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crisi USA/UE

Guerra in Ucraina, il Re è nudo

Gli eventi degli ultimi giorni, e in particolare il drammatico faccia a faccia tra Trump e Zelensky, hanno riportato alla ribalta la difficoltà di sciogliere il nodo della guerra in Ucraina.

Paradossalmente il presidente Usa si presenta oggi come colui che può chiudere il conflitto, ma chiede in cambio mano libera nello sfruttamento delle risorse del paese che i suoi predecessori hanno generosamente finanziato.

Con la brutalità che caratterizza il suo linguaggio, Trump dichiara esplicitamente che l’interesse economico statunitense sta alla base delle sue scelte politiche, senza ammantarle delle giustificazioni moralistiche utilizzate dai suoi predecessori, come l’esportazione o la difesa della democrazia.

Qualche giorno fa, a Catania, si è parlato di guerra e in particolare di Ucraina, alla Camera del Lavoro, in occasione della presentazione della campagna nazionale “Centomila no alle guerre”, a cura dell’associazione “Il coraggio della pace”.

All’evento è stato invitato l’ex magistrato ed ex senatore della Repubblica Domenico Gallo, che da tempo sostiene con fermezza – anche se non la pacatezza che lo contraddistingue – una sua lettura di questa guerra.

Sulla base della ricostruzione storica dei rapporti esistenti tra Usa e Unione Sovietica (sostituita poi dalla Federazione Russa), e dell’evoluzione subita dalla Nato, Gallo individua come momento di svolta la decisione dell’amministrazione Clinton di rilanciare – infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov – la Nato nei paesi dell’Est europeo.

Da allora gli eventi sono precipitati fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che Gallo considera un enorme errore politico oltre che una violazione del diritto internazionale.

Nell’introdurre la discussione Luca Cangemi, come scrive Pinella Leocata, ha sottolineato che con le dichiarazioni di Trump si è determinato “un terremoto politico all’interno del quale precipita anche la crisi italiana con la posizione del Presidente Mattarella grave dal punto di vista storico e politico”, ma anche la possibilità di ottenere quantomeno un cessate il fuoco.

Paradossalmente, l’Unione Europea, all’interno della quale è prevalso il partito unico della guerra, guarda a questa prospettiva con sgomento e terrore, come se il numero dei morti, di una guerra che ricorda i conflitti del passato, e in particolare il primo conflitto mondiale, non avesse ampiamente superato anche le più negative delle previsioni.

La guerra non sarebbe dovuta scoppiare, ricorda Gallo, “perché è la questione dell’allargamento della Nato all’Ucraina che ha costituito il casus bellicome riconosciuto dallo stesso Segretario generale della Nato. Infatti, nel corso di una audizione al Parlamento europeo, il 7 settembre 2023, Stoltenberg, ha ammesso che la Russia voleva trattare, precisando che il blocco di ogni ulteriore allargamento della Nato ‘era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina’. Ebbene, pur di poter piantare la bandierina della Nato in Ucraina, gli Usa e gli stolti leader europei, hanno preferito la guerra al negoziato e se ne sono pure vantati”.

Nella convinzione che la Russia non avesse né la forza militare, né quella economica (grazie anche alle sanzioni europee) per sostenere un lungo conflitto, nel quale, peraltro, anche gli ucraini hanno mandato al massacro la propria gioventù.

Conseguentemente, in tante risoluzioni del Parlamento Europeo si è costantemente ribadito che i confini ucraini avrebbero dovuto comprendere Crimea e Donbass e che per ottenere questo obiettivo era necessaria una fornitura costante di armi, sottraendo, inoltre, ingenti somme alle spese sociali e contribuendo alla crisi economica della stessa Unione, costretta -tra l’altro – a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più.

Nel frattempo, quasi tutti i mezzi di comunicazione denunciavano come putiniani tutti coloro che si opponevano alla guerra, e prospettavano l’esistenza di una minaccia russa che solo la Nato poteva contrastare, altrimenti ‘i russi sarebbero arrivati sino in Portogallo’…

Non sorprende, quindi, che le ultime prese di posizione degli Usa abbiamo decisamente spiazzato gli europei. “Il 12 febbraio – ha sottolineato Gallo – Hegseth ha rovesciato i dogmi che hanno guidato fin qui il partito unico della guerra con due osservazioni fulminanti. Primo: ‘Dobbiamo iniziare a riconoscere che il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti il 2014 è un obiettivo irrealistico’. Secondo: ‘Gli Stati Uniti non credono che l’adesione alla Nato per l’Ucraina sia un risultato realistico di una soluzione negoziata”.

Si è così finalmente aperta, nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, la strada del negoziato che, ricordiamo, era stata esclusa per legge da Zelensky. Un percorso iniziato dopo centinaia di migliaia di morti, nonostante già nel novembre del 2022 “il gen. Mark Milley, aveva considerato che ‘nessuna delle due parti, né Ucraina né Russia, era in grado di vincere la guerra’ e aveva ammonito che, ‘il conflitto poteva concludersi soltanto attraverso un tavolo negoziale”.

Secondo Gallo “Le parole del Segretario alla Difesa americano, non ci dicono nulla che non sapessimo già ma svelano l’inganno costruito dai camerieri della Nato ai vertici delle Nazioni europee e dell’Unione europea e ci rivelano l’indecenza e la disonestà di una politica fondata sul miraggio di una vittoria promessa, che tutti sapevano irrealizzabile. Il Re è nudo”.

Anche per questo bisogna mobilitare l’opinione pubblica, in maggioranza favorevole alla fine del conflitto, a fronte di un Parlamento italiano quasi all’unisono per la guerra, perché, coerentemente con la nostra Costituzione, si ponga fine alla demonizzazione del ‘nemico’ e si avvii un percorso di pace.

argocatania

Redazione Sicilia

Ucraina: “il rischio della pace”

Rilanciamo dalle pagine di Volere la Luna l’articolo di Domenico Gallo, pubblicando un ampio stralcio dello straordinario contributo del magistrato emerito  già presidente di sezione della Corte di cassazione, da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace , un intervento con il quale si fa chiarezza sulla crisi dei rapporti USA/UE insorta a seguito dell’apertura trumpiana del negoziato di pace con Putin, per porre fine alla guerra Russia/Ucraina dopo tre anni di distruzioni e sanguinosi lutti[accì]

Sembra incredibile ma è vero. Di fronte al negoziato intrapreso da USA e Russia con l’obiettivo di porre fine al più presto a una inutile strage perpetrata per tre anni, che ha causato – sui due fronti – oltre un milione di morti, sofferenze inenarrabili, devastazioni incommensurabili e che ci ha portato sull’orlo di un conflitto nucleare, le Cancellerie dei paesi europei, i vertici dell’UE, i leader politici e il sistema dei media mainstream, vivono la prospettiva della fine dei combattimenti come un disastro politico che scompagina tutti i loro piani. Piani che puntavano al prolungamento e all’escalation della guerra, fino al punto da considerare inevitabile un conflitto armato diretto con la Russia, al quale la NATO e l’UE a trazione baltica ci stavano preparando.

