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La svolta del 2024 e 2025 per l’Ucraina: la diserzione è diventata la tendenza dominante a livello nazionale

Il testo che segue è la traduzione di un reportage uscito a firma del Gruppo Assembly – Kharkiv, assembly.org.ua 

Il rapido collasso dell’esercito di Bashar al-Assad in Siria, che si è sgretolato tra il 27 novembre e l’8 dicembre, ha attirato molta attenzione in Ucraina. Per moltə nel Paese, è diventato l’evento principale della fine del 2024. Si è creata una situazione paradossale: la propaganda ufficiale ucraina elogia i successi delle forze filo-NATO e filo-turche contro Assad come una brillante vittoria sulla Russia, mentre allo stesso tempo lo stesso dittatore ucraino sostenuto dalla NATO rischia sempre più di seguire il destino di Assad.

Negli ultimi giorni di novembre, i media mondiali in lingua inglese hanno confermato ciò che Assembly aveva denunciato durante tutto l’autunno. ABC News, citando “un legislatore esperto di questioni militari”, ha scritto che in Ucraina potrebbero esserci addirittura 200.000 disertori e che “si tratta di un numero sconcertante da qualsiasi punto di vista, visto che si stima che ci fossero 300.000 soldati ucraini impegnati in combattimento prima dell’inizio della mobilitazione“. Ha anche riconosciuto che la diserzione è stata una delle ragioni principali della caduta di Ugledar [Vuhledar]. Il Financial Times ha aggiunto che alcuni di coloro che hanno abbandonato la 123ª Brigata di Difesa Territoriale a causa della loro riluttanza a difendere Ugledar sono già tornati al fronte, mentre altri si nascondono e altri ancora sono stati arrestati. Lo stesso articolo riporta anche, citando un esponente del servizio di sicurezza polacco che vuole restare anonimo, che ogni mese una media di 12 soldati ucraini disertano dai campi di addestramento in Polonia. Cosa di cui avevamo relazionato già da tempo.

Secondo l’Ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina, nel mese di novembre del 2024 sono stati registrati 18.984 nuovi procedimenti penali ai sensi degli articoli 407 e 408 del Codice penale ucraino (abbandono non autorizzato di un’unità e diserzione). Si tratta di un numero quasi doppio rispetto a ottobre 2024, quando sono stati registrati 9.487 casi in base a questi stessi articoli. Nel dicembre 2024 sono stati registrati 17.593. Nel gennaio sempre dello scorso anno, i procedimenti erano solo 3.448. In totale, dal febbraio 2022 al 1° dicembre di quest’anno, sono già stati registrati 114.280 procedimenti penali per casi di diserzione e assenza dal servizio. Il giornalista pro-Trump di stanza a Kiev Volodymyr Boiko, anch’egli combattente nella 241ª Brigata di Difesa Territoriale, ha pubblicato un post al riguardo il 7 dicembre:

L’esercito ucraino può essere già considerato defunto. Inoltre, anche se sono state registrate nel mese di novembre 2024 19.000 segnalazioni [di fughe], ciò non significa affatto che questo sia il numero reale di militari che hanno disertato. 19.000 è, infatti, il numero più alto possibile che può essere registrato in questa categoria di reati. Perché in ogni caso, il comandante dell’unità militare deve prima istruire un’indagine ufficiale, esaminare e approvare i risultati dell’indagine ufficiale, inviare un rapporto sul reato commesso all’Ufficio investigativo dello Stato o a un ufficio dedicato della procura, e lì il rapporto deve essere esaminato e infine registrato. Le unità militari non dispongono di un numero di specialisti tale da poter condurre indagini ufficiali di tale entità, né l’ufficio del procuratore e l’ufficio investigativo dello Stato hanno dipendenti sufficienti per inserire nel registro decine di migliaia di rapporti sulla diserzione”.

In questo contesto, il 21 novembre è stata approvata la legge 4087-IX ed è entrata in vigore il 29. Secondo questa nuova legge, coloro che si rendono colpevoli di abbandono non autorizzato della propria unità (SZCh in ucraino, SOCh in russo) o di diserzione non solo possono tornare volontariamente a prestare servizio senza essere puniti penalmente, ma anche possono continuare il servizio militare obbligatorio o a contratto. L’unico obbligo era quello di rientrare in forza entro il 1° gennaio 2025. Poi il Parlamento ha prorogato il termine per il ritorno senza responsabilità penale fino al 1° marzo 2025 – a quanto pare, non sono in molti a volerlo fare.

Il mese scorso, una conduttrice del canale YouTube delle donne militari ucraine ha raccontato che nei pressi di Kupyansk, nella regione di Kharkov, quasi tutta la seconda compagnia del 152° Battaglione della 117° Brigata di Difesa Territoriale ha disertato a causa del loro “comandante macellaio”. Il corrispondente di guerra ucraino Yury Butusov ha raccontato lo scandalo della 155ª Brigata meccanizzata “Anna di Kiev”, addestrata in Francia e inviata a Pokrovsk. Sono state reclutate diverse migliaia di persone che erano state costrette a salire sugli autobus per la leva, e più di mille di loro “sono tornati a casa immediatamente dopo l’arrivo”. Nel post del 31 dicembre, spiega che ancor prima che la brigata avesse sparato il primo colpo, 1.700 militari se ne sono andati senza permesso. In seguito, l’Ufficio di Stato per le indagini ha iniziato ad esaminare quanto accaduto. Secondo Butusov, la 155ª Brigata si è addestrata in Francia a ottobre. Già allora 935 uomini aveva abbandonato l’unità senza permesso. In seguito, più di 50 soldati si sono dileguati. Per questa scandalosa formazione sono stati spesi più di 900 milioni di euro. Meno noto è che l’8 gennaio l’Ufficio di Stato per le indagini ha arrestato un tenente superiore di questa brigata, per aver abbandonato l’unità e ha incitato i suoi sottoposti a fare altrettanto. È stato portato dalla regione di Rivne a Kiev e messo in custodia senza cauzione.  “Si è presentato un suo collega di lavoro, è stato costretto a salire su un autobus. [È stato] mobilitato in primavera, ed è scappato dal fronte di Zaporozhye. Ha detto che, quando hanno cominciato a essere fatti a pezzi con tutto quello che avevano, hanno deciso di tornare a casa. L’intera compagnia è entrata in SZCh insieme al loro comandante. Che senso ha se vengono catturati? Non importa. Ora è a casa. Vivo”, ha scritto qualcuno il 18 dicembre nella chat locale di Saltovka [Saltivka è una vasta area residenziale situata nella regione nord-orientale di Kharkiv].

Il 25 novembre, alcuni dei meccanismi utilizzati per combattere la fuga delle reclute sono stati descritti nel gruppo pubblico UFM di Telegram, nato per l’aiuto reciproco per attraversare il confine evitando i posti di blocco.

Il problema principale dei campi di addestramento è che lì tutti si controllano l’un l’altro, perché nelle formazioni ti dicono subito che lo SZCh è riprovevole e che per uno SZCh non riuscito ti picchieranno duramente. E parlano subito di responsabilità collettiva: se qualcuno lascia la tua tenda, allora ricorreranno brutalmente tutti quelli che sono nella tenda.
Il plotone vicino è stato inseguito tutta la notte quando uno di loro è scappato. Sono stati inseguiti nelle trincee per tutta la notte, come un grido d’allarme, svegliati con granate da addestramento, flessioni con l’intera compagnia in tenuta completa, in breve, scherniranno tutti fino in fondo, in modo che tutti sappiano che, se il tuo compagno d’armi scappa, per te ci sarà l’inferno. […].

Tuttavia, un disertore della regione di Kiev, che ha voluto rimanere anonimo, ha un’esperienza leggermente diversa:

“Certo, c’è un fondo di verità in tutto questo. Ma non tutto è così nero. Ora i campi di addestramento sono composti quasi al 100% da persone che sono state mobilitate con la forza. Le compagnie di addestramento sono leggermente diluite con idioti ideologici e zelanti ed anche con donne. Il restante 99% è costituito da potenziali SZCh. E questo lo sanno tutti molto bene. E questa è già una base di solidarietà. Nella mia compagnia al campo di addestramento di Yavoriv, quando un altro soldato scompariva, molti gli auguravano buona fortuna ad alta voce. E questo accadeva quasi ogni giorno. Naturalmente, venivamo tormentati quando dovevamo correre nelle trincee, quando ci portavano via le razioni e tutto il resto. Ma dato che ogni giorno qualcuno fuggiva, non so proprio cosa sarebbe successo se nessuno fosse fuggito.
Sono stato preso il 17 giugno. Sono fuggito il 30 giugno. Sono partito per la Romania il 25 settembre. […]”.

Coloro che vengono arrestati a Kharkov vengono solitamente inviati per l’addestramento non nella parte occidentale del Paese, ma nella regione di Dnepropetrovsk, a est. Questa testimonianza del 29 novembre racconta cosa li aspetta:

L’altro ieri un compagno è stato impacchettato [dalla strada], ieri era già in addestramento, a Dnipro, a 120 km dal fronte. Il convoglio è stato notevolmente rinforzato, è impossibile fuggire, come in un campo di concentramento. Il giovane pastore è stato picchiato, perché si era rifiutato di arruolarsi… La mobilitazione dei sacerdoti, come vediamo, è più importante della mobilitazione della polizia.
È quello che sta succedendo ora… E coloro che si rifiutano di agire vengono mandati a zero [all’avanguardia in prima linea]. Una compagnia di avatar [soldati che bevono]. Sono scomparsi senza lasciare traccia… Senza documenti, senza carta di circolazione. Sono stati semplicemente rapiti e fatti a pezzi. Brutalmente. Ti tolgono i telefoni, i documenti, non gliene frega niente di dove vuoi andare. Se non sei un vice, non gliene frega niente. C’era un tizio, un pastore, l’hanno buttato a terra, picchiato… L’hanno portato a zero da qualche parte… È pieno di sorveglianza, e posti di blocco in città, e sparsi ovunque. [Si poteva andare in bagno solo con un anziano. Si può andare in negozio – con uno scontrino e solo con un anziano, al massimo di 5 persone alla volta
…”.

Se tutto questo è vero, significa che il metodo di “portare a distanza zero” è utilizzato nelle truppe ucraine per sbarazzarsi degli indesiderabili, come avviene nelle unità russe sul fronte orientale. […]

Anche le ribellioni individuali contro lo Stato e la guerra sono diventate più frequenti dopo il calo iniziale dell’autunno. A novembre abbiamo registrato almeno quattro casi nella sola Kharkiv. In particolare, un uomo di 39 anni, dopo essere fuggito dall’esercito un anno e mezzo fa, ha affrontato con le armi i poliziotti giunti nel suo appartamento in risposta alla sua minaccia di uccidere un poliziotto di pattuglia. Aveva un fucile automatico, una pistola e delle granate. Tuttavia, è stato preso in custodia senza sparare un colpo. Il 27 novembre, nel villaggio di Trostyanets, nella regione di Vinnytsia, un uomo di 57 anni si è presentato al centro di arruolamento in risposta a una convocazione e ha accoltellato alla clavicola destra un sergente di 53 anni della struttura, mandandolo in terapia intensiva con ferite alle arterie. “Perché voleva mandarmi in guerra”, ha spiegato l’uomo. La notte del 28 dicembre, tre veicoli della guardia di frontiera sono stati incendiati nella città di Chop al confine della Transcarpazia: Mazda, Peugeot e KIA. Un residente locale di 22 anni, dopo essere stato fermato dalla polizia, ha spiegato il suo gesto durante l’interrogatorio indicando le sue “rapporti ostili” con i proprietari dei mezzi.

Alle 20 circa del 13 gennaio, in una delle strade principali di Kharkiv, le persone hanno bloccato la strada a un “autobus dell’invincibilità” del centro di arruolamento distrettuale. Due uomini e una donna sono scesi da auto civili, uno di loro aveva una pistola da starter (quella delle competizioni). Dopo aver rotto il finestrino del furgone con la pistola, hanno ingaggiato una lotta con i pixel [I soldati ucraini, carichi di equipaggiamento all’avanguardia, sono soprannominati «cyborg», le loro divise «pixel» per la texture]. I poliziotti hanno arrestato il proprietario della pistola e sequestrato la sua auto. Si tratterebbe di un imprenditore di 49 anni, venuto a salvare il nipote. […].

Il 25 novembre, una guardia di frontiera della regione di Khmelnytsky è stata condannata a 12 anni di carcere per l’omicidio premeditato del suo diretto superiore (il capo del gruppo di comunicazione). Il sergente junior di 36 anni, che prestava servizio come tecnico-autista ed era stato mobilitato per il Servizio di frontiera dello Stato nell’agosto 2023, si è recato in servizio con un’arma il 6 febbraio dello scorso anno e durante il servizio ha incontrato il comandante, con il quale aveva un rapporto non amichevole. Dopo di che, è andato con lui verso la mensa e gli ha sparato allo stomaco con un AK-74. Il colonnello è morto sul posto […].

Naturalmente, ci sono diverse notizie simili dall’altro lato del fronte. Infatti, il 29 ottobre, alcuni criminali reclutati per il fronte da un centro di detenzione preventiva e fuggiti dalle loro unità hanno quasi ucciso un rappresentante delle autorità della regione di Leningrado. Come ha scritto il sito locale 47news, il giorno dopo, si trattava del trentenne Aleksandr Igumenov, del trentenne Mark Frolov e del trentasettenne Vladimir Nikin. “Il comandante del gruppo investigativo del Ministero della Difesa ha già delineato le circostanze in un rapporto: si sono mossi verso la casa nel villaggio di Yanino, nel distretto di Vsevolozhsk. Gli ufficiali hanno controllato attentamente il pianerottolo e hanno iniziato ad aspettarlo vicino alla casa. Quando è apparso, l’ufficiale e i suoi subordinati sono saltati in piedi, ma si è scoperto che Igumenov non era solo. C’erano altre due persone con lui. Igumenov ha preso una pistola, ha praticamente puntato la canna sulla fronte dell’ufficiale e ha delineato in modo specifico le prospettive possibili: o se ne vanno e li lasciano andare, o il Ministero della Difesa perderà diversi graduati e un ufficiale. Come si legge nei documenti, “per evitare perdite tra i civili” il gruppo accettò la richiesta e si ritirò. O meglio, ha fatto finta di ritirarsi, chiamando i rinforzi. Gli stessi dipendenti del Ministero della Difesa si sono appostati intorno alla casa nel caso in cui il trio fosse saltato fuori, ad esempio, dalle finestre. L’irruzione delle forze speciali è stata di routine. Hanno sfondato la porta, picchiandoli violentemente. Tutti e tre erano sotto l’effetto di droghe. Oggi sono iniziati gli interrogatori nel Comitato Investigativo Militare esclusivamente nell’ambito dell’articolo 338 del Codice penale – “Diserzione”.” Ognuno di loro ha diverse condanne, soprattutto per furto”.

Il 25 ottobre, nei pressi del villaggio di Kremyanoye nella regione di Kursk, Dmitry Slepnyov, vicecomandante del 2° battaglione motorizzato di fucilieri della 810ª brigata di marina (unità militare 13140 di Sebastopoli), sarebbe stato ucciso da un suo soldato. Durante una riunione di servizio in un posto di osservazione, il capitano ha avuto un conflitto verbale con il soldato Alexander Ryabov. Quest’ultimo ha sparato all’ufficiale tre colpi alla testa con un AK-74. La notizia è stata pubblicata da fonti ucraine, senza alcuna conferma da parte russa.

