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Fotoreportages

Il liceo Rosa sciopera e scende in piazza

Partecipata la manifestazione sotto l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte contro il dimensionamento del Liceo Rosa con sedi a Susa e Bussoleno

CGIL e CUB hanno indetto al Rosa uno sciopero con una piattaforma che non lascia dubbi:
– L’esclusione, anche per gli anni futuri al 2025/2026, di ogni ipotesi di dimensionamento riguardanti l’Istituto
– La nomina di un Dirigente scolastico titolare dal 1° settembre 2025
– La tempestiva sostituzione del Dirigente reggente con l’affidamento della reggenza ad altro Dirigente scolastico

Massimiliano Rebuffo, segretario provinciale della CGIL-FLC, ha dichiarato che l’adesione allo sciopero è stata dell’80%.

La Dirigente reggente alla quale si fa riferimento nelle rivendicazioni è la Giaccone, Dirigente dell’Istituto Ferrari di Susa che nel 2022 è stata nominata reggente del Rosa. Nel comunicato stampa la CGIL-FLC spiega chiaramente la motivazione: “si è incrinato il rapporto con la comunità educante”.

Piattaforma pienamente condivisa con il comitato di cittadini “Insieme per il Rosa” i cui esponenti ci hanno ribadito con forza le rivendicazioni espresse in questo loro comunicato, anch’esso estremamente esplicito.

Alla manifestazione hanno partecipato i lavoratori (docenti e non docenti) del Rosa, genitori, studenti, molti esponenti del comitato “Insieme per il Rosa”. Una delegazione ha chiesto di parlare con Stefano Suraniti, dirigente dell’USR, il quale ha risposto – secondo quanto dichiarato al microfono da Rebuffo – rendendosi disponibile a ricevere solo genitori, studenti e lavoratori non sindacalizzati, in sostanza si è rifiutato di ricevere i rappresentanti sindacali.

Il “divide et impera” non ha tuttavia funzionato (a meno che lo scopo non fosse in realtà quello di non confrontarsi): non è salito nessuno, il patto tra lavoratori, studenti, cittadini e sindacati ha tenuto.

I manifestanti hanno scandito alcuni slogan: “Fateci Fateci Fateci salire”, “Non chiude la bocca, il Norby (Norberto Rosa n.d.r.) non si tocca”, “Tout le monde déteste la Giaccone”, e sono stati apposti dei post-it sul portone della sede dell’USR con le richieste scritte dai ragazzi.

Fabrizio Maffioletti

Storie dall’Albania: Volersi Bene, Restare o Partire

Il fotoreporter Giovanni Simone ha trascorso l’intero mese di dicembre 2024 esplorando l’Albania, un paese affascinante e vicino all’Italia, ma che per troppo tempo è rimasto ai margini dell’attenzione collettiva. In questo angolo dei Balcani, dove il passato e il presente si intrecciano armoniosamente, gli albanesi cercano un legame forte con luoghi visti come porti sicuri e opportunità per un futuro migliore.

Questo è il secondo di una serie di fotoreportage dedicati all’Albania, con un focus particolare sulla vita nel paese e sulle contraddizioni di Tirana.

L’Albania, una terra di contrasti, intreccia la ricchezza della sua storia millenaria con le sfide della modernità. Se da un lato la sua posizione nei Balcani la rende un crocevia culturale e geografico affascinante, dall’altro le disuguaglianze economiche e sociali segnano profondamente la quotidianità dei suoi abitanti.

Con oltre il 51% della popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, il paese si colloca tra i più vulnerabili del continente europeo, con un tasso nettamente superiore alla media UE del 21%. Nelle aree rurali, questa percentuale raggiunge quasi il 60%. A Tirana, il cuore economico dell’Albania, gli stipendi variano significativamente: un impiegato in una grande impresa può guadagnare fino a 900 euro al mese, mentre chi lavora in una microimpresa fatica ad arrivare a 400 euro. Nelle campagne, dove l’agricoltura è la principale fonte di reddito, gli stipendi sono ancora più bassi. I pensionati, con assegni medi di soli 150-200 euro al mese, vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, spesso dipendendo dal supporto familiare, prolungando la loro vita lavorativa o affiancando piccoli lavoretti per arrotondare il reddito.

Le minoranze etniche, come la comunità Rom e gli Ashkali, affrontano sfide ancora più ardue. Circa il 90% dei Rom è disoccupato e il 40% delle loro famiglie vive in condizioni di precarietà abitativa. Anche gli Ashkali, una comunità di origine balcanica, si trovano spesso ai margini della società. La povertà costringe molti bambini a lavorare anziché frequentare la scuola, perpetuando un ciclo di esclusione difficile da interrompere.

Il costo della vita in Albania riflette una realtà complessa. Sebbene gli affitti e il cibo possano risultare più economici rispetto all’Italia, i bassi salari rendono la sopravvivenza una sfida quotidiana. A Tirana, l’affitto di un appartamento varia tra i 400 e gli 800 euro al mese, mentre acquistare una casa è un privilegio per pochi: il prezzo medio si aggira intorno ai 1.600 euro al metro quadro, con mutui difficili da ottenere per le elevate garanzie richieste. L’Albania, un paese importatore netto, dipende fortemente dall’estero per i beni di consumo, inclusi quelli di prima necessità. Il pollo si aggira intorno ai 7 euro al kg, il latte a 1,70 euro al litro e una dozzina di uova costa circa 3 euro. Il pane, alimento essenziale nella dieta albanese, ha un prezzo medio di 1,50 euro al kg. L’accesso all’acqua potabile rimane una delle sfide più critiche. Nonostante le abbondanti risorse idriche, la fornitura di acqua sicura e costante è problematica in molte zone, inclusa la capitale. Di conseguenza, gran parte della popolazione acquista acqua in bottiglia per il consumo quotidiano, con un costo medio di circa 60 centesimi di euro a bottiglia.

Tirana incarna le più evidenti contraddizioni, un luogo dove la fragilità economica si scontra con un’apparente vivacità sociale. La città è costellata di bar e caffè, con una densità sorprendente di un locale ogni 152 abitanti, facendone una delle capitali con il maggior numero di punti di ritrovo per persona. Ma dietro a questa vitalità si cela una realtà più complessa: nei mesi invernali, chi non può permettersi il riscaldamento domestico cerca rifugio in questi spazi per sfuggire al freddo pungente. Le infrastrutture cittadine mostrano gravi carenze: come nel resto dell’Albania, a Tirana manca una rete di gas cittadino, costringendo molti abitanti a fare affidamento su vecchie e costose pompe di calore, spesso inefficienti. Nei parchi cittadini, il sole diventa una risorsa preziosa, un rifugio naturale dove le persone si riuniscono per godere del calore e dedicarsi ad attività all’aria aperta.