Certamente è sconvolgente il rapido cambiamento di rotta che Trump ha imposto a un indirizzo politico consolidato nel tempo che aveva attribuito alla Russia il ruolo del nemico da indebolire e da umiliare con sanzioni e guerre di logoramento. Se due potenze nucleari che hanno la capacità di distruggersi a vicenda e di distruggere il resto del mondo, dopo essersi combattute duramente per interposta persona (Ucraina), decidono di sotterrare l’ascia di guerra, questa nuova situazione dovrebbe essere accolta con entusiasmo, così come una volta, quando c’era la guerra fredda, fu accolto con un sospiro di sollievo l’accordo fra Kennedy e Kruscev che pose fine alla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Fa specie la brutalità con cui Trump ha liquidato Zelensky attribuendogli la responsabilità di non aver impedito lo scoppio della guerra e di non averla fermata. In realtà Zelensky, pur essendo un attore comico, ha giocato il ruolo tragico che gli hanno attribuito Biden e la NATO; è stato un servitore fedele delle direttive ricevute d’oltreoceano. Adesso che il suo servizio non serve più, viene messo alla porta senza tanti complimenti. La stessa cosa succede ai camerieri europei della NATO che sono stati svergognati proprio da quella casa madre che avevano servito con “furore atlantico”, specialmente in Italia dove c’è stata una competizione fra il PD e la Meloni per la primazia sul sostegno militare (e politico) al governo Zelensky. «È disonesto affermare che l’Ucraina sia in grado di distruggere la Russia sul campo di battaglia e tornare a una situazione pre-2014», così si è espresso Marc Rubio qualche giorno fa a Bruxelles dinanzi agli attoniti atlantisti europei. Il nuovo Segretario di Stato non ha contestato ai leader europei una previsione sbagliata sull’andamento della guerra. Ha detto qualcosa in più: ha messo in evidenza la mala fede del dogma che ha fin qui guidato la politica europea e spinto l’Ucraina verso la propria autodistruzione.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò nel marzo dell’anno scorso quando Papa Francesco esortò l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca (…) Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». In perfetta malafede i disonesti leader europei hanno continuato imperturbabili a istigare l’Ucraina a combattere fino alla “vittoria”.

Ovviamente la svolta di Trump non è guidata dai sentimenti umanitari del Papa ma da ragioni di opportunità e di affari. Gli USA hanno ottenuto dalla guerra tutto quello che potevano ottenere e non hanno interesse a continuare un conflitto che non possono vincere. Hanno ottenuto una separazione netta dell’economia europea dalla Russia, hanno costretto l’Europa a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più, hanno ottenuto un forte incremento della spesa militare europea a tutto vantaggio delle industrie belliche americane. Adesso possono tirare i fili del debito estero creato dalla guerra e depredare l’Ucraina delle sue risorse minerarie, le cosiddette terre rare. Ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, ponendo finalmente termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Al contrario, il viaggio a Kiev di Ursula Von der Leyen, scortata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e da Pedro Sanchez, per ribadire il sostegno politico e militare a Zelensky in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa, ci fa capire che i vertici dell’UE non vogliono rassegnarsi alla fine della guerra, come quei soldati giapponesi che sono rimasti per quarant’anni nascosti nella giungla per continuare a combattere. In perfetta coerenza con questo orientamento di guerra ad oltranza il Consiglio esteri, presieduto da Kaja Kallas ha deliberato il sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Di fronte a queste novità sconvolgenti, non possiamo far finta di non vedere: è evidente che ci troviamo in una fase di passaggio d’epoca, come lo fu – sotto altri aspetti – l’89, quando l’abbattimento del muro di Berlino segnò la fine della guerra fredda. Nelle fasi di passaggio si aprono grandi opportunità di cambiamento, ma bisogna coglierle al volo prima che gli orizzonti si richiudano di nuovo.

leggi articolo integrale su volerelaluna

Redazione Italia

Guerra in Ucraina, il Re è nudo

Gli eventi degli ultimi giorni, e in particolare il drammatico faccia a faccia tra Trump e Zelensky, hanno riportato alla ribalta la difficoltà di sciogliere il nodo della guerra in Ucraina.

Paradossalmente il presidente Usa si presenta oggi come colui che può chiudere il conflitto, ma chiede in cambio mano libera nello sfruttamento delle risorse del paese che i suoi predecessori hanno generosamente finanziato.

Con la brutalità che caratterizza il suo linguaggio, Trump dichiara esplicitamente che l’interesse economico statunitense sta alla base delle sue scelte politiche, senza ammantarle delle giustificazioni moralistiche utilizzate dai suoi predecessori, come l’esportazione o la difesa della democrazia.

Qualche giorno fa, a Catania, si è parlato di guerra e in particolare di Ucraina, alla Camera del Lavoro, in occasione della presentazione della campagna nazionale “Centomila no alle guerre”, a cura dell’associazione “Il coraggio della pace”.

All’evento è stato invitato l’ex magistrato ed ex senatore della Repubblica Domenico Gallo, che da tempo sostiene con fermezza – anche se non la pacatezza che lo contraddistingue – una sua lettura di questa guerra.

Sulla base della ricostruzione storica dei rapporti esistenti tra Usa e Unione Sovietica (sostituita poi dalla Federazione Russa), e dell’evoluzione subita dalla Nato, Gallo individua come momento di svolta la decisione dell’amministrazione Clinton di rilanciare – infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov – la Nato nei paesi dell’Est europeo.

Da allora gli eventi sono precipitati fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che Gallo considera un enorme errore politico oltre che una violazione del diritto internazionale.

Nell’introdurre la discussione Luca Cangemi, come scrive Pinella Leocata, ha sottolineato che con le dichiarazioni di Trump si è determinato “un terremoto politico all’interno del quale precipita anche la crisi italiana con la posizione del Presidente Mattarella grave dal punto di vista storico e politico”, ma anche la possibilità di ottenere quantomeno un cessate il fuoco.

Paradossalmente, l’Unione Europea, all’interno della quale è prevalso il partito unico della guerra, guarda a questa prospettiva con sgomento e terrore, come se il numero dei morti, di una guerra che ricorda i conflitti del passato, e in particolare il primo conflitto mondiale, non avesse ampiamente superato anche le più negative delle previsioni.