La sera del 12 novembre, dieci contractors sono fuggiti senza armi dall’unità militare 57849 di stanza nell’insediamento lavorativo di Kochenyovo, vicino a Novosibirsk. Secondo il sito web locale NGS, “vi erano state assegnate circa 30 persone provenienti da tutto il Distretto militare centrale, che in precedenza avevano lasciato arbitrariamente e senza permesso le loro unità militari”. La maggior parte proveniva dal Territorio di Krasnodar. I soldati hanno distrutto la sede dell’unità con la scritta “Guardate, qui c’è una rivolta” e l’hanno filmata, hanno lasciato il villaggio in taxi e sono stati poi tutti arrestati. Prima di questo fatto, alcuni dei fuggiaschi avrebbero chiesto assistenza medica, e il motivo della rivolta era che non volevano essere rimandati al fronte. Secondo le informazioni dei canali Telegram, al 15 novembre più di un centinaio di titolari dello status di SOCh di questa unità sono stati comunque trasportati a Rostov-sul-Don.

La notte del 20 dicembre, cinque militari sono morti e sette sono stati ricoverati in ospedale per inalazione di fumo a causa di un incendio nel centro di detenzione di Vilyuisk Lane a Yakutsk. In questa struttura, i soldati detenuti perché si erano assentati senza permesso (AWOL) erano imprigionati e torturati. Secondo i servizi di emergenza e le autorità russe, i prigionieri hanno appiccato il fuoco all’edificio mentre cercavano di fuggire. In totale, c’erano diverse decine di detenuti. Nella primavera del 2024 ci sono state lamentele sulle condizioni di detenzione. Durante l’ispezione della Procura militare della Guarnigione di Yakutsk, sono state rilevate numerose violazioni della legislazione federale e sono stati emessi degli ordini di servizio per eliminare tali violazioni […].

In un modo o nell’altro, nel novembre 2024 le truppe russe hanno conquistato un territorio 4,7 volte superiore a quello dell’intero 2023. Nei primi quattro giorni del 2025, hanno già conquistato otto villaggi a sud di Pokrovsk e mancano solo alcuni chilometri al confine con la regione di Dnepropetrovsk, dove non ci sono ancora state ostilità e le fortificazioni sono minime. Nonostante la situazione sia così critica, la popolazione ucraina non ha manifestato alcuna impennata patriottica. Troppi lavoratori non vedono più alcuna particolare differenza su chi li deruberà.

17 gennaio 2025

Da libcom: https://libcom.org/article/turn-2024-and-2025-ukraine-desertion-has-become-nationwide-mainstream

 

Trad. per conto di CRINT-FAI

 

Immagine: Un momento delle manifestazioni congiunte di tutti gli oppositori alla guerra ucraini, russi e locali tenutesi il 21 dicembre a Berlino, Colonia e Parigi. Da: https://nowar.solidarite.online/blog/de-paris-%C3%A0-cologne-en-passant-par-berlin-d%C3%A9serteurs-de-tous-les-pays-unissez-vous

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La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

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Non ci può essere anarchismo senza femminismo

Con questo testo vogliamo offrire delle riflessioni sul movimento transfemminista contemporaneo, partendo da dinamiche locali che ci hanno visto partecipi negli ultimi anni, nella speranza di poter offrire una critica costruttiva ed utile anche ad altrə, al di là delle vicende specifiche.

Da un lato ci siamo chiestə cosa intendiamo quando utilizziamo il termine “intersezionalità” di cui tanto si parla nei movimenti (spesso, dal nostro punto di vista, a sproposito). Dall’altro vogliamo proporre una riflessione sui concetti di privilegio e decolonialità. Anche questi due termini attraversano gli spazi e i discorsi femministi, ma a volte, ci sembra, in maniera quasi meccanica, con degli automatismi che possono generare cortocircuiti logico/politici. Questi concetti hanno delle storie “militanti”, così come delle formulazioni teoriche interessanti, e sono a nostro parere strumenti potenzialmente validi. Ma sono appunto strumenti, non dogmi o etichette da appiccicare acriticamente.

Crediamo che negli ultimi anni le questioni poste dai movimenti femministi, transfemministi e queer abbiano finalmente messo il patriarcato al centro della critica politico-sociale e delle lotte dei movimenti. Il patriarcato è uno dei principali strumenti di potere e disciplinamento di una struttura sociale, politica ed economica che ci viene imposta come unica, naturale, giusta e connaturata nella stessa esistenza umana.

Quando diciamo che il patriarcato è strutturale all’organizzazione sociale e all’esercizio del potere delle istituzioni, non ci riferiamo certo al solo aspetto giuridico. Si tratta di una complessiva strutturazione sociale che attribuisce agli uomini in quanto tali maggior potere, controllo, autorità, rappresentazione e voce nello spazio pubblico; tale potere risulterà tanto maggiore, quanto i soggetti incarnati rispondono ai canoni del “virile”. Specularmente, per lo sguardo patriarcale le donne sarebbero “naturalmente portate” al materno, alla cura, all’ascolto e, in generale, alla presa in carico emotiva della specie. Una suddivisione in ruoli “ideali”, rispondenti ad un’idea fissa di cosa sia un uomo e cosa sia una donna – ovviamente non considerando affatto altre opzioni non binarie – che ha fortissime ripercussioni materiali.

All’aspetto giuridico si affianca l’aspetto materiale, che in Italia riguarda ad esempio la disparità salariale o la composizione di genere degli apici di istituzioni e aziende. Sulle donne (o soggettività identificate come tali) si scarica inoltre quasi sempre la maggior parte, se non la totalità, del peso della “conciliazione” fra lavoro produttivo e lavoro di cura e riproduttivo, che ancora spetta alla componente femminile all’interno del nucleo familiare, soprattutto in termini mentali ed emotivi, oltre che materiali.

Vogliamo portare come esempio pratico un dato poco citato ma significativo ed agghiacciante: i femminicidi compiuti all’interno di coppie anziane in cui lei soffre di malattia cronica o demenza ed è assistita dal compagno sono più numerosi rispetto agli omicidi di uomini da parte di caregiver donne. Se questo dato rivela la mancanza di strutture sociali adeguate a far fronte alle esigenze di assistenza, ci dice anche, ancora una volta, quanto la mentalità sia ancorata ad una visione stereotipata dei generi: i mariti anziani disperati fanno fuori le compagne e poi tentano il suicidio, in molti casi certamente con un senso di solitudine ma anche per una disabitudine alla cura e alla gestione della sofferenza, propria e altrui.

Sappiamo benissimo quanto il genere imposto alla nascita e gli stereotipi ad esso associati condizionino in maniera concreta e significativa gli immaginari, i desideri, le posture e gli sguardi sul mondo di tuttə. Ed è piuttosto evidente che nessunə di noi può ritenersi “liberə” da questi condizionamenti solo perché si definisce anarchicə. Quasi un secolo dopo Mujeres Libres,[1] dobbiamo ancora ricordarci che il patriarcato non è una questione marginale e il femminismo non è “un problema delle donne”.

Intersezionalità e politiche identitarie

L’intersezionalità è una teoria critica, la cui origine viene fatta risalire agli scritti di Kimberlé Crenshaw, femminista e giurista statunitense, fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento. In realtà anche in precedenza l’analisi intersezionale – intesa come analisi di come le diverse identità e categorie sociali si intreccino in forme di oppressione particolari e specifiche – era stata praticata da gruppi femministi marginalizzati e razzializzati. In fondo, quando le suffragette negli Usa si chiedevano se la concessione del voto ai neri avrebbe penalizzato le donne e Sojourner Truth faceva la famosa domanda “Ain’t I a Woman?”[2], proponeva di fatto un embrione di teoria intersezionale.

Oggi, l’intersezionalità è uno strumento di analisi del reale e come tale dovrebbe essere usato: un mezzo con cui possiamo capire, leggere, interpretare e giudicare la realtà. Secondo la nostra esperienza, invece, spesso la si utilizza a sproposito, come generico invito a “unire le lotte”, il che nel movimento femminista spesso si traduce in un presunto dovere di parlare di tutto e fare spazio a tuttə, facendo diventare tutto una “questione femminista”. Questa attitudine è ben diversa da quella dichiarata di rileggere il reale attraverso una lente femminista. Si tratta di un errore interpretativo che a nostro parere deriva anche in parte dall’utilizzo acritico di terminologie viste come più moderne o radicali, disperdendone la reale radicalità e riducendole a poco più che moda.

Infine, lo strumento intersezionale sembra a volte piegato alla logica dell’elencazione delle proprie oppressioni, per cui chi ne colleziona di più perde nella vita ma – ironicamente – acquisisce status all’interno del movimento. Invece l’analisi intersezionale non si struttura come la somma pura di oppressioni diverse, ma la loro messa a sistema. Di seguito proponiamo alcuni esempi, non per costruire a nostra volta un “catalogo” ma solo per cercare di spiegarci meglio.

Uomini omosessuali neri: la discriminazione subita da questi soggetti non è la somma algebrica del loro essere gay + il loro essere neri. Nelle società a prevalenza bianca ed etero essi paradossalmente possono essere più tollerati rispetto agli uomini neri etero, che vengono ritenuti portatori di una sessualità animalesca, e quindi una minaccia alle “nostre donne” (più correttamente la minaccia è “ai nostri peni”, ma anche a i “nostri ani”, dove il “noi” sono i maschi bianchi etero che costituiscono la maggioranza normante). In compenso, nelle loro società di partenza o nelle comunità della diaspora, i gay dichiarati, oltre a subire un generico stigma, vengono pure etichettati come aderenti ai valori occidentali e quindi traditori delle proprie radici.

Donne disabili: le donne disabili non hanno semplicemente i problemi delle donne + i problemi delle persone disabili, ma i loro problemi si declinano spesso in maniera diversa. Ad esempio, mentre molte donne subiscono una sessualizzazione costante e non voluta, spesso le attiviste disabili rimarcano come invece loro siano costantemente infantilizzate e la loro sessualità totalmente misconosciuta. Anche in termini di riproduzione e aborto, non hanno certo la pressione a procreare a tutti i costi che hanno le donne non-disabili; al contrario, il loro eventuale desiderio di genitorialità viene spesso ferocemente ostacolato.

Donne e riproduzione sociale: quando negli anni ’60 e ’70 le donne bianche borghesi negli USA lottavano per rivendicare il lavoro fuori casa, il non fare figli, la realizzazione professionale, le donne nere non sentivano propria tale battaglia; per loro occuparsi della propria casa e famiglia era invece un valore e un obiettivo, visto quante di loro passavano il tempo a curare famiglie altrui (in questo, sono illuminanti le pagine che all’argomento dedica bell hooks[3]).

L’uso distorto dell’intersezionalità esaspera la questione identitaria, portando il pensiero verso l’iperidentitarismo. Le politiche identitarie e delle minoranze sono entrambe figlie del liberalismo e dell’individualismo esasperato di matrice anglosassone, dove spesso la questione di classe passa in secondo piano. La cosiddetta identity politics tende a “spezzettare” i movimenti in tanti aggregati portatori di specifici interessi; questi aggregati possono al massimo portare avanti una politica di alleanze, spesso con una scarsa se non nulla prospettiva di classe. Il perno di queste lotte risiede quasi sempre nella richiesta di riconoscimento statale o di forme specifiche di sostegno o tutela per ogni singolo gruppo (la cosiddetta “politica delle minoranze”). Difficile in quest’ottica trovare una prospettiva realmente rivoluzionaria. Il movimento femminista italiano ha invece una forte tradizione materialista, ma ci sembra che in questi ultimi anni la stia perdendo a favore di un’azione politica che attribuisce maggior importanza alla definizione/percezione di sé che al proprio ruolo sociale e di classe.

Crediamo sia necessario recuperare quanto di buono è stato pensato e prodotto dalle diverse correnti del femminismo materialista, per costruire un agire politico non incentrato solo sull’identità e sulla richiesta di tutela e/o riconoscimento, ma che coinvolga i rapporti di potere e le dinamiche materiali che li determinano.

Proviamo ad articolare un esempio concreto, parlando di politiche riproduttive. Sappiamo che non tutte le donne hanno un utero o sono fertili e anche che non tutte le persone potenzialmente gestanti sono donne. Questo è ovvio, ma ricordarlo non è banale o sbagliato. Tuttavia, i meccanismi di riproduzione sociale e i rapporti di forza fra i generi sono pesantemente condizionati, nella loro formazione storica e contemporanea, dal binomio donna-madre. Non possiamo eludere questa realtà, né per timore di essere “escludenti”, né con la speranza che il superamento del binarismo di genere avvenga per mero atto volontaristico o discenda da comportamenti individuali.

Privilegio e decolonialità

Le nuove ondate femministe/transfemministe/queer degli ultimi anni hanno avuto il merito di contribuire a porre l’attenzione dei movimenti sul colonialismo, in termini tanto storici quanto contemporanei. I movimenti transfemministi hanno quindi fatto da megafono alla diffusione degli studi e dello sguardo decoloniale; evidenziando le (proprie) posizioni di privilegio, tentano di smontare il preteso universalismo del soggetto politico “Donna”. Un “partire da sé” che si definisce su un piano collettivo e sociale. Non a caso da alcuni anni assistiamo anche in Italia ad una crescente presa di parola delle persone e delle collettività razzializzate e ad un confronto stimolante con il movimento antirazzista storico. Un dialogo che ha portato a volte ad un riconoscimento della condivisa esperienza dell’esclusione. Ad esempio, gli immigrati dal Sud della penisola degli anni ’60 e ’70 furono razzializzati nel Nord industriale, per poi essere via via sostituiti dagli ultimi nuovi arrivati, uomini e donne provenienti da geografie ancora più a Sud del mondo: una razzializzazione che non si basava sul colore della pelle, ma che aveva caratteristiche molto simili a quelle che subiscono i migranti di oggi.

Stiamo assistendo però negli ultimi tempi ad un cortocircuito del concetto di privilegio come strumento di critica sociale. Il riconoscimento della condizione di privilegio del cosiddetto Occidente rispetto ai paesi del cosiddetto Terzo/Quarto Mondo ha portato in molte situazioni di movimento dall’interpretazione dei dati materiali all’interpretazione in chiave essenzialista di quelli che sono i dati materiali. Il connubio assenza di privilegio/superiorità morale è un errore epistemologico che contribuisce a creare una nuova forma di essenzialismo in chiave morale.

In altre parole, ci pare di notare che l’esasperazione e la distorsione di questi strumenti di lettura e conoscenza del reale abbiano contribuito a generare una nuova forma di “terzomondismo”, in cui, oltre ad accettare acriticamente qualsiasi pratica o ideologia provenga dallə “oppressə”, vi è anche una sovradeterminazione delle loro stesse istanze. Assistiamo infatti a movimenti di solidarietà verso popolazioni in lotta in altre parti del mondo, su cui vengono proiettati desideri e prospettive politiche che invece sono tutti “nostrani”. Un esempio chiaro in questo senso sono alcune analisi e prese di posizione riguardanti la resistenza palestinese e i fatti del 7 Ottobre 2023 che circolano in Europa; li si dipinge addirittura come avanguardia della rivoluzione mondiale, quando è ben chiaro dalle prese di posizione e dalle azioni della maggioranza delle organizzazioni politico-militari lì operanti che la lotta in quei territori viene condotta in un’ottica di liberazione nazionale e di resistenza allo stato israeliano senza nessun afflato internazionalista.

Tale esasperata attribuzione ha, secondo noi, il sentore di una nuova forma di colonialismo ideologico, che non solo cancella ogni possibilità di confronto e di eventuale critica all’interno dei movimenti, ma che appiattisce e rimuove la complessità locale, le stratificazioni di classe e le diversità politiche che attraversano ogni luogo.

C’è, però, una differenza fondamentale tra il “vecchio terzomondismo” e il fenomeno che stiamo cercando di analizzare qui. La postura terzomondista/antimperialista (permetteteci una certa approssimazione) è comunque conseguenza di un’adesione ideologica o di un appoggio politico in chiave di opposizione, e discende da una scelta attiva. La postura decoloniale, nella sua volgarizzazione di movimento, sembra invece postulare l’impossibilità di una scelta: “nostro” ruolo può essere solo prendere atto e solidarizzare, fare da tribuna senza critica. È giusto e necessario mettere in discussione il nostro eurocentrismo e le pretese di universalismo e questa consapevolezza deve molto all’apporto delle teoriche e dei gruppi femministi. Riteniamo, però, che in ambito transfemminista e queer questa attitudine abbia talvolta assunto tratti quasi dogmatici e di sudditanza psicologica – a un soggetto peraltro spesso astratto e disincarnato – altamente problematici.