Per molti albanesi, il proprio paese è solo una tappa temporanea, un luogo in cui vivere in attesa di emigrare. La loro sopravvivenza dipende dalla capacità di adattarsi a una realtà complessa, mentre l’Unione Europea rappresenta una speranza, un porto sicuro dove costruire un futuro dignitoso. Questa riflessione sulla vita in Albania invita a guardare oltre le statistiche, a comprendere la quotidianità di un paese che oscilla tra la resistenza e la fuga, tra il desiderio di costruire un domani migliore e la necessità di cercarlo altrove. Eppure, spesso, gli albanesi, immersi nella lotta per la sopravvivenza, dimenticano il significato più profondo di “Volersi bene”. Il concetto di benessere personale e collettivo viene relegato in secondo piano di fronte alla necessità di garantire il minimo indispensabile.

In Albania, “Volersi Bene” è uno stato d’animo da riscoprire, non solo come aspirazione individuale, ma come valore collettivo, capace di dare significato a un futuro costruito su fondamenta più stabili.

 

su Flickr https://flic.kr/s/aHBqjC35b1

 

“Nei pressi del Castello di Argirocastro, un’anziana venditrice offre erbe essiccate e tè di montagna (Sideritis), un infuso tradizionale noto per le sue proprietà antinfiammatorie, digestive e rilassanti. Ricco di antiossidanti, aiuta a rafforzare il sistema immunitario e alleviare raffreddore e problemi digestivi, tramandando antichi rimedi naturali della tradizione albanese.”

“Nel parco centrale di Berat, due anziani si sfidano a scacchi, approfittando del sole per riscaldarsi all’aria aperta. Questo gioco, profondamente radicato nella cultura albanese, è una passione diffusa nei caffè e nei parchi, simbolo di strategia e socialità, tramandato di generazione in generazione nelle città storiche del paese.”

“Nel quartiere delle case popolari di Coriza, una donna Ashkali stende il bucato sulla ringhiera della scuola dopo averlo lavato a mano nel giardino. Un tempo la sua casa ospitava tre famiglie in tre stanze con bagno esterno senza acqua corrente, ma oggi è rimasta solo lei con due dei figli, mentre gli altri sono emigrati all’estero in cerca di un futuro migliore.”

 

“All’ingresso di Moscopoli, pittoresca località montana rinomata per le sue antiche chiese ortodosse e il pregiato miele di fiori selvatici, una donna gestisce la vendita di prodotti tipici locali, offrendo ai visitatori un assaggio delle tradizioni e dei sapori autentici di questo affascinante villaggio.”

“In Albania, il tacchino è il piatto simbolo del cenone di Capodanno. Nei giorni precedenti, le strade si riempiono di improvvisati allevatori che guidano gruppi di tacchini con lunghi bastoni, conducendoli verso mercati improvvisati lungo le strade, dove vengono venduti ai passanti in una tradizione che si ripete ogni anno.”

“Nel bar del quartiere delle case popolari di Coriza, uomini del posto si sfidano a Tavëll, la versione albanese del backgammon. Nei mesi freddi, i bar diventano rifugi dal gelo montano, luoghi di socialità dove tra una partita e un caffè turco si scambiano storie e si rafforzano legami, mantenendo viva una tradizione radicata nella cultura locale.”

“Tra le case popolari di Tirana, recentemente assegnate a famiglie rom, un rappresentante del Movimento Bashkë mi accompagna in un viaggio tra storie di resilienza e speranza. Mentre la comunità affronta sfide quotidiane, il movimento si batte per l’inclusione e i diritti sociali, in un’Albania che cambia tra difficoltà e nuove opportunità.”

“La sussistenza delle minoranze etniche in Albania, come i rom, è spesso legata al recupero di rifiuti urbani. Materiali come la plastica vengono raccolti e portati nei centri di raccolta, dove vengono scambiati per pochi lek al chilo. Questa attività rappresenta una fonte di reddito essenziale, nonostante le difficili condizioni di lavoro e la mancanza di regolamentazione.”

“Chi si nasconde sotto questo topolino? In uno dei parchi di Tirana, un anziano signore lavora come figurante per foto con i passanti. Tra sorrisi e scatti ricordo, il costume diventa il suo mezzo di sostentamento, trasformando un angolo verde della capitale in un piccolo teatro quotidiano di incontri e fantasia.”

“Nel mercato di Scutari, un venditore siede con eleganza davanti alla sua bancarella di tessuti. Con giacca di pelle, sciarpa e coppola, incarna la tradizione albanese di vestire con cura, tipica degli anziani, per cui l’eleganza è segno di rispetto, disciplina e dignità. Un codice non scritto che ancora resiste tra le generazioni più mature.”

“Lungo le strade di Tirana, piccoli banchi colmano i marciapiedi di colori vivaci, vendendo frutta e verdura anche nel cuore dell’inverno. Sebbene l’Albania abbia una forte tradizione agricola, gran parte di questi prodotti proviene dall’estero, importati per soddisfare la domanda stagionale. Tra le cassette di peperoni e pomodori, il commercio resiste al freddo, mantenendo viva l’anima dei mercati di strada.”

Nel cuore del vecchio Bazar di Argirocastro, una signora attende pazientemente i clienti seduta davanti alla sua bottega. Con mani esperte si dedica all’uncinetto, un’antica arte albanese tramandata da generazioni. Tra fili e punti, crea con passione nuovi prodotti da vendere, mantenendo vive le tradizioni artigianali di questo affascinante angolo storico.”

“In Piazza Skënderbej a Tirana, un anziano signore si traveste da Babbo Natale per i festeggiamenti di Natale e Capodanno, cercando di arrotondare la sua pensione. Seduto tra le luci scintillanti e le decorazioni natalizie, osserva il via vai della città, regalando ai passanti un sorriso e un momento di magia in cambio di qualche moneta.”