La guerra non sarebbe dovuta scoppiare, ricorda Gallo, “perché è la questione dell’allargamento della Nato all’Ucraina che ha costituito il casus bellicome riconosciuto dallo stesso Segretario generale della Nato. Infatti, nel corso di una audizione al Parlamento europeo, il 7 settembre 2023, Stoltenberg, ha ammesso che la Russia voleva trattare, precisando che il blocco di ogni ulteriore allargamento della Nato ‘era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina’. Ebbene, pur di poter piantare la bandierina della Nato in Ucraina, gli Usa e gli stolti leader europei, hanno preferito la guerra al negoziato e se ne sono pure vantati”.

Nella convinzione che la Russia non avesse né la forza militare, né quella economica (grazie anche alle sanzioni europee) per sostenere un lungo conflitto, nel quale, peraltro, anche gli ucraini hanno mandato al massacro la propria gioventù.

Conseguentemente, in tante risoluzioni del Parlamento Europeo si è costantemente ribadito che i confini ucraini avrebbero dovuto comprendere Crimea e Donbass e che per ottenere questo obiettivo era necessaria una fornitura costante di armi, sottraendo, inoltre, ingenti somme alle spese sociali e contribuendo alla crisi economica della stessa Unione, costretta -tra l’altro – a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più.

Nel frattempo, quasi tutti i mezzi di comunicazione denunciavano come putiniani tutti coloro che si opponevano alla guerra, e prospettavano l’esistenza di una minaccia russa che solo la Nato poteva contrastare, altrimenti ‘i russi sarebbero arrivati sino in Portogallo’…

Non sorprende, quindi, che le ultime prese di posizione degli Usa abbiamo decisamente spiazzato gli europei. “Il 12 febbraio – ha sottolineato Gallo – Hegseth ha rovesciato i dogmi che hanno guidato fin qui il partito unico della guerra con due osservazioni fulminanti. Primo: ‘Dobbiamo iniziare a riconoscere che il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti il 2014 è un obiettivo irrealistico’. Secondo: ‘Gli Stati Uniti non credono che l’adesione alla Nato per l’Ucraina sia un risultato realistico di una soluzione negoziata”.

Si è così finalmente aperta, nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, la strada del negoziato che, ricordiamo, era stata esclusa per legge da Zelensky. Un percorso iniziato dopo centinaia di migliaia di morti, nonostante già nel novembre del 2022 “il gen. Mark Milley, aveva considerato che ‘nessuna delle due parti, né Ucraina né Russia, era in grado di vincere la guerra’ e aveva ammonito che, ‘il conflitto poteva concludersi soltanto attraverso un tavolo negoziale”.

Secondo Gallo “Le parole del Segretario alla Difesa americano, non ci dicono nulla che non sapessimo già ma svelano l’inganno costruito dai camerieri della Nato ai vertici delle Nazioni europee e dell’Unione europea e ci rivelano l’indecenza e la disonestà di una politica fondata sul miraggio di una vittoria promessa, che tutti sapevano irrealizzabile. Il Re è nudo”.

Anche per questo bisogna mobilitare l’opinione pubblica, in maggioranza favorevole alla fine del conflitto, a fronte di un Parlamento italiano quasi all’unisono per la guerra, perché, coerentemente con la nostra Costituzione, si ponga fine alla demonizzazione del ‘nemico’ e si avvii un percorso di pace.

argocatania

Redazione Sicilia

Ucraina: “il rischio della pace”

Rilanciamo dalle pagine di Volere la Luna l’articolo di Domenico Gallo, pubblicando un ampio stralcio dello straordinario contributo del magistrato emerito  già presidente di sezione della Corte di cassazione, da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace , un intervento con il quale si fa chiarezza sulla crisi dei rapporti USA/UE insorta a seguito dell’apertura trumpiana del negoziato di pace con Putin, per porre fine alla guerra Russia/Ucraina dopo tre anni di distruzioni e sanguinosi lutti[accì]

Sembra incredibile ma è vero. Di fronte al negoziato intrapreso da USA e Russia con l’obiettivo di porre fine al più presto a una inutile strage perpetrata per tre anni, che ha causato – sui due fronti – oltre un milione di morti, sofferenze inenarrabili, devastazioni incommensurabili e che ci ha portato sull’orlo di un conflitto nucleare, le Cancellerie dei paesi europei, i vertici dell’UE, i leader politici e il sistema dei media mainstream, vivono la prospettiva della fine dei combattimenti come un disastro politico che scompagina tutti i loro piani. Piani che puntavano al prolungamento e all’escalation della guerra, fino al punto da considerare inevitabile un conflitto armato diretto con la Russia, al quale la NATO e l’UE a trazione baltica ci stavano preparando.

Certamente è sconvolgente il rapido cambiamento di rotta che Trump ha imposto a un indirizzo politico consolidato nel tempo che aveva attribuito alla Russia il ruolo del nemico da indebolire e da umiliare con sanzioni e guerre di logoramento. Se due potenze nucleari che hanno la capacità di distruggersi a vicenda e di distruggere il resto del mondo, dopo essersi combattute duramente per interposta persona (Ucraina), decidono di sotterrare l’ascia di guerra, questa nuova situazione dovrebbe essere accolta con entusiasmo, così come una volta, quando c’era la guerra fredda, fu accolto con un sospiro di sollievo l’accordo fra Kennedy e Kruscev che pose fine alla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Fa specie la brutalità con cui Trump ha liquidato Zelensky attribuendogli la responsabilità di non aver impedito lo scoppio della guerra e di non averla fermata. In realtà Zelensky, pur essendo un attore comico, ha giocato il ruolo tragico che gli hanno attribuito Biden e la NATO; è stato un servitore fedele delle direttive ricevute d’oltreoceano. Adesso che il suo servizio non serve più, viene messo alla porta senza tanti complimenti. La stessa cosa succede ai camerieri europei della NATO che sono stati svergognati proprio da quella casa madre che avevano servito con “furore atlantico”, specialmente in Italia dove c’è stata una competizione fra il PD e la Meloni per la primazia sul sostegno militare (e politico) al governo Zelensky. «È disonesto affermare che l’Ucraina sia in grado di distruggere la Russia sul campo di battaglia e tornare a una situazione pre-2014», così si è espresso Marc Rubio qualche giorno fa a Bruxelles dinanzi agli attoniti atlantisti europei. Il nuovo Segretario di Stato non ha contestato ai leader europei una previsione sbagliata sull’andamento della guerra. Ha detto qualcosa in più: ha messo in evidenza la mala fede del dogma che ha fin qui guidato la politica europea e spinto l’Ucraina verso la propria autodistruzione.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò nel marzo dell’anno scorso quando Papa Francesco esortò l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca (…) Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». In perfetta malafede i disonesti leader europei hanno continuato imperturbabili a istigare l’Ucraina a combattere fino alla “vittoria”.

