Abbiamo intervistato Gianmarco Pisa a proposito del suo ultimo libro, che sarà presentato a Palermo il 21 marzo, in occasione della giornata mondiale della poesia
D. “Le porte dell’arte. I musei come luoghi della cultura tra educazione basata negli spazi e costruzione della pace” è il tuo secondo libro (edito sempre da Multimage) dedicato all’arte – e all’arte della memoria in specie – come strumento di pace. Il primo era: “Di terra e di pietra”, dedicato ai monumenti, commemorativi o di denuncia o di sprone alla riconciliazione, nei teatri di guerra della ex Jugoslavia. Qui il tuo sguardo si allarga: non più singole opere di singoli artisti in un singolo luogo, ma un intero museo multimediale e interattivo come occasione di educazione alla pace.
R. La tematica si allarga qui all’insieme del patrimonio culturale, in termini di manufatti ed espressioni culturali e, in senso più generale, al vasto campo dei luoghi della memoria e della cultura e, tra questi ultimi, i musei. Anche questo volume è il risultato di una ricerca-azione sul campo, in diversi territori della ex Jugoslavia e in particolare in Serbia, e il nucleo di questa ricerca-azione, nel quadro del progetto per Corpi civili di pace in Kosovo, è proprio il valore e il significato dell’arte e del patrimonio culturale per la pace. Si tratta di un tema delicato, complesso, legato alle memorie personali e collettive e quindi da attraversare con cura e rigore, in cui il significato dei luoghi della cultura e dei beni del patrimonio viene messo in risalto in entrambi i sensi: come elemento di promozione di una cultura della pace, e come terreno di educazione alla pace, specie nel senso, come indica il sottotitolo del volume, della “educazione basata negli spazi”.
D. Ti rifai alla definizione di Museo elaborata dal Consiglio Internazionale dei Musei nel 2022 e alla Convenzione di Faro del 2005 del Consiglio d’Europa sul “valore dell’eredità culturale per la società”. A partire da questo concetto di “eredità culturale” e dall’altro di “comunità di patrimonio”, tu fondi la tua visione di museo per la pace come luogo inclusivo e di educazione alla cittadinanza, alla risoluzione nonviolenta delle controversie e alla pace. Vuoi spiegarci questi due concetti?
R. Il riferimento alla Convenzione di Faro (2005), in questa chiave di lettura, è importante almeno per due motivi. Intanto fornisce quella che è considerata la definizione più estesa di patrimonio culturale (eredità culturale) definito come “un insieme di risorse, ereditate dal passato, che le persone identificano, indipendentemente dalla proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni in continua evoluzione e che include tutti gli aspetti dell’ambiente derivanti dall’interazione, nel corso del tempo, tra le persone e i luoghi”. L’idea di cultura associata all’interazione tra le persone e con i luoghi, quindi come dinamica relazionale, nel tempo e nello spazio, è densa di implicazioni.
E poi introduce il tema delle “comunità di patrimonio”, vale a dire un insieme di “persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale che desiderano, nel quadro di un’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future”. Le persone diventano cioè protagoniste non solo nell’attribuzione di significato ma anche nella trasformazione del messaggio sociale che il bene culturale trasferisce nel tempo.
D. I musei per la pace li hai snidati e scovati nella tua ricerca-azione, che ha proseguito il lavoro svolto per il tuo primo libro già citato “Di terra e di pietra”, con i Corpi civili di pace in Kosovo. Li hai rintracciati così nelle città a forte connotazione simbolica, come Belgrado, Sarajevo, Mostar, ma non solo…
R. Nel libro infatti, tra i luoghi del patrimonio e i luoghi della cultura, viene indicata la distinzione tra Musei della pace propriamente detti e Musei, altrettanto importanti, “orientati alla pace”. I primi rappresentano contenuti che fanno direttamente riferimento alla pace e ai diritti umani, anche organizzando iniziative di partecipazione e di educazione, attivandosi quindi per l’educazione alla pace.
I Musei “orientati alla pace”, pur non essendo costitutivamente Musei della pace, per i contenuti culturali che esprimono o per il valore memoriale che contengono, sono altrettanto indicati a svolgere una funzione attiva, nello spazio pubblico, per trasferire e diffondere contenuti e valori legati alla pace, alla tutela dei diritti umani, alla lotta contro le violazioni e le discriminazioni, o ad esempio, nel caso dei Musei memoriali, ad alimentare la cultura del “mai più” e del primato della dignità della persona.
