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Cultura e Media

Una luce di creatività e speranza per i giovani rifugiati in Uganda

A Nord dell’Uganda, il Paese che ospita il numero più alto di rifugiati del continente, c’è un luogo magico dove la creatività si fonde con la speranza: il Bidi Bidi Performing Arts Centre. Questo spazio è nato nel 2022 periferia della città ugandese di Yumbe ed è stato pensato per gli oltre 250.000 rifugiati del Paese che vivono nell’insediamento per rifugiati Bidi Bidi. La maggior parte dei rifugiati proviene da Sud Sudan, RDC, Somalia, Burundi e Sudan.

Un edificio circolare circondato da alberi possenti dove i giovani hanno la possibilità di cantare, suonare, ballare e sentirsi liberi. Progettato come un anfiteatro semi-aperto, il centro è un luogo dove gli artisti possono esibirsi, fungendo anche da punto di aggregazione per la comunità. Al suo interno vi sono aule spaziose e appositi studi per l’insegnamento della musica e uno studio di registrazione.

Progettato dallo studio di architettura Hassell e da LocalWorks il Bidi Bidi Performing Arts Centre, riporta il sito ufficiale, è stato realizzato secondo un’architettura sostenibile. Il design del tetto infatti è a forma di imbuto capace di raccogliere l’acqua piovana e fornire acqua alla comunità e a un orto.

Il suo grande valore, riporta il Guardian, risiede nella sua capacità di offrire un luogo sicuro dove i giovani rifugiati possano superare il trauma vissuto nei loro Paesi d’origine, e allo stesso tempo, costruire nuove opportunità per un futuro migliore. Circa il 75% dei 1,7 milioni di rifugiati in Uganda, riporta la medesima fonte, sono donne e bambini, e circa il 25% ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni.

 

Africa Rivista

Giuristi Università di Brescia: “Una stagione preoccupante per la tenuta della democrazia costituzionale in Italia”

Come docenti di materie giuridiche in un’Università pubblica, riteniamo doveroso, sul piano etico e
professionale, evidenziare alcuni tratti dell’azione dell’attuale maggioranza governativa che consideriamo allarmanti e potenzialmente lesivi della tenuta dell’ordinamento democratico delineato dalla nostra Costituzione. Ci riferiamo in particolare a due provvedimenti in discussione alle Camere che, se approvati nell’attuale formulazione, rischiano di innescare una pericolosa involuzione autoritaria del nostro ordinamento giuridico.

Il primo testo su cui desideriamo richiamare l’attenzione è il disegno di legge costituzionale in materia di
giustizia e di separazione delle carriere dei magistrati. A prescindere dal merito della riforma – che presenta numerosi profili critici che qui non possiamo esaminare in dettaglio – l’aspetto più preoccupante è il contesto in cui questa proposta si inserisce e l’obiettivo ultimo che persegue, come dichiarato apertamente dal Ministro della Giustizia (il Guardasigilli), dalla Presidente del Consiglio, e da autorevoli esponenti dell’area di governo.

Da mesi, infatti, assistiamo ad attacchi quotidiani nei confronti di magistrati che emettono decisioni non in linea con le aspettative della maggioranza politica. L’ambito dell’immigrazione – in particolare la gestione degli arrivi via mare e i centri di detenzione aperti in Albania – è emblematico: di fronte a provvedimenti amministrativi ritenuti illegittimi, la prassi consolidata consiste nell’attacco personale ai giudici, subito etichettati come “politicizzati”, tacciati di voler ostacolare la maggioranza dal realizzare appieno il proprio “vittorioso” progetto elettorale, che viene esaltato come indiscutibile mandato popolare, secondo una visione regressiva della democrazia e della rappresentanza parlamentare. Negli ultimi giorni, l’attacco alla giurisdizione ha perfino oltrepassato i confini nazionali, arrivando a coinvolgere la Corte Penale Internazionale (CPI). Il Ministro della Giustizia, di fronte all’iniziativa di espellere dal nostro Paese il membro di una milizia (sostenuta dal governo libico) sospettato di crimini contro l’umanità, ha difeso il proprio operato accusando la Corte di presunte violazioni procedurali. Il vero problema, però, non sta nella denuncia di possibili irregolarità, bensì nel fatto che il Ministro delegittimi la Corte e la sua funzione, pretendendo di sostituire il proprio giudizio a quello dell’autorità competente. Questo atteggiamento è emerso in modo evidente anche nell’intervento ufficiale al Senato, dove il Guardasigilli ha rivendicato un potere di valutazione nel merito delle decisioni della CPI, del tutto sprovvisto di fondamento normativo.

La premessa culturale dell’indirizzo politico che si intende perseguire appare molto chiara: si vuole far
credere all’opinione pubblica che il controllo di legalità operato dalla magistratura rappresenti un improprio ostacolo alla realizzazione dei progetti promossi dalla maggioranza uscita vincitrice dalle elezioni. In questa prospettiva, i/le magistrati/e vengono accusati/e di promuovere un proprio contro-obiettivo politico tutte le volte che ritengono illegittimo un provvedimento di derivazione politico-parlamentare, anziché limitarsi alla sua applicazione pedissequa. In questo schema argomentativo, piuttosto rozzo e semplificato, spariscono del tutto i previsti poteri di garanzia affidati alla Corte costituzionale alla quale invece i/le giudici, prima di applicarle, devono sottoporre le leggi che reputino in contrasto con la Costituzione. Analogamente si ignora – clamorosamente – l’ormai acquisita prevalenza, stabilita sul terreno costituzionale, del diritto europeo e internazionale sul diritto interno, che pacificamente non può trovare applicazione in sede giurisdizionale laddove contraddica norme di rango sovranazionale.

Ecco perché appare paradossale e distorsivo evocare la separazione delle carriere dei magistrati ordinari
addirittura come salvifico correttivo dell’ordinamento, ogniqualvolta un/a magistrato/a assuma una
decisione sgradita agli esponenti di governo: così connotando di un chiaro intento punitivo la riforma
costituzionale, che viene presentata come la soluzione ad una patologica ingerenza di una parte influente
della magistratura nel campo della politica. In qualità di studiosi/e di discipline giuridiche, un tale disegno ci appare in tutta la sua chiara pretestuosità e ci sembra pericoloso poiché in grado di veicolare, camuffandola, una oramai superata visione ottocentesca e pre-costituzionale dei rapporti tra poteri dello Stato, nella quale l’attività legislativa e, in generale, la regolamentazione della societas è concepita come libera da vincoli sovraordinati, segnatamente di natura costituzionale. E invece l’elemento essenziale degli ordinamenti democratici moderni è proprio quello di garantire, attraverso norme costituzionali rigide, la separazione del controllo giurisdizionale dall’esercizio del potere politico, al fine di meglio favorire, in concreto, il rispetto dei diritti fondamentali della persona che non sono più nella disponibilità di chi, pur legittimamente, detiene lo “scettro del comando”.