Ovviamente la svolta di Trump non è guidata dai sentimenti umanitari del Papa ma da ragioni di opportunità e di affari. Gli USA hanno ottenuto dalla guerra tutto quello che potevano ottenere e non hanno interesse a continuare un conflitto che non possono vincere. Hanno ottenuto una separazione netta dell’economia europea dalla Russia, hanno costretto l’Europa a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più, hanno ottenuto un forte incremento della spesa militare europea a tutto vantaggio delle industrie belliche americane. Adesso possono tirare i fili del debito estero creato dalla guerra e depredare l’Ucraina delle sue risorse minerarie, le cosiddette terre rare. Ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, ponendo finalmente termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Al contrario, il viaggio a Kiev di Ursula Von der Leyen, scortata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e da Pedro Sanchez, per ribadire il sostegno politico e militare a Zelensky in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa, ci fa capire che i vertici dell’UE non vogliono rassegnarsi alla fine della guerra, come quei soldati giapponesi che sono rimasti per quarant’anni nascosti nella giungla per continuare a combattere. In perfetta coerenza con questo orientamento di guerra ad oltranza il Consiglio esteri, presieduto da Kaja Kallas ha deliberato il sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Di fronte a queste novità sconvolgenti, non possiamo far finta di non vedere: è evidente che ci troviamo in una fase di passaggio d’epoca, come lo fu – sotto altri aspetti – l’89, quando l’abbattimento del muro di Berlino segnò la fine della guerra fredda. Nelle fasi di passaggio si aprono grandi opportunità di cambiamento, ma bisogna coglierle al volo prima che gli orizzonti si richiudano di nuovo.

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Redazione Italia

Guerra in Ucraina, il Re è nudo

Gli eventi degli ultimi giorni, e in particolare il drammatico faccia a faccia tra Trump e Zelensky, hanno riportato alla ribalta la difficoltà di sciogliere il nodo della guerra in Ucraina.

Paradossalmente il presidente Usa si presenta oggi come colui che può chiudere il conflitto, ma chiede in cambio mano libera nello sfruttamento delle risorse del paese che i suoi predecessori hanno generosamente finanziato.

Con la brutalità che caratterizza il suo linguaggio, Trump dichiara esplicitamente che l’interesse economico statunitense sta alla base delle sue scelte politiche, senza ammantarle delle giustificazioni moralistiche utilizzate dai suoi predecessori, come l’esportazione o la difesa della democrazia.

Qualche giorno fa, a Catania, si è parlato di guerra e in particolare di Ucraina, alla Camera del Lavoro, in occasione della presentazione della campagna nazionale “Centomila no alle guerre”, a cura dell’associazione “Il coraggio della pace”.

All’evento è stato invitato l’ex magistrato ed ex senatore della Repubblica Domenico Gallo, che da tempo sostiene con fermezza – anche se non la pacatezza che lo contraddistingue – una sua lettura di questa guerra.

Sulla base della ricostruzione storica dei rapporti esistenti tra Usa e Unione Sovietica (sostituita poi dalla Federazione Russa), e dell’evoluzione subita dalla Nato, Gallo individua come momento di svolta la decisione dell’amministrazione Clinton di rilanciare – infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov – la Nato nei paesi dell’Est europeo.

Da allora gli eventi sono precipitati fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che Gallo considera un enorme errore politico oltre che una violazione del diritto internazionale.

Nell’introdurre la discussione Luca Cangemi, come scrive Pinella Leocata, ha sottolineato che con le dichiarazioni di Trump si è determinato “un terremoto politico all’interno del quale precipita anche la crisi italiana con la posizione del Presidente Mattarella grave dal punto di vista storico e politico”, ma anche la possibilità di ottenere quantomeno un cessate il fuoco.

Paradossalmente, l’Unione Europea, all’interno della quale è prevalso il partito unico della guerra, guarda a questa prospettiva con sgomento e terrore, come se il numero dei morti, di una guerra che ricorda i conflitti del passato, e in particolare il primo conflitto mondiale, non avesse ampiamente superato anche le più negative delle previsioni.

La guerra non sarebbe dovuta scoppiare, ricorda Gallo, “perché è la questione dell’allargamento della Nato all’Ucraina che ha costituito il casus bellicome riconosciuto dallo stesso Segretario generale della Nato. Infatti, nel corso di una audizione al Parlamento europeo, il 7 settembre 2023, Stoltenberg, ha ammesso che la Russia voleva trattare, precisando che il blocco di ogni ulteriore allargamento della Nato ‘era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina’. Ebbene, pur di poter piantare la bandierina della Nato in Ucraina, gli Usa e gli stolti leader europei, hanno preferito la guerra al negoziato e se ne sono pure vantati”.

Nella convinzione che la Russia non avesse né la forza militare, né quella economica (grazie anche alle sanzioni europee) per sostenere un lungo conflitto, nel quale, peraltro, anche gli ucraini hanno mandato al massacro la propria gioventù.

Conseguentemente, in tante risoluzioni del Parlamento Europeo si è costantemente ribadito che i confini ucraini avrebbero dovuto comprendere Crimea e Donbass e che per ottenere questo obiettivo era necessaria una fornitura costante di armi, sottraendo, inoltre, ingenti somme alle spese sociali e contribuendo alla crisi economica della stessa Unione, costretta -tra l’altro – a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più.

Nel frattempo, quasi tutti i mezzi di comunicazione denunciavano come putiniani tutti coloro che si opponevano alla guerra, e prospettavano l’esistenza di una minaccia russa che solo la Nato poteva contrastare, altrimenti ‘i russi sarebbero arrivati sino in Portogallo’…

Non sorprende, quindi, che le ultime prese di posizione degli Usa abbiamo decisamente spiazzato gli europei. “Il 12 febbraio – ha sottolineato Gallo – Hegseth ha rovesciato i dogmi che hanno guidato fin qui il partito unico della guerra con due osservazioni fulminanti. Primo: ‘Dobbiamo iniziare a riconoscere che il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti il 2014 è un obiettivo irrealistico’. Secondo: ‘Gli Stati Uniti non credono che l’adesione alla Nato per l’Ucraina sia un risultato realistico di una soluzione negoziata”.

Si è così finalmente aperta, nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, la strada del negoziato che, ricordiamo, era stata esclusa per legge da Zelensky. Un percorso iniziato dopo centinaia di migliaia di morti, nonostante già nel novembre del 2022 “il gen. Mark Milley, aveva considerato che ‘nessuna delle due parti, né Ucraina né Russia, era in grado di vincere la guerra’ e aveva ammonito che, ‘il conflitto poteva concludersi soltanto attraverso un tavolo negoziale”.

Secondo Gallo “Le parole del Segretario alla Difesa americano, non ci dicono nulla che non sapessimo già ma svelano l’inganno costruito dai camerieri della Nato ai vertici delle Nazioni europee e dell’Unione europea e ci rivelano l’indecenza e la disonestà di una politica fondata sul miraggio di una vittoria promessa, che tutti sapevano irrealizzabile. Il Re è nudo”.