D. Ma tu ci racconti anche dell’opera collettiva “La Tela” nell’ex Asilo Filangieri di Napoli all’epoca del Covid, del Museo per la pace di Bradford in Inghilterra e di quello di Gernika nei Paesi Baschi. E poi ci sono il MAMT (Mediterraneo Arte Musica Tradizioni) sempre a Napoli e il Museo Civico della Guerra per la Pace di Trieste.
R. I musei della pace più significativi, in ambito europeo, sono quelli da te richiamati. Il Museo della pace di Bradford ospita una collezione di oltre 16 mila oggetti legati alle storie di attivisti e movimenti per la pace ed è prezioso anche perché ospita testimonianze della storica Campagna per il disarmo nucleare del 1958. Va ricordato anche il Museo della pace di Norimberga, gestito da un’organizzazione no-profit, e molto attivo nel senso dell’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti. Il bellissimo Museo della pace di Gernika è a sua volta uno straordinario esempio di Museo per la pace e i diritti, visti come un “prisma” attraverso cui osservare la situazione attuale della guerra e della pace nel mondo.
Il panorama italiano, peraltro, non è povero come si potrebbe pensare: oltre a quelli da te citati, il MAMT a Napoli e il Museo “Diego de Henriquez” a Trieste, non si può non ricordare il Centro di Documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, a Casalecchio di Reno (Bologna), con la sua straordinaria collezione di oltre 7 mila poster e manifesti pacifisti.
D. In particolare approfondisci quelli che chiami “casi di studio” nella ex Jugoslavia.
R. Questi Musei sono importanti anche perché rappresentano una vera e propria “geografia della pace”, attraverso la loro collocazione e configurazione. Giusto per limitarsi a una veloce rassegna: il Museo della Jugoslavia a Belgrado, sui temi dello jugoslavismo e, in senso generale, della unità e fratellanza tra i popoli jugoslavi; il Museo di Arte Africana, sempre a Belgrado, con una forte connotazione anti-coloniale e una forte impronta jugoslava e non-allineata; il Museo memoriale 21 Ottobre, a sua volta situato all’interno del Parco memoriale di Kragujevac, un luogo della memoria fondamentale, che ospita peraltro alcuni grandi capolavori di arte jugoslava; il Museo Olimpico a Sarajevo, dedicato ai valori dell’olimpismo e quindi dello “spirito olimpico”, dell’incontro, attraverso lo sport e la cultura, tra i popoli delle più diverse latitudini; e ancora il Museo civico di Mitrovica che, nella città divisa per eccellenza, in Kosovo, testimonia invece la possibilità dell’incontro e del dialogo, oltre a mettere a disposizione spazi di apprendimento anche con una interessante strumentazione multimediale.
D. Rifacendoti, come ami fare, a Galtung, disegni una sorte di “modello” di museo per la pace quale dovrebbe essere, e ipotizzi perfino che possa utilizzare l’intelligenza artificiale.
R. Da questo punto di vista, un Museo per la pace rappresenta anche uno spazio sociale di partecipazione e di fruizione culturale, sia in relazione alla sua connotazione partecipativa (come luogo di relazione), sia in ragione della sua funzione educativa (come luogo di “educazione alla cultura”). Qui, l’adozione dei contenuti teorici e pratici della ricerca di Galtung e dell’approccio della cosiddetta ToC, la Teoria del Cambiamento, offrono, come viene mostrato nel libro, uno spunto metodologico innovativo, e pertinente, per definire il Museo, in linea con la nuova definizione dell’Icom, proprio in relazione alla sua funzione istituzionale e al suo potenziale comunicativo nello spazio pubblico, in particolare nello spazio della città.
D. Infine, il tuo libro può ben prestarsi a corsi di formazione (internazionale, dato che contiene la versione in inglese) per educatori alla pace, grazie ai suoi ricchi riferimenti bibliografici, al suo approfondito glossario, alle biografie degli artisti e alle descrizioni dei luoghi di riferimento che contiene, benché tu all’inizio dell’opera denunci lo scarsissimo rispetto e prestigio che pur sarebbe più che dovuto agli educatori ONU.
R. È l’idea stessa della ricerca-azione, vale a dire dell’educazione-intervento: da un lato, la costruzione della pace attraverso una costante opera di tessitura di relazione, comunicazione, educazione; dall’altro, la prevenzione della violenza e, per tornare a Galtung, la “costruzione della pace con mezzi pacifici”.
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Daniela Musumeci