Il secondo provvedimento che reputiamo incompatibile con i principi di uno Stato costituzionale di diritto è il cd. disegno di legge Sicurezza, già approvato in prima lettura al Senato. Anche in questo caso non abbiamo qui lo spazio per entrare nel merito delle singole misure proposte, che hanno come cifra identificativa l’inasprimento degli strumenti di repressione del dissenso, sino al punto di arrivare a punire con la sanzione penale forme di protesta non violenta, come i blocchi stradali, o addirittura la resistenza passiva, nei casi di proteste all’interno delle carceri o dei luoghi di detenzione per stranieri. Per quanto poi riguarda direttamente il mondo dell’Università, desta gravissima preoccupazione il disposto dell’art. 31 del d.d.l, secondo cui i servizi di informazione, a tutela della “sicurezza nazionale”, potranno chiedere informazioni sulle attività di studenti e docenti, in deroga alla normativa a tutela della privacy e della protezione dei dati sensibili.

Da un lato, quindi, con le continue aggressioni mediatiche ai magistrati che assumono decisioni non gradite e con il progetto di separazione delle carriere, che mira a disgregare l’unità della magistratura ordinaria (in realtà ci si preoccupa solo della giustizia penale), si vuole polemicamente e primariamente punire la magistratura inquirente, impedendole di esercitare un controllo di legalità a tutto campo, inclusa la verifica sulla possibile commissione di reati ministeriali da parte degli esponenti del Governo; dall’altro lato, con le norme che reprimono il dissenso, si vogliono intimorire coloro che si oppongono a tali misure, rafforzando come mai prima nella storia della Repubblica gli strumenti repressivi dei movimenti di protesta.

La Storia (anche quella meno risalente) ci insegna che è proprio a partire dal contrasto alla magistratura e alla libera espressione del dissenso che prendono avvio le svolte in senso autoritario. Come cittadini/e, ma soprattutto come giuristi/e che incrociano e formano studenti/esse universitari/e, sentiamo il dovere di segnalare all’opinione pubblica la gravità del progetto che sta iniziando a prendere consistenza e di mettere le nostre competenze tecniche a disposizione delle associazioni e dei movimenti che intendano opporsi, innanzitutto sul piano culturale, a questa dilagante regressione giuridica, restando sempre disponibili a ragionare nel merito delle proposte avanzate da qualsiasi parte politica, ma anche saldamente ancorati al costituzionalismo democratico occidentale e alle sue conquiste culturali, che è nostro dovere non rinnegare né per moda né per paura di dispiacere il contingente potere politico.

Brescia, 15.2.2025

Un gruppo di docenti di materie giuridiche dell’Università di Brescia (29 firmatari su 62)
Proff.

Antonio D’Andrea, diritto costituzionale
Luca Masera, diritto penale                                                                                                                                              Cristina Alessi, diritto del lavoro
Adriana Apostoli, diritto costituzionale
Rosanna Breda, diritto privato
Margherita Brunori, diritto agrario
Arianna Carminati, diritto costituzionale
Daniele Casanova, diritto costituzionale
Chiara Di Stasio, diritto internazionale
Matteo Frau, diritto pubblico comparato
Elisabetta Fusar Poli, storia del diritto
Mario Gorlani, diritto costituzionale
Massimiliano Granieri, diritto privato comparato
Giulio Itzcovich, filosofia del diritto
Stefano Liva, diritto romano
Nadia Maccabiani, diritto costituzionale
Francesca Malzani, diritto del lavoro
Loredana Mura, diritto internazionale
Federica Paletti, storia del diritto

Paola Parolari, filosofia del diritto
Luca Passanante, diritto processuale civile
Andrea Perin, diritto penale
Marco Podetta, diritto costituzionale
Susanna Pozzolo, filosofia del diritto
Luisa Ravagnani, criminologia
Fabio Ravelli, diritto del lavoro
Carlo Alberto Romano, criminologia
Giovanni Turelli, diritto romano
Laura Zoboli, diritto commerciale

Redazione Sebino Franciacorta

Partito Comunista Venezuelano: “Parteciperemo alle elezioni del 25 maggio a fianco della Rivoluzione Bolivariana”

La direzione nazionale del Partito Comunista Venezuelano  smentisce categoricamente che la nostra organizzazione politica non parteciperà alle prossime elezioni del 25 maggio, in cui verranno eletti i deputati dell’Assemblea nazionale, dei governatorati e dei consigli legislativi.

Condanniamo il fatto che coloro che svolgono la funzione di leader della nostra organizzazione, il cui capo visibile è Oscar Figuera, utilizzino i simboli della nostra organizzazione per dire al popolo venezuelano e al mondo “che il Partito Comunista del Venezuela non parteciperà al prossimo processo elettorale”. Questo gruppo guidato da Oscar Figuera e dai suoi complici è stato espulso per essersi allineato all’estrema destra venezuelana e per aver condiviso il discorso dell’imperialismo nordamericano -USA-, nell’obiettivo di rovesciare il governo rivoluzionario del compagno operaio Nicolás Maduro.

Oggi più che mai, i comunisti di questa Patria di Bolívar e Chavez, ribadiamo il nostro impegno con la Rivoluzione Bolivariana e Chavista e saremo uniti in un unico blocco unitario attraverso il Grande Polo Patriottico Simon Bolivar nella ricerca di una Vittoria perfetta il 25 maggio, per continuare a garantire con i legislatori rivoluzionari, la costruzione delle leggi necessarie per la trasformazione della nostra Patria, per continuare a creare le condizioni per una Società Socialista, che garantisca al nostro popolo e in particolare alla classe operaia e contadina, la maggior somma possibile di felicità.

Mettiamo in guardia il movimento rivoluzionario dell’America Latina e del mondo dal farsi ingannare da coloro che oggi camminano mano nella mano con i settori fascisti in Venezuela. La storia ha dato ragione a coloro che hanno deciso di salvare il nostro glorioso Partito Comunista.

