamente grave per la popolazione palestinese.

Tina Marinari ha presentato e ampiamente argomentato il rapporto ai A.I. “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza”. Ha illustrato il grande lavoro fatto da Amnesty Interntional per raccogliere prove – sia attraverso oltre 200 interviste, sia con immagini e video – che dimostrano l’intenzione genocidiaria di Israele nei confronti della popolazione palestinese di Gaza. Il tutto a partire da quanto viene enunciato nella Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite del 1948.

Elisa Brunelli ha illustrato – anche attraverso una serie di slide – la sua inchiesta “Il calibro dei coloni”. Questa ricerca – dati alla mano – dimostra il traffico di armi dall’Italia a Israele. Le ditte italiane Beretta e Fiocchi esportano in Cisgiordania armi che vengono acquistate dai coloni israeliani, che ne fanno ampiamente uso contro la popolazione palestinese. In ogni città o villaggio ci sono negozi dove si possono acquistare queste armi e addestrare le persone, compresi ragazzini.

Ricordiamo che l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele contravviene a decine e decine di risoluzioni ONU e che la Corte Internazionale di Giustizia l’ha dichiarata illegale il 19 luglio 2024

Sempre Elisa Brunelli ha parlato di un’altra sua inchiesta – “Il limbo dell’accoglienza anche per minori e feriti evacuati da Gaza” – dove viene denunciato che, a fronte delle dichiarazioni ufficiali del governo italiano sulla “generosità” nell’accogliere minori palestinesi feriti e/o gravemente malati per essere curati in ospedali italiani – nei fatti lo Stato italiano non ha fatto nulla (trasporto a parte): l’accoglienza e la presa in carico di queste famiglie sono state completamente scaricate su varie associazioni del terzo settore.

Oltre alla complicità dell’Italia nella vendita di armi ai coloni israeliani, Tina Marinari ha sottolineato la responsabilità del nostro Paese nel non aver fatto nulla di nulla, non solo in aiuto della popolazione di Gaza sottoposta da oltre 15 mesi a un assedio spaventoso, ma ancor meno sul piano diplomatico per ricercare e favorire trattative tra il governo israeliano, Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese per giungere non solo a tregue che fermino morti e distruzioni e liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma riescano a perseguire una soluzione di pace tra i due popoli, pace che per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia.

Ultima nota: una serata nel segno delle donne. La conduttrice nella sua introduzione ha citato la filosofa Hannah Arendt, secondo la quale le donne si conoscono e riconoscono per convergenza. L’unica soluzione per evitare l’identificazione per contrasto è non sentirsi parte di un popolo geografico, ma del popolo dei sofferenti e degli oppressi.

Chiara Casella, per le famiglie affidatarie di Salaam Ragazzi dell’Olivo, PiacenzaLidia Gardella, Amnesty International, Piacenza

Redazione Italia

Cisgiordania nord“Sfollamenti e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”

Cisgiordania nord, MSF: “Sfollamenti di massa e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”
40.000 persone sfollate da gennaio a Jenin, Tulkarem e Nur Shams

24 marzo 2025 – Medici Senza Frontiere (MSF) lancia un allarme sulle decine di migliaia di persone sfollate nel nord della Cisgiordania, che non hanno un riparo sicuro, servizi essenziali né accesso all’assistenza sanitaria.

Dopo il cessate il fuoco di gennaio 2025 a Gaza, Israele ha avviato l’operazione militare Iron Wall nei territori occupati della Cisgiordania, costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case e lasciandole in una situazione estremamente precaria.

Israele deve interrompere immediatamente questi trasferimenti forzati e la risposta umanitaria deve essere intensificata per raggiungere chi ne ha bisogno.