Anche per questo bisogna mobilitare l’opinione pubblica, in maggioranza favorevole alla fine del conflitto, a fronte di un Parlamento italiano quasi all’unisono per la guerra, perché, coerentemente con la nostra Costituzione, si ponga fine alla demonizzazione del ‘nemico’ e si avvii un percorso di pace.

argocatania

Redazione Sicilia

Ucraina: “il rischio della pace”

Rilanciamo dalle pagine di Volere la Luna l’articolo di Domenico Gallo, pubblicando un ampio stralcio dello straordinario contributo del magistrato emerito  già presidente di sezione della Corte di cassazione, da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace , un intervento con il quale si fa chiarezza sulla crisi dei rapporti USA/UE insorta a seguito dell’apertura trumpiana del negoziato di pace con Putin, per porre fine alla guerra Russia/Ucraina dopo tre anni di distruzioni e sanguinosi lutti[accì]

Sembra incredibile ma è vero. Di fronte al negoziato intrapreso da USA e Russia con l’obiettivo di porre fine al più presto a una inutile strage perpetrata per tre anni, che ha causato – sui due fronti – oltre un milione di morti, sofferenze inenarrabili, devastazioni incommensurabili e che ci ha portato sull’orlo di un conflitto nucleare, le Cancellerie dei paesi europei, i vertici dell’UE, i leader politici e il sistema dei media mainstream, vivono la prospettiva della fine dei combattimenti come un disastro politico che scompagina tutti i loro piani. Piani che puntavano al prolungamento e all’escalation della guerra, fino al punto da considerare inevitabile un conflitto armato diretto con la Russia, al quale la NATO e l’UE a trazione baltica ci stavano preparando.

Certamente è sconvolgente il rapido cambiamento di rotta che Trump ha imposto a un indirizzo politico consolidato nel tempo che aveva attribuito alla Russia il ruolo del nemico da indebolire e da umiliare con sanzioni e guerre di logoramento. Se due potenze nucleari che hanno la capacità di distruggersi a vicenda e di distruggere il resto del mondo, dopo essersi combattute duramente per interposta persona (Ucraina), decidono di sotterrare l’ascia di guerra, questa nuova situazione dovrebbe essere accolta con entusiasmo, così come una volta, quando c’era la guerra fredda, fu accolto con un sospiro di sollievo l’accordo fra Kennedy e Kruscev che pose fine alla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Fa specie la brutalità con cui Trump ha liquidato Zelensky attribuendogli la responsabilità di non aver impedito lo scoppio della guerra e di non averla fermata. In realtà Zelensky, pur essendo un attore comico, ha giocato il ruolo tragico che gli hanno attribuito Biden e la NATO; è stato un servitore fedele delle direttive ricevute d’oltreoceano. Adesso che il suo servizio non serve più, viene messo alla porta senza tanti complimenti. La stessa cosa succede ai camerieri europei della NATO che sono stati svergognati proprio da quella casa madre che avevano servito con “furore atlantico”, specialmente in Italia dove c’è stata una competizione fra il PD e la Meloni per la primazia sul sostegno militare (e politico) al governo Zelensky. «È disonesto affermare che l’Ucraina sia in grado di distruggere la Russia sul campo di battaglia e tornare a una situazione pre-2014», così si è espresso Marc Rubio qualche giorno fa a Bruxelles dinanzi agli attoniti atlantisti europei. Il nuovo Segretario di Stato non ha contestato ai leader europei una previsione sbagliata sull’andamento della guerra. Ha detto qualcosa in più: ha messo in evidenza la mala fede del dogma che ha fin qui guidato la politica europea e spinto l’Ucraina verso la propria autodistruzione.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò nel marzo dell’anno scorso quando Papa Francesco esortò l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca (…) Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». In perfetta malafede i disonesti leader europei hanno continuato imperturbabili a istigare l’Ucraina a combattere fino alla “vittoria”.

Ovviamente la svolta di Trump non è guidata dai sentimenti umanitari del Papa ma da ragioni di opportunità e di affari. Gli USA hanno ottenuto dalla guerra tutto quello che potevano ottenere e non hanno interesse a continuare un conflitto che non possono vincere. Hanno ottenuto una separazione netta dell’economia europea dalla Russia, hanno costretto l’Europa a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più, hanno ottenuto un forte incremento della spesa militare europea a tutto vantaggio delle industrie belliche americane. Adesso possono tirare i fili del debito estero creato dalla guerra e depredare l’Ucraina delle sue risorse minerarie, le cosiddette terre rare. Ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, ponendo finalmente termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Al contrario, il viaggio a Kiev di Ursula Von der Leyen, scortata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e da Pedro Sanchez, per ribadire il sostegno politico e militare a Zelensky in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa, ci fa capire che i vertici dell’UE non vogliono rassegnarsi alla fine della guerra, come quei soldati giapponesi che sono rimasti per quarant’anni nascosti nella giungla per continuare a combattere. In perfetta coerenza con questo orientamento di guerra ad oltranza il Consiglio esteri, presieduto da Kaja Kallas ha deliberato il sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Di fronte a queste novità sconvolgenti, non possiamo far finta di non vedere: è evidente che ci troviamo in una fase di passaggio d’epoca, come lo fu – sotto altri aspetti – l’89, quando l’abbattimento del muro di Berlino segnò la fine della guerra fredda. Nelle fasi di passaggio si aprono grandi opportunità di cambiamento, ma bisogna coglierle al volo prima che gli orizzonti si richiudano di nuovo.

leggi articolo integrale su volerelaluna

Redazione Italia

Guerra in Ucraina, il Re è nudo

Gli eventi degli ultimi giorni, e in particolare il drammatico faccia a faccia tra Trump e Zelensky, hanno riportato alla ribalta la difficoltà di sciogliere il nodo della guerra in Ucraina.

Paradossalmente il presidente Usa si presenta oggi come colui che può chiudere il conflitto, ma chiede in cambio mano libera nello sfruttamento delle risorse del paese che i suoi predecessori hanno generosamente finanziato.

Con la brutalità che caratterizza il suo linguaggio, Trump dichiara esplicitamente che l’interesse economico statunitense sta alla base delle sue scelte politiche, senza ammantarle delle giustificazioni moralistiche utilizzate dai suoi predecessori, come l’esportazione o la difesa della democrazia.

Qualche giorno fa, a Catania, si è parlato di guerra e in particolare di Ucraina, alla Camera del Lavoro, in occasione della presentazione della campagna nazionale “Centomila no alle guerre”, a cura dell’associazione “Il coraggio della pace”.

All’evento è stato invitato l’ex magistrato ed ex senatore della Repubblica Domenico Gallo, che da tempo sostiene con fermezza – anche se non la pacatezza che lo contraddistingue – una sua lettura di questa guerra.