Oggi il nostro Partito è dove è sempre dovuto essere, accanto alla Rivoluzione Bolivariana, accanto al nostro popolo chavista.

Venezuela 20 febbraio 2025

DIREZIONE NAZIONALE DEL P.C.V.
ENRICO PARRA – PRESIDENTE DEL P.C.V.

(da Dario Rosso, inviato a Caracas del Comitato Italia-Venezuela Bolivariano)

Redazione Italia

Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini le prime vittime.

La guerra è una bambina 

vittima di abusi e maltrattamenti 

che non abbiamo saputo proteggere

Gloria Aria Nieto

Il 23 febbraio, presso la libreria IoCiSto di Napoli si è svolta la presentazione del libro di Maurizio Bonati Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini le prime vittime, Edito dal Pensiero Scientifico Editore. L’iniziativa è nata nell’ambito del programma di eventi del Presidio Permanente di Pace, nato all’indomani dello scoppio dell’ultima guerra israelo-palestinese, da un’idea di un gruppo di soci della Libreria IoCiSto che si incontrano di domenica per parlare di PACE. L’incontro, con la presenza dell’autore, ha rappresentato un momento di riflessione collettivo e partecipato sul protrarsi dei conflitti armati nel mondo e in particolare dopo tre anni di occupazione russa in Ucraina e a 17 mesi di distruzione ad opera israeliana nella Striscia di Gaza.

Prima, durante, dopo e sempre, in accordo con l’impostazione del libro, sono stati i momenti che hanno scandito lo scambio di osservazioni ed emozioni tra i partecipanti. 

Prima. Prima di una singola guerra ce n’era stata un’altra e altre si svolgono contemporaneamente. I conflitti violenti collettivi posti in essere fra gruppi organizzati (la guerra) sono una cinquantina nel mondo. Sono ad alta, media o bassa intensità: tra Stati o gruppi etnici, politici, religiosi. La guerra è infinita, anche quando apparentemente è terminata. Il diritto alla vita e alla libertà è ancora troppo spesso e a troppi popoli negato. 

Durante. Le condizioni in cui le persone nascono, crescono, lavorano, vivono e invecchiano vengono tragicamente stravolte nel corso di un conflitto. La distruzione di case, scuole, ospedali, luoghi di lavoro minaccia completamente la vita delle popolazioni vittime di guerra. La Russia ha perso sinora oltre 850.000 soldati in Ucraina, mentre sono oltre 46.000 i soldati ucraini uccisi e 390.000 i feriti sul campo di battaglia. Nei primi 15 mesi di guerra, almeno 46.707 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza, tra cui circa 18.000 bambini. 110.265 i feriti. Molti analisti e gruppi per i diritti umani ritengono che il numero reale di uccisioni sia molto più alto (oltre 60.000 i morti e 180.000 i feriti). Con i bambini sono le donne le prime vittime della guerra. Vittime di violenza sessuale, stupro e mancanza di accesso a cure sanitarie salvavita per esempio a causa di complicazioni durante la gravidanza o il parto. 

Dopo. Si stima che per la ricostruzione di quanto distrutto nella Striscia di Gaza siano necessari oltre 50 miliardi di dollari. Un investimento economico non solo quello della distruzione (armi, armamenti, politiche…), ma anche la ricostruzione è fonte di guadagno e speculazione. Le fantasticherie dello spostamento di massa dei 2 milioni di residenti dell’enclave palestinese proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per creare la Costa Azzurra del Medio Oriente ne sono testimonianza. Ma quanti anni sono necessari affinché la vita di una popolazione vittima di guerra torni ai livelli iniziali? Non si sa con certezza perché ancora scarsa è stata sinora l’attenzione in proposito. Tante le variabili da considerare, ma le indicazioni ci dicono che almeno 15 anni sono necessari. Il “dopo” ha attratto molte delle considerazioni fatte nel corso dell’incontro sottolineando l’impegno e la responsabilità di un Presidio Permanente di Pace di seguire nel tempo il “ritorno” e il miglioramento delle condizioni di vita delle vittime.

Sempre. La storia personale di molti dei presenti ha incrociato e percorso le strade della non violenza, dell’antimilitarismo, dell’obiezione di coscienza, della disubbidienza civile e anche gli incontri domenicali di IoCiSto sono a testimonianza di queste scelte permanenti. “Ci sono cose da non fare mai: per esempio la guerra”. Altre invece da sostenere, promuovere sempre: per esempio la PACE. La PACE va insegnata in famiglia, a scuola, ovunque. Bisogna essere educati alla PACE.

Iocisto Presidio di Pace – Silvana Spina

Redazione Napoli

Liberalfascismo. Come i liberali distruggono la democrazia e ci portano in guerra

È aria di fascismo. Non (o non solo) quello storico, istituzionalizzato nel Ventennio, sconfitto dalla Resistenza partigiana, bensì uno in vesti aggiornate che altro non è, come sempre, se non la faccia nefasta dell’imperialismo in crisi, il sostegno in forma di violenza alle politiche economiche e sociali neoliberiste della classe dominante, il substrato necessario alla crescita delle disuguaglianze.

Questo il leitmotiv del libro “Liberalfascismo, come i liberali distruggono la democrazia e ci portano in guerra” di Giorgio Cremaschi edito con Mimesis Edizioni.

Il fascismo è democrazia? Per niente. La globalizzazione liberista e la politica economica neoliberista stanno dominando il mondo a discapito delle sinistre social-liberali.

Attualmente viviamo la prevaricazione del liberalfascismo, ossia della supremazia dei partiti di destra e di quelle componenti politiche asservite al potere del capitale che equivalgono al neoliberismo imperante.

In passato il fascismo è cresciuto con i finanziamenti ricevuti da multinazionali, come si evince anche dal caso e dall’assassinio Matteotti. Attualmente il fascismo si manifesta con il liberismo imposto e dettato dal neoliberismo prevaricante che ha preso piede a livello globale a partire dal 1973 con l’omicidio di Salvador Allende in Cile e poi ancora con l’ascesa della dittatura di Pinochet e l’avvento della masnada dei Chicago Boys che culmina con il trattato tra Reagan e Thatcher e Wojtyla negli anni ‘80.

Il libro di Giorgio Cremaschi pone un quesito che risponde alla questione: ma i fascisti non ci sono più o esistono ancora? Il discrimine lo troviamo nel modello politico dell’Unione Europea che non ha nulla a che vedere con il grande progetto visionario e utopico di Ventotene e di Altiero Spinelli. L’Europa delle genti e dei popoli e delle minoranze senza più guerre e conflitti armati, nel rispetto delle carte costituzionali. 