“Nel pittoresco villaggio di Moscopoli, un’anziana signora annaffia con cura il suo orto, indossando abiti tradizionali scuri. In Albania, il nero è spesso scelto dalle donne anziane come simbolo di modestia, rispetto e lutto per le perdite subite nel corso della vita. Questa pratica riflette una profonda connessione con le tradizioni culturali e un forte senso di appartenenza alla comunità locale.”

“Sul lungomare di Durazzo, due ragazzi della nuova generazione albanese passeggiano mentre il sole si riflette sulle onde. Un tempo, da qui partivano migliaia di emigranti in cerca di un futuro migliore. Oggi, i giovani hanno il compito di costruire un’Albania che guarda al domani, tra il ricordo delle partenze e la speranza di una crescita nel proprio paese.”

 

 

 

 

 

Giovanni Simone

La Serbia in rivolta tra mobilitazioni di massa locali e rilancio europeo

Il movimento studentesco in Serbia conquista finalmente l’agognato spazio su una parte dei mezzi di comunicazione al di fuori del circuito regionale balcanico, contesto nel quale ha rappresentato una forza propulsiva per numeri, costanza e rapidità di espansione geografica, senza trascurare la creatività e la forza dei messaggi che si intersecano con coerenza e determinazione. Sebbene la sua copertura resti ancora nettamente inferiore rispetto alle aspettative degli organizzatori e all’impatto numerico e alla propagazione della mobilitazione che, negli ultimi tre mesi, ha attraversato il rigidissimo inverno serbo e ha raggiunto anche le aree rurali, le manifestazioni si susseguono e continuano alternando blocchi stradali, sit-in per le strade e nelle piazze, soprattutto a Belgrado e Novi Sad,  oltre alle lunghe marce di protesta a piedi tra le due città, come quella promossa dagli studenti e dalle studentesse universitarie alla fine del mese di gennaio.

Il movimento, oltre alla forte connotazione studentesca, sta diventando sempre più trasversale e intergenerazionale e riuscendo a guadagnare terreno anche nelle aree rurali, tanto che una donna in piazza a Bruxelles mi rivela commossa quanto «questo sia un forte catalizzatore che spinge all’azione anche a distanza, per esprimere solidarietà e rafforzare le richiesta, mosse dalla speranza che tanta capacità di reazione generi il cambiamento sperato per molto tempo». Lo spostamento al di fuori dei circuiti urbani rappresenta spesso una sfida ancor più complessa rispetto alla risonanza internazionale della protesta, a causa delle numerose difficoltà logistiche, di spostamento, di comunicazione e soprattutto alle sproporzioni numeriche. Allo stesso tempo, il movimento antigovernativo si fa sempre più visibile e vocale nel cuore delle piazze di altri Paesi del resto del continente europeo, da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Lubiana.

Il ruolo della diaspora e delle mobilitazioni internazionali nel caso della Serbia

Come accaduto in altre proteste recenti provenienti dall’Est, ovvero da aree riconducibili a quei Paesi che spesso vengono definiti con il termine evocativo di “fringe countries”, riferito solitamente ai margini dell’Unione Europea o del continente europeo nel suo insieme in particolare ai Balcani occidentali o al Caucaso meridionale, anche la mobilitazione della diaspora serba e della popolazione studentesca si organizza in maniera sempre più strutturata e creativa nelle principali città europee. In particolare, Bruxelles è diventata in poco tempo un punto nevralgico della protesta, anche per l’inevitabile sinergia delle rivendicazioni che si intrecciano con le mobilitazioni contro l’apertura della più grande miniera di litio del continente europeo nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale.

Le pressioni estrattive esercitate da numerosi Paesi dell’Unione Europea, in particolare dalla Germania, hanno acceso ulteriormente il dibattito e le proteste in corso sin dall’autunno 2021, quando il malcontento della popolazione locale era già esploso in manifestazioni su larga scala in Serbia, culminando il 5 febbraio 2025 in una grande e corale azione di sensibilizzazione all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, in occasione della proiezione in anteprima, ma a porte chiuse (accesso solo su invito nominativo) del documentario “Not in My Country: Serbia’s Lithium Dilemma”, organizzata dall’Istituto per i Minerali e i Materiali Sostenibili dell’Università Cattolica di Lovanio (Institute for Sustainable Metals and Minerals at KU Leuven).

Il documentario è stato duramente criticato da numerosi esperti e attivisti per l’opera di narrazione selettiva, che avrebbe distorto le voci di coloro che si oppongono da anni al progetto estrattivo del gruppo multinazionale anglo-australiano “Rio Tinto Group” e agli interessi delle grandi aziende private nella Serbia occidentale. Nonostante le dichiarazioni altalenanti delle autorità politiche nazionali e sovranazionali, il monitoraggio dell’area da parte dei gruppi di cittadini prosegue costantemente, evidenziando l’impatto ambientale e sociale di quella che, secondo il progetto noto come “Rio Tinto” o “Jader”, sarebbe destinata a diventare la più grande miniera di litio in Europa. Numerosi esponenti politici e istituzionali arrivano a descriverla come una componente fondamentale della transizione ecologica del continente, anche in chiave di allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali. 

Le proteste organizzate dalla diaspora serba e dai movimenti civici, che hanno coinvolto membri dell’accademia e del Parlamento Europeo attenti ai rischi ambientali e sociali, si inseriscono, dunque, in un contesto più ampio di critica nei confronti di quello che viene individuato come un ricatto economico e politico imposto alla Serbia nel quadro del travagliato processo di adesione all’Unione Europea. A tredici anni dal riconoscimento dello status di Paese candidato e undici dall’inizio dei negoziati, tale processo rimane in ogni caso in stallo, mentre crescono le preoccupazioni per il silenziamento del dissenso e la legittimazione di pratiche di sfruttamento estremamente nocive per il territorio e per la popolazione residente, in un contesto, come quello che contraddistingue la Serbia e i Paesi limitrofi, già sotto pressione a livello di inquinamento e di uso delle risorse pubbliche, ambientali e non.

Le proteste attualmente in corso hanno anche acceso i riflettori sulle contraddizioni tra le pressioni economiche e le richieste di conformità agli standard europei, in particolare in materia ambientale, ambiti nei quali la Serbia resta gravemente carente sia nella tutela sia nella gestione e attuazione delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali. Gli esponenti dei movimenti di protesta hanno chiesto a più riprese un maggiore rigore nell’allineamento agli indicatori ESG (Environmental, Social Governance ovvero Ambientale, Sociale e di Governance) e soprattutto l’impegno nella dimostrazione di progressi concreti in relazione al capitolo 27 dell’acquis communautaire sull’azione ambientale e climatica, attualmente bloccato anche a causa della scarsa applicazione delle normative esistenti e dell’influenza eccessiva delle aziende nel processo decisionale.