Sulla base della ricostruzione storica dei rapporti esistenti tra Usa e Unione Sovietica (sostituita poi dalla Federazione Russa), e dell’evoluzione subita dalla Nato, Gallo individua come momento di svolta la decisione dell’amministrazione Clinton di rilanciare – infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov – la Nato nei paesi dell’Est europeo.

Da allora gli eventi sono precipitati fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che Gallo considera un enorme errore politico oltre che una violazione del diritto internazionale.

Nell’introdurre la discussione Luca Cangemi, come scrive Pinella Leocata, ha sottolineato che con le dichiarazioni di Trump si è determinato “un terremoto politico all’interno del quale precipita anche la crisi italiana con la posizione del Presidente Mattarella grave dal punto di vista storico e politico”, ma anche la possibilità di ottenere quantomeno un cessate il fuoco.

Paradossalmente, l’Unione Europea, all’interno della quale è prevalso il partito unico della guerra, guarda a questa prospettiva con sgomento e terrore, come se il numero dei morti, di una guerra che ricorda i conflitti del passato, e in particolare il primo conflitto mondiale, non avesse ampiamente superato anche le più negative delle previsioni.

La guerra non sarebbe dovuta scoppiare, ricorda Gallo, “perché è la questione dell’allargamento della Nato all’Ucraina che ha costituito il casus bellicome riconosciuto dallo stesso Segretario generale della Nato. Infatti, nel corso di una audizione al Parlamento europeo, il 7 settembre 2023, Stoltenberg, ha ammesso che la Russia voleva trattare, precisando che il blocco di ogni ulteriore allargamento della Nato ‘era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina’. Ebbene, pur di poter piantare la bandierina della Nato in Ucraina, gli Usa e gli stolti leader europei, hanno preferito la guerra al negoziato e se ne sono pure vantati”.

Nella convinzione che la Russia non avesse né la forza militare, né quella economica (grazie anche alle sanzioni europee) per sostenere un lungo conflitto, nel quale, peraltro, anche gli ucraini hanno mandato al massacro la propria gioventù.

Conseguentemente, in tante risoluzioni del Parlamento Europeo si è costantemente ribadito che i confini ucraini avrebbero dovuto comprendere Crimea e Donbass e che per ottenere questo obiettivo era necessaria una fornitura costante di armi, sottraendo, inoltre, ingenti somme alle spese sociali e contribuendo alla crisi economica della stessa Unione, costretta -tra l’altro – a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più.

Nel frattempo, quasi tutti i mezzi di comunicazione denunciavano come putiniani tutti coloro che si opponevano alla guerra, e prospettavano l’esistenza di una minaccia russa che solo la Nato poteva contrastare, altrimenti ‘i russi sarebbero arrivati sino in Portogallo’…

Non sorprende, quindi, che le ultime prese di posizione degli Usa abbiamo decisamente spiazzato gli europei. “Il 12 febbraio – ha sottolineato Gallo – Hegseth ha rovesciato i dogmi che hanno guidato fin qui il partito unico della guerra con due osservazioni fulminanti. Primo: ‘Dobbiamo iniziare a riconoscere che il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti il 2014 è un obiettivo irrealistico’. Secondo: ‘Gli Stati Uniti non credono che l’adesione alla Nato per l’Ucraina sia un risultato realistico di una soluzione negoziata”.

Si è così finalmente aperta, nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, la strada del negoziato che, ricordiamo, era stata esclusa per legge da Zelensky. Un percorso iniziato dopo centinaia di migliaia di morti, nonostante già nel novembre del 2022 “il gen. Mark Milley, aveva considerato che ‘nessuna delle due parti, né Ucraina né Russia, era in grado di vincere la guerra’ e aveva ammonito che, ‘il conflitto poteva concludersi soltanto attraverso un tavolo negoziale”.

Secondo Gallo “Le parole del Segretario alla Difesa americano, non ci dicono nulla che non sapessimo già ma svelano l’inganno costruito dai camerieri della Nato ai vertici delle Nazioni europee e dell’Unione europea e ci rivelano l’indecenza e la disonestà di una politica fondata sul miraggio di una vittoria promessa, che tutti sapevano irrealizzabile. Il Re è nudo”.

Anche per questo bisogna mobilitare l’opinione pubblica, in maggioranza favorevole alla fine del conflitto, a fronte di un Parlamento italiano quasi all’unisono per la guerra, perché, coerentemente con la nostra Costituzione, si ponga fine alla demonizzazione del ‘nemico’ e si avvii un percorso di pace.

argocatania

Redazione Sicilia

Ucraina: “il rischio della pace”

Rilanciamo dalle pagine di Volere la Luna l’articolo di Domenico Gallo, pubblicando un ampio stralcio dello straordinario contributo del magistrato emerito  già presidente di sezione della Corte di cassazione, da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace , un intervento con il quale si fa chiarezza sulla crisi dei rapporti USA/UE insorta a seguito dell’apertura trumpiana del negoziato di pace con Putin, per porre fine alla guerra Russia/Ucraina dopo tre anni di distruzioni e sanguinosi lutti[accì]

Sembra incredibile ma è vero. Di fronte al negoziato intrapreso da USA e Russia con l’obiettivo di porre fine al più presto a una inutile strage perpetrata per tre anni, che ha causato – sui due fronti – oltre un milione di morti, sofferenze inenarrabili, devastazioni incommensurabili e che ci ha portato sull’orlo di un conflitto nucleare, le Cancellerie dei paesi europei, i vertici dell’UE, i leader politici e il sistema dei media mainstream, vivono la prospettiva della fine dei combattimenti come un disastro politico che scompagina tutti i loro piani. Piani che puntavano al prolungamento e all’escalation della guerra, fino al punto da considerare inevitabile un conflitto armato diretto con la Russia, al quale la NATO e l’UE a trazione baltica ci stavano preparando.