Attualmente invece vige e impera l’Europa delle multinazionali e delle grandi banche armate che finanziano le guerre in ogni parte del globo a discapito di un’Europa utopica fondata sull’accoglienza e la solidarietà e l’antifascismo, ma non quello atlantista naturalmente. Oggi viviamo un’Europa incapace di svolgere il proprio ruolo di ago della bilancia di un sistema globale che sempre più si rifiuta di contrapporsi all’escalation militaresca e all’avanzata del potenziale sterminio nucleare e dei signori dell’atomo, del petrolio, della guerra, dell’acciaio che sono i detentori dell’apocalisse atomica.

Giorgio Cremaschi afferma di non conoscere ormai la società, ma solo individui. In quanto l’individualismo è concepito come prevaricazione di potere e competitività sfrenata e corsa al riarmo e al controllo delle risorse globali a discapito dell’uguaglianza economica che è soppiantata da una incredibile sperequazione che conduce alla concentrazione di grandi quantità di risorse e beni comuni nelle mani di pochi potenti detentori del capitale. 

Mentre la società si trasforma sempre più in un agglomerato individualista secondo i dettami fascisti e le imposizioni gerarchiche. Questa invece dovrebbe incarnare un esempio, un monito di comunità laica, un sentire comunitario condiviso, fondato sulla solidarietà, l’accoglienza e l’inclusione e l’amore tra le persone e i popoli.

Il liberalfascismo deporta le persone verso una democrazia dello sfruttamento in un’accezione estremamente negativa dove il più debole e il più fragile e l’ultimo dell’anello sociale sono posti ai margini dall’individualismo che permea in senso dannoso e deleterio l’attuale società.

Quindi l’austerità contro la democrazia. Ossia si chiede sempre più un estremo sacrificio e illecita sottomissione da parte degli ultimi e di tutti i cittadini e lavoratori che vivono con il solo loro reddito al fine di incrementare la ricchezza nelle mani dei privati e non dello Stato sociale e dei servizi pubblici e al contrario nella concentrazione del massimo benessere e profitto nelle tasche dei più potenti e dei padroni che detengono il capitale. 

Per questo Cremaschi tratta di una ‘democrazia di Apartheid’ dove gli ultimi della società ‘civile’ scontano il lavoro coatto e la miseria di un nefasto e funesto sistema accumulatorio e predatorio che avvantaggia sempre i più potenti a livello globale e i benestanti e benpensanti e i padroni e i signori della guerra. 

Per questo non si vive in una democrazia sana e basata sugli ideali della Costituzione Repubblicana nata dalla lotta al nazifascismo in tutta Europa nel novecento, ma ci si scontra su un modello di ‘democrazia anticomunista’ che equipara, in modo revisionista, il modello comunista con la spregiudicatezza del fascismo e l’orrore e la barbarie di quello che è stato il nazifascismo nell’Europa del cosiddetto e nefasto secolo breve. Quindi risulta una ‘democrazia truccata’ perché non si attiene ai dettami e agli ideali e ai valori della costituzione e del diritto internazionale. Ma si avvale di disvalori mefitici, moralmente guasti e pericolosi, del fascismo più abietto con il tramite del militarismo che pervade attualmente e inizialmente il sistema scolastico e l’università e infine la società nel suo complesso.

Il motto più usuale in questo contesto appunto mefitico è Dio, patria, famiglia in quanto non si lascia spazio alla libertà di pensiero, alla libertà di scelta e alla laicità inclusiva e alla diversità delle differenze in nome di un bigottismo e un provincialismo e menefreghismo e della borghesizzazione del sociale che portano alla fascistizzazione del concetto e contesto comunitario come sosteneva don Milani.

Cremaschi denuncia un ritorno a un’Italia dei fasti repubblichini dove si assiste a un travaglio di passività di molte frange della popolazione e in contrapposizione a moti di ribellione soprattutto di diverse parti dei giovani che non vogliono sottostare alle imposizioni neoliberiste e alle minacce e emergenze che attanagliano la società a livello glocale e l’umanità a partire dall’universale. Per cui si assiste ad un ‘bivio della paura’ farneticante che porta a sgomento e allo stesso tempo a volontà di riflessione e di azione e rivolta da parte di alcune frange giovanili. 

I giovani di Fridays for Future e di Extinction Rebellion e di Ultima Generazione e gli studenti universitari e tutti i pacifisti, i disertori, i renitenti e gli obiettori che nel mondo si rifiutano di imbracciare le armi e di andare in trincea per combattere e andare incontro all’autodistruzione immediata, ma anche e soprattutto all’annientamento dell’intero genere umano sono le variegate realtà di lotta e resistenze estrema che tutti insieme dobbiamo sostenere come società libere e pensanti in una nuova stagione di resistenza per la pace universale, contro i metodi autoritari del fascismo all’interno dell’ideologia liberale come esito della capitalizzazione a destra del sistema neoliberista. Infatti, la globalizzazione liberista e la politica economica neoliberista stanno dominando stabilmente il mondo a discapito delle sinistre social-liberali che non vogliono le guerre e i genocidi e lottano e resistono, al contrario di questo contemporaneo sistema congiunturale distorto, per il valore e l’ideale più alto: la pace.

 

Laura Tussi

Trentuno anni senza dimenticare Ilaria e Miran: le celebrazioni partono da Parma

La città di Parma continua anno dopo anno a ricordare la giornalista del tg3 Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio in Somalia.

Al ricordo si accompagna un appello per la verità e la giustizia che, in tutti questi anni, tante associazioni non hanno mai smesso di rilanciare, perché, anche dopo 31 anni, ancora non si conoscono gli esecutori materiali e i mandanti dell’attentato.