“Non si vedevano sfollamenti forzati dei campi e una distruzione di questa portata da decenni.
Le persone non possono tornare nelle proprie case: l’accesso ai campi è stato bloccato dalle forze israeliane, le abitazioni e le infrastrutture sono state distrutte.
I campi sono diventati mucchi di macerie e polvere” spiega Brice de la Vingne, direttore delle operazioni di MSF per la Cisgiordania. “Israele deve fermare tutto questo ed è necessaria una maggiore risposta umanitaria”.

Dall’inizio della guerra a Gaza, nell’ottobre 2023, le forze israeliane hanno intensificato l’uso della violenza fisica estrema contro i palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania, come denunciato da MSF nel rapporto “Inflicting harm and denying care”.

Da ottobre 2023 in Cisgiordania sono stati uccisi 930 palestinesi, tra cui 187 bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

L’accesso alle cure mediche è stato gravemente compromesso, come riportato dai team di MSF sul campo, che hanno assistito a un’oppressione sistematica verso operatori sanitari e pazienti da parte di Israele.

La situazione è peggiorata ulteriormente dopo il cessate il fuoco a Gaza e l’avvio dell’operazione Iron Wall, che ha portato allo svuotamento dei 3 principali campi profughi del nord della Cisgiordania – Jenin, Tulkarem e Nur Shams – provocando lo sfollamento forzato di oltre 40.000 palestinesi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA).

“L’esercito [israeliano] ha fatto irruzione in casa nostra e ci ha ordinato di evacuarla. Non ci hanno permesso di portare via nulla – nemmeno i documenti.
Ci hanno solo detto: ‘Fuori’” racconta Issam, 55 anni, paziente di MSF sfollato dal campo di Nur Shams. “Essere sfollati è una grande sofferenza, un’angoscia silenziosa. Ti si annida nel cuore un dolore profondo e gli occhi si riempiono di lacrime, ma facciamo il possibile per trattenerle”.

Lo stato di salute mentale dei pazienti è allarmante: molte persone soffrono di stress, ansia e depressione a causa della violenza e dell’imprevedibilità delle incursioni e degli sfollamenti.
“Le persone non sanno cosa sia successo alle proprie case, ha subito perdite immense, incluso il senso stesso della propria esistenza” dice Mohammad, 30 anni, promotore della salute per MSF in Cisgiordania.

“I droni sorvolano le case, ordinando ai residenti di uscire. Di solito distruggono qualcosa, ma mai così tanto, una cosa del genere non era mai successa prima” racconta Abdel, residente del campo di Jenin.

MSF forniva supporto nei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, ma ha dovuto adattare le sue attività a causa dello sfollamento della popolazione e degli alti rischi per la sicurezza.

Oggi, i team MSF sono quotidianamente presenti a Tulkarem e Jenin con cliniche mobili, per offrire assistenza medica alle persone sfollate.
Le cliniche mobili di MSF trattano anche patologie croniche come diabete e ipertensione, aggravate dalla mancanza di accesso ai farmaci, ma anche infezioni respiratorie e disturbi muscolo-scheletrici.
I team di MSF distribuiscono inoltre kit igienici e pacchi alimentari per sostenere le persone costrette a fuggire e prive di risorse o beni personali.
MSF sta fornendo anche acqua all’ospedale Khalil Suleiman di Jenin, il principale della zona, colpito da frequenti interruzioni idriche a causa dei danni subiti durante le operazioni militari.

Medecins sans Frontieres

Stato di diritto con tribunali speciali

Da oltre un anno assistiamo sgomenti all’ennesimo genocidio della storia umana contro la popolazione inerme di Gaza e Cisgiordania. Secondo il ministero della salute palestinese, dall’8 ottobre 2023 al 19 gennaio 2025, le persone morte sono state 46.913 (di cui circa il 60% donne, anziani e bambini) e 110.750 quelle ferite. A questi si aggiungano le 186.000 vittime indirette causate dalla guerra, una infinità di persone traumatizzate psicologicamente, soprattutto giovanissime e infanti. Oltre a un elevato numero di dispersi ancora sotto le macerie. Dati non definitivi, purtroppo.