Certamente è sconvolgente il rapido cambiamento di rotta che Trump ha imposto a un indirizzo politico consolidato nel tempo che aveva attribuito alla Russia il ruolo del nemico da indebolire e da umiliare con sanzioni e guerre di logoramento. Se due potenze nucleari che hanno la capacità di distruggersi a vicenda e di distruggere il resto del mondo, dopo essersi combattute duramente per interposta persona (Ucraina), decidono di sotterrare l’ascia di guerra, questa nuova situazione dovrebbe essere accolta con entusiasmo, così come una volta, quando c’era la guerra fredda, fu accolto con un sospiro di sollievo l’accordo fra Kennedy e Kruscev che pose fine alla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Fa specie la brutalità con cui Trump ha liquidato Zelensky attribuendogli la responsabilità di non aver impedito lo scoppio della guerra e di non averla fermata. In realtà Zelensky, pur essendo un attore comico, ha giocato il ruolo tragico che gli hanno attribuito Biden e la NATO; è stato un servitore fedele delle direttive ricevute d’oltreoceano. Adesso che il suo servizio non serve più, viene messo alla porta senza tanti complimenti. La stessa cosa succede ai camerieri europei della NATO che sono stati svergognati proprio da quella casa madre che avevano servito con “furore atlantico”, specialmente in Italia dove c’è stata una competizione fra il PD e la Meloni per la primazia sul sostegno militare (e politico) al governo Zelensky. «È disonesto affermare che l’Ucraina sia in grado di distruggere la Russia sul campo di battaglia e tornare a una situazione pre-2014», così si è espresso Marc Rubio qualche giorno fa a Bruxelles dinanzi agli attoniti atlantisti europei. Il nuovo Segretario di Stato non ha contestato ai leader europei una previsione sbagliata sull’andamento della guerra. Ha detto qualcosa in più: ha messo in evidenza la mala fede del dogma che ha fin qui guidato la politica europea e spinto l’Ucraina verso la propria autodistruzione.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò nel marzo dell’anno scorso quando Papa Francesco esortò l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca (…) Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». In perfetta malafede i disonesti leader europei hanno continuato imperturbabili a istigare l’Ucraina a combattere fino alla “vittoria”.

Ovviamente la svolta di Trump non è guidata dai sentimenti umanitari del Papa ma da ragioni di opportunità e di affari. Gli USA hanno ottenuto dalla guerra tutto quello che potevano ottenere e non hanno interesse a continuare un conflitto che non possono vincere. Hanno ottenuto una separazione netta dell’economia europea dalla Russia, hanno costretto l’Europa a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più, hanno ottenuto un forte incremento della spesa militare europea a tutto vantaggio delle industrie belliche americane. Adesso possono tirare i fili del debito estero creato dalla guerra e depredare l’Ucraina delle sue risorse minerarie, le cosiddette terre rare. Ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, ponendo finalmente termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Al contrario, il viaggio a Kiev di Ursula Von der Leyen, scortata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e da Pedro Sanchez, per ribadire il sostegno politico e militare a Zelensky in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa, ci fa capire che i vertici dell’UE non vogliono rassegnarsi alla fine della guerra, come quei soldati giapponesi che sono rimasti per quarant’anni nascosti nella giungla per continuare a combattere. In perfetta coerenza con questo orientamento di guerra ad oltranza il Consiglio esteri, presieduto da Kaja Kallas ha deliberato il sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Di fronte a queste novità sconvolgenti, non possiamo far finta di non vedere: è evidente che ci troviamo in una fase di passaggio d’epoca, come lo fu – sotto altri aspetti – l’89, quando l’abbattimento del muro di Berlino segnò la fine della guerra fredda. Nelle fasi di passaggio si aprono grandi opportunità di cambiamento, ma bisogna coglierle al volo prima che gli orizzonti si richiudano di nuovo.

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Redazione Italia

Guerra in Ucraina, il Re è nudo

Gli eventi degli ultimi giorni, e in particolare il drammatico faccia a faccia tra Trump e Zelensky, hanno riportato alla ribalta la difficoltà di sciogliere il nodo della guerra in Ucraina.

Paradossalmente il presidente Usa si presenta oggi come colui che può chiudere il conflitto, ma chiede in cambio mano libera nello sfruttamento delle risorse del paese che i suoi predecessori hanno generosamente finanziato.

Con la brutalità che caratterizza il suo linguaggio, Trump dichiara esplicitamente che l’interesse economico statunitense sta alla base delle sue scelte politiche, senza ammantarle delle giustificazioni moralistiche utilizzate dai suoi predecessori, come l’esportazione o la difesa della democrazia.

Qualche giorno fa, a Catania, si è parlato di guerra e in particolare di Ucraina, alla Camera del Lavoro, in occasione della presentazione della campagna nazionale “Centomila no alle guerre”, a cura dell’associazione “Il coraggio della pace”.

All’evento è stato invitato l’ex magistrato ed ex senatore della Repubblica Domenico Gallo, che da tempo sostiene con fermezza – anche se non la pacatezza che lo contraddistingue – una sua lettura di questa guerra.

Sulla base della ricostruzione storica dei rapporti esistenti tra Usa e Unione Sovietica (sostituita poi dalla Federazione Russa), e dell’evoluzione subita dalla Nato, Gallo individua come momento di svolta la decisione dell’amministrazione Clinton di rilanciare – infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov – la Nato nei paesi dell’Est europeo.

Da allora gli eventi sono precipitati fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che Gallo considera un enorme errore politico oltre che una violazione del diritto internazionale.

Nell’introdurre la discussione Luca Cangemi, come scrive Pinella Leocata, ha sottolineato che con le dichiarazioni di Trump si è determinato “un terremoto politico all’interno del quale precipita anche la crisi italiana con la posizione del Presidente Mattarella grave dal punto di vista storico e politico”, ma anche la possibilità di ottenere quantomeno un cessate il fuoco.

Paradossalmente, l’Unione Europea, all’interno della quale è prevalso il partito unico della guerra, guarda a questa prospettiva con sgomento e terrore, come se il numero dei morti, di una guerra che ricorda i conflitti del passato, e in particolare il primo conflitto mondiale, non avesse ampiamente superato anche le più negative delle previsioni.

La guerra non sarebbe dovuta scoppiare, ricorda Gallo, “perché è la questione dell’allargamento della Nato all’Ucraina che ha costituito il casus bellicome riconosciuto dallo stesso Segretario generale della Nato. Infatti, nel corso di una audizione al Parlamento europeo, il 7 settembre 2023, Stoltenberg, ha ammesso che la Russia voleva trattare, precisando che il blocco di ogni ulteriore allargamento della Nato ‘era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina’. Ebbene, pur di poter piantare la bandierina della Nato in Ucraina, gli Usa e gli stolti leader europei, hanno preferito la guerra al negoziato e se ne sono pure vantati”.

Nella convinzione che la Russia non avesse né la forza militare, né quella economica (grazie anche alle sanzioni europee) per sostenere un lungo conflitto, nel quale, peraltro, anche gli ucraini hanno mandato al massacro la propria gioventù.

Conseguentemente, in tante risoluzioni del Parlamento Europeo si è costantemente ribadito che i confini ucraini avrebbero dovuto comprendere Crimea e Donbass e che per ottenere questo obiettivo era necessaria una fornitura costante di armi, sottraendo, inoltre, ingenti somme alle spese sociali e contribuendo alla crisi economica della stessa Unione, costretta -tra l’altro – a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più.