In vista dell’anniversario giovedì 6 marzo dalle ore 11 dall’Auditorium di Palazzo del Governatore (ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili) la Biblioteca Internazionale Ilaria Alpil’Assessorato alla Cultura, in collaborazione con Art. 21, Libera e Umberto e Ginevra Alpi, cugini della giornalista, promuoveranno anche per le scuole secondarie di Parma l’esperienza di un reportage giornalistico dal vivo grazie al “cantacronache” Stefano Corradino e al suo recente libro “Note di Cronaca” che raccoglie le notizie che curato per Rainews24. Storie di mafie, guerre, morti sul lavoro, diritti umani negati e giornalisti uccisi ed un intero capitolo/canzone dedicato ad Ilaria Alpi che ricordato insieme al giornalista RAI di lungo corso Giuseppe Giulietti e alla giornalista Costanza Spocci.
Ilaria era una cittadina del mondo, con una specializzazione in lingua araba e cultura islamica che nel 1990 entrò nella squadra di RAI3 come corrispondente da quel quadrante geo-politico molto conflittuale. Un anno dopo iniziò a seguire come inviata la missione ONU “Restore Hope” che avrebbe dovuto mettere fine alla guerra civile in Somalia, ma in Africa orientale un’inchiesta parallela andò a toccare traffici illeciti di armi e rifiuti tossici.

Il racconto di Stefano Corradino sarà arricchito dal contributo dei video inediti di Francesco Cavalli ideatore e direttore dell’omonimo Premio di Giornalismo, ma soprattutto colui che, insieme ad alcuni colleghi altrettanto tenaci, non ha mai smesso di indagare. Produttore televisivo e responsabile di un gruppo editoriale radiotelevisivo, ha realizzato come autore diversi reportage tra i quali Somalia Italia e Un clown a Gaza.

Il papà di Ilaria, Giorgio, originario del parmense aveva fatto scoprire estati d’Appennino ad Ilaria adolescente prima del trasferimento e degli studi a Roma. A Parma è intitolata ad Ilaria, dal 2009 una biblioteca internazionale, nella splendida cornice del Complesso del San Paolo dove nella mattinata del prossimo 6 marzo verrà deposto un omaggio floreale per ricordare l’anniversario.

Fonte: Comunicato del Comune di Parma

Redazione Italia

Un nuovo allestimento museale in memoria della strage di Portella della Ginestra

A seguito del dibattito sollevato dall’Associazione delle vittime e dei sopravvissuti della strage di Portella della Ginestra, la CGIL ha inviato all’amministrazione comunale di Piana degli Albanesi le osservazioni per ridefinire lo spazio espositivo nel museo civico dedicato a Nicola Barbato, al fine di dare al sito museale della città una maggiore visibilità narrativa per evidenziare la memoria delle vittime dell’eccidio del 1° maggio 1947 avvenuto nel corso della festa dei lavoratori_

Dopo l’incontro chiarificatore di ieri con il sindaco Rosario Petta, la Cgil Palermo offre il contributo del sindacato per arricchire il nuovo allestimento museale e restituire il giusto spazio all’eccidio del 1 maggio del 1947 e alla figura di Nicola Barbato, al quale il museo è dedicato, entrambi sacrificati, in particolare Barbato, così come osservato tra l’altro dall’Associazione dei familiari delle vittime di Portella.

Gli unici due pannelli dedicati alla strage non restituivano al visitatore la complessità del contesto storico e della presenza a Piana degli Albanesi di un forte movimento dei lavoratori organizzato nella Cgil, sindacato che allora, nel secondo dopoguerra, rappresentava unitariamente le correnti politico-culturali comunista, socialista e democristiana.

Anche lo stesso materiale multimediale è apparso al sindacato “incompleto e carente”, rispetto alle tante testimonianze dell’epoca e dei numerosi protagonisti.

“L’utilizzo dei materiali multimediali dovrebbe prevedere o una saletta apposita o quanto meno l’uso di cuffie per una fruizione che, seppur limitata nelle modalità, non interferisca con gli altri visitatori. Inoltre, riteniamo che si possa attivare una specifica sezione che contenga i verbali del processo di Viterbo, sia scansionati, sia in formato cartaceo”, sono tra i suggerimenti contenuti nella lettera inviata oggi al sindaco Petta dal segretario generale Cgil Palermo Mario Ridulfo, dal responsabile dipartimento Archivio e memoria storica Dino Paternostro e dalla responsabile della Camera del Lavoro di Piana degli Albanesi Maria Modica.

La Cgil inoltre propone uno spazio adeguato alla memoria di Nicola Barbato, del quale nel museo non esiste alcuna immagine o descrizione. “Come concordato, ci facciamo promotori della richiesta al maestro Gaetano Porcasi di una tela dedicata a Barbato, da esporre in maniera permanente al museo – aggiungono Ridulfo, Paternostro e Modica – Riteniamo che nella rappresentazione della storia di Piana degli Albanesi e non sia dato adeguato risalto al contesto che ha prodotto l’immane strage con 11 vittime e 27 feriti e alle ragioni di un impegno collettivo”.

Nell’allestimento della sezione, così come è attualmente, la Cgil ha in particolare posto l’accento sulla mancanza dell’ “anima” di Portella “perché Portella è il giallo della ginestra e anche il rosso del sangue e delle bandiere ma anche il racconto di una memoria lunga 78 anni”.

“Proponiamo, infine, che la sala a destra del piano terra possa servire ad implementare dal punto di vista grafico, iconografico e multimediale la strage di Portella e la figura di Nicola Barbato, recuperando e valorizzando almeno in parte i materiali della mostra precedente”, aggiungono i rappresentanti della Cgil Palermo e di Piana.

Nella lettera, Ridulfo, Paternostro e Modica ricordano l’importanza della storia del movimento che, grazie ai decreti Gullo, lottava per l’applicazione “di una legge dello Stato che poteva consentire lavoro, sviluppo e libertà al popolo di Piana e della Sicilia”.

“A questo movimento, le cui radici affondano in quello di fine Ottocento dei fasci siciliani, di cui non si fa alcun cenno, si contrapponevano – sottolineano i dirigenti sindacali – i grandi proprietari terrieri, i gabellotti mafiosi, che non vengono mai nominati nell’allestimento, e i partiti politici reazionari, non solo il Mis: Giuliano e la sua banda rappresentavano il braccio armato di queste forze. Da questo punto di vista, la storiografia contemporanea, nella quasi totalità dei suoi protagonisti, ha questa impostazione ormai riconosciuta”.

Per questi motivi, la Cgil ha chiesto che il pannello descrittivo della sezione del museo dedicato a Portella venga modificato tenendo conto di queste osservazioni e dei rilievi espressi dalla associazione dei familiari delle vittime di Portella.