Alcune provvisorie conclusioni

Crediamo che il contributo teorico-pratico dei movimenti transfemministi e queer degli ultimi decenni, sia essenziale per tutti i movimenti che agiscono sul terreno della trasformazione sociale radicale dell’esistente. Crediamo che queste istanze e riflessioni – senza adesioni acritiche, così come senza preclusioni – debbano diventare parte integrante del nostro bagaglio. Ne siamo convintə perché pensiamo che un anarchismo che non sappia dare importanza alle questioni di genere sia un anarchismo monco. Ci sembra importante ribadire che riflessioni e pratiche vanno condivise e allargate, perché non sono una questione “delle compagne” né di alcuni gruppi “specializzati”. Riteniamo che l’anarchismo possa essere all’altezza delle sfide che questi nuovi movimenti ci pongono. Con la sua critica radicale alle strutture materiali della società che contribuiscono alla perpetuazione del patriarcato, l’anarchismo può essere una “casa” dove queste istanze trovano il loro spazio, al di fuori di ogni organizzazione autoritaria e verticistica. Si tratta di intessere relazioni e scambi sviluppando ambiti di lotta e conflitto. Ma prima ancora, si tratta di ricordare che il patriarcato innerva ogni realtà che ci circonda e pertanto ci riguarda tuttə. Di conseguenza, non può esserci una reale rivoluzione che non sovverta le relazioni patriarcali. Non può esserci anarchismo senza femminismo.

Gruppo Anarchico Germinal – Trieste

[1] Organizzazione femminista fondata in Spagna nel 1936 per portare le istanze delle donne nel movimento anarchico e anarcosindacalista

[2]  Sojourner Truth, nata Isabella Baumfree (1797?-1883) pronunciò il discorso “Ain’t I a woman?” (“Non sono forse una donna?”) al Convegno per i diritti delle donne dell’Ohio, nel Maggio 1851

[3] hooks ha scritto per tutta la vita dell’intersezione tra genere, “razza” e classe sociale, a partire dalla sua crescita come donna nera di famiglia povera. Molti suoi testi oggi sono facilmente reperibili in italiano; tra questi, Tamu ha pubblicato “Elogio del margine” e “Non sono una donna, io. Donne nere e femminismo” che affrontano (anche) le questioni da noi menzionate.

GLOSSARIO:

Razzializzate (persone/collettività): cui viene attribuita una razza. Il termine viene utilizzato allo scopo di “tenere assieme” più aspetti. Da un lato, dato che le razze non esistono, si cerca di porre l’accento sul processo che porta alla loro creazione sociale. Dall’altro però si vuole riconoscere che, sebbene le razze non esistano come elemento oggettivo, il fatto che socialmente si agisca come se esistessero, produce effetti reali. Insomma: le razze – come le nazioni o i popoli potremmo dire – non esistono come dato ontologico, ma esistono come dato sociale.

Coloniale: in riferimento al pensiero, tutte quelle formae mentis che tendono a confermare e perpetuare l’idea dell’intrinseca superiorità di una “razza” o di un’epistemologia. Ne sono esempi il “fardello dell’uomo bianco” o l’invasione dell’Afghanistan per “liberare le donne”

Postcoloniale/decoloniale: sempre in riferimento al pensiero, che cerca di interrogarsi e mettere a critica tutte le formae mentis di cui sopra. I due concetti non sono perfettamente sovrapponibili: alcunə, ad esempio, mettono l’accento sull’importanza politico/procedurale del prefisso de-; altrə ne fanno soprattutto una differenza di alveo di nascita (decoloniale viene soprattutto dall’ambito latino, postcoloniale da quelli (ex) francofoni e anglofoni). In ogni caso, entrambi i concetti ci sembra rispondano al medesimo intento di messa in discussione politica. Ad esempio, in antropologia, gli studi post-coloniali sviluppano una critica serrata alla disciplina stessa, ritenuta sia prodotto che strumento del colonialismo

Comunità della diaspora: con questo termine intendiamo quelle collettività che si creano nei paesi di arrivo (o transito) migratorio. Solitamente sono aggregate su base nazionale (es: “la comunità cinese di Prato”) o sovranazionale (es: “l’associazione degli studenti africani della Sapienza), talvolta religiosa (es: i fedeli del tempio shivaita di Brick Lane a Londra)

Immagine: “La penultima zena” di Marco Novak

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La svolta del 2024 e 2025 per l’Ucraina: la diserzione è diventata la tendenza dominante a livello nazionale

Il testo che segue è la traduzione di un reportage uscito a firma del Gruppo Assembly – Kharkiv, assembly.org.ua 

Il rapido collasso dell’esercito di Bashar al-Assad in Siria, che si è sgretolato tra il 27 novembre e l’8 dicembre, ha attirato molta attenzione in Ucraina. Per moltə nel Paese, è diventato l’evento principale della fine del 2024. Si è creata una situazione paradossale: la propaganda ufficiale ucraina elogia i successi delle forze filo-NATO e filo-turche contro Assad come una brillante vittoria sulla Russia, mentre allo stesso tempo lo stesso dittatore ucraino sostenuto dalla NATO rischia sempre più di seguire il destino di Assad.

Negli ultimi giorni di novembre, i media mondiali in lingua inglese hanno confermato ciò che Assembly aveva denunciato durante tutto l’autunno. ABC News, citando “un legislatore esperto di questioni militari”, ha scritto che in Ucraina potrebbero esserci addirittura 200.000 disertori e che “si tratta di un numero sconcertante da qualsiasi punto di vista, visto che si stima che ci fossero 300.000 soldati ucraini impegnati in combattimento prima dell’inizio della mobilitazione“. Ha anche riconosciuto che la diserzione è stata una delle ragioni principali della caduta di Ugledar [Vuhledar]. Il Financial Times ha aggiunto che alcuni di coloro che hanno abbandonato la 123ª Brigata di Difesa Territoriale a causa della loro riluttanza a difendere Ugledar sono già tornati al fronte, mentre altri si nascondono e altri ancora sono stati arrestati. Lo stesso articolo riporta anche, citando un esponente del servizio di sicurezza polacco che vuole restare anonimo, che ogni mese una media di 12 soldati ucraini disertano dai campi di addestramento in Polonia. Cosa di cui avevamo relazionato già da tempo.

Secondo l’Ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina, nel mese di novembre del 2024 sono stati registrati 18.984 nuovi procedimenti penali ai sensi degli articoli 407 e 408 del Codice penale ucraino (abbandono non autorizzato di un’unità e diserzione). Si tratta di un numero quasi doppio rispetto a ottobre 2024, quando sono stati registrati 9.487 casi in base a questi stessi articoli. Nel dicembre 2024 sono stati registrati 17.593. Nel gennaio sempre dello scorso anno, i procedimenti erano solo 3.448. In totale, dal febbraio 2022 al 1° dicembre di quest’anno, sono già stati registrati 114.280 procedimenti penali per casi di diserzione e assenza dal servizio. Il giornalista pro-Trump di stanza a Kiev Volodymyr Boiko, anch’egli combattente nella 241ª Brigata di Difesa Territoriale, ha pubblicato un post al riguardo il 7 dicembre:

L’esercito ucraino può essere già considerato defunto. Inoltre, anche se sono state registrate nel mese di novembre 2024 19.000 segnalazioni [di fughe], ciò non significa affatto che questo sia il numero reale di militari che hanno disertato. 19.000 è, infatti, il numero più alto possibile che può essere registrato in questa categoria di reati. Perché in ogni caso, il comandante dell’unità militare deve prima istruire un’indagine ufficiale, esaminare e approvare i risultati dell’indagine ufficiale, inviare un rapporto sul reato commesso all’Ufficio investigativo dello Stato o a un ufficio dedicato della procura, e lì il rapporto deve essere esaminato e infine registrato. Le unità militari non dispongono di un numero di specialisti tale da poter condurre indagini ufficiali di tale entità, né l’ufficio del procuratore e l’ufficio investigativo dello Stato hanno dipendenti sufficienti per inserire nel registro decine di migliaia di rapporti sulla diserzione”.

In questo contesto, il 21 novembre è stata approvata la legge 4087-IX ed è entrata in vigore il 29. Secondo questa nuova legge, coloro che si rendono colpevoli di abbandono non autorizzato della propria unità (SZCh in ucraino, SOCh in russo) o di diserzione non solo possono tornare volontariamente a prestare servizio senza essere puniti penalmente, ma anche possono continuare il servizio militare obbligatorio o a contratto. L’unico obbligo era quello di rientrare in forza entro il 1° gennaio 2025. Poi il Parlamento ha prorogato il termine per il ritorno senza responsabilità penale fino al 1° marzo 2025 – a quanto pare, non sono in molti a volerlo fare.

Il mese scorso, una conduttrice del canale YouTube delle donne militari ucraine ha raccontato che nei pressi di Kupyansk, nella regione di Kharkov, quasi tutta la seconda compagnia del 152° Battaglione della 117° Brigata di Difesa Territoriale ha disertato a causa del loro “comandante macellaio”. Il corrispondente di guerra ucraino Yury Butusov ha raccontato lo scandalo della 155ª Brigata meccanizzata “Anna di Kiev”, addestrata in Francia e inviata a Pokrovsk. Sono state reclutate diverse migliaia di persone che erano state costrette a salire sugli autobus per la leva, e più di mille di loro “sono tornati a casa immediatamente dopo l’arrivo”. Nel post del 31 dicembre, spiega che ancor prima che la brigata avesse sparato il primo colpo, 1.700 militari se ne sono andati senza permesso. In seguito, l’Ufficio di Stato per le indagini ha iniziato ad esaminare quanto accaduto. Secondo Butusov, la 155ª Brigata si è addestrata in Francia a ottobre. Già allora 935 uomini aveva abbandonato l’unità senza permesso. In seguito, più di 50 soldati si sono dileguati. Per questa scandalosa formazione sono stati spesi più di 900 milioni di euro. Meno noto è che l’8 gennaio l’Ufficio di Stato per le indagini ha arrestato un tenente superiore di questa brigata, per aver abbandonato l’unità e ha incitato i suoi sottoposti a fare altrettanto. È stato portato dalla regione di Rivne a Kiev e messo in custodia senza cauzione.  “Si è presentato un suo collega di lavoro, è stato costretto a salire su un autobus. [È stato] mobilitato in primavera, ed è scappato dal fronte di Zaporozhye. Ha detto che, quando hanno cominciato a essere fatti a pezzi con tutto quello che avevano, hanno deciso di tornare a casa. L’intera compagnia è entrata in SZCh insieme al loro comandante. Che senso ha se vengono catturati? Non importa. Ora è a casa. Vivo”, ha scritto qualcuno il 18 dicembre nella chat locale di Saltovka [Saltivka è una vasta area residenziale situata nella regione nord-orientale di Kharkiv].

Il 25 novembre, alcuni dei meccanismi utilizzati per combattere la fuga delle reclute sono stati descritti nel gruppo pubblico UFM di Telegram, nato per l’aiuto reciproco per attraversare il confine evitando i posti di blocco.

Il problema principale dei campi di addestramento è che lì tutti si controllano l’un l’altro, perché nelle formazioni ti dicono subito che lo SZCh è riprovevole e che per uno SZCh non riuscito ti picchieranno duramente. E parlano subito di responsabilità collettiva: se qualcuno lascia la tua tenda, allora ricorreranno brutalmente tutti quelli che sono nella tenda.
Il plotone vicino è stato inseguito tutta la notte quando uno di loro è scappato. Sono stati inseguiti nelle trincee per tutta la notte, come un grido d’allarme, svegliati con granate da addestramento, flessioni con l’intera compagnia in tenuta completa, in breve, scherniranno tutti fino in fondo, in modo che tutti sappiano che, se il tuo compagno d’armi scappa, per te ci sarà l’inferno. […].

Tuttavia, un disertore della regione di Kiev, che ha voluto rimanere anonimo, ha un’esperienza leggermente diversa:

“Certo, c’è un fondo di verità in tutto questo. Ma non tutto è così nero. Ora i campi di addestramento sono composti quasi al 100% da persone che sono state mobilitate con la forza. Le compagnie di addestramento sono leggermente diluite con idioti ideologici e zelanti ed anche con donne. Il restante 99% è costituito da potenziali SZCh. E questo lo sanno tutti molto bene. E questa è già una base di solidarietà. Nella mia compagnia al campo di addestramento di Yavoriv, quando un altro soldato scompariva, molti gli auguravano buona fortuna ad alta voce. E questo accadeva quasi ogni giorno. Naturalmente, venivamo tormentati quando dovevamo correre nelle trincee, quando ci portavano via le razioni e tutto il resto. Ma dato che ogni giorno qualcuno fuggiva, non so proprio cosa sarebbe successo se nessuno fosse fuggito.
Sono stato preso il 17 giugno. Sono fuggito il 30 giugno. Sono partito per la Romania il 25 settembre. […]”.

Coloro che vengono arrestati a Kharkov vengono solitamente inviati per l’addestramento non nella parte occidentale del Paese, ma nella regione di Dnepropetrovsk, a est. Questa testimonianza del 29 novembre racconta cosa li aspetta:

L’altro ieri un compagno è stato impacchettato [dalla strada], ieri era già in addestramento, a Dnipro, a 120 km dal fronte. Il convoglio è stato notevolmente rinforzato, è impossibile fuggire, come in un campo di concentramento. Il giovane pastore è stato picchiato, perché si era rifiutato di arruolarsi… La mobilitazione dei sacerdoti, come vediamo, è più importante della mobilitazione della polizia.
È quello che sta succedendo ora… E coloro che si rifiutano di agire vengono mandati a zero [all’avanguardia in prima linea]. Una compagnia di avatar [soldati che bevono]. Sono scomparsi senza lasciare traccia… Senza documenti, senza carta di circolazione. Sono stati semplicemente rapiti e fatti a pezzi. Brutalmente. Ti tolgono i telefoni, i documenti, non gliene frega niente di dove vuoi andare. Se non sei un vice, non gliene frega niente. C’era un tizio, un pastore, l’hanno buttato a terra, picchiato… L’hanno portato a zero da qualche parte… È pieno di sorveglianza, e posti di blocco in città, e sparsi ovunque. [Si poteva andare in bagno solo con un anziano. Si può andare in negozio – con uno scontrino e solo con un anziano, al massimo di 5 persone alla volta
…”.

Se tutto questo è vero, significa che il metodo di “portare a distanza zero” è utilizzato nelle truppe ucraine per sbarazzarsi degli indesiderabili, come avviene nelle unità russe sul fronte orientale. […]

Anche le ribellioni individuali contro lo Stato e la guerra sono diventate più frequenti dopo il calo iniziale dell’autunno. A novembre abbiamo registrato almeno quattro casi nella sola Kharkiv. In particolare, un uomo di 39 anni, dopo essere fuggito dall’esercito un anno e mezzo fa, ha affrontato con le armi i poliziotti giunti nel suo appartamento in risposta alla sua minaccia di uccidere un poliziotto di pattuglia. Aveva un fucile automatico, una pistola e delle granate. Tuttavia, è stato preso in custodia senza sparare un colpo. Il 27 novembre, nel villaggio di Trostyanets, nella regione di Vinnytsia, un uomo di 57 anni si è presentato al centro di arruolamento in risposta a una convocazione e ha accoltellato alla clavicola destra un sergente di 53 anni della struttura, mandandolo in terapia intensiva con ferite alle arterie. “Perché voleva mandarmi in guerra”, ha spiegato l’uomo. La notte del 28 dicembre, tre veicoli della guardia di frontiera sono stati incendiati nella città di Chop al confine della Transcarpazia: Mazda, Peugeot e KIA. Un residente locale di 22 anni, dopo essere stato fermato dalla polizia, ha spiegato il suo gesto durante l’interrogatorio indicando le sue “rapporti ostili” con i proprietari dei mezzi.