“Odgovornost!”: il riverbero delle proteste tra lotta alla corruzione e difesa dell’ambiente 

Le proteste per l’estrazione del litio si intrecciano con altre delicate e drammatiche questioni esplose nelle ultime settimane, tra cui il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, ristrutturata con fondi cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. L’incidente, avvenuto il 1° novembre, ha provocato 14 morti e decine di feriti, scatenando manifestazioni di massa in tutto il Paese al grido degli slogan “Zločin, a ne tragedija” (Un crimine, non una tragedia) e “Korupcija ubija” (la corruzione uccide). Il grave episodio ha sollevato immediatamente proteste e numerosi interrogativi sulla trasparenza istituzionale e il livello di corruzione raggiunto dal governo in carica, in particolare nel settore delle infrastrutture pubbliche.

In questo contesto, la richiesta di “odgovornost” (responsabilità o “accountability” nella traduzione adottata in occasione delle manifestazioni internazionali), la lotta alla corruzione e l’opposizione al sistema di potere costruito attorno al presidente Aleksandar Vučić, in carica in tale ruolo dal 2017, sono diventati i pilastri delle rivendicazioni popolari. Il simbolo delle mani sporche di sangue e del colore rosso è stato nuovamente evocato questa mattina nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, quando, alle 11:52 in punto, da Place Jean Rey i manifestanti hanno rilasciato verso il cielo palloncini rossi in ricordo delle vittime di Novi Sad per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle rivendicazioni emerse nel corso delle proteste.

Negli ultimi giorni, tali proteste si sono intensificate in Serbia anche in concomitanza con la festa nazionale della Repubblica dello scorso 15 febbraio e con la contro-manifestazione organizzata dallo stesso Vučić a Sremska Mitrovica, sulle rive del fiume Sava. A Bruxelles, il movimento “Palac gore Brisel” ha dato vita alla seconda domenica consecutiva di mobilitazioni che ha visto una grande partecipazione da parte di attivisti e studenti provenienti da tutto il Belgio e da altre comunità sensibili alle cause espresse per lanciare un messaggio chiaro e intransigente contro la corruzione e l’omissione di responsabilità da parte del governo in carica in Serbia.

Anna Lodeserto

Il liceo Rosa sciopera e scende in piazza

Partecipata la manifestazione sotto l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte contro il dimensionamento del Liceo Rosa con sedi a Susa e Bussoleno

CGIL e CUB hanno indetto al Rosa uno sciopero con una piattaforma che non lascia dubbi:
– L’esclusione, anche per gli anni futuri al 2025/2026, di ogni ipotesi di dimensionamento riguardanti l’Istituto
– La nomina di un Dirigente scolastico titolare dal 1° settembre 2025
– La tempestiva sostituzione del Dirigente reggente con l’affidamento della reggenza ad altro Dirigente scolastico

Massimiliano Rebuffo, segretario provinciale della CGIL-FLC, ha dichiarato che l’adesione allo sciopero è stata dell’80%.

La Dirigente reggente alla quale si fa riferimento nelle rivendicazioni è la Giaccone, Dirigente dell’Istituto Ferrari di Susa che nel 2022 è stata nominata reggente del Rosa. Nel comunicato stampa la CGIL-FLC spiega chiaramente la motivazione: “si è incrinato il rapporto con la comunità educante”.

Piattaforma pienamente condivisa con il comitato di cittadini “Insieme per il Rosa” i cui esponenti ci hanno ribadito con forza le rivendicazioni espresse in questo loro comunicato, anch’esso estremamente esplicito.

Alla manifestazione hanno partecipato i lavoratori (docenti e non docenti) del Rosa, genitori, studenti, molti esponenti del comitato “Insieme per il Rosa”. Una delegazione ha chiesto di parlare con Stefano Suraniti, dirigente dell’USR, il quale ha risposto – secondo quanto dichiarato al microfono da Rebuffo – rendendosi disponibile a ricevere solo genitori, studenti e lavoratori non sindacalizzati, in sostanza si è rifiutato di ricevere i rappresentanti sindacali.

Il “divide et impera” non ha tuttavia funzionato (a meno che lo scopo non fosse in realtà quello di non confrontarsi): non è salito nessuno, il patto tra lavoratori, studenti, cittadini e sindacati ha tenuto.

I manifestanti hanno scandito alcuni slogan: “Fateci Fateci Fateci salire”, “Non chiude la bocca, il Norby (Norberto Rosa n.d.r.) non si tocca”, “Tout le monde déteste la Giaccone”, e sono stati apposti dei post-it sul portone della sede dell’USR con le richieste scritte dai ragazzi.

Fabrizio Maffioletti

Storie dall’Albania: Volersi Bene, Restare o Partire

Il fotoreporter Giovanni Simone ha trascorso l’intero mese di dicembre 2024 esplorando l’Albania, un paese affascinante e vicino all’Italia, ma che per troppo tempo è rimasto ai margini dell’attenzione collettiva. In questo angolo dei Balcani, dove il passato e il presente si intrecciano armoniosamente, gli albanesi cercano un legame forte con luoghi visti come porti sicuri e opportunità per un futuro migliore.

Questo è il secondo di una serie di fotoreportage dedicati all’Albania, con un focus particolare sulla vita nel paese e sulle contraddizioni di Tirana.

L’Albania, una terra di contrasti, intreccia la ricchezza della sua storia millenaria con le sfide della modernità. Se da un lato la sua posizione nei Balcani la rende un crocevia culturale e geografico affascinante, dall’altro le disuguaglianze economiche e sociali segnano profondamente la quotidianità dei suoi abitanti.

Con oltre il 51% della popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, il paese si colloca tra i più vulnerabili del continente europeo, con un tasso nettamente superiore alla media UE del 21%. Nelle aree rurali, questa percentuale raggiunge quasi il 60%. A Tirana, il cuore economico dell’Albania, gli stipendi variano significativamente: un impiegato in una grande impresa può guadagnare fino a 900 euro al mese, mentre chi lavora in una microimpresa fatica ad arrivare a 400 euro. Nelle campagne, dove l’agricoltura è la principale fonte di reddito, gli stipendi sono ancora più bassi. I pensionati, con assegni medi di soli 150-200 euro al mese, vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, spesso dipendendo dal supporto familiare, prolungando la loro vita lavorativa o affiancando piccoli lavoretti per arrotondare il reddito.