In ultimo, per la Cgil Palermo è importante che l’amministrazione comunale si adoperi, nella valorizzazione del museo, per una collaborazione e sinergia con le forze politiche, con il consiglio comunale di Piana degli Albanesi e con le associazioni, a partire da quella che organizza i familiari delle vittime di Portella.

comunicato CGIL Palermo

Redazione Palermo

“Le porte dell’arte”, una ricerca-azione sui musei per la pace

Abbiamo intervistato Gianmarco Pisa a proposito del suo ultimo libro, che sarà presentato a Palermo il 21 marzo, in occasione della giornata mondiale della poesia

D. “Le porte dell’arte. I musei come luoghi della cultura tra educazione basata negli spazi e costruzione della pace” è il tuo secondo libro (edito sempre da Multimage) dedicato all’arte – e all’arte della memoria in specie – come strumento di pace. Il primo era: “Di terra e di pietra”, dedicato ai monumenti, commemorativi o di denuncia o di sprone alla riconciliazione, nei teatri di guerra della ex Jugoslavia. Qui il tuo sguardo si allarga: non più singole opere di singoli artisti in un singolo luogo, ma un intero museo multimediale e interattivo come occasione di educazione alla pace.

R. La tematica si allarga qui all’insieme del patrimonio culturale, in termini di manufatti ed espressioni culturali e, in senso più generale, al vasto campo dei luoghi della memoria e della cultura e, tra questi ultimi, i musei. Anche questo volume è il risultato di una ricerca-azione sul campo, in diversi territori della ex Jugoslavia e in particolare in Serbia, e il nucleo di questa ricerca-azione, nel quadro del progetto per Corpi civili di pace in Kosovo, è proprio il valore e il significato dell’arte e del patrimonio culturale per la pace. Si tratta di un tema delicato, complesso, legato alle memorie personali e collettive e quindi da attraversare con cura e rigore, in cui il significato dei luoghi della cultura e dei beni del patrimonio viene messo in risalto in entrambi i sensi: come elemento di promozione di una cultura della pace, e come terreno di educazione alla pace, specie nel senso, come indica il sottotitolo del volume, della “educazione basata negli spazi”.

D. Ti rifai alla definizione di Museo elaborata dal Consiglio Internazionale dei Musei nel 2022 e alla Convenzione di Faro del 2005 del Consiglio d’Europa sul “valore dell’eredità culturale per la società”. A partire da questo concetto di “eredità culturale” e dall’altro di “comunità di patrimonio”, tu fondi la tua visione di museo per la pace come luogo inclusivo e di educazione alla cittadinanza, alla risoluzione nonviolenta delle controversie e alla pace. Vuoi spiegarci questi due concetti?

R. Il riferimento alla Convenzione di Faro (2005), in questa chiave di lettura, è importante almeno per due motivi. Intanto fornisce quella che è considerata la definizione più estesa di patrimonio culturale (eredità culturale) definito come “un insieme di risorse, ereditate dal passato, che le persone identificano, indipendentemente dalla proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni in continua evoluzione e che include tutti gli aspetti dell’ambiente derivanti dall’interazione, nel corso del tempo, tra le persone e i luoghi”. L’idea di cultura associata all’interazione tra le persone e con i luoghi, quindi come dinamica relazionale, nel tempo e nello spazio, è densa di implicazioni.

E poi introduce il tema delle “comunità di patrimonio”, vale a dire un insieme di “persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale che desiderano, nel quadro di un’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future”. Le persone diventano cioè protagoniste non solo nell’attribuzione di significato ma anche nella trasformazione del messaggio sociale che il bene culturale trasferisce nel tempo.

D. I musei per la pace li hai snidati e scovati nella tua ricerca-azione, che ha proseguito il lavoro svolto per il tuo primo libro già citato “Di terra e di pietra”, con i Corpi civili di pace in Kosovo. Li hai rintracciati così nelle città a forte connotazione simbolica, come Belgrado, Sarajevo, Mostar, ma non solo…

R. Nel libro infatti, tra i luoghi del patrimonio e i luoghi della cultura, viene indicata la distinzione tra Musei della pace propriamente detti e Musei, altrettanto importanti, “orientati alla pace”. I primi rappresentano contenuti che fanno direttamente riferimento alla pace e ai diritti umani, anche organizzando iniziative di partecipazione e di educazione, attivandosi quindi per l’educazione alla pace.

I Musei “orientati alla pace”, pur non essendo costitutivamente Musei della pace, per i contenuti culturali che esprimono o per il valore memoriale che contengono, sono altrettanto indicati a svolgere una funzione attiva, nello spazio pubblico, per trasferire e diffondere contenuti e valori legati alla pace, alla tutela dei diritti umani, alla lotta contro le violazioni e le discriminazioni, o ad esempio, nel caso dei Musei memoriali, ad alimentare la cultura del “mai più” e del primato della dignità della persona.

D. Ma tu ci racconti anche dell’opera collettiva “La Tela” nell’ex Asilo Filangieri di Napoli all’epoca del Covid, del Museo per la pace di Bradford in Inghilterra e di quello di Gernika nei Paesi Baschi. E poi ci sono il MAMT (Mediterraneo Arte Musica Tradizioni) sempre a Napoli e il Museo Civico della Guerra per la Pace di Trieste.

R. I musei della pace più significativi, in ambito europeo, sono quelli da te richiamati. Il Museo della pace di Bradford ospita una collezione di oltre 16 mila oggetti legati alle storie di attivisti e movimenti per la pace ed è prezioso anche perché ospita testimonianze della storica Campagna per il disarmo nucleare del 1958. Va ricordato anche il Museo della pace di Norimberga, gestito da un’organizzazione no-profit, e molto attivo nel senso dell’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti. Il bellissimo Museo della pace di Gernika è a sua volta uno straordinario esempio di Museo per la pace e i diritti, visti come un “prisma” attraverso cui osservare la situazione attuale della guerra e della pace nel mondo.

Il panorama italiano, peraltro, non è povero come si potrebbe pensare: oltre a quelli da te citati, il MAMT a Napoli e il Museo “Diego de Henriquez” a Trieste, non si può non ricordare il Centro di Documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, a Casalecchio di Reno (Bologna), con la sua straordinaria collezione di oltre 7 mila poster e manifesti pacifisti.