Alle 20 circa del 13 gennaio, in una delle strade principali di Kharkiv, le persone hanno bloccato la strada a un “autobus dell’invincibilità” del centro di arruolamento distrettuale. Due uomini e una donna sono scesi da auto civili, uno di loro aveva una pistola da starter (quella delle competizioni). Dopo aver rotto il finestrino del furgone con la pistola, hanno ingaggiato una lotta con i pixel [I soldati ucraini, carichi di equipaggiamento all’avanguardia, sono soprannominati «cyborg», le loro divise «pixel» per la texture]. I poliziotti hanno arrestato il proprietario della pistola e sequestrato la sua auto. Si tratterebbe di un imprenditore di 49 anni, venuto a salvare il nipote. […].

Il 25 novembre, una guardia di frontiera della regione di Khmelnytsky è stata condannata a 12 anni di carcere per l’omicidio premeditato del suo diretto superiore (il capo del gruppo di comunicazione). Il sergente junior di 36 anni, che prestava servizio come tecnico-autista ed era stato mobilitato per il Servizio di frontiera dello Stato nell’agosto 2023, si è recato in servizio con un’arma il 6 febbraio dello scorso anno e durante il servizio ha incontrato il comandante, con il quale aveva un rapporto non amichevole. Dopo di che, è andato con lui verso la mensa e gli ha sparato allo stomaco con un AK-74. Il colonnello è morto sul posto […].

Naturalmente, ci sono diverse notizie simili dall’altro lato del fronte. Infatti, il 29 ottobre, alcuni criminali reclutati per il fronte da un centro di detenzione preventiva e fuggiti dalle loro unità hanno quasi ucciso un rappresentante delle autorità della regione di Leningrado. Come ha scritto il sito locale 47news, il giorno dopo, si trattava del trentenne Aleksandr Igumenov, del trentenne Mark Frolov e del trentasettenne Vladimir Nikin. “Il comandante del gruppo investigativo del Ministero della Difesa ha già delineato le circostanze in un rapporto: si sono mossi verso la casa nel villaggio di Yanino, nel distretto di Vsevolozhsk. Gli ufficiali hanno controllato attentamente il pianerottolo e hanno iniziato ad aspettarlo vicino alla casa. Quando è apparso, l’ufficiale e i suoi subordinati sono saltati in piedi, ma si è scoperto che Igumenov non era solo. C’erano altre due persone con lui. Igumenov ha preso una pistola, ha praticamente puntato la canna sulla fronte dell’ufficiale e ha delineato in modo specifico le prospettive possibili: o se ne vanno e li lasciano andare, o il Ministero della Difesa perderà diversi graduati e un ufficiale. Come si legge nei documenti, “per evitare perdite tra i civili” il gruppo accettò la richiesta e si ritirò. O meglio, ha fatto finta di ritirarsi, chiamando i rinforzi. Gli stessi dipendenti del Ministero della Difesa si sono appostati intorno alla casa nel caso in cui il trio fosse saltato fuori, ad esempio, dalle finestre. L’irruzione delle forze speciali è stata di routine. Hanno sfondato la porta, picchiandoli violentemente. Tutti e tre erano sotto l’effetto di droghe. Oggi sono iniziati gli interrogatori nel Comitato Investigativo Militare esclusivamente nell’ambito dell’articolo 338 del Codice penale – “Diserzione”.” Ognuno di loro ha diverse condanne, soprattutto per furto”.

Il 25 ottobre, nei pressi del villaggio di Kremyanoye nella regione di Kursk, Dmitry Slepnyov, vicecomandante del 2° battaglione motorizzato di fucilieri della 810ª brigata di marina (unità militare 13140 di Sebastopoli), sarebbe stato ucciso da un suo soldato. Durante una riunione di servizio in un posto di osservazione, il capitano ha avuto un conflitto verbale con il soldato Alexander Ryabov. Quest’ultimo ha sparato all’ufficiale tre colpi alla testa con un AK-74. La notizia è stata pubblicata da fonti ucraine, senza alcuna conferma da parte russa.

La sera del 12 novembre, dieci contractors sono fuggiti senza armi dall’unità militare 57849 di stanza nell’insediamento lavorativo di Kochenyovo, vicino a Novosibirsk. Secondo il sito web locale NGS, “vi erano state assegnate circa 30 persone provenienti da tutto il Distretto militare centrale, che in precedenza avevano lasciato arbitrariamente e senza permesso le loro unità militari”. La maggior parte proveniva dal Territorio di Krasnodar. I soldati hanno distrutto la sede dell’unità con la scritta “Guardate, qui c’è una rivolta” e l’hanno filmata, hanno lasciato il villaggio in taxi e sono stati poi tutti arrestati. Prima di questo fatto, alcuni dei fuggiaschi avrebbero chiesto assistenza medica, e il motivo della rivolta era che non volevano essere rimandati al fronte. Secondo le informazioni dei canali Telegram, al 15 novembre più di un centinaio di titolari dello status di SOCh di questa unità sono stati comunque trasportati a Rostov-sul-Don.

La notte del 20 dicembre, cinque militari sono morti e sette sono stati ricoverati in ospedale per inalazione di fumo a causa di un incendio nel centro di detenzione di Vilyuisk Lane a Yakutsk. In questa struttura, i soldati detenuti perché si erano assentati senza permesso (AWOL) erano imprigionati e torturati. Secondo i servizi di emergenza e le autorità russe, i prigionieri hanno appiccato il fuoco all’edificio mentre cercavano di fuggire. In totale, c’erano diverse decine di detenuti. Nella primavera del 2024 ci sono state lamentele sulle condizioni di detenzione. Durante l’ispezione della Procura militare della Guarnigione di Yakutsk, sono state rilevate numerose violazioni della legislazione federale e sono stati emessi degli ordini di servizio per eliminare tali violazioni […].

In un modo o nell’altro, nel novembre 2024 le truppe russe hanno conquistato un territorio 4,7 volte superiore a quello dell’intero 2023. Nei primi quattro giorni del 2025, hanno già conquistato otto villaggi a sud di Pokrovsk e mancano solo alcuni chilometri al confine con la regione di Dnepropetrovsk, dove non ci sono ancora state ostilità e le fortificazioni sono minime. Nonostante la situazione sia così critica, la popolazione ucraina non ha manifestato alcuna impennata patriottica. Troppi lavoratori non vedono più alcuna particolare differenza su chi li deruberà.

17 gennaio 2025

Da libcom: https://libcom.org/article/turn-2024-and-2025-ukraine-desertion-has-become-nationwide-mainstream

 

Trad. per conto di CRINT-FAI

 

Immagine: Un momento delle manifestazioni congiunte di tutti gli oppositori alla guerra ucraini, russi e locali tenutesi il 21 dicembre a Berlino, Colonia e Parigi. Da: https://nowar.solidarite.online/blog/de-paris-%C3%A0-cologne-en-passant-par-berlin-d%C3%A9serteurs-de-tous-les-pays-unissez-vous

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La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

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Non ci può essere anarchismo senza femminismo

Con questo testo vogliamo offrire delle riflessioni sul movimento transfemminista contemporaneo, partendo da dinamiche locali che ci hanno visto partecipi negli ultimi anni, nella speranza di poter offrire una critica costruttiva ed utile anche ad altrə, al di là delle vicende specifiche.

Da un lato ci siamo chiestə cosa intendiamo quando utilizziamo il termine “intersezionalità” di cui tanto si parla nei movimenti (spesso, dal nostro punto di vista, a sproposito). Dall’altro vogliamo proporre una riflessione sui concetti di privilegio e decolonialità. Anche questi due termini attraversano gli spazi e i discorsi femministi, ma a volte, ci sembra, in maniera quasi meccanica, con degli automatismi che possono generare cortocircuiti logico/politici. Questi concetti hanno delle storie “militanti”, così come delle formulazioni teoriche interessanti, e sono a nostro parere strumenti potenzialmente validi. Ma sono appunto strumenti, non dogmi o etichette da appiccicare acriticamente.

Crediamo che negli ultimi anni le questioni poste dai movimenti femministi, transfemministi e queer abbiano finalmente messo il patriarcato al centro della critica politico-sociale e delle lotte dei movimenti. Il patriarcato è uno dei principali strumenti di potere e disciplinamento di una struttura sociale, politica ed economica che ci viene imposta come unica, naturale, giusta e connaturata nella stessa esistenza umana.

Quando diciamo che il patriarcato è strutturale all’organizzazione sociale e all’esercizio del potere delle istituzioni, non ci riferiamo certo al solo aspetto giuridico. Si tratta di una complessiva strutturazione sociale che attribuisce agli uomini in quanto tali maggior potere, controllo, autorità, rappresentazione e voce nello spazio pubblico; tale potere risulterà tanto maggiore, quanto i soggetti incarnati rispondono ai canoni del “virile”. Specularmente, per lo sguardo patriarcale le donne sarebbero “naturalmente portate” al materno, alla cura, all’ascolto e, in generale, alla presa in carico emotiva della specie. Una suddivisione in ruoli “ideali”, rispondenti ad un’idea fissa di cosa sia un uomo e cosa sia una donna – ovviamente non considerando affatto altre opzioni non binarie – che ha fortissime ripercussioni materiali.

All’aspetto giuridico si affianca l’aspetto materiale, che in Italia riguarda ad esempio la disparità salariale o la composizione di genere degli apici di istituzioni e aziende. Sulle donne (o soggettività identificate come tali) si scarica inoltre quasi sempre la maggior parte, se non la totalità, del peso della “conciliazione” fra lavoro produttivo e lavoro di cura e riproduttivo, che ancora spetta alla componente femminile all’interno del nucleo familiare, soprattutto in termini mentali ed emotivi, oltre che materiali.

Vogliamo portare come esempio pratico un dato poco citato ma significativo ed agghiacciante: i femminicidi compiuti all’interno di coppie anziane in cui lei soffre di malattia cronica o demenza ed è assistita dal compagno sono più numerosi rispetto agli omicidi di uomini da parte di caregiver donne. Se questo dato rivela la mancanza di strutture sociali adeguate a far fronte alle esigenze di assistenza, ci dice anche, ancora una volta, quanto la mentalità sia ancorata ad una visione stereotipata dei generi: i mariti anziani disperati fanno fuori le compagne e poi tentano il suicidio, in molti casi certamente con un senso di solitudine ma anche per una disabitudine alla cura e alla gestione della sofferenza, propria e altrui.

Sappiamo benissimo quanto il genere imposto alla nascita e gli stereotipi ad esso associati condizionino in maniera concreta e significativa gli immaginari, i desideri, le posture e gli sguardi sul mondo di tuttə. Ed è piuttosto evidente che nessunə di noi può ritenersi “liberə” da questi condizionamenti solo perché si definisce anarchicə. Quasi un secolo dopo Mujeres Libres,[1] dobbiamo ancora ricordarci che il patriarcato non è una questione marginale e il femminismo non è “un problema delle donne”.

Intersezionalità e politiche identitarie

L’intersezionalità è una teoria critica, la cui origine viene fatta risalire agli scritti di Kimberlé Crenshaw, femminista e giurista statunitense, fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento. In realtà anche in precedenza l’analisi intersezionale – intesa come analisi di come le diverse identità e categorie sociali si intreccino in forme di oppressione particolari e specifiche – era stata praticata da gruppi femministi marginalizzati e razzializzati. In fondo, quando le suffragette negli Usa si chiedevano se la concessione del voto ai neri avrebbe penalizzato le donne e Sojourner Truth faceva la famosa domanda “Ain’t I a Woman?”[2], proponeva di fatto un embrione di teoria intersezionale.

Oggi, l’intersezionalità è uno strumento di analisi del reale e come tale dovrebbe essere usato: un mezzo con cui possiamo capire, leggere, interpretare e giudicare la realtà. Secondo la nostra esperienza, invece, spesso la si utilizza a sproposito, come generico invito a “unire le lotte”, il che nel movimento femminista spesso si traduce in un presunto dovere di parlare di tutto e fare spazio a tuttə, facendo diventare tutto una “questione femminista”. Questa attitudine è ben diversa da quella dichiarata di rileggere il reale attraverso una lente femminista. Si tratta di un errore interpretativo che a nostro parere deriva anche in parte dall’utilizzo acritico di terminologie viste come più moderne o radicali, disperdendone la reale radicalità e riducendole a poco più che moda.

Infine, lo strumento intersezionale sembra a volte piegato alla logica dell’elencazione delle proprie oppressioni, per cui chi ne colleziona di più perde nella vita ma – ironicamente – acquisisce status all’interno del movimento. Invece l’analisi intersezionale non si struttura come la somma pura di oppressioni diverse, ma la loro messa a sistema. Di seguito proponiamo alcuni esempi, non per costruire a nostra volta un “catalogo” ma solo per cercare di spiegarci meglio.

Uomini omosessuali neri: la discriminazione subita da questi soggetti non è la somma algebrica del loro essere gay + il loro essere neri. Nelle società a prevalenza bianca ed etero essi paradossalmente possono essere più tollerati rispetto agli uomini neri etero, che vengono ritenuti portatori di una sessualità animalesca, e quindi una minaccia alle “nostre donne” (più correttamente la minaccia è “ai nostri peni”, ma anche a i “nostri ani”, dove il “noi” sono i maschi bianchi etero che costituiscono la maggioranza normante). In compenso, nelle loro società di partenza o nelle comunità della diaspora, i gay dichiarati, oltre a subire un generico stigma, vengono pure etichettati come aderenti ai valori occidentali e quindi traditori delle proprie radici.

Donne disabili: le donne disabili non hanno semplicemente i problemi delle donne + i problemi delle persone disabili, ma i loro problemi si declinano spesso in maniera diversa. Ad esempio, mentre molte donne subiscono una sessualizzazione costante e non voluta, spesso le attiviste disabili rimarcano come invece loro siano costantemente infantilizzate e la loro sessualità totalmente misconosciuta. Anche in termini di riproduzione e aborto, non hanno certo la pressione a procreare a tutti i costi che hanno le donne non-disabili; al contrario, il loro eventuale desiderio di genitorialità viene spesso ferocemente ostacolato.

Donne e riproduzione sociale: quando negli anni ’60 e ’70 le donne bianche borghesi negli USA lottavano per rivendicare il lavoro fuori casa, il non fare figli, la realizzazione professionale, le donne nere non sentivano propria tale battaglia; per loro occuparsi della propria casa e famiglia era invece un valore e un obiettivo, visto quante di loro passavano il tempo a curare famiglie altrui (in questo, sono illuminanti le pagine che all’argomento dedica bell hooks[3]).

L’uso distorto dell’intersezionalità esaspera la questione identitaria, portando il pensiero verso l’iperidentitarismo. Le politiche identitarie e delle minoranze sono entrambe figlie del liberalismo e dell’individualismo esasperato di matrice anglosassone, dove spesso la questione di classe passa in secondo piano. La cosiddetta identity politics tende a “spezzettare” i movimenti in tanti aggregati portatori di specifici interessi; questi aggregati possono al massimo portare avanti una politica di alleanze, spesso con una scarsa se non nulla prospettiva di classe. Il perno di queste lotte risiede quasi sempre nella richiesta di riconoscimento statale o di forme specifiche di sostegno o tutela per ogni singolo gruppo (la cosiddetta “politica delle minoranze”). Difficile in quest’ottica trovare una prospettiva realmente rivoluzionaria. Il movimento femminista italiano ha invece una forte tradizione materialista, ma ci sembra che in questi ultimi anni la stia perdendo a favore di un’azione politica che attribuisce maggior importanza alla definizione/percezione di sé che al proprio ruolo sociale e di classe.

Crediamo sia necessario recuperare quanto di buono è stato pensato e prodotto dalle diverse correnti del femminismo materialista, per costruire un agire politico non incentrato solo sull’identità e sulla richiesta di tutela e/o riconoscimento, ma che coinvolga i rapporti di potere e le dinamiche materiali che li determinano.