Le minoranze etniche, come la comunità Rom e gli Ashkali, affrontano sfide ancora più ardue. Circa il 90% dei Rom è disoccupato e il 40% delle loro famiglie vive in condizioni di precarietà abitativa. Anche gli Ashkali, una comunità di origine balcanica, si trovano spesso ai margini della società. La povertà costringe molti bambini a lavorare anziché frequentare la scuola, perpetuando un ciclo di esclusione difficile da interrompere.

Il costo della vita in Albania riflette una realtà complessa. Sebbene gli affitti e il cibo possano risultare più economici rispetto all’Italia, i bassi salari rendono la sopravvivenza una sfida quotidiana. A Tirana, l’affitto di un appartamento varia tra i 400 e gli 800 euro al mese, mentre acquistare una casa è un privilegio per pochi: il prezzo medio si aggira intorno ai 1.600 euro al metro quadro, con mutui difficili da ottenere per le elevate garanzie richieste. L’Albania, un paese importatore netto, dipende fortemente dall’estero per i beni di consumo, inclusi quelli di prima necessità. Il pollo si aggira intorno ai 7 euro al kg, il latte a 1,70 euro al litro e una dozzina di uova costa circa 3 euro. Il pane, alimento essenziale nella dieta albanese, ha un prezzo medio di 1,50 euro al kg. L’accesso all’acqua potabile rimane una delle sfide più critiche. Nonostante le abbondanti risorse idriche, la fornitura di acqua sicura e costante è problematica in molte zone, inclusa la capitale. Di conseguenza, gran parte della popolazione acquista acqua in bottiglia per il consumo quotidiano, con un costo medio di circa 60 centesimi di euro a bottiglia.

Tirana incarna le più evidenti contraddizioni, un luogo dove la fragilità economica si scontra con un’apparente vivacità sociale. La città è costellata di bar e caffè, con una densità sorprendente di un locale ogni 152 abitanti, facendone una delle capitali con il maggior numero di punti di ritrovo per persona. Ma dietro a questa vitalità si cela una realtà più complessa: nei mesi invernali, chi non può permettersi il riscaldamento domestico cerca rifugio in questi spazi per sfuggire al freddo pungente. Le infrastrutture cittadine mostrano gravi carenze: come nel resto dell’Albania, a Tirana manca una rete di gas cittadino, costringendo molti abitanti a fare affidamento su vecchie e costose pompe di calore, spesso inefficienti. Nei parchi cittadini, il sole diventa una risorsa preziosa, un rifugio naturale dove le persone si riuniscono per godere del calore e dedicarsi ad attività all’aria aperta.

Per molti albanesi, il proprio paese è solo una tappa temporanea, un luogo in cui vivere in attesa di emigrare. La loro sopravvivenza dipende dalla capacità di adattarsi a una realtà complessa, mentre l’Unione Europea rappresenta una speranza, un porto sicuro dove costruire un futuro dignitoso. Questa riflessione sulla vita in Albania invita a guardare oltre le statistiche, a comprendere la quotidianità di un paese che oscilla tra la resistenza e la fuga, tra il desiderio di costruire un domani migliore e la necessità di cercarlo altrove. Eppure, spesso, gli albanesi, immersi nella lotta per la sopravvivenza, dimenticano il significato più profondo di “Volersi bene”. Il concetto di benessere personale e collettivo viene relegato in secondo piano di fronte alla necessità di garantire il minimo indispensabile.

In Albania, “Volersi Bene” è uno stato d’animo da riscoprire, non solo come aspirazione individuale, ma come valore collettivo, capace di dare significato a un futuro costruito su fondamenta più stabili.

 

su Flickr https://flic.kr/s/aHBqjC35b1

 

“Nei pressi del Castello di Argirocastro, un’anziana venditrice offre erbe essiccate e tè di montagna (Sideritis), un infuso tradizionale noto per le sue proprietà antinfiammatorie, digestive e rilassanti. Ricco di antiossidanti, aiuta a rafforzare il sistema immunitario e alleviare raffreddore e problemi digestivi, tramandando antichi rimedi naturali della tradizione albanese.”

“Nel parco centrale di Berat, due anziani si sfidano a scacchi, approfittando del sole per riscaldarsi all’aria aperta. Questo gioco, profondamente radicato nella cultura albanese, è una passione diffusa nei caffè e nei parchi, simbolo di strategia e socialità, tramandato di generazione in generazione nelle città storiche del paese.”

“Nel quartiere delle case popolari di Coriza, una donna Ashkali stende il bucato sulla ringhiera della scuola dopo averlo lavato a mano nel giardino. Un tempo la sua casa ospitava tre famiglie in tre stanze con bagno esterno senza acqua corrente, ma oggi è rimasta solo lei con due dei figli, mentre gli altri sono emigrati all’estero in cerca di un futuro migliore.”

 

“All’ingresso di Moscopoli, pittoresca località montana rinomata per le sue antiche chiese ortodosse e il pregiato miele di fiori selvatici, una donna gestisce la vendita di prodotti tipici locali, offrendo ai visitatori un assaggio delle tradizioni e dei sapori autentici di questo affascinante villaggio.”

“In Albania, il tacchino è il piatto simbolo del cenone di Capodanno. Nei giorni precedenti, le strade si riempiono di improvvisati allevatori che guidano gruppi di tacchini con lunghi bastoni, conducendoli verso mercati improvvisati lungo le strade, dove vengono venduti ai passanti in una tradizione che si ripete ogni anno.”

“Nel bar del quartiere delle case popolari di Coriza, uomini del posto si sfidano a Tavëll, la versione albanese del backgammon. Nei mesi freddi, i bar diventano rifugi dal gelo montano, luoghi di socialità dove tra una partita e un caffè turco si scambiano storie e si rafforzano legami, mantenendo viva una tradizione radicata nella cultura locale.”

“Tra le case popolari di Tirana, recentemente assegnate a famiglie rom, un rappresentante del Movimento Bashkë mi accompagna in un viaggio tra storie di resilienza e speranza. Mentre la comunità affronta sfide quotidiane, il movimento si batte per l’inclusione e i diritti sociali, in un’Albania che cambia tra difficoltà e nuove opportunità.”