Nel frattempo, quasi tutti i mezzi di comunicazione denunciavano come putiniani tutti coloro che si opponevano alla guerra, e prospettavano l’esistenza di una minaccia russa che solo la Nato poteva contrastare, altrimenti ‘i russi sarebbero arrivati sino in Portogallo’…

Non sorprende, quindi, che le ultime prese di posizione degli Usa abbiamo decisamente spiazzato gli europei. “Il 12 febbraio – ha sottolineato Gallo – Hegseth ha rovesciato i dogmi che hanno guidato fin qui il partito unico della guerra con due osservazioni fulminanti. Primo: ‘Dobbiamo iniziare a riconoscere che il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti il 2014 è un obiettivo irrealistico’. Secondo: ‘Gli Stati Uniti non credono che l’adesione alla Nato per l’Ucraina sia un risultato realistico di una soluzione negoziata”.

Si è così finalmente aperta, nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, la strada del negoziato che, ricordiamo, era stata esclusa per legge da Zelensky. Un percorso iniziato dopo centinaia di migliaia di morti, nonostante già nel novembre del 2022 “il gen. Mark Milley, aveva considerato che ‘nessuna delle due parti, né Ucraina né Russia, era in grado di vincere la guerra’ e aveva ammonito che, ‘il conflitto poteva concludersi soltanto attraverso un tavolo negoziale”.

Secondo Gallo “Le parole del Segretario alla Difesa americano, non ci dicono nulla che non sapessimo già ma svelano l’inganno costruito dai camerieri della Nato ai vertici delle Nazioni europee e dell’Unione europea e ci rivelano l’indecenza e la disonestà di una politica fondata sul miraggio di una vittoria promessa, che tutti sapevano irrealizzabile. Il Re è nudo”.

Anche per questo bisogna mobilitare l’opinione pubblica, in maggioranza favorevole alla fine del conflitto, a fronte di un Parlamento italiano quasi all’unisono per la guerra, perché, coerentemente con la nostra Costituzione, si ponga fine alla demonizzazione del ‘nemico’ e si avvii un percorso di pace.

argocatania

Redazione Sicilia

Ucraina: “il rischio della pace”

Rilanciamo dalle pagine di Volere la Luna l’articolo di Domenico Gallo, pubblicando un ampio stralcio dello straordinario contributo del magistrato emerito  già presidente di sezione della Corte di cassazione, da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace , un intervento con il quale si fa chiarezza sulla crisi dei rapporti USA/UE insorta a seguito dell’apertura trumpiana del negoziato di pace con Putin, per porre fine alla guerra Russia/Ucraina dopo tre anni di distruzioni e sanguinosi lutti[accì]

Sembra incredibile ma è vero. Di fronte al negoziato intrapreso da USA e Russia con l’obiettivo di porre fine al più presto a una inutile strage perpetrata per tre anni, che ha causato – sui due fronti – oltre un milione di morti, sofferenze inenarrabili, devastazioni incommensurabili e che ci ha portato sull’orlo di un conflitto nucleare, le Cancellerie dei paesi europei, i vertici dell’UE, i leader politici e il sistema dei media mainstream, vivono la prospettiva della fine dei combattimenti come un disastro politico che scompagina tutti i loro piani. Piani che puntavano al prolungamento e all’escalation della guerra, fino al punto da considerare inevitabile un conflitto armato diretto con la Russia, al quale la NATO e l’UE a trazione baltica ci stavano preparando.

Certamente è sconvolgente il rapido cambiamento di rotta che Trump ha imposto a un indirizzo politico consolidato nel tempo che aveva attribuito alla Russia il ruolo del nemico da indebolire e da umiliare con sanzioni e guerre di logoramento. Se due potenze nucleari che hanno la capacità di distruggersi a vicenda e di distruggere il resto del mondo, dopo essersi combattute duramente per interposta persona (Ucraina), decidono di sotterrare l’ascia di guerra, questa nuova situazione dovrebbe essere accolta con entusiasmo, così come una volta, quando c’era la guerra fredda, fu accolto con un sospiro di sollievo l’accordo fra Kennedy e Kruscev che pose fine alla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Fa specie la brutalità con cui Trump ha liquidato Zelensky attribuendogli la responsabilità di non aver impedito lo scoppio della guerra e di non averla fermata. In realtà Zelensky, pur essendo un attore comico, ha giocato il ruolo tragico che gli hanno attribuito Biden e la NATO; è stato un servitore fedele delle direttive ricevute d’oltreoceano. Adesso che il suo servizio non serve più, viene messo alla porta senza tanti complimenti. La stessa cosa succede ai camerieri europei della NATO che sono stati svergognati proprio da quella casa madre che avevano servito con “furore atlantico”, specialmente in Italia dove c’è stata una competizione fra il PD e la Meloni per la primazia sul sostegno militare (e politico) al governo Zelensky. «È disonesto affermare che l’Ucraina sia in grado di distruggere la Russia sul campo di battaglia e tornare a una situazione pre-2014», così si è espresso Marc Rubio qualche giorno fa a Bruxelles dinanzi agli attoniti atlantisti europei. Il nuovo Segretario di Stato non ha contestato ai leader europei una previsione sbagliata sull’andamento della guerra. Ha detto qualcosa in più: ha messo in evidenza la mala fede del dogma che ha fin qui guidato la politica europea e spinto l’Ucraina verso la propria autodistruzione.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò nel marzo dell’anno scorso quando Papa Francesco esortò l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca (…) Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». In perfetta malafede i disonesti leader europei hanno continuato imperturbabili a istigare l’Ucraina a combattere fino alla “vittoria”.

Ovviamente la svolta di Trump non è guidata dai sentimenti umanitari del Papa ma da ragioni di opportunità e di affari. Gli USA hanno ottenuto dalla guerra tutto quello che potevano ottenere e non hanno interesse a continuare un conflitto che non possono vincere. Hanno ottenuto una separazione netta dell’economia europea dalla Russia, hanno costretto l’Europa a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più, hanno ottenuto un forte incremento della spesa militare europea a tutto vantaggio delle industrie belliche americane. Adesso possono tirare i fili del debito estero creato dalla guerra e depredare l’Ucraina delle sue risorse minerarie, le cosiddette terre rare. Ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, ponendo finalmente termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Al contrario, il viaggio a Kiev di Ursula Von der Leyen, scortata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e da Pedro Sanchez, per ribadire il sostegno politico e militare a Zelensky in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa, ci fa capire che i vertici dell’UE non vogliono rassegnarsi alla fine della guerra, come quei soldati giapponesi che sono rimasti per quarant’anni nascosti nella giungla per continuare a combattere. In perfetta coerenza con questo orientamento di guerra ad oltranza il Consiglio esteri, presieduto da Kaja Kallas ha deliberato il sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Di fronte a queste novità sconvolgenti, non possiamo far finta di non vedere: è evidente che ci troviamo in una fase di passaggio d’epoca, come lo fu – sotto altri aspetti – l’89, quando l’abbattimento del muro di Berlino segnò la fine della guerra fredda. Nelle fasi di passaggio si aprono grandi opportunità di cambiamento, ma bisogna coglierle al volo prima che gli orizzonti si richiudano di nuovo.

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