Proviamo ad articolare un esempio concreto, parlando di politiche riproduttive. Sappiamo che non tutte le donne hanno un utero o sono fertili e anche che non tutte le persone potenzialmente gestanti sono donne. Questo è ovvio, ma ricordarlo non è banale o sbagliato. Tuttavia, i meccanismi di riproduzione sociale e i rapporti di forza fra i generi sono pesantemente condizionati, nella loro formazione storica e contemporanea, dal binomio donna-madre. Non possiamo eludere questa realtà, né per timore di essere “escludenti”, né con la speranza che il superamento del binarismo di genere avvenga per mero atto volontaristico o discenda da comportamenti individuali.

Privilegio e decolonialità

Le nuove ondate femministe/transfemministe/queer degli ultimi anni hanno avuto il merito di contribuire a porre l’attenzione dei movimenti sul colonialismo, in termini tanto storici quanto contemporanei. I movimenti transfemministi hanno quindi fatto da megafono alla diffusione degli studi e dello sguardo decoloniale; evidenziando le (proprie) posizioni di privilegio, tentano di smontare il preteso universalismo del soggetto politico “Donna”. Un “partire da sé” che si definisce su un piano collettivo e sociale. Non a caso da alcuni anni assistiamo anche in Italia ad una crescente presa di parola delle persone e delle collettività razzializzate e ad un confronto stimolante con il movimento antirazzista storico. Un dialogo che ha portato a volte ad un riconoscimento della condivisa esperienza dell’esclusione. Ad esempio, gli immigrati dal Sud della penisola degli anni ’60 e ’70 furono razzializzati nel Nord industriale, per poi essere via via sostituiti dagli ultimi nuovi arrivati, uomini e donne provenienti da geografie ancora più a Sud del mondo: una razzializzazione che non si basava sul colore della pelle, ma che aveva caratteristiche molto simili a quelle che subiscono i migranti di oggi.

Stiamo assistendo però negli ultimi tempi ad un cortocircuito del concetto di privilegio come strumento di critica sociale. Il riconoscimento della condizione di privilegio del cosiddetto Occidente rispetto ai paesi del cosiddetto Terzo/Quarto Mondo ha portato in molte situazioni di movimento dall’interpretazione dei dati materiali all’interpretazione in chiave essenzialista di quelli che sono i dati materiali. Il connubio assenza di privilegio/superiorità morale è un errore epistemologico che contribuisce a creare una nuova forma di essenzialismo in chiave morale.

In altre parole, ci pare di notare che l’esasperazione e la distorsione di questi strumenti di lettura e conoscenza del reale abbiano contribuito a generare una nuova forma di “terzomondismo”, in cui, oltre ad accettare acriticamente qualsiasi pratica o ideologia provenga dallə “oppressə”, vi è anche una sovradeterminazione delle loro stesse istanze. Assistiamo infatti a movimenti di solidarietà verso popolazioni in lotta in altre parti del mondo, su cui vengono proiettati desideri e prospettive politiche che invece sono tutti “nostrani”. Un esempio chiaro in questo senso sono alcune analisi e prese di posizione riguardanti la resistenza palestinese e i fatti del 7 Ottobre 2023 che circolano in Europa; li si dipinge addirittura come avanguardia della rivoluzione mondiale, quando è ben chiaro dalle prese di posizione e dalle azioni della maggioranza delle organizzazioni politico-militari lì operanti che la lotta in quei territori viene condotta in un’ottica di liberazione nazionale e di resistenza allo stato israeliano senza nessun afflato internazionalista.

Tale esasperata attribuzione ha, secondo noi, il sentore di una nuova forma di colonialismo ideologico, che non solo cancella ogni possibilità di confronto e di eventuale critica all’interno dei movimenti, ma che appiattisce e rimuove la complessità locale, le stratificazioni di classe e le diversità politiche che attraversano ogni luogo.

C’è, però, una differenza fondamentale tra il “vecchio terzomondismo” e il fenomeno che stiamo cercando di analizzare qui. La postura terzomondista/antimperialista (permetteteci una certa approssimazione) è comunque conseguenza di un’adesione ideologica o di un appoggio politico in chiave di opposizione, e discende da una scelta attiva. La postura decoloniale, nella sua volgarizzazione di movimento, sembra invece postulare l’impossibilità di una scelta: “nostro” ruolo può essere solo prendere atto e solidarizzare, fare da tribuna senza critica. È giusto e necessario mettere in discussione il nostro eurocentrismo e le pretese di universalismo e questa consapevolezza deve molto all’apporto delle teoriche e dei gruppi femministi. Riteniamo, però, che in ambito transfemminista e queer questa attitudine abbia talvolta assunto tratti quasi dogmatici e di sudditanza psicologica – a un soggetto peraltro spesso astratto e disincarnato – altamente problematici.

Alcune provvisorie conclusioni

Crediamo che il contributo teorico-pratico dei movimenti transfemministi e queer degli ultimi decenni, sia essenziale per tutti i movimenti che agiscono sul terreno della trasformazione sociale radicale dell’esistente. Crediamo che queste istanze e riflessioni – senza adesioni acritiche, così come senza preclusioni – debbano diventare parte integrante del nostro bagaglio. Ne siamo convintə perché pensiamo che un anarchismo che non sappia dare importanza alle questioni di genere sia un anarchismo monco. Ci sembra importante ribadire che riflessioni e pratiche vanno condivise e allargate, perché non sono una questione “delle compagne” né di alcuni gruppi “specializzati”. Riteniamo che l’anarchismo possa essere all’altezza delle sfide che questi nuovi movimenti ci pongono. Con la sua critica radicale alle strutture materiali della società che contribuiscono alla perpetuazione del patriarcato, l’anarchismo può essere una “casa” dove queste istanze trovano il loro spazio, al di fuori di ogni organizzazione autoritaria e verticistica. Si tratta di intessere relazioni e scambi sviluppando ambiti di lotta e conflitto. Ma prima ancora, si tratta di ricordare che il patriarcato innerva ogni realtà che ci circonda e pertanto ci riguarda tuttə. Di conseguenza, non può esserci una reale rivoluzione che non sovverta le relazioni patriarcali. Non può esserci anarchismo senza femminismo.

Gruppo Anarchico Germinal – Trieste

[1] Organizzazione femminista fondata in Spagna nel 1936 per portare le istanze delle donne nel movimento anarchico e anarcosindacalista

[2]  Sojourner Truth, nata Isabella Baumfree (1797?-1883) pronunciò il discorso “Ain’t I a woman?” (“Non sono forse una donna?”) al Convegno per i diritti delle donne dell’Ohio, nel Maggio 1851

[3] hooks ha scritto per tutta la vita dell’intersezione tra genere, “razza” e classe sociale, a partire dalla sua crescita come donna nera di famiglia povera. Molti suoi testi oggi sono facilmente reperibili in italiano; tra questi, Tamu ha pubblicato “Elogio del margine” e “Non sono una donna, io. Donne nere e femminismo” che affrontano (anche) le questioni da noi menzionate.

GLOSSARIO:

Razzializzate (persone/collettività): cui viene attribuita una razza. Il termine viene utilizzato allo scopo di “tenere assieme” più aspetti. Da un lato, dato che le razze non esistono, si cerca di porre l’accento sul processo che porta alla loro creazione sociale. Dall’altro però si vuole riconoscere che, sebbene le razze non esistano come elemento oggettivo, il fatto che socialmente si agisca come se esistessero, produce effetti reali. Insomma: le razze – come le nazioni o i popoli potremmo dire – non esistono come dato ontologico, ma esistono come dato sociale.

Coloniale: in riferimento al pensiero, tutte quelle formae mentis che tendono a confermare e perpetuare l’idea dell’intrinseca superiorità di una “razza” o di un’epistemologia. Ne sono esempi il “fardello dell’uomo bianco” o l’invasione dell’Afghanistan per “liberare le donne”

Postcoloniale/decoloniale: sempre in riferimento al pensiero, che cerca di interrogarsi e mettere a critica tutte le formae mentis di cui sopra. I due concetti non sono perfettamente sovrapponibili: alcunə, ad esempio, mettono l’accento sull’importanza politico/procedurale del prefisso de-; altrə ne fanno soprattutto una differenza di alveo di nascita (decoloniale viene soprattutto dall’ambito latino, postcoloniale da quelli (ex) francofoni e anglofoni). In ogni caso, entrambi i concetti ci sembra rispondano al medesimo intento di messa in discussione politica. Ad esempio, in antropologia, gli studi post-coloniali sviluppano una critica serrata alla disciplina stessa, ritenuta sia prodotto che strumento del colonialismo

Comunità della diaspora: con questo termine intendiamo quelle collettività che si creano nei paesi di arrivo (o transito) migratorio. Solitamente sono aggregate su base nazionale (es: “la comunità cinese di Prato”) o sovranazionale (es: “l’associazione degli studenti africani della Sapienza), talvolta religiosa (es: i fedeli del tempio shivaita di Brick Lane a Londra)

Immagine: “La penultima zena” di Marco Novak

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La svolta del 2024 e 2025 per l’Ucraina: la diserzione è diventata la tendenza dominante a livello nazionale

Il testo che segue è la traduzione di un reportage uscito a firma del Gruppo Assembly – Kharkiv, assembly.org.ua 

Il rapido collasso dell’esercito di Bashar al-Assad in Siria, che si è sgretolato tra il 27 novembre e l’8 dicembre, ha attirato molta attenzione in Ucraina. Per moltə nel Paese, è diventato l’evento principale della fine del 2024. Si è creata una situazione paradossale: la propaganda ufficiale ucraina elogia i successi delle forze filo-NATO e filo-turche contro Assad come una brillante vittoria sulla Russia, mentre allo stesso tempo lo stesso dittatore ucraino sostenuto dalla NATO rischia sempre più di seguire il destino di Assad.

Negli ultimi giorni di novembre, i media mondiali in lingua inglese hanno confermato ciò che Assembly aveva denunciato durante tutto l’autunno. ABC News, citando “un legislatore esperto di questioni militari”, ha scritto che in Ucraina potrebbero esserci addirittura 200.000 disertori e che “si tratta di un numero sconcertante da qualsiasi punto di vista, visto che si stima che ci fossero 300.000 soldati ucraini impegnati in combattimento prima dell’inizio della mobilitazione“. Ha anche riconosciuto che la diserzione è stata una delle ragioni principali della caduta di Ugledar [Vuhledar]. Il Financial Times ha aggiunto che alcuni di coloro che hanno abbandonato la 123ª Brigata di Difesa Territoriale a causa della loro riluttanza a difendere Ugledar sono già tornati al fronte, mentre altri si nascondono e altri ancora sono stati arrestati. Lo stesso articolo riporta anche, citando un esponente del servizio di sicurezza polacco che vuole restare anonimo, che ogni mese una media di 12 soldati ucraini disertano dai campi di addestramento in Polonia. Cosa di cui avevamo relazionato già da tempo.

Secondo l’Ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina, nel mese di novembre del 2024 sono stati registrati 18.984 nuovi procedimenti penali ai sensi degli articoli 407 e 408 del Codice penale ucraino (abbandono non autorizzato di un’unità e diserzione). Si tratta di un numero quasi doppio rispetto a ottobre 2024, quando sono stati registrati 9.487 casi in base a questi stessi articoli. Nel dicembre 2024 sono stati registrati 17.593. Nel gennaio sempre dello scorso anno, i procedimenti erano solo 3.448. In totale, dal febbraio 2022 al 1° dicembre di quest’anno, sono già stati registrati 114.280 procedimenti penali per casi di diserzione e assenza dal servizio. Il giornalista pro-Trump di stanza a Kiev Volodymyr Boiko, anch’egli combattente nella 241ª Brigata di Difesa Territoriale, ha pubblicato un post al riguardo il 7 dicembre:

L’esercito ucraino può essere già considerato defunto. Inoltre, anche se sono state registrate nel mese di novembre 2024 19.000 segnalazioni [di fughe], ciò non significa affatto che questo sia il numero reale di militari che hanno disertato. 19.000 è, infatti, il numero più alto possibile che può essere registrato in questa categoria di reati. Perché in ogni caso, il comandante dell’unità militare deve prima istruire un’indagine ufficiale, esaminare e approvare i risultati dell’indagine ufficiale, inviare un rapporto sul reato commesso all’Ufficio investigativo dello Stato o a un ufficio dedicato della procura, e lì il rapporto deve essere esaminato e infine registrato. Le unità militari non dispongono di un numero di specialisti tale da poter condurre indagini ufficiali di tale entità, né l’ufficio del procuratore e l’ufficio investigativo dello Stato hanno dipendenti sufficienti per inserire nel registro decine di migliaia di rapporti sulla diserzione”.

In questo contesto, il 21 novembre è stata approvata la legge 4087-IX ed è entrata in vigore il 29. Secondo questa nuova legge, coloro che si rendono colpevoli di abbandono non autorizzato della propria unità (SZCh in ucraino, SOCh in russo) o di diserzione non solo possono tornare volontariamente a prestare servizio senza essere puniti penalmente, ma anche possono continuare il servizio militare obbligatorio o a contratto. L’unico obbligo era quello di rientrare in forza entro il 1° gennaio 2025. Poi il Parlamento ha prorogato il termine per il ritorno senza responsabilità penale fino al 1° marzo 2025 – a quanto pare, non sono in molti a volerlo fare.

Il mese scorso, una conduttrice del canale YouTube delle donne militari ucraine ha raccontato che nei pressi di Kupyansk, nella regione di Kharkov, quasi tutta la seconda compagnia del 152° Battaglione della 117° Brigata di Difesa Territoriale ha disertato a causa del loro “comandante macellaio”. Il corrispondente di guerra ucraino Yury Butusov ha raccontato lo scandalo della 155ª Brigata meccanizzata “Anna di Kiev”, addestrata in Francia e inviata a Pokrovsk. Sono state reclutate diverse migliaia di persone che erano state costrette a salire sugli autobus per la leva, e più di mille di loro “sono tornati a casa immediatamente dopo l’arrivo”. Nel post del 31 dicembre, spiega che ancor prima che la brigata avesse sparato il primo colpo, 1.700 militari se ne sono andati senza permesso. In seguito, l’Ufficio di Stato per le indagini ha iniziato ad esaminare quanto accaduto. Secondo Butusov, la 155ª Brigata si è addestrata in Francia a ottobre. Già allora 935 uomini aveva abbandonato l’unità senza permesso. In seguito, più di 50 soldati si sono dileguati. Per questa scandalosa formazione sono stati spesi più di 900 milioni di euro. Meno noto è che l’8 gennaio l’Ufficio di Stato per le indagini ha arrestato un tenente superiore di questa brigata, per aver abbandonato l’unità e ha incitato i suoi sottoposti a fare altrettanto. È stato portato dalla regione di Rivne a Kiev e messo in custodia senza cauzione.  “Si è presentato un suo collega di lavoro, è stato costretto a salire su un autobus. [È stato] mobilitato in primavera, ed è scappato dal fronte di Zaporozhye. Ha detto che, quando hanno cominciato a essere fatti a pezzi con tutto quello che avevano, hanno deciso di tornare a casa. L’intera compagnia è entrata in SZCh insieme al loro comandante. Che senso ha se vengono catturati? Non importa. Ora è a casa. Vivo”, ha scritto qualcuno il 18 dicembre nella chat locale di Saltovka [Saltivka è una vasta area residenziale situata nella regione nord-orientale di Kharkiv].

Il 25 novembre, alcuni dei meccanismi utilizzati per combattere la fuga delle reclute sono stati descritti nel gruppo pubblico UFM di Telegram, nato per l’aiuto reciproco per attraversare il confine evitando i posti di blocco.