D. In particolare approfondisci quelli che chiami “casi di studio” nella ex Jugoslavia.

R. Questi Musei sono importanti anche perché rappresentano una vera e propria “geografia della pace”, attraverso la loro collocazione e configurazione. Giusto per limitarsi a una veloce rassegna: il Museo della Jugoslavia a Belgrado, sui temi dello jugoslavismo e, in senso generale, della unità e fratellanza tra i popoli jugoslavi; il Museo di Arte Africana, sempre a Belgrado, con una forte connotazione anti-coloniale e una forte impronta jugoslava e non-allineata; il Museo memoriale 21 Ottobre, a sua volta situato all’interno del Parco memoriale di Kragujevac, un luogo della memoria fondamentale, che ospita peraltro alcuni grandi capolavori di arte jugoslava; il Museo Olimpico a Sarajevo, dedicato ai valori dell’olimpismo e quindi dello “spirito olimpico”, dell’incontro, attraverso lo sport e la cultura, tra i popoli delle più diverse latitudini; e ancora il Museo civico di Mitrovica che, nella città divisa per eccellenza, in Kosovo, testimonia invece la possibilità dell’incontro e del dialogo, oltre a mettere a disposizione spazi di apprendimento anche con una interessante strumentazione multimediale.

D. Rifacendoti, come ami fare, a Galtung, disegni una sorte di “modello” di museo per la pace quale dovrebbe essere, e ipotizzi perfino che possa utilizzare l’intelligenza artificiale.

R. Da questo punto di vista, un Museo per la pace rappresenta anche uno spazio sociale di partecipazione e di fruizione culturale, sia in relazione alla sua connotazione partecipativa (come luogo di relazione), sia in ragione della sua funzione educativa (come luogo di “educazione alla cultura”). Qui, l’adozione dei contenuti teorici e pratici della ricerca di Galtung e dell’approccio della cosiddetta ToC, la Teoria del Cambiamento, offrono, come viene mostrato nel libro, uno spunto metodologico innovativo, e pertinente, per definire il Museo, in linea con la nuova definizione dell’Icom, proprio in relazione alla sua funzione istituzionale e al suo potenziale comunicativo nello spazio pubblico, in particolare nello spazio della città.

D. Infine, il tuo libro può ben prestarsi a corsi di formazione (internazionale, dato che contiene la versione in inglese) per educatori alla pace, grazie ai suoi ricchi riferimenti bibliografici, al suo approfondito glossario, alle biografie degli artisti e alle descrizioni dei luoghi di riferimento che contiene, benché tu all’inizio dell’opera denunci lo scarsissimo rispetto e prestigio che pur sarebbe più che dovuto agli educatori ONU.

R. È l’idea stessa della ricerca-azione, vale a dire dell’educazione-intervento: da un lato, la costruzione della pace attraverso una costante opera di tessitura di relazione, comunicazione, educazione; dall’altro, la prevenzione della violenza e, per tornare a Galtung, la “costruzione della pace con mezzi pacifici”.

Daniela Musumeci

Festival “Punti di Vista – Terza edizione Lingue e Culture” al Centro Astalli

Il Centro Astalli, in collaborazione con il Palazzo delle Esposizioni, invita al Festival “Punti di Vista – Terza edizione Lingue e Culture”Sabato 8 marzo dalle 17:00 alle 19:00 in via Nazionale, 194, a Roma, alcuni uomini e donne rifugiati accolti al Centro Astalli si racconteranno attraverso il metodo dei “libri viventi”.
Lo faranno in uno scenario suggestivo: saranno immersi all’interno della mostra “Anima nomade” dell’artista Francesco Clemente, concepita come una grande installazione composta da tre gruppi di opere. Tra queste le “Tende” che si trasformeranno per i visitatori in luoghi di ascolto e dialogo con i rifugiati, spazi in cui potersi mettere nei panni dell’altro e fare esperienza di storie di migrazione, di coraggio e di speranza.

Per prenotarsi al laboratorio “Biblioteca vivente” si prega di scrivere una email a laboratoriodarte@palaexpo.it 

Per l’occasione il Palazzo delle Esposizioni fa sapere che il biglietto di ingresso alle mostre è di 8€ (gratuito per aventi diritto).

Per informazioni: astalli@jrs.net – 06 69925099

Redazione Roma

Roma, Anpi: “Verso il 25 Aprile, 80esimo anniversario dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo”

Il Comitato Provinciale dell’ANPI di Roma inizia il percorso di eventi e iniziative in vista del prossimo 25 aprile, 80° anniversario della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. Ci apprestiamo a celebrare il giorno in cui si ricorda l’insurrezione vittoriosa delle formazioni partigiane nelle città del nord Italia, che restituì dignità alla nazione dopo 20 anni di dittatura fascista. Il 25 aprile rappresenta la libertà e l’indipendenza nazionale, la riscossa del popolo italiano contro l’oppressione e la tirannia, la conquista della democrazia, della Repubblica, della Costituzione. Forti della nostra storia, che parte dalle antifasciste e dagli antifascisti che hanno vissuto il carcere, il confino, la deportazione, l’esilio, la clandestinità e nel ricordo di Antonio Gramsci, Don Minzoni, Piero Gobetti, Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, e di quanti persero la vita sotto il fascismo. Nell’esempio delle partigiane e dei partigiani e di quei ragazzi delle forze Alleate che da lontano vennero a morire per la nostra libertà. Con il coraggio e la determinazione di quelle straordinarie donne, prime fra tutte le gappiste romane, che in guerra diventarono l’incubo di nazisti e fascisti e che con le loro audaci azioni di guerriglia dimostrarono come la futura società antifascista avrebbe visto protagonista l’altra metà del cielo fino a quel momento relegata ai suoi margini. Il nostro pensiero nell’80° della Liberazione va anche a Ciro Principessa, Ivo Zini, Walter Rossi, Roberto Scialabba, Valerio Verbano, il giudice Mario Amato e Renato Biagetti, vittime della violenza neofascista.

Con alle spalle e al nostro fianco questa gloriosa storia e la sua memoria, in vista del 25 aprile saremo nelle piazze e nelle strade di Roma e provincia con le nostre bandiere, in ogni momento in cui ci si impegni per la difesa e l’ampliamento dei diritti, per le libertà e per la giustizia sociale.