“La sussistenza delle minoranze etniche in Albania, come i rom, è spesso legata al recupero di rifiuti urbani. Materiali come la plastica vengono raccolti e portati nei centri di raccolta, dove vengono scambiati per pochi lek al chilo. Questa attività rappresenta una fonte di reddito essenziale, nonostante le difficili condizioni di lavoro e la mancanza di regolamentazione.”

“Chi si nasconde sotto questo topolino? In uno dei parchi di Tirana, un anziano signore lavora come figurante per foto con i passanti. Tra sorrisi e scatti ricordo, il costume diventa il suo mezzo di sostentamento, trasformando un angolo verde della capitale in un piccolo teatro quotidiano di incontri e fantasia.”

“Nel mercato di Scutari, un venditore siede con eleganza davanti alla sua bancarella di tessuti. Con giacca di pelle, sciarpa e coppola, incarna la tradizione albanese di vestire con cura, tipica degli anziani, per cui l’eleganza è segno di rispetto, disciplina e dignità. Un codice non scritto che ancora resiste tra le generazioni più mature.”

“Lungo le strade di Tirana, piccoli banchi colmano i marciapiedi di colori vivaci, vendendo frutta e verdura anche nel cuore dell’inverno. Sebbene l’Albania abbia una forte tradizione agricola, gran parte di questi prodotti proviene dall’estero, importati per soddisfare la domanda stagionale. Tra le cassette di peperoni e pomodori, il commercio resiste al freddo, mantenendo viva l’anima dei mercati di strada.”

Nel cuore del vecchio Bazar di Argirocastro, una signora attende pazientemente i clienti seduta davanti alla sua bottega. Con mani esperte si dedica all’uncinetto, un’antica arte albanese tramandata da generazioni. Tra fili e punti, crea con passione nuovi prodotti da vendere, mantenendo vive le tradizioni artigianali di questo affascinante angolo storico.”

“In Piazza Skënderbej a Tirana, un anziano signore si traveste da Babbo Natale per i festeggiamenti di Natale e Capodanno, cercando di arrotondare la sua pensione. Seduto tra le luci scintillanti e le decorazioni natalizie, osserva il via vai della città, regalando ai passanti un sorriso e un momento di magia in cambio di qualche moneta.”

“Nel pittoresco villaggio di Moscopoli, un’anziana signora annaffia con cura il suo orto, indossando abiti tradizionali scuri. In Albania, il nero è spesso scelto dalle donne anziane come simbolo di modestia, rispetto e lutto per le perdite subite nel corso della vita. Questa pratica riflette una profonda connessione con le tradizioni culturali e un forte senso di appartenenza alla comunità locale.”

“Sul lungomare di Durazzo, due ragazzi della nuova generazione albanese passeggiano mentre il sole si riflette sulle onde. Un tempo, da qui partivano migliaia di emigranti in cerca di un futuro migliore. Oggi, i giovani hanno il compito di costruire un’Albania che guarda al domani, tra il ricordo delle partenze e la speranza di una crescita nel proprio paese.”

 

 

 

 

 

Giovanni Simone

La Serbia in rivolta tra mobilitazioni di massa locali e rilancio europeo

Il movimento studentesco in Serbia conquista finalmente l’agognato spazio su una parte dei mezzi di comunicazione al di fuori del circuito regionale balcanico, contesto nel quale ha rappresentato una forza propulsiva per numeri, costanza e rapidità di espansione geografica, senza trascurare la creatività e la forza dei messaggi che si intersecano con coerenza e determinazione. Sebbene la sua copertura resti ancora nettamente inferiore rispetto alle aspettative degli organizzatori e all’impatto numerico e alla propagazione della mobilitazione che, negli ultimi tre mesi, ha attraversato il rigidissimo inverno serbo e ha raggiunto anche le aree rurali, le manifestazioni si susseguono e continuano alternando blocchi stradali, sit-in per le strade e nelle piazze, soprattutto a Belgrado e Novi Sad,  oltre alle lunghe marce di protesta a piedi tra le due città, come quella promossa dagli studenti e dalle studentesse universitarie alla fine del mese di gennaio.

Il movimento, oltre alla forte connotazione studentesca, sta diventando sempre più trasversale e intergenerazionale e riuscendo a guadagnare terreno anche nelle aree rurali, tanto che una donna in piazza a Bruxelles mi rivela commossa quanto «questo sia un forte catalizzatore che spinge all’azione anche a distanza, per esprimere solidarietà e rafforzare le richiesta, mosse dalla speranza che tanta capacità di reazione generi il cambiamento sperato per molto tempo». Lo spostamento al di fuori dei circuiti urbani rappresenta spesso una sfida ancor più complessa rispetto alla risonanza internazionale della protesta, a causa delle numerose difficoltà logistiche, di spostamento, di comunicazione e soprattutto alle sproporzioni numeriche. Allo stesso tempo, il movimento antigovernativo si fa sempre più visibile e vocale nel cuore delle piazze di altri Paesi del resto del continente europeo, da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Lubiana.

Il ruolo della diaspora e delle mobilitazioni internazionali nel caso della Serbia

Come accaduto in altre proteste recenti provenienti dall’Est, ovvero da aree riconducibili a quei Paesi che spesso vengono definiti con il termine evocativo di “fringe countries”, riferito solitamente ai margini dell’Unione Europea o del continente europeo nel suo insieme in particolare ai Balcani occidentali o al Caucaso meridionale, anche la mobilitazione della diaspora serba e della popolazione studentesca si organizza in maniera sempre più strutturata e creativa nelle principali città europee. In particolare, Bruxelles è diventata in poco tempo un punto nevralgico della protesta, anche per l’inevitabile sinergia delle rivendicazioni che si intrecciano con le mobilitazioni contro l’apertura della più grande miniera di litio del continente europeo nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale.

Le pressioni estrattive esercitate da numerosi Paesi dell’Unione Europea, in particolare dalla Germania, hanno acceso ulteriormente il dibattito e le proteste in corso sin dall’autunno 2021, quando il malcontento della popolazione locale era già esploso in manifestazioni su larga scala in Serbia, culminando il 5 febbraio 2025 in una grande e corale azione di sensibilizzazione all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, in occasione della proiezione in anteprima, ma a porte chiuse (accesso solo su invito nominativo) del documentario “Not in My Country: Serbia’s Lithium Dilemma”, organizzata dall’Istituto per i Minerali e i Materiali Sostenibili dell’Università Cattolica di Lovanio (Institute for Sustainable Metals and Minerals at KU Leuven).