Il problema principale dei campi di addestramento è che lì tutti si controllano l’un l’altro, perché nelle formazioni ti dicono subito che lo SZCh è riprovevole e che per uno SZCh non riuscito ti picchieranno duramente. E parlano subito di responsabilità collettiva: se qualcuno lascia la tua tenda, allora ricorreranno brutalmente tutti quelli che sono nella tenda.
Il plotone vicino è stato inseguito tutta la notte quando uno di loro è scappato. Sono stati inseguiti nelle trincee per tutta la notte, come un grido d’allarme, svegliati con granate da addestramento, flessioni con l’intera compagnia in tenuta completa, in breve, scherniranno tutti fino in fondo, in modo che tutti sappiano che, se il tuo compagno d’armi scappa, per te ci sarà l’inferno. […].

Tuttavia, un disertore della regione di Kiev, che ha voluto rimanere anonimo, ha un’esperienza leggermente diversa:

“Certo, c’è un fondo di verità in tutto questo. Ma non tutto è così nero. Ora i campi di addestramento sono composti quasi al 100% da persone che sono state mobilitate con la forza. Le compagnie di addestramento sono leggermente diluite con idioti ideologici e zelanti ed anche con donne. Il restante 99% è costituito da potenziali SZCh. E questo lo sanno tutti molto bene. E questa è già una base di solidarietà. Nella mia compagnia al campo di addestramento di Yavoriv, quando un altro soldato scompariva, molti gli auguravano buona fortuna ad alta voce. E questo accadeva quasi ogni giorno. Naturalmente, venivamo tormentati quando dovevamo correre nelle trincee, quando ci portavano via le razioni e tutto il resto. Ma dato che ogni giorno qualcuno fuggiva, non so proprio cosa sarebbe successo se nessuno fosse fuggito.
Sono stato preso il 17 giugno. Sono fuggito il 30 giugno. Sono partito per la Romania il 25 settembre. […]”.

Coloro che vengono arrestati a Kharkov vengono solitamente inviati per l’addestramento non nella parte occidentale del Paese, ma nella regione di Dnepropetrovsk, a est. Questa testimonianza del 29 novembre racconta cosa li aspetta:

L’altro ieri un compagno è stato impacchettato [dalla strada], ieri era già in addestramento, a Dnipro, a 120 km dal fronte. Il convoglio è stato notevolmente rinforzato, è impossibile fuggire, come in un campo di concentramento. Il giovane pastore è stato picchiato, perché si era rifiutato di arruolarsi… La mobilitazione dei sacerdoti, come vediamo, è più importante della mobilitazione della polizia.
È quello che sta succedendo ora… E coloro che si rifiutano di agire vengono mandati a zero [all’avanguardia in prima linea]. Una compagnia di avatar [soldati che bevono]. Sono scomparsi senza lasciare traccia… Senza documenti, senza carta di circolazione. Sono stati semplicemente rapiti e fatti a pezzi. Brutalmente. Ti tolgono i telefoni, i documenti, non gliene frega niente di dove vuoi andare. Se non sei un vice, non gliene frega niente. C’era un tizio, un pastore, l’hanno buttato a terra, picchiato… L’hanno portato a zero da qualche parte… È pieno di sorveglianza, e posti di blocco in città, e sparsi ovunque. [Si poteva andare in bagno solo con un anziano. Si può andare in negozio – con uno scontrino e solo con un anziano, al massimo di 5 persone alla volta
…”.

Se tutto questo è vero, significa che il metodo di “portare a distanza zero” è utilizzato nelle truppe ucraine per sbarazzarsi degli indesiderabili, come avviene nelle unità russe sul fronte orientale. […]

Anche le ribellioni individuali contro lo Stato e la guerra sono diventate più frequenti dopo il calo iniziale dell’autunno. A novembre abbiamo registrato almeno quattro casi nella sola Kharkiv. In particolare, un uomo di 39 anni, dopo essere fuggito dall’esercito un anno e mezzo fa, ha affrontato con le armi i poliziotti giunti nel suo appartamento in risposta alla sua minaccia di uccidere un poliziotto di pattuglia. Aveva un fucile automatico, una pistola e delle granate. Tuttavia, è stato preso in custodia senza sparare un colpo. Il 27 novembre, nel villaggio di Trostyanets, nella regione di Vinnytsia, un uomo di 57 anni si è presentato al centro di arruolamento in risposta a una convocazione e ha accoltellato alla clavicola destra un sergente di 53 anni della struttura, mandandolo in terapia intensiva con ferite alle arterie. “Perché voleva mandarmi in guerra”, ha spiegato l’uomo. La notte del 28 dicembre, tre veicoli della guardia di frontiera sono stati incendiati nella città di Chop al confine della Transcarpazia: Mazda, Peugeot e KIA. Un residente locale di 22 anni, dopo essere stato fermato dalla polizia, ha spiegato il suo gesto durante l’interrogatorio indicando le sue “rapporti ostili” con i proprietari dei mezzi.

Alle 20 circa del 13 gennaio, in una delle strade principali di Kharkiv, le persone hanno bloccato la strada a un “autobus dell’invincibilità” del centro di arruolamento distrettuale. Due uomini e una donna sono scesi da auto civili, uno di loro aveva una pistola da starter (quella delle competizioni). Dopo aver rotto il finestrino del furgone con la pistola, hanno ingaggiato una lotta con i pixel [I soldati ucraini, carichi di equipaggiamento all’avanguardia, sono soprannominati «cyborg», le loro divise «pixel» per la texture]. I poliziotti hanno arrestato il proprietario della pistola e sequestrato la sua auto. Si tratterebbe di un imprenditore di 49 anni, venuto a salvare il nipote. […].

Il 25 novembre, una guardia di frontiera della regione di Khmelnytsky è stata condannata a 12 anni di carcere per l’omicidio premeditato del suo diretto superiore (il capo del gruppo di comunicazione). Il sergente junior di 36 anni, che prestava servizio come tecnico-autista ed era stato mobilitato per il Servizio di frontiera dello Stato nell’agosto 2023, si è recato in servizio con un’arma il 6 febbraio dello scorso anno e durante il servizio ha incontrato il comandante, con il quale aveva un rapporto non amichevole. Dopo di che, è andato con lui verso la mensa e gli ha sparato allo stomaco con un AK-74. Il colonnello è morto sul posto […].

Naturalmente, ci sono diverse notizie simili dall’altro lato del fronte. Infatti, il 29 ottobre, alcuni criminali reclutati per il fronte da un centro di detenzione preventiva e fuggiti dalle loro unità hanno quasi ucciso un rappresentante delle autorità della regione di Leningrado. Come ha scritto il sito locale 47news, il giorno dopo, si trattava del trentenne Aleksandr Igumenov, del trentenne Mark Frolov e del trentasettenne Vladimir Nikin. “Il comandante del gruppo investigativo del Ministero della Difesa ha già delineato le circostanze in un rapporto: si sono mossi verso la casa nel villaggio di Yanino, nel distretto di Vsevolozhsk. Gli ufficiali hanno controllato attentamente il pianerottolo e hanno iniziato ad aspettarlo vicino alla casa. Quando è apparso, l’ufficiale e i suoi subordinati sono saltati in piedi, ma si è scoperto che Igumenov non era solo. C’erano altre due persone con lui. Igumenov ha preso una pistola, ha praticamente puntato la canna sulla fronte dell’ufficiale e ha delineato in modo specifico le prospettive possibili: o se ne vanno e li lasciano andare, o il Ministero della Difesa perderà diversi graduati e un ufficiale. Come si legge nei documenti, “per evitare perdite tra i civili” il gruppo accettò la richiesta e si ritirò. O meglio, ha fatto finta di ritirarsi, chiamando i rinforzi. Gli stessi dipendenti del Ministero della Difesa si sono appostati intorno alla casa nel caso in cui il trio fosse saltato fuori, ad esempio, dalle finestre. L’irruzione delle forze speciali è stata di routine. Hanno sfondato la porta, picchiandoli violentemente. Tutti e tre erano sotto l’effetto di droghe. Oggi sono iniziati gli interrogatori nel Comitato Investigativo Militare esclusivamente nell’ambito dell’articolo 338 del Codice penale – “Diserzione”.” Ognuno di loro ha diverse condanne, soprattutto per furto”.

Il 25 ottobre, nei pressi del villaggio di Kremyanoye nella regione di Kursk, Dmitry Slepnyov, vicecomandante del 2° battaglione motorizzato di fucilieri della 810ª brigata di marina (unità militare 13140 di Sebastopoli), sarebbe stato ucciso da un suo soldato. Durante una riunione di servizio in un posto di osservazione, il capitano ha avuto un conflitto verbale con il soldato Alexander Ryabov. Quest’ultimo ha sparato all’ufficiale tre colpi alla testa con un AK-74. La notizia è stata pubblicata da fonti ucraine, senza alcuna conferma da parte russa.

La sera del 12 novembre, dieci contractors sono fuggiti senza armi dall’unità militare 57849 di stanza nell’insediamento lavorativo di Kochenyovo, vicino a Novosibirsk. Secondo il sito web locale NGS, “vi erano state assegnate circa 30 persone provenienti da tutto il Distretto militare centrale, che in precedenza avevano lasciato arbitrariamente e senza permesso le loro unità militari”. La maggior parte proveniva dal Territorio di Krasnodar. I soldati hanno distrutto la sede dell’unità con la scritta “Guardate, qui c’è una rivolta” e l’hanno filmata, hanno lasciato il villaggio in taxi e sono stati poi tutti arrestati. Prima di questo fatto, alcuni dei fuggiaschi avrebbero chiesto assistenza medica, e il motivo della rivolta era che non volevano essere rimandati al fronte. Secondo le informazioni dei canali Telegram, al 15 novembre più di un centinaio di titolari dello status di SOCh di questa unità sono stati comunque trasportati a Rostov-sul-Don.

La notte del 20 dicembre, cinque militari sono morti e sette sono stati ricoverati in ospedale per inalazione di fumo a causa di un incendio nel centro di detenzione di Vilyuisk Lane a Yakutsk. In questa struttura, i soldati detenuti perché si erano assentati senza permesso (AWOL) erano imprigionati e torturati. Secondo i servizi di emergenza e le autorità russe, i prigionieri hanno appiccato il fuoco all’edificio mentre cercavano di fuggire. In totale, c’erano diverse decine di detenuti. Nella primavera del 2024 ci sono state lamentele sulle condizioni di detenzione. Durante l’ispezione della Procura militare della Guarnigione di Yakutsk, sono state rilevate numerose violazioni della legislazione federale e sono stati emessi degli ordini di servizio per eliminare tali violazioni […].

In un modo o nell’altro, nel novembre 2024 le truppe russe hanno conquistato un territorio 4,7 volte superiore a quello dell’intero 2023. Nei primi quattro giorni del 2025, hanno già conquistato otto villaggi a sud di Pokrovsk e mancano solo alcuni chilometri al confine con la regione di Dnepropetrovsk, dove non ci sono ancora state ostilità e le fortificazioni sono minime. Nonostante la situazione sia così critica, la popolazione ucraina non ha manifestato alcuna impennata patriottica. Troppi lavoratori non vedono più alcuna particolare differenza su chi li deruberà.

17 gennaio 2025

Da libcom: https://libcom.org/article/turn-2024-and-2025-ukraine-desertion-has-become-nationwide-mainstream

 

Trad. per conto di CRINT-FAI

 

Immagine: Un momento delle manifestazioni congiunte di tutti gli oppositori alla guerra ucraini, russi e locali tenutesi il 21 dicembre a Berlino, Colonia e Parigi. Da: https://nowar.solidarite.online/blog/de-paris-%C3%A0-cologne-en-passant-par-berlin-d%C3%A9serteurs-de-tous-les-pays-unissez-vous

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La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

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Non ci può essere anarchismo senza femminismo

Con questo testo vogliamo offrire delle riflessioni sul movimento transfemminista contemporaneo, partendo da dinamiche locali che ci hanno visto partecipi negli ultimi anni, nella speranza di poter offrire una critica costruttiva ed utile anche ad altrə, al di là delle vicende specifiche.

Da un lato ci siamo chiestə cosa intendiamo quando utilizziamo il termine “intersezionalità” di cui tanto si parla nei movimenti (spesso, dal nostro punto di vista, a sproposito). Dall’altro vogliamo proporre una riflessione sui concetti di privilegio e decolonialità. Anche questi due termini attraversano gli spazi e i discorsi femministi, ma a volte, ci sembra, in maniera quasi meccanica, con degli automatismi che possono generare cortocircuiti logico/politici. Questi concetti hanno delle storie “militanti”, così come delle formulazioni teoriche interessanti, e sono a nostro parere strumenti potenzialmente validi. Ma sono appunto strumenti, non dogmi o etichette da appiccicare acriticamente.

Crediamo che negli ultimi anni le questioni poste dai movimenti femministi, transfemministi e queer abbiano finalmente messo il patriarcato al centro della critica politico-sociale e delle lotte dei movimenti. Il patriarcato è uno dei principali strumenti di potere e disciplinamento di una struttura sociale, politica ed economica che ci viene imposta come unica, naturale, giusta e connaturata nella stessa esistenza umana.

Quando diciamo che il patriarcato è strutturale all’organizzazione sociale e all’esercizio del potere delle istituzioni, non ci riferiamo certo al solo aspetto giuridico. Si tratta di una complessiva strutturazione sociale che attribuisce agli uomini in quanto tali maggior potere, controllo, autorità, rappresentazione e voce nello spazio pubblico; tale potere risulterà tanto maggiore, quanto i soggetti incarnati rispondono ai canoni del “virile”. Specularmente, per lo sguardo patriarcale le donne sarebbero “naturalmente portate” al materno, alla cura, all’ascolto e, in generale, alla presa in carico emotiva della specie. Una suddivisione in ruoli “ideali”, rispondenti ad un’idea fissa di cosa sia un uomo e cosa sia una donna – ovviamente non considerando affatto altre opzioni non binarie – che ha fortissime ripercussioni materiali.

All’aspetto giuridico si affianca l’aspetto materiale, che in Italia riguarda ad esempio la disparità salariale o la composizione di genere degli apici di istituzioni e aziende. Sulle donne (o soggettività identificate come tali) si scarica inoltre quasi sempre la maggior parte, se non la totalità, del peso della “conciliazione” fra lavoro produttivo e lavoro di cura e riproduttivo, che ancora spetta alla componente femminile all’interno del nucleo familiare, soprattutto in termini mentali ed emotivi, oltre che materiali.

Vogliamo portare come esempio pratico un dato poco citato ma significativo ed agghiacciante: i femminicidi compiuti all’interno di coppie anziane in cui lei soffre di malattia cronica o demenza ed è assistita dal compagno sono più numerosi rispetto agli omicidi di uomini da parte di caregiver donne. Se questo dato rivela la mancanza di strutture sociali adeguate a far fronte alle esigenze di assistenza, ci dice anche, ancora una volta, quanto la mentalità sia ancorata ad una visione stereotipata dei generi: i mariti anziani disperati fanno fuori le compagne e poi tentano il suicidio, in molti casi certamente con un senso di solitudine ma anche per una disabitudine alla cura e alla gestione della sofferenza, propria e altrui.

Sappiamo benissimo quanto il genere imposto alla nascita e gli stereotipi ad esso associati condizionino in maniera concreta e significativa gli immaginari, i desideri, le posture e gli sguardi sul mondo di tuttə. Ed è piuttosto evidente che nessunə di noi può ritenersi “liberə” da questi condizionamenti solo perché si definisce anarchicə. Quasi un secolo dopo Mujeres Libres,[1] dobbiamo ancora ricordarci che il patriarcato non è una questione marginale e il femminismo non è “un problema delle donne”.

Intersezionalità e politiche identitarie

L’intersezionalità è una teoria critica, la cui origine viene fatta risalire agli scritti di Kimberlé Crenshaw, femminista e giurista statunitense, fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento. In realtà anche in precedenza l’analisi intersezionale – intesa come analisi di come le diverse identità e categorie sociali si intreccino in forme di oppressione particolari e specifiche – era stata praticata da gruppi femministi marginalizzati e razzializzati. In fondo, quando le suffragette negli Usa si chiedevano se la concessione del voto ai neri avrebbe penalizzato le donne e Sojourner Truth faceva la famosa domanda “Ain’t I a Woman?”[2], proponeva di fatto un embrione di teoria intersezionale.