Un anno e mezzo di sistematica distruzione, ha privato il territorio di Gaza di qualsiasi risorsa e infrastruttura indispensabile alla sopravvivenza. Un vile blocco degli aiuti umanitari alla popolazione si è protratto per molti mesi. E’ recentissimo l’avvio dello scambio di prigionieri politici e ostaggi, sotto l’egida di una fragile tregua costantemente in pericolo a causa di azioni e reazioni belliche da tutte le parti.

La devastazione provocata dai bombardamenti israeliani, ha dato linfa alle solite speculazioni imprenditoriali. Le motivazioni addotte da Israele di “lotta al terrorismo” e “diritto alla difesa” hanno anche permesso agli USA di testare nuove strategie di offese diplomatiche.

Questa guerra di annichilimento ha toccato la sensibilità della società civile in diversi Paesi, trasformando rapidamente l’ondata di sdegno in un forte movimento di solidarietà verso il popolo palestinese.

In Italia, il tentativo di molti mass-media e forze politiche di screditare il movimento “pro-Pal” e la tiepida opposizione hanno permesso al governo di reprimere impunemente ogni espressione di dissenso popolare. Non soltanto per imprimere alla politica interna un sempre maggiore autoritarismo anti libertario di stampo neofascista, ma anche per difendere gli interessi delle lobby impegnate nella cosiddetta “economia di guerra”. Inoltre l’azione di governo ha dimostrato una acquiescente obbedienza al più becero imperialismo made in USA (e quindi anche made in Israele).

Questa sudditanza appare chiaramente nel clima di intimidazione verso chiunque voglia scendere in piazza, con violente cariche sui manifestanti, arbitrari fermi di polizia, fogli di via e arresti, fino a prendere corpo plasticamente nella spinosa vicenda giudiziaria di Anan Yaeesh.

Originario di Tulkarem, nella Cisgiordania occupata, Anan, 37 anni, ex-prigioniero politico di Israele, vive e lavora a L’Aquila dal 2017 come cittadino straniero sottoposto a protezione internazionale. Questo status gli è stato concesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Foggia, sulla base del Rapporto delle Nazioni Unite redatto dalla Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese.

Pur non avendo commesso reati nel territorio italiano, il 27 gennaio 2024 Anan è stato fermato dalla DIGOS con l’accusa, mossagli da Israele, di appartenere ed essere finanziatore delle Tulkarem Brigade, una formazione armata che riunirebbe giovani provenienti dalle varie fazioni della Resistenza palestinese, da Hamas a Fatah.

Malgrado non sussistano elementi a suffragio della misura cautelare, la Corte di Appello aquilana ne ha disposto comunque l’arresto temporaneo a scopo di estradizione e dal 29 gennaio 2024 Anan viene trattenuto in carcere.

Il provvedimento è risultato illegittimo secondo il diritto internazionale, lo Statuto delle Nazioni Unite, la Convenzione di Ginevra e i due Protocolli aggiuntivi, poiché basato più sui rapporti diplomatici tra Italia e Israele che non sulla giurisprudenza. Così, nel marzo 2024, la Corte d’Appello de L’Aquila ne ha decretato la revoca.

Non volendo mollare “la preda”, le autorità israeliane ne hanno richiesto l’estradizione. L’istanza è stata respinta in quanto l’ordinamento giuridico italiano non la prevede quando, come in questo caso, “vi è ragione di ritenere che l’imputato o condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona. L’estradizione non viene altresì concessa per reati politici, per motivi di razza, religione o nazionalità o per reati puniti all’estero con la pena di morte”.