Il documentario è stato duramente criticato da numerosi esperti e attivisti per l’opera di narrazione selettiva, che avrebbe distorto le voci di coloro che si oppongono da anni al progetto estrattivo del gruppo multinazionale anglo-australiano “Rio Tinto Group” e agli interessi delle grandi aziende private nella Serbia occidentale. Nonostante le dichiarazioni altalenanti delle autorità politiche nazionali e sovranazionali, il monitoraggio dell’area da parte dei gruppi di cittadini prosegue costantemente, evidenziando l’impatto ambientale e sociale di quella che, secondo il progetto noto come “Rio Tinto” o “Jader”, sarebbe destinata a diventare la più grande miniera di litio in Europa. Numerosi esponenti politici e istituzionali arrivano a descriverla come una componente fondamentale della transizione ecologica del continente, anche in chiave di allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali. 

Le proteste organizzate dalla diaspora serba e dai movimenti civici, che hanno coinvolto membri dell’accademia e del Parlamento Europeo attenti ai rischi ambientali e sociali, si inseriscono, dunque, in un contesto più ampio di critica nei confronti di quello che viene individuato come un ricatto economico e politico imposto alla Serbia nel quadro del travagliato processo di adesione all’Unione Europea. A tredici anni dal riconoscimento dello status di Paese candidato e undici dall’inizio dei negoziati, tale processo rimane in ogni caso in stallo, mentre crescono le preoccupazioni per il silenziamento del dissenso e la legittimazione di pratiche di sfruttamento estremamente nocive per il territorio e per la popolazione residente, in un contesto, come quello che contraddistingue la Serbia e i Paesi limitrofi, già sotto pressione a livello di inquinamento e di uso delle risorse pubbliche, ambientali e non.

Le proteste attualmente in corso hanno anche acceso i riflettori sulle contraddizioni tra le pressioni economiche e le richieste di conformità agli standard europei, in particolare in materia ambientale, ambiti nei quali la Serbia resta gravemente carente sia nella tutela sia nella gestione e attuazione delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali. Gli esponenti dei movimenti di protesta hanno chiesto a più riprese un maggiore rigore nell’allineamento agli indicatori ESG (Environmental, Social Governance ovvero Ambientale, Sociale e di Governance) e soprattutto l’impegno nella dimostrazione di progressi concreti in relazione al capitolo 27 dell’acquis communautaire sull’azione ambientale e climatica, attualmente bloccato anche a causa della scarsa applicazione delle normative esistenti e dell’influenza eccessiva delle aziende nel processo decisionale.

“Odgovornost!”: il riverbero delle proteste tra lotta alla corruzione e difesa dell’ambiente 

Le proteste per l’estrazione del litio si intrecciano con altre delicate e drammatiche questioni esplose nelle ultime settimane, tra cui il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, ristrutturata con fondi cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. L’incidente, avvenuto il 1° novembre, ha provocato 14 morti e decine di feriti, scatenando manifestazioni di massa in tutto il Paese al grido degli slogan “Zločin, a ne tragedija” (Un crimine, non una tragedia) e “Korupcija ubija” (la corruzione uccide). Il grave episodio ha sollevato immediatamente proteste e numerosi interrogativi sulla trasparenza istituzionale e il livello di corruzione raggiunto dal governo in carica, in particolare nel settore delle infrastrutture pubbliche.

In questo contesto, la richiesta di “odgovornost” (responsabilità o “accountability” nella traduzione adottata in occasione delle manifestazioni internazionali), la lotta alla corruzione e l’opposizione al sistema di potere costruito attorno al presidente Aleksandar Vučić, in carica in tale ruolo dal 2017, sono diventati i pilastri delle rivendicazioni popolari. Il simbolo delle mani sporche di sangue e del colore rosso è stato nuovamente evocato questa mattina nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, quando, alle 11:52 in punto, da Place Jean Rey i manifestanti hanno rilasciato verso il cielo palloncini rossi in ricordo delle vittime di Novi Sad per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle rivendicazioni emerse nel corso delle proteste.

Negli ultimi giorni, tali proteste si sono intensificate in Serbia anche in concomitanza con la festa nazionale della Repubblica dello scorso 15 febbraio e con la contro-manifestazione organizzata dallo stesso Vučić a Sremska Mitrovica, sulle rive del fiume Sava. A Bruxelles, il movimento “Palac gore Brisel” ha dato vita alla seconda domenica consecutiva di mobilitazioni che ha visto una grande partecipazione da parte di attivisti e studenti provenienti da tutto il Belgio e da altre comunità sensibili alle cause espresse per lanciare un messaggio chiaro e intransigente contro la corruzione e l’omissione di responsabilità da parte del governo in carica in Serbia.

Anna Lodeserto

Il liceo Rosa sciopera e scende in piazza

Partecipata la manifestazione sotto l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte contro il dimensionamento del Liceo Rosa con sedi a Susa e Bussoleno

CGIL e CUB hanno indetto al Rosa uno sciopero con una piattaforma che non lascia dubbi:
– L’esclusione, anche per gli anni futuri al 2025/2026, di ogni ipotesi di dimensionamento riguardanti l’Istituto
– La nomina di un Dirigente scolastico titolare dal 1° settembre 2025
– La tempestiva sostituzione del Dirigente reggente con l’affidamento della reggenza ad altro Dirigente scolastico

Massimiliano Rebuffo, segretario provinciale della CGIL-FLC, ha dichiarato che l’adesione allo sciopero è stata dell’80%.

La Dirigente reggente alla quale si fa riferimento nelle rivendicazioni è la Giaccone, Dirigente dell’Istituto Ferrari di Susa che nel 2022 è stata nominata reggente del Rosa. Nel comunicato stampa la CGIL-FLC spiega chiaramente la motivazione: “si è incrinato il rapporto con la comunità educante”.

Piattaforma pienamente condivisa con il comitato di cittadini “Insieme per il Rosa” i cui esponenti ci hanno ribadito con forza le rivendicazioni espresse in questo loro comunicato, anch’esso estremamente esplicito.

Alla manifestazione hanno partecipato i lavoratori (docenti e non docenti) del Rosa, genitori, studenti, molti esponenti del comitato “Insieme per il Rosa”. Una delegazione ha chiesto di parlare con Stefano Suraniti, dirigente dell’USR, il quale ha risposto – secondo quanto dichiarato al microfono da Rebuffo – rendendosi disponibile a ricevere solo genitori, studenti e lavoratori non sindacalizzati, in sostanza si è rifiutato di ricevere i rappresentanti sindacali.

Il “divide et impera” non ha tuttavia funzionato (a meno che lo scopo non fosse in realtà quello di non confrontarsi): non è salito nessuno, il patto tra lavoratori, studenti, cittadini e sindacati ha tenuto.

I manifestanti hanno scandito alcuni slogan: “Fateci Fateci Fateci salire”, “Non chiude la bocca, il Norby (Norberto Rosa n.d.r.) non si tocca”, “Tout le monde déteste la Giaccone”, e sono stati apposti dei post-it sul portone della sede dell’USR con le richieste scritte dai ragazzi.

Fabrizio Maffioletti

Storie dall’Albania: Volersi Bene, Restare o Partire

Il fotoreporter Giovanni Simone ha trascorso l’intero mese di dicembre 2024 esplorando l’Albania, un paese affascinante e vicino all’Italia, ma che per troppo tempo è rimasto ai margini dell’attenzione collettiva. In questo angolo dei Balcani, dove il passato e il presente si intrecciano armoniosamente, gli albanesi cercano un legame forte con luoghi visti come porti sicuri e opportunità per un futuro migliore.

Questo è il secondo di una serie di fotoreportage dedicati all’Albania, con un focus particolare sulla vita nel paese e sulle contraddizioni di Tirana.

L’Albania, una terra di contrasti, intreccia la ricchezza della sua storia millenaria con le sfide della modernità. Se da un lato la sua posizione nei Balcani la rende un crocevia culturale e geografico affascinante, dall’altro le disuguaglianze economiche e sociali segnano profondamente la quotidianità dei suoi abitanti.

Con oltre il 51% della popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, il paese si colloca tra i più vulnerabili del continente europeo, con un tasso nettamente superiore alla media UE del 21%. Nelle aree rurali, questa percentuale raggiunge quasi il 60%. A Tirana, il cuore economico dell’Albania, gli stipendi variano significativamente: un impiegato in una grande impresa può guadagnare fino a 900 euro al mese, mentre chi lavora in una microimpresa fatica ad arrivare a 400 euro. Nelle campagne, dove l’agricoltura è la principale fonte di reddito, gli stipendi sono ancora più bassi. I pensionati, con assegni medi di soli 150-200 euro al mese, vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, spesso dipendendo dal supporto familiare, prolungando la loro vita lavorativa o affiancando piccoli lavoretti per arrotondare il reddito.

Le minoranze etniche, come la comunità Rom e gli Ashkali, affrontano sfide ancora più ardue. Circa il 90% dei Rom è disoccupato e il 40% delle loro famiglie vive in condizioni di precarietà abitativa. Anche gli Ashkali, una comunità di origine balcanica, si trovano spesso ai margini della società. La povertà costringe molti bambini a lavorare anziché frequentare la scuola, perpetuando un ciclo di esclusione difficile da interrompere.

Il costo della vita in Albania riflette una realtà complessa. Sebbene gli affitti e il cibo possano risultare più economici rispetto all’Italia, i bassi salari rendono la sopravvivenza una sfida quotidiana. A Tirana, l’affitto di un appartamento varia tra i 400 e gli 800 euro al mese, mentre acquistare una casa è un privilegio per pochi: il prezzo medio si aggira intorno ai 1.600 euro al metro quadro, con mutui difficili da ottenere per le elevate garanzie richieste. L’Albania, un paese importatore netto, dipende fortemente dall’estero per i beni di consumo, inclusi quelli di prima necessità. Il pollo si aggira intorno ai 7 euro al kg, il latte a 1,70 euro al litro e una dozzina di uova costa circa 3 euro. Il pane, alimento essenziale nella dieta albanese, ha un prezzo medio di 1,50 euro al kg. L’accesso all’acqua potabile rimane una delle sfide più critiche. Nonostante le abbondanti risorse idriche, la fornitura di acqua sicura e costante è problematica in molte zone, inclusa la capitale. Di conseguenza, gran parte della popolazione acquista acqua in bottiglia per il consumo quotidiano, con un costo medio di circa 60 centesimi di euro a bottiglia.

Tirana incarna le più evidenti contraddizioni, un luogo dove la fragilità economica si scontra con un’apparente vivacità sociale. La città è costellata di bar e caffè, con una densità sorprendente di un locale ogni 152 abitanti, facendone una delle capitali con il maggior numero di punti di ritrovo per persona. Ma dietro a questa vitalità si cela una realtà più complessa: nei mesi invernali, chi non può permettersi il riscaldamento domestico cerca rifugio in questi spazi per sfuggire al freddo pungente. Le infrastrutture cittadine mostrano gravi carenze: come nel resto dell’Albania, a Tirana manca una rete di gas cittadino, costringendo molti abitanti a fare affidamento su vecchie e costose pompe di calore, spesso inefficienti. Nei parchi cittadini, il sole diventa una risorsa preziosa, un rifugio naturale dove le persone si riuniscono per godere del calore e dedicarsi ad attività all’aria aperta.

Per molti albanesi, il proprio paese è solo una tappa temporanea, un luogo in cui vivere in attesa di emigrare. La loro sopravvivenza dipende dalla capacità di adattarsi a una realtà complessa, mentre l’Unione Europea rappresenta una speranza, un porto sicuro dove costruire un futuro dignitoso. Questa riflessione sulla vita in Albania invita a guardare oltre le statistiche, a comprendere la quotidianità di un paese che oscilla tra la resistenza e la fuga, tra il desiderio di costruire un domani migliore e la necessità di cercarlo altrove. Eppure, spesso, gli albanesi, immersi nella lotta per la sopravvivenza, dimenticano il significato più profondo di “Volersi bene”. Il concetto di benessere personale e collettivo viene relegato in secondo piano di fronte alla necessità di garantire il minimo indispensabile.

In Albania, “Volersi Bene” è uno stato d’animo da riscoprire, non solo come aspirazione individuale, ma come valore collettivo, capace di dare significato a un futuro costruito su fondamenta più stabili.

 

su Flickr https://flic.kr/s/aHBqjC35b