Oggi, l’intersezionalità è uno strumento di analisi del reale e come tale dovrebbe essere usato: un mezzo con cui possiamo capire, leggere, interpretare e giudicare la realtà. Secondo la nostra esperienza, invece, spesso la si utilizza a sproposito, come generico invito a “unire le lotte”, il che nel movimento femminista spesso si traduce in un presunto dovere di parlare di tutto e fare spazio a tuttə, facendo diventare tutto una “questione femminista”. Questa attitudine è ben diversa da quella dichiarata di rileggere il reale attraverso una lente femminista. Si tratta di un errore interpretativo che a nostro parere deriva anche in parte dall’utilizzo acritico di terminologie viste come più moderne o radicali, disperdendone la reale radicalità e riducendole a poco più che moda.

Infine, lo strumento intersezionale sembra a volte piegato alla logica dell’elencazione delle proprie oppressioni, per cui chi ne colleziona di più perde nella vita ma – ironicamente – acquisisce status all’interno del movimento. Invece l’analisi intersezionale non si struttura come la somma pura di oppressioni diverse, ma la loro messa a sistema. Di seguito proponiamo alcuni esempi, non per costruire a nostra volta un “catalogo” ma solo per cercare di spiegarci meglio.

Uomini omosessuali neri: la discriminazione subita da questi soggetti non è la somma algebrica del loro essere gay + il loro essere neri. Nelle società a prevalenza bianca ed etero essi paradossalmente possono essere più tollerati rispetto agli uomini neri etero, che vengono ritenuti portatori di una sessualità animalesca, e quindi una minaccia alle “nostre donne” (più correttamente la minaccia è “ai nostri peni”, ma anche a i “nostri ani”, dove il “noi” sono i maschi bianchi etero che costituiscono la maggioranza normante). In compenso, nelle loro società di partenza o nelle comunità della diaspora, i gay dichiarati, oltre a subire un generico stigma, vengono pure etichettati come aderenti ai valori occidentali e quindi traditori delle proprie radici.

Donne disabili: le donne disabili non hanno semplicemente i problemi delle donne + i problemi delle persone disabili, ma i loro problemi si declinano spesso in maniera diversa. Ad esempio, mentre molte donne subiscono una sessualizzazione costante e non voluta, spesso le attiviste disabili rimarcano come invece loro siano costantemente infantilizzate e la loro sessualità totalmente misconosciuta. Anche in termini di riproduzione e aborto, non hanno certo la pressione a procreare a tutti i costi che hanno le donne non-disabili; al contrario, il loro eventuale desiderio di genitorialità viene spesso ferocemente ostacolato.

Donne e riproduzione sociale: quando negli anni ’60 e ’70 le donne bianche borghesi negli USA lottavano per rivendicare il lavoro fuori casa, il non fare figli, la realizzazione professionale, le donne nere non sentivano propria tale battaglia; per loro occuparsi della propria casa e famiglia era invece un valore e un obiettivo, visto quante di loro passavano il tempo a curare famiglie altrui (in questo, sono illuminanti le pagine che all’argomento dedica bell hooks[3]).

L’uso distorto dell’intersezionalità esaspera la questione identitaria, portando il pensiero verso l’iperidentitarismo. Le politiche identitarie e delle minoranze sono entrambe figlie del liberalismo e dell’individualismo esasperato di matrice anglosassone, dove spesso la questione di classe passa in secondo piano. La cosiddetta identity politics tende a “spezzettare” i movimenti in tanti aggregati portatori di specifici interessi; questi aggregati possono al massimo portare avanti una politica di alleanze, spesso con una scarsa se non nulla prospettiva di classe. Il perno di queste lotte risiede quasi sempre nella richiesta di riconoscimento statale o di forme specifiche di sostegno o tutela per ogni singolo gruppo (la cosiddetta “politica delle minoranze”). Difficile in quest’ottica trovare una prospettiva realmente rivoluzionaria. Il movimento femminista italiano ha invece una forte tradizione materialista, ma ci sembra che in questi ultimi anni la stia perdendo a favore di un’azione politica che attribuisce maggior importanza alla definizione/percezione di sé che al proprio ruolo sociale e di classe.

Crediamo sia necessario recuperare quanto di buono è stato pensato e prodotto dalle diverse correnti del femminismo materialista, per costruire un agire politico non incentrato solo sull’identità e sulla richiesta di tutela e/o riconoscimento, ma che coinvolga i rapporti di potere e le dinamiche materiali che li determinano.

Proviamo ad articolare un esempio concreto, parlando di politiche riproduttive. Sappiamo che non tutte le donne hanno un utero o sono fertili e anche che non tutte le persone potenzialmente gestanti sono donne. Questo è ovvio, ma ricordarlo non è banale o sbagliato. Tuttavia, i meccanismi di riproduzione sociale e i rapporti di forza fra i generi sono pesantemente condizionati, nella loro formazione storica e contemporanea, dal binomio donna-madre. Non possiamo eludere questa realtà, né per timore di essere “escludenti”, né con la speranza che il superamento del binarismo di genere avvenga per mero atto volontaristico o discenda da comportamenti individuali.

Privilegio e decolonialità

Le nuove ondate femministe/transfemministe/queer degli ultimi anni hanno avuto il merito di contribuire a porre l’attenzione dei movimenti sul colonialismo, in termini tanto storici quanto contemporanei. I movimenti transfemministi hanno quindi fatto da megafono alla diffusione degli studi e dello sguardo decoloniale; evidenziando le (proprie) posizioni di privilegio, tentano di smontare il preteso universalismo del soggetto politico “Donna”. Un “partire da sé” che si definisce su un piano collettivo e sociale. Non a caso da alcuni anni assistiamo anche in Italia ad una crescente presa di parola delle persone e delle collettività razzializzate e ad un confronto stimolante con il movimento antirazzista storico. Un dialogo che ha portato a volte ad un riconoscimento della condivisa esperienza dell’esclusione. Ad esempio, gli immigrati dal Sud della penisola degli anni ’60 e ’70 furono razzializzati nel Nord industriale, per poi essere via via sostituiti dagli ultimi nuovi arrivati, uomini e donne provenienti da geografie ancora più a Sud del mondo: una razzializzazione che non si basava sul colore della pelle, ma che aveva caratteristiche molto simili a quelle che subiscono i migranti di oggi.

Stiamo assistendo però negli ultimi tempi ad un cortocircuito del concetto di privilegio come strumento di critica sociale. Il riconoscimento della condizione di privilegio del cosiddetto Occidente rispetto ai paesi del cosiddetto Terzo/Quarto Mondo ha portato in molte situazioni di movimento dall’interpretazione dei dati materiali all’interpretazione in chiave essenzialista di quelli che sono i dati materiali. Il connubio assenza di privilegio/superiorità morale è un errore epistemologico che contribuisce a creare una nuova forma di essenzialismo in chiave morale.

In altre parole, ci pare di notare che l’esasperazione e la distorsione di questi strumenti di lettura e conoscenza del reale abbiano contribuito a generare una nuova forma di “terzomondismo”, in cui, oltre ad accettare acriticamente qualsiasi pratica o ideologia provenga dallə “oppressə”, vi è anche una sovradeterminazione delle loro stesse istanze. Assistiamo infatti a movimenti di solidarietà verso popolazioni in lotta in altre parti del mondo, su cui vengono proiettati desideri e prospettive politiche che invece sono tutti “nostrani”. Un esempio chiaro in questo senso sono alcune analisi e prese di posizione riguardanti la resistenza palestinese e i fatti del 7 Ottobre 2023 che circolano in Europa; li si dipinge addirittura come avanguardia della rivoluzione mondiale, quando è ben chiaro dalle prese di posizione e dalle azioni della maggioranza delle organizzazioni politico-militari lì operanti che la lotta in quei territori viene condotta in un’ottica di liberazione nazionale e di resistenza allo stato israeliano senza nessun afflato internazionalista.

Tale esasperata attribuzione ha, secondo noi, il sentore di una nuova forma di colonialismo ideologico, che non solo cancella ogni possibilità di confronto e di eventuale critica all’interno dei movimenti, ma che appiattisce e rimuove la complessità locale, le stratificazioni di classe e le diversità politiche che attraversano ogni luogo.

C’è, però, una differenza fondamentale tra il “vecchio terzomondismo” e il fenomeno che stiamo cercando di analizzare qui. La postura terzomondista/antimperialista (permetteteci una certa approssimazione) è comunque conseguenza di un’adesione ideologica o di un appoggio politico in chiave di opposizione, e discende da una scelta attiva. La postura decoloniale, nella sua volgarizzazione di movimento, sembra invece postulare l’impossibilità di una scelta: “nostro” ruolo può essere solo prendere atto e solidarizzare, fare da tribuna senza critica. È giusto e necessario mettere in discussione il nostro eurocentrismo e le pretese di universalismo e questa consapevolezza deve molto all’apporto delle teoriche e dei gruppi femministi. Riteniamo, però, che in ambito transfemminista e queer questa attitudine abbia talvolta assunto tratti quasi dogmatici e di sudditanza psicologica – a un soggetto peraltro spesso astratto e disincarnato – altamente problematici.

Alcune provvisorie conclusioni

Crediamo che il contributo teorico-pratico dei movimenti transfemministi e queer degli ultimi decenni, sia essenziale per tutti i movimenti che agiscono sul terreno della trasformazione sociale radicale dell’esistente. Crediamo che queste istanze e riflessioni – senza adesioni acritiche, così come senza preclusioni – debbano diventare parte integrante del nostro bagaglio. Ne siamo convintə perché pensiamo che un anarchismo che non sappia dare importanza alle questioni di genere sia un anarchismo monco. Ci sembra importante ribadire che riflessioni e pratiche vanno condivise e allargate, perché non sono una questione “delle compagne” né di alcuni gruppi “specializzati”. Riteniamo che l’anarchismo possa essere all’altezza delle sfide che questi nuovi movimenti ci pongono. Con la sua critica radicale alle strutture materiali della società che contribuiscono alla perpetuazione del patriarcato, l’anarchismo può essere una “casa” dove queste istanze trovano il loro spazio, al di fuori di ogni organizzazione autoritaria e verticistica. Si tratta di intessere relazioni e scambi sviluppando ambiti di lotta e conflitto. Ma prima ancora, si tratta di ricordare che il patriarcato innerva ogni realtà che ci circonda e pertanto ci riguarda tuttə. Di conseguenza, non può esserci una reale rivoluzione che non sovverta le relazioni patriarcali. Non può esserci anarchismo senza femminismo.

Gruppo Anarchico Germinal – Trieste

[1] Organizzazione femminista fondata in Spagna nel 1936 per portare le istanze delle donne nel movimento anarchico e anarcosindacalista

[2]  Sojourner Truth, nata Isabella Baumfree (1797?-1883) pronunciò il discorso “Ain’t I a woman?” (“Non sono forse una donna?”) al Convegno per i diritti delle donne dell’Ohio, nel Maggio 1851

[3] hooks ha scritto per tutta la vita dell’intersezione tra genere, “razza” e classe sociale, a partire dalla sua crescita come donna nera di famiglia povera. Molti suoi testi oggi sono facilmente reperibili in italiano; tra questi, Tamu ha pubblicato “Elogio del margine” e “Non sono una donna, io. Donne nere e femminismo” che affrontano (anche) le questioni da noi menzionate.

GLOSSARIO:

Razzializzate (persone/collettività): cui viene attribuita una razza. Il termine viene utilizzato allo scopo di “tenere assieme” più aspetti. Da un lato, dato che le razze non esistono, si cerca di porre l’accento sul processo che porta alla loro creazione sociale. Dall’altro però si vuole riconoscere che, sebbene le razze non esistano come elemento oggettivo, il fatto che socialmente si agisca come se esistessero, produce effetti reali. Insomma: le razze – come le nazioni o i popoli potremmo dire – non esistono come dato ontologico, ma esistono come dato sociale.

Coloniale: in riferimento al pensiero, tutte quelle formae mentis che tendono a confermare e perpetuare l’idea dell’intrinseca superiorità di una “razza” o di un’epistemologia. Ne sono esempi il “fardello dell’uomo bianco” o l’invasione dell’Afghanistan per “liberare le donne”

Postcoloniale/decoloniale: sempre in riferimento al pensiero, che cerca di interrogarsi e mettere a critica tutte le formae mentis di cui sopra. I due concetti non sono perfettamente sovrapponibili: alcunə, ad esempio, mettono l’accento sull’importanza politico/procedurale del prefisso de-; altrə ne fanno soprattutto una differenza di alveo di nascita (decoloniale viene soprattutto dall’ambito latino, postcoloniale da quelli (ex) francofoni e anglofoni). In ogni caso, entrambi i concetti ci sembra rispondano al medesimo intento di messa in discussione politica. Ad esempio, in antropologia, gli studi post-coloniali sviluppano una critica serrata alla disciplina stessa, ritenuta sia prodotto che strumento del colonialismo

Comunità della diaspora: con questo termine intendiamo quelle collettività che si creano nei paesi di arrivo (o transito) migratorio. Solitamente sono aggregate su base nazionale (es: “la comunità cinese di Prato”) o sovranazionale (es: “l’associazione degli studenti africani della Sapienza), talvolta religiosa (es: i fedeli del tempio shivaita di Brick Lane a Londra)

Immagine: “La penultima zena” di Marco Novak

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La svolta del 2024 e 2025 per l’Ucraina: la diserzione è diventata la tendenza dominante a livello nazionale

Il testo che segue è la traduzione di un reportage uscito a firma del Gruppo Assembly – Kharkiv, assembly.org.ua 

Il rapido collasso dell’esercito di Bashar al-Assad in Siria, che si è sgretolato tra il 27 novembre e l’8 dicembre, ha attirato molta attenzione in Ucraina. Per moltə nel Paese, è diventato l’evento principale della fine del 2024. Si è creata una situazione paradossale: la propaganda ufficiale ucraina elogia i successi delle forze filo-NATO e filo-turche contro Assad come una brillante vittoria sulla Russia, mentre allo stesso tempo lo stesso dittatore ucraino sostenuto dalla NATO rischia sempre più di seguire il destino di Assad.

Negli ultimi giorni di novembre, i media mondiali in lingua inglese hanno confermato ciò che Assembly aveva denunciato durante tutto l’autunno. ABC News, citando “un legislatore esperto di questioni militari”, ha scritto che in Ucraina potrebbero esserci addirittura 200.000 disertori e che “si tratta di un numero sconcertante da qualsiasi punto di vista, visto che si stima che ci fossero 300.000 soldati ucraini impegnati in combattimento prima dell’inizio della mobilitazione“. Ha anche riconosciuto che la diserzione è stata una delle ragioni principali della caduta di Ugledar [Vuhledar]. Il Financial Times ha aggiunto che alcuni di coloro che hanno abbandonato la 123ª Brigata di Difesa Territoriale a causa della loro riluttanza a difendere Ugledar sono già tornati al fronte, mentre altri si nascondono e altri ancora sono stati arrestati. Lo stesso articolo riporta anche, citando un esponente del servizio di sicurezza polacco che vuole restare anonimo, che ogni mese una media di 12 soldati ucraini disertano dai campi di addestramento in Polonia. Cosa di cui avevamo relazionato già da tempo.