Il nostro Paese vive un momento storico difficile e complesso, caratterizzato dalla presenza di forze politiche oggi al suo governo che nel loro retroterra culturale non hanno la storia e il cammino antifascista dei partiti che fondarono la Repubblica. La crescita delle disuguaglianze, l’emergere di nuove povertà, l’attacco ai poteri dello Stato e ai principi cardine della Costituzione nonché ai diritti sindacali tra cui quello di sciopero, la propaganda razzista, xenofoba e omofoba che si accompagna ad una persistenza e all’acuirsi della cultura patriarcale nei mezzi di comunicazione e in molti settori della società, l’impostazione repressiva delle politiche sulla sicurezza, i tentativi di revisionismo storico, la politica bellicista che continua a vedere l’invio di armi nei territori di guerra, l’attacco ai diritti del lavoro e la politica migratoria basata sull’ingiustizia e la discriminazione, sono la conferma che oggi più che mai occorre essere vigili e presenti, impegnati e costantemente mobilitati, per la difesa e l’applicazione della Costituzione nata dalla Resistenza e la lotta contro vecchi e nuovi fascismi, contro qualsivoglia involuzione conservatrice o autoritaria della società. Questa situazione si innesta nel momento in cui nel Paese si registra una bassissima partecipazione democratica, di cui il grande astensionismo è il più evidente campanello d’allarme, che rappresenta un rischio per la stessa tenuta democratica della Repubblica. A tal proposito i prossimi referendum sui diritti sociali e civili, che vedono il nostro sostegno, saranno un importante banco di prova.

Saremo inoltre in ogni piazza e in ogni luogo dove le parole dell’articolo 11 della Costituzione siano la bussola per guidare l’azione politica e istituzionale. Quella del ripudio della guerra è una bussola fondamentale nel mondo di oggi, che vive una stagione tragica, dove i governi di alcuni Paesi prediligono una politica di potenza a scapito delle popolazioni e della loro autodeterminazione, calpestando i diritti fondamentali delle persone e delle nazioni, rendendosi colpevoli di crimini ed efferatezze e puntando a costruire un assetto geopolitico che nulla ha a che vedere con le libertà e la giustizia in quanto basato sulla legge del più forte piuttosto che sul rispetto e la cooperazione tra gli Stati, in un contesto generale che vede il progressivo indebolimento degli organismi di garanzia e coordinamento internazionale. Ciò che abbiamo visto a Gaza e in Cisgiordania nei mesi scorsi è quanto di più esecrabile stia accadendo. Il massacro di una popolazione e la volontà di conquista e di appropriazione di quei territori da parte del governo israeliano riteniamo sia inaccettabile così come riteniamo inaccettabile l’uccisione di innocenti cittadini israeliani. Per questo siamo fortemente impegnati nella solidarietà al popolo palestinese e nella fondamentale battaglia per il riconoscimento dello Stato di Palestina, condizione imprescindibile e necessaria per la risoluzione del conflitto mediorientale e per l’affermazione della pace e della giustizia. Due popoli e due Stati, questa la nostra storica posizione, ognuno dei due in pace ed in sicurezza. In altre aree del globo, nei diversi continenti e soprattutto in paesi poveri, prima fra tutti l’Ucraina, continua la guerra. Le armi ancora hanno la meglio sulla diplomazia, migliaia e migliaia di persone continuano a morire. La guerra iniziata nel 2014 in Donbass contro le popolazioni locali che ha visto il mancato rispetto degli accordi di Minsk e successivamente espansa nel 2022 con l’invasione da parte della Federazione Russa del territorio ucraino è ancora in corso, e si svolge alle porte d’Europa. Quella stessa Europa che 80 anni fa vide sconfiggere il nazifascismo e che tentò di costruire solide fondamenta di pace e cooperazione per il futuro. Oggi invece assistiamo ad una politica, anche continentale, che alimenta il fragore delle armi, che non dialoga, che innalza muri invece che costruire ponti. Noi veniamo dalla Resistenza e dall’antifascismo così come veniamo da quel grande movimento dei Partigiani per la Pace che nei primi anni del dopoguerra si mobilitò per il disarmo e contro ogni risoluzione armata dei conflitti. Siamo convinti come lo erano allora i protagonisti della Guerra di Liberazione che solo una politica di Pace e disarmo possa dar vita ad un sistema di sicurezza basato sulla libertà, sull’amicizia tra le nazioni e sull’autodeterminazione dei popoli.

Con questo scenario nazionale ed internazionale ci prepariamo a celebrare l’80° della Liberazione, che
costruiremo su tutto il territorio della provincia di Roma.

Impegniamo le nostre strutture territoriali della città di Roma a lavorare da subito con i municipi di
riferimento per la costruzione di un percorso condiviso e partecipato che abbia come obiettivo la
partecipazione anche dell’Istituzione locale al tradizionale corteo romano della mattina e l’organizzazione di iniziative e celebrazioni nel territorio nel pomeriggio operando per il massimo coinvolgimento delle realtà antifasciste locali e della popolazione. Impegniamo le sezioni dei Comuni della provincia ad intraprendere da subito la mobilitazione per il massimo coinvolgimento della società civile, dei sindacati, delle Associazioni, dei partiti, dei movimenti e ad agire, ove possibile, in concerto con le Istituzioni comunali, al fine di avviare percorsi condivisi e partecipati in ogni territorio e di realizzare iniziative e celebrazioni del 25 aprile ben strutturate e di ampio respiro popolare. Auspichiamo che, come ogni anno, anche in altre zone della città di Roma si costruiscano mobilitazioni antifasciste, così da rendere partecipi le cittadine e i cittadini dal centro alla periferia.

La città di Roma, Medaglia d’Oro al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, vedrà ancora una volta una grande manifestazione unitaria e plurale che come ogni anno inizierà rendendo omaggio ai Martiri delle Fosse Ardeatine e poi di fronte al monumento ai valori futuribili della Resistenza di Largo B. Bompiani partirà in corteo per arrivare a Porta San Paolo, luogo simbolo dell’inizio della Guerra di Liberazione dove la popolazione, le organizzazioni antifasciste e le Forze Armate diedero inizio alla riscossa del popolo italiano e riscattarono l’onore della Patria infangato dai fascisti e calpestato dai nazisti.

Riteniamo infine importante che tutte le antifasciste e tutti gli antifascisti, che tutte le organizzazioni
democratiche e che si riconoscono nei valori della Resistenza e della Costituzione siano con noi e con le nostre Associazioni sorelle, insieme alle Istituzioni comunali e municipali, a ricordare i Caduti partigiani e, nel loro nome e col loro esempio, ribadire l’impegno nelle lotte e nelle battaglie di oggi.

Compagne e compagni, amiche ed amici, il 25 aprile Festa della Liberazione ci vedrà ancora tutte unite e tutti uniti, guidati dai medaglieri partigiani, dai vessilli della Guerra di Liberazione, dalle bandiere della Resistenza, per la costruzione di un mondo migliore, basato sulla Pace, sulla Libertà, sulla Giustizia Sociale.

ANPI Nazionale