Due giorni prima della revoca della custodia cautelare disposta dalla Corte d’Appello, Yaeesh è stato raggiunto da una nuova ordinanza di carcerazione preventiva con l’accusa di terrorismo ed è stato rinviato a giudizio insieme ai suoi coinquilini, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

Successivamente, previo ricorso dei suoi legali (avv. Flavio Rossi Albertini e Stefania Calvanese) la Corte di Cassazione e il Tribunale della Libertà ne hanno ordinato il rilascio in attesa di processo.

Nello stesso mese lo stato israeliano ha poi ritirato la richiesta di estradizione.

Ma le peripezie giudiziarie di Anan Yaeesh sono proseguite con un terzo provvedimento di custodia cautelare dell’aprile del 2024.

A luglio 2024, per Ali Irar e Mansour Doghmosh, è stata annullata la carcerazione preventiva con rinvio in Corte d’Appello, ma la sesta sezione penale della Cassazione ha confermato, invece, la carcerazione nei confronti di Yaeesh. Misura confermata anche nell’udienza preliminare del processo a suo carico, tenutasi il 26 febbraio 2025 davanti al gup Guendalina Buccella del Tribunale de L’Aquila.

Oltre a questi avvenimenti, nella loro particolare successione e tempistica, è importante sottolineare soprattutto due passaggi compiuti dalle autorità italiane in questa vicenda.

Primo: non essendo in possesso di sufficienti elementi utili all’istruttoria processuale, gli inquirenti italiani hanno richiesto a Israele di collaborare alle investigazioni (scelta degna di nota considerando il clima a dir poco persecutorio nei confronti dei palestinesi da parte del governo israeliano).

Secondo: Anan Yaeesh si è autodefinito “resistente palestinese e comandante partigiano” e ha richiesto di non consegnare alle autorità israeliane il suo telefono, contenente informazioni in suo possesso in quanto tale. Il governo italiano ha pensato bene di fare esattamente il contrario, mettendo così a repentaglio l’incolumità sua e di altre persone in Palestina.

La coincidenza tra le richieste fatte da Israele e la tempistica dei provvedimenti giudiziari emessi dalla magistratura italiana per l’avvio di questo processo, evidenziano la spregiudicatezza con cui il potere costituito muova le pedine dell’esecutivo e del sistema giudiziario come armi repressive e persecutorie in difesa di interessi particolari e geopolitici, piuttosto che nell’interesse della giustizia stessa. Il rinvio a giudizio con l’accusa di terrorismo nei confronti di Anan Yaeesh, infatti, assomiglia molto ad un escamotage dittatoriale per ovviare al rigetto della richiesta di estradizione, nonostante le evidenti violazioni dei suoi diritti possano legittimare addirittura un processo per complicità con Israele in crimini di guerra e contro l’umanità.

L’utilizzo repressivo e persecutorio dei processi giudiziari ai danni degli oppositori politici riporta la mente a più tristi e sanguinari anni della storia d’Italia. Con le offensive reazionarie sempre più lampanti come il ddl sicurezza o la separazione delle carriere, che tendono a rafforzare e accentrare il potere, è impossibile non ravvisare i presupposti di un sistema sempre più autoritario, di una violenta escalation neofascista che tanto si ispira all’istituzione di un tribunale speciale per la difesa dello Stato.

Questa democratura potrebbe spalancare un’autostrada ad una nuova dittatura clericofascista e guerrafondaia che sarebbe difficile da contrastare, se non mediante il risveglio di una coscienza sociale critica e consapevole, un movimento che si indirizzi compatto verso la creazione di una società finalmente libertaria, inclusiva, laica, equa e mutualistica, basata su principi etici di pace e armonia tra i popoli.

‘Gnazio & Melitea

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Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia. Incontro a Piacenza

Mercoledì 12 marzo si è svolto a Piacenza, nella sala de “Il Samaritano”, un interessante incontro dal titolo “Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia”.

La serata, promossa da Salaam, Ragazzi dell’Olivo di Piacenza e da Amnesty International, sempre di Piacenza, ha avuto come ospiti Elisa Brunelli, giovane giornalista e autrice di diverse inchieste anche per Altreconomia e Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia. Il tutto è stato introdotto e moderato da Rita Casalini, affidataria di Salaam, Ragazzi dell’Olivo.

Di fronte a una platea di un centinaio di persone, le nostre ospiti ci hanno ben illustrato sia la terrificante situazione di Gaza sia quella, forse meno nota, della Cisgiordania occupata, anch’essa estremamente grave per la popolazione palestinese.

Tina Marinari ha presentato e ampiamente argomentato il rapporto ai A.I. “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza”. Ha illustrato il grande lavoro fatto da Amnesty Interntional per raccogliere prove – sia attraverso oltre 200 interviste, sia con immagini e video – che dimostrano l’intenzione genocidiaria di Israele nei confronti della popolazione palestinese di Gaza. Il tutto a partire da quanto viene enunciato nella Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite del 1948.

Elisa Brunelli ha illustrato – anche attraverso una serie di slide – la sua inchiesta “Il calibro dei coloni”. Questa ricerca – dati alla mano – dimostra il traffico di armi dall’Italia a Israele. Le ditte italiane Beretta e Fiocchi esportano in Cisgiordania armi che vengono acquistate dai coloni israeliani, che ne fanno ampiamente uso contro la popolazione palestinese. In ogni città o villaggio ci sono negozi dove si possono acquistare queste armi e addestrare le persone, compresi ragazzini.

Ricordiamo che l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele contravviene a decine e decine di risoluzioni ONU e che la Corte Internazionale di Giustizia l’ha dichiarata illegale il 19 luglio 2024

Sempre Elisa Brunelli ha parlato di un’altra sua inchiesta – “Il limbo dell’accoglienza anche per minori e feriti evacuati da Gaza” – dove viene denunciato che, a fronte delle dichiarazioni ufficiali del governo italiano sulla “generosità” nell’accogliere minori palestinesi feriti e/o gravemente malati per essere curati in ospedali italiani – nei fatti lo Stato italiano non ha fatto nulla (trasporto a parte): l’accoglienza e la presa in carico di queste famiglie sono state completamente scaricate su varie associazioni del terzo settore.

Oltre alla complicità dell’Italia nella vendita di armi ai coloni israeliani, Tina Marinari ha sottolineato la responsabilità del nostro Paese nel non aver fatto nulla di nulla, non solo in aiuto della popolazione di Gaza sottoposta da oltre 15 mesi a un assedio spaventoso, ma ancor meno sul piano diplomatico per ricercare e favorire trattative tra il governo israeliano, Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese per giungere non solo a tregue che fermino morti e distruzioni e liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma riescano a perseguire una soluzione di pace tra i due popoli, pace che per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia.

Ultima nota: una serata nel segno delle donne. La conduttrice nella sua introduzione ha citato la filosofa Hannah Arendt, secondo la quale le donne si conoscono e riconoscono per convergenza. L’unica soluzione per evitare l’identificazione per contrasto è non sentirsi parte di un popolo geografico, ma del popolo dei sofferenti e degli oppressi.

Chiara Casella, per le famiglie affidatarie di Salaam Ragazzi dell’Olivo, PiacenzaLidia Gardella, Amnesty International, Piacenza

Redazione Italia

Cisgiordania nord“Sfollamenti e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”

Cisgiordania nord, MSF: “Sfollamenti di massa e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”
40.000 persone sfollate da gennaio a Jenin, Tulkarem e Nur Shams

24 marzo 2025 – Medici Senza Frontiere (MSF) lancia un allarme sulle decine di migliaia di persone sfollate nel nord della Cisgiordania, che non hanno un riparo sicuro, servizi essenziali né accesso all’assistenza sanitaria.

Dopo il cessate il fuoco di gennaio 2025 a Gaza, Israele ha avviato l’operazione militare Iron Wall nei territori occupati della Cisgiordania, costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case e lasciandole in una situazione estremamente precaria.

Israele deve interrompere immediatamente questi trasferimenti forzati e la risposta umanitaria deve essere intensificata per raggiungere chi ne ha bisogno.

“Non si vedevano sfollamenti forzati dei campi e una distruzione di questa portata da decenni.
Le persone non possono tornare nelle proprie case: l’accesso ai campi è stato bloccato dalle forze israeliane, le abitazioni e le infrastrutture sono state distrutte.
I campi sono diventati mucchi di macerie e polvere” spiega Brice de la Vingne, direttore delle operazioni di MSF per la Cisgiordania. “Israele deve fermare tutto questo ed è necessaria una maggiore risposta umanitaria”.

Dall’inizio della guerra a Gaza, nell’ottobre 2023, le forze israeliane hanno intensificato l’uso della violenza fisica estrema contro i palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania, come denunciato da MSF nel rapporto “Inflicting harm and denying care”.

Da ottobre 2023 in Cisgiordania sono stati uccisi 930 palestinesi, tra cui 187 bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

L’accesso alle cure mediche è stato gravemente compromesso, come riportato dai team di MSF sul campo, che hanno assistito a un’oppressione sistematica verso operatori sanitari e pazienti da parte di Israele.

La situazione è peggiorata ulteriormente dopo il cessate il fuoco a Gaza e l’avvio dell’operazione Iron Wall, che ha portato allo svuotamento dei 3 principali campi profughi del nord della Cisgiordania – Jenin, Tulkarem e Nur Shams – provocando lo sfollamento forzato di oltre 40.000 palestinesi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA).

“L’esercito [israeliano] ha fatto irruzione in casa nostra e ci ha ordinato di evacuarla. Non ci hanno permesso di portare via nulla – nemmeno i documenti.
Ci hanno solo detto: ‘Fuori’” racconta Issam, 55 anni, paziente di MSF sfollato dal campo di Nur Shams. “Essere sfollati è una grande sofferenza, un’angoscia silenziosa. Ti si annida nel cuore un dolore profondo e gli occhi si riempiono di lacrime, ma facciamo il possibile per trattenerle”.

Lo stato di salute mentale dei pazienti è allarmante: molte persone soffrono di stress, ansia e depressione a causa della violenza e dell’imprevedibilità delle incursioni e degli sfollamenti.
“Le persone non sanno cosa sia successo alle proprie case, ha subito perdite immense, incluso il senso stesso della propria esistenza” dice Mohammad, 30 anni, promotore della salute per MSF in Cisgiordania.

“I droni sorvolano le case, ordinando ai residenti di uscire. Di solito distruggono qualcosa, ma mai così tanto, una cosa del genere non era mai successa prima” racconta Abdel, residente del campo di Jenin.

MSF forniva supporto nei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, ma ha dovuto adattare le sue attività a causa dello sfollamento della popolazione e degli alti rischi per la sicurezza.

Oggi, i team MSF sono quotidianamente presenti a Tulkarem e Jenin con cliniche mobili, per offrire assistenza medica alle persone sfollate.
Le cliniche mobili di MSF trattano anche patologie croniche come diabete e ipertensione, aggravate dalla mancanza di accesso ai farmaci, ma anche infezioni respiratorie e disturbi muscolo-scheletrici.
I team di MSF distribuiscono inoltre kit igienici e pacchi alimentari per sostenere le persone costrette a fuggire e prive di risorse o beni personali.
MSF sta fornendo anche acqua all’ospedale Khalil Suleiman di Jenin, il principale della zona, colpito da frequenti interruzioni idriche a causa dei danni subiti durante le operazioni militari.

Medecins sans Frontieres

Stato di diritto con tribunali speciali

Da oltre un anno assistiamo sgomenti all’ennesimo genocidio della storia umana contro la popolazione inerme di Gaza e Cisgiordania. Secondo il ministero della salute palestinese, dall’8 ottobre 2023 al 19 gennaio 2025, le persone morte sono state 46.913 (di cui circa il 60% donne, anziani e bambini) e 110.750 quelle ferite. A questi si aggiungano le 186.000 vittime indirette causate dalla guerra, una infinità di persone traumatizzate psicologicamente, soprattutto giovanissime e infanti. Oltre a un elevato numero di dispersi ancora sotto le macerie. Dati non definitivi, purtroppo.

Un anno e mezzo di sistematica distruzione, ha privato il territorio di Gaza di qualsiasi risorsa e infrastruttura indispensabile alla sopravvivenza. Un vile blocco degli aiuti umanitari alla popolazione si è protratto per molti mesi. E’ recentissimo l’avvio dello scambio di prigionieri politici e ostaggi, sotto l’egida di una fragile tregua costantemente in pericolo a causa di azioni e reazioni belliche da tutte le parti.

La devastazione provocata dai bombardamenti israeliani, ha dato linfa alle solite speculazioni imprenditoriali. Le motivazioni addotte da Israele di “lotta al terrorismo” e “diritto alla difesa” hanno anche permesso agli USA di testare nuove strategie di offese diplomatiche.

Questa guerra di annichilimento ha toccato la sensibilità della società civile in diversi Paesi, trasformando rapidamente l’ondata di sdegno in un forte movimento di solidarietà verso il popolo palestinese.

In Italia, il tentativo di molti mass-media e forze politiche di screditare il movimento “pro-Pal” e la tiepida opposizione hanno permesso al governo di reprimere impunemente ogni espressione di dissenso popolare. Non soltanto per imprimere alla politica interna un sempre maggiore autoritarismo anti libertario di stampo neofascista, ma anche per difendere gli interessi delle lobby impegnate nella cosiddetta “economia di guerra”. Inoltre l’azione di governo ha dimostrato una acquiescente obbedienza al più becero imperialismo made in USA (e quindi anche made in Israele).

Questa sudditanza appare chiaramente nel clima di intimidazione verso chiunque voglia scendere in piazza, con violente cariche sui manifestanti, arbitrari fermi di polizia, fogli di via e arresti, fino a prendere corpo plasticamente nella spinosa vicenda giudiziaria di Anan Yaeesh.

Originario di Tulkarem, nella Cisgiordania occupata, Anan, 37 anni, ex-prigioniero politico di Israele, vive e lavora a L’Aquila dal 2017 come cittadino straniero sottoposto a protezione internazionale. Questo status gli è stato concesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Foggia, sulla base del Rapporto delle Nazioni Unite redatto dalla Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese.

Pur non avendo commesso reati nel territorio italiano, il 27 gennaio 2024 Anan è stato fermato dalla DIGOS con l’accusa, mossagli da Israele, di appartenere ed essere finanziatore delle Tulkarem Brigade, una formazione armata che riunirebbe giovani provenienti dalle varie fazioni della Resistenza palestinese, da Hamas a Fatah.

Malgrado non sussistano elementi a suffragio della misura cautelare, la Corte di Appello aquilana ne ha disposto comunque l’arresto temporaneo a scopo di estradizione e dal 29 gennaio 2024 Anan viene trattenuto in carcere.

Il provvedimento è risultato illegittimo secondo il diritto internazionale, lo Statuto delle Nazioni Unite, la Convenzione di Ginevra e i due Protocolli aggiuntivi, poiché basato più sui rapporti diplomatici tra Italia e Israele che non sulla giurisprudenza. Così, nel marzo 2024, la Corte d’Appello de L’Aquila ne ha decretato la revoca.

Non volendo mollare “la preda”, le autorità israeliane ne hanno richiesto l’estradizione. L’istanza è stata respinta in quanto l’ordinamento giuridico italiano non la prevede quando, come in questo caso, “vi è ragione di ritenere che l’imputato o condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona. L’estradizione non viene altresì concessa per reati politici, per motivi di razza, religione o nazionalità o per reati puniti all’estero con la pena di morte”.

Due giorni prima della revoca della custodia cautelare disposta dalla Corte d’Appello, Yaeesh è stato raggiunto da una nuova ordinanza di carcerazione preventiva con l’accusa di terrorismo ed è stato rinviato a giudizio insieme ai suoi coinquilini, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

Successivamente, previo ricorso dei suoi legali (avv. Flavio Rossi Albertini e Stefania Calvanese) la Corte di Cassazione e il Tribunale della Libertà ne hanno ordinato il rilascio in attesa di processo.

Nello stesso mese lo stato israeliano ha poi ritirato la richiesta di estradizione.

Ma le peripezie giudiziarie di Anan Yaeesh sono proseguite con un terzo provvedimento di custodia cautelare dell’aprile del 2024.

A luglio 2024, per Ali Irar e Mansour Doghmosh, è stata annullata la carcerazione preventiva con rinvio in Corte d’Appello, ma la sesta sezione penale della Cassazione ha confermato, invece, la carcerazione nei confronti di Yaeesh. Misura confermata anche nell’udienza preliminare del processo a suo carico, tenutasi il 26 febbraio 2025 davanti al gup Guendalina Buccella del Tribunale de L’Aquila.

Oltre a questi avvenimenti, nella loro particolare successione e tempistica, è importante sottolineare soprattutto due passaggi compiuti dalle autorità italiane in questa vicenda.

Primo: non essendo in possesso di sufficienti elementi utili all’istruttoria processuale, gli inquirenti italiani hanno richiesto a Israele di collaborare alle investigazioni (scelta degna di nota considerando il clima a dir poco persecutorio nei confronti dei palestinesi da parte del governo israeliano).

Secondo: Anan Yaeesh si è autodefinito “resistente palestinese e comandante partigiano” e ha richiesto di non consegnare alle autorità israeliane il suo telefono, contenente informazioni in suo possesso in quanto tale. Il governo italiano ha pensato bene di fare esattamente il contrario, mettendo così a repentaglio l’incolumità sua e di altre persone in Palestina.

La coincidenza tra le richieste fatte da Israele e la tempistica dei provvedimenti giudiziari emessi dalla magistratura italiana per l’avvio di questo processo, evidenziano la spregiudicatezza con cui il potere costituito muova le pedine dell’esecutivo e del sistema giudiziario come armi repressive e persecutorie in difesa di interessi particolari e geopolitici, piuttosto che nell’interesse della giustizia stessa. Il rinvio a giudizio con l’accusa di terrorismo nei confronti di Anan Yaeesh, infatti, assomiglia molto ad un escamotage dittatoriale per ovviare al rigetto della richiesta di estradizione, nonostante le evidenti violazioni dei suoi diritti possano legittimare addirittura un processo per complicità con Israele in crimini di guerra e contro l’umanità.

L’utilizzo repressivo e persecutorio dei processi giudiziari ai danni degli oppositori politici riporta la mente a più tristi e sanguinari anni della storia d’Italia. Con le offensive reazionarie sempre più lampanti come il ddl sicurezza o la separazione delle carriere, che tendono a rafforzare e accentrare il potere, è impossibile non ravvisare i presupposti di un sistema sempre più autoritario, di una violenta escalation neofascista che tanto si ispira all’istituzione di un tribunale speciale per la difesa dello Stato.

Questa democratura potrebbe spalancare un’autostrada ad una nuova dittatura clericofascista e guerrafondaia che sarebbe difficile da contrastare, se non mediante il risveglio di una coscienza sociale critica e consapevole, un movimento che si indirizzi compatto verso la creazione di una società finalmente libertaria, inclusiva, laica, equa e mutualistica, basata su principi etici di pace e armonia tra i popoli.

‘Gnazio & Melitea

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