Secondo l’Ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina, nel mese di novembre del 2024 sono stati registrati 18.984 nuovi procedimenti penali ai sensi degli articoli 407 e 408 del Codice penale ucraino (abbandono non autorizzato di un’unità e diserzione). Si tratta di un numero quasi doppio rispetto a ottobre 2024, quando sono stati registrati 9.487 casi in base a questi stessi articoli. Nel dicembre 2024 sono stati registrati 17.593. Nel gennaio sempre dello scorso anno, i procedimenti erano solo 3.448. In totale, dal febbraio 2022 al 1° dicembre di quest’anno, sono già stati registrati 114.280 procedimenti penali per casi di diserzione e assenza dal servizio. Il giornalista pro-Trump di stanza a Kiev Volodymyr Boiko, anch’egli combattente nella 241ª Brigata di Difesa Territoriale, ha pubblicato un post al riguardo il 7 dicembre:

L’esercito ucraino può essere già considerato defunto. Inoltre, anche se sono state registrate nel mese di novembre 2024 19.000 segnalazioni [di fughe], ciò non significa affatto che questo sia il numero reale di militari che hanno disertato. 19.000 è, infatti, il numero più alto possibile che può essere registrato in questa categoria di reati. Perché in ogni caso, il comandante dell’unità militare deve prima istruire un’indagine ufficiale, esaminare e approvare i risultati dell’indagine ufficiale, inviare un rapporto sul reato commesso all’Ufficio investigativo dello Stato o a un ufficio dedicato della procura, e lì il rapporto deve essere esaminato e infine registrato. Le unità militari non dispongono di un numero di specialisti tale da poter condurre indagini ufficiali di tale entità, né l’ufficio del procuratore e l’ufficio investigativo dello Stato hanno dipendenti sufficienti per inserire nel registro decine di migliaia di rapporti sulla diserzione”.

In questo contesto, il 21 novembre è stata approvata la legge 4087-IX ed è entrata in vigore il 29. Secondo questa nuova legge, coloro che si rendono colpevoli di abbandono non autorizzato della propria unità (SZCh in ucraino, SOCh in russo) o di diserzione non solo possono tornare volontariamente a prestare servizio senza essere puniti penalmente, ma anche possono continuare il servizio militare obbligatorio o a contratto. L’unico obbligo era quello di rientrare in forza entro il 1° gennaio 2025. Poi il Parlamento ha prorogato il termine per il ritorno senza responsabilità penale fino al 1° marzo 2025 – a quanto pare, non sono in molti a volerlo fare.

Il mese scorso, una conduttrice del canale YouTube delle donne militari ucraine ha raccontato che nei pressi di Kupyansk, nella regione di Kharkov, quasi tutta la seconda compagnia del 152° Battaglione della 117° Brigata di Difesa Territoriale ha disertato a causa del loro “comandante macellaio”. Il corrispondente di guerra ucraino Yury Butusov ha raccontato lo scandalo della 155ª Brigata meccanizzata “Anna di Kiev”, addestrata in Francia e inviata a Pokrovsk. Sono state reclutate diverse migliaia di persone che erano state costrette a salire sugli autobus per la leva, e più di mille di loro “sono tornati a casa immediatamente dopo l’arrivo”. Nel post del 31 dicembre, spiega che ancor prima che la brigata avesse sparato il primo colpo, 1.700 militari se ne sono andati senza permesso. In seguito, l’Ufficio di Stato per le indagini ha iniziato ad esaminare quanto accaduto. Secondo Butusov, la 155ª Brigata si è addestrata in Francia a ottobre. Già allora 935 uomini aveva abbandonato l’unità senza permesso. In seguito, più di 50 soldati si sono dileguati. Per questa scandalosa formazione sono stati spesi più di 900 milioni di euro. Meno noto è che l’8 gennaio l’Ufficio di Stato per le indagini ha arrestato un tenente superiore di questa brigata, per aver abbandonato l’unità e ha incitato i suoi sottoposti a fare altrettanto. È stato portato dalla regione di Rivne a Kiev e messo in custodia senza cauzione.  “Si è presentato un suo collega di lavoro, è stato costretto a salire su un autobus. [È stato] mobilitato in primavera, ed è scappato dal fronte di Zaporozhye. Ha detto che, quando hanno cominciato a essere fatti a pezzi con tutto quello che avevano, hanno deciso di tornare a casa. L’intera compagnia è entrata in SZCh insieme al loro comandante. Che senso ha se vengono catturati? Non importa. Ora è a casa. Vivo”, ha scritto qualcuno il 18 dicembre nella chat locale di Saltovka [Saltivka è una vasta area residenziale situata nella regione nord-orientale di Kharkiv].

Il 25 novembre, alcuni dei meccanismi utilizzati per combattere la fuga delle reclute sono stati descritti nel gruppo pubblico UFM di Telegram, nato per l’aiuto reciproco per attraversare il confine evitando i posti di blocco.

Il problema principale dei campi di addestramento è che lì tutti si controllano l’un l’altro, perché nelle formazioni ti dicono subito che lo SZCh è riprovevole e che per uno SZCh non riuscito ti picchieranno duramente. E parlano subito di responsabilità collettiva: se qualcuno lascia la tua tenda, allora ricorreranno brutalmente tutti quelli che sono nella tenda.
Il plotone vicino è stato inseguito tutta la notte quando uno di loro è scappato. Sono stati inseguiti nelle trincee per tutta la notte, come un grido d’allarme, svegliati con granate da addestramento, flessioni con l’intera compagnia in tenuta completa, in breve, scherniranno tutti fino in fondo, in modo che tutti sappiano che, se il tuo compagno d’armi scappa, per te ci sarà l’inferno. […].

Tuttavia, un disertore della regione di Kiev, che ha voluto rimanere anonimo, ha un’esperienza leggermente diversa:

“Certo, c’è un fondo di verità in tutto questo. Ma non tutto è così nero. Ora i campi di addestramento sono composti quasi al 100% da persone che sono state mobilitate con la forza. Le compagnie di addestramento sono leggermente diluite con idioti ideologici e zelanti ed anche con donne. Il restante 99% è costituito da potenziali SZCh. E questo lo sanno tutti molto bene. E questa è già una base di solidarietà. Nella mia compagnia al campo di addestramento di Yavoriv, quando un altro soldato scompariva, molti gli auguravano buona fortuna ad alta voce. E questo accadeva quasi ogni giorno. Naturalmente, venivamo tormentati quando dovevamo correre nelle trincee, quando ci portavano via le razioni e tutto il resto. Ma dato che ogni giorno qualcuno fuggiva, non so proprio cosa sarebbe successo se nessuno fosse fuggito.
Sono stato preso il 17 giugno. Sono fuggito il 30 giugno. Sono partito per la Romania il 25 settembre. […]”.

Coloro che vengono arrestati a Kharkov vengono solitamente inviati per l’addestramento non nella parte occidentale del Paese, ma nella regione di Dnepropetrovsk, a est. Questa testimonianza del 29 novembre racconta cosa li aspetta:

L’altro ieri un compagno è stato impacchettato [dalla strada], ieri era già in addestramento, a Dnipro, a 120 km dal fronte. Il convoglio è stato notevolmente rinforzato, è impossibile fuggire, come in un campo di concentramento. Il giovane pastore è stato picchiato, perché si era rifiutato di arruolarsi… La mobilitazione dei sacerdoti, come vediamo, è più importante della mobilitazione della polizia.
È quello che sta succedendo ora… E coloro che si rifiutano di agire vengono mandati a zero [all’avanguardia in prima linea]. Una compagnia di avatar [soldati che bevono]. Sono scomparsi senza lasciare traccia… Senza documenti, senza carta di circolazione. Sono stati semplicemente rapiti e fatti a pezzi. Brutalmente. Ti tolgono i telefoni, i documenti, non gliene frega niente di dove vuoi andare. Se non sei un vice, non gliene frega niente. C’era un tizio, un pastore, l’hanno buttato a terra, picchiato… L’hanno portato a zero da qualche parte… È pieno di sorveglianza, e posti di blocco in città, e sparsi ovunque. [Si poteva andare in bagno solo con un anziano. Si può andare in negozio – con uno scontrino e solo con un anziano, al massimo di 5 persone alla volta
…”.

Se tutto questo è vero, significa che il metodo di “portare a distanza zero” è utilizzato nelle truppe ucraine per sbarazzarsi degli indesiderabili, come avviene nelle unità russe sul fronte orientale. […]

Anche le ribellioni individuali contro lo Stato e la guerra sono diventate più frequenti dopo il calo iniziale dell’autunno. A novembre abbiamo registrato almeno quattro casi nella sola Kharkiv. In particolare, un uomo di 39 anni, dopo essere fuggito dall’esercito un anno e mezzo fa, ha affrontato con le armi i poliziotti giunti nel suo appartamento in risposta alla sua minaccia di uccidere un poliziotto di pattuglia. Aveva un fucile automatico, una pistola e delle granate. Tuttavia, è stato preso in custodia senza sparare un colpo. Il 27 novembre, nel villaggio di Trostyanets, nella regione di Vinnytsia, un uomo di 57 anni si è presentato al centro di arruolamento in risposta a una convocazione e ha accoltellato alla clavicola destra un sergente di 53 anni della struttura, mandandolo in terapia intensiva con ferite alle arterie. “Perché voleva mandarmi in guerra”, ha spiegato l’uomo. La notte del 28 dicembre, tre veicoli della guardia di frontiera sono stati incendiati nella città di Chop al confine della Transcarpazia: Mazda, Peugeot e KIA. Un residente locale di 22 anni, dopo essere stato fermato dalla polizia, ha spiegato il suo gesto durante l’interrogatorio indicando le sue “rapporti ostili” con i proprietari dei mezzi.

Alle 20 circa del 13 gennaio, in una delle strade principali di Kharkiv, le persone hanno bloccato la strada a un “autobus dell’invincibilità” del centro di arruolamento distrettuale. Due uomini e una donna sono scesi da auto civili, uno di loro aveva una pistola da starter (quella delle competizioni). Dopo aver rotto il finestrino del furgone con la pistola, hanno ingaggiato una lotta con i pixel [I soldati ucraini, carichi di equipaggiamento all’avanguardia, sono soprannominati «cyborg», le loro divise «pixel» per la texture]. I poliziotti hanno arrestato il proprietario della pistola e sequestrato la sua auto. Si tratterebbe di un imprenditore di 49 anni, venuto a salvare il nipote. […].

Il 25 novembre, una guardia di frontiera della regione di Khmelnytsky è stata condannata a 12 anni di carcere per l’omicidio premeditato del suo diretto superiore (il capo del gruppo di comunicazione). Il sergente junior di 36 anni, che prestava servizio come tecnico-autista ed era stato mobilitato per il Servizio di frontiera dello Stato nell’agosto 2023, si è recato in servizio con un’arma il 6 febbraio dello scorso anno e durante il servizio ha incontrato il comandante, con il quale aveva un rapporto non amichevole. Dopo di che, è andato con lui verso la mensa e gli ha sparato allo stomaco con un AK-74. Il colonnello è morto sul posto […].

Naturalmente, ci sono diverse notizie simili dall’altro lato del fronte. Infatti, il 29 ottobre, alcuni criminali reclutati per il fronte da un centro di detenzione preventiva e fuggiti dalle loro unità hanno quasi ucciso un rappresentante delle autorità della regione di Leningrado. Come ha scritto il sito locale 47news, il giorno dopo, si trattava del trentenne Aleksandr Igumenov, del trentenne Mark Frolov e del trentasettenne Vladimir Nikin. “Il comandante del gruppo investigativo del Ministero della Difesa ha già delineato le circostanze in un rapporto: si sono mossi verso la casa nel villaggio di Yanino, nel distretto di Vsevolozhsk. Gli ufficiali hanno controllato attentamente il pianerottolo e hanno iniziato ad aspettarlo vicino alla casa. Quando è apparso, l’ufficiale e i suoi subordinati sono saltati in piedi, ma si è scoperto che Igumenov non era solo. C’erano altre due persone con lui. Igumenov ha preso una pistola, ha praticamente puntato la canna sulla fronte dell’ufficiale e ha delineato in modo specifico le prospettive possibili: o se ne vanno e li lasciano andare, o il Ministero della Difesa perderà diversi graduati e un ufficiale. Come si legge nei documenti, “per evitare perdite tra i civili” il gruppo accettò la richiesta e si ritirò. O meglio, ha fatto finta di ritirarsi, chiamando i rinforzi. Gli stessi dipendenti del Ministero della Difesa si sono appostati intorno alla casa nel caso in cui il trio fosse saltato fuori, ad esempio, dalle finestre. L’irruzione delle forze speciali è stata di routine. Hanno sfondato la porta, picchiandoli violentemente. Tutti e tre erano sotto l’effetto di droghe. Oggi sono iniziati gli interrogatori nel Comitato Investigativo Militare esclusivamente nell’ambito dell’articolo 338 del Codice penale – “Diserzione”.” Ognuno di loro ha diverse condanne, soprattutto per furto”.

Il 25 ottobre, nei pressi del villaggio di Kremyanoye nella regione di Kursk, Dmitry Slepnyov, vicecomandante del 2° battaglione motorizzato di fucilieri della 810ª brigata di marina (unità militare 13140 di Sebastopoli), sarebbe stato ucciso da un suo soldato. Durante una riunione di servizio in un posto di osservazione, il capitano ha avuto un conflitto verbale con il soldato Alexander Ryabov. Quest’ultimo ha sparato all’ufficiale tre colpi alla testa con un AK-74. La notizia è stata pubblicata da fonti ucraine, senza alcuna conferma da parte russa.

La sera del 12 novembre, dieci contractors sono fuggiti senza armi dall’unità militare 57849 di stanza nell’insediamento lavorativo di Kochenyovo, vicino a Novosibirsk. Secondo il sito web locale NGS, “vi erano state assegnate circa 30 persone provenienti da tutto il Distretto militare centrale, che in precedenza avevano lasciato arbitrariamente e senza permesso le loro unità militari”. La maggior parte proveniva dal Territorio di Krasnodar. I soldati hanno distrutto la sede dell’unità con la scritta “Guardate, qui c’è una rivolta” e l’hanno filmata, hanno lasciato il villaggio in taxi e sono stati poi tutti arrestati. Prima di questo fatto, alcuni dei fuggiaschi avrebbero chiesto assistenza medica, e il motivo della rivolta era che non volevano essere rimandati al fronte. Secondo le informazioni dei canali Telegram, al 15 novembre più di un centinaio di titolari dello status di SOCh di questa unità sono stati comunque trasportati a Rostov-sul-Don.

La notte del 20 dicembre, cinque militari sono morti e sette sono stati ricoverati in ospedale per inalazione di fumo a causa di un incendio nel centro di detenzione di Vilyuisk Lane a Yakutsk. In questa struttura, i soldati detenuti perché si erano assentati senza permesso (AWOL) erano imprigionati e torturati. Secondo i servizi di emergenza e le autorità russe, i prigionieri hanno appiccato il fuoco all’edificio mentre cercavano di fuggire. In totale, c’erano diverse decine di detenuti. Nella primavera del 2024 ci sono state lamentele sulle condizioni di detenzione. Durante l’ispezione della Procura militare della Guarnigione di Yakutsk, sono state rilevate numerose violazioni della legislazione federale e sono stati emessi degli ordini di servizio per eliminare tali violazioni […].

In un modo o nell’altro, nel novembre 2024 le truppe russe hanno conquistato un territorio 4,7 volte superiore a quello dell’intero 2023. Nei primi quattro giorni del 2025, hanno già conquistato otto villaggi a sud di Pokrovsk e mancano solo alcuni chilometri al confine con la regione di Dnepropetrovsk, dove non ci sono ancora state ostilità e le fortificazioni sono minime. Nonostante la situazione sia così critica, la popolazione ucraina non ha manifestato alcuna impennata patriottica. Troppi lavoratori non vedono più alcuna particolare differenza su chi li deruberà.

17 gennaio 2025

Da libcom: https://libcom.org/article/turn-2024-and-2025-ukraine-desertion-has-become-nationwide-mainstream

 

Trad. per conto di CRINT-FAI

 

Immagine: Un momento delle manifestazioni congiunte di tutti gli oppositori alla guerra ucraini, russi e locali tenutesi il 21 dicembre a Berlino, Colonia e Parigi. Da: https://nowar.solidarite.online/blog/de-paris-%C3%A0-cologne-en-passant-par-berlin-d%C3%A9serteurs-de-tous-les-pays-unissez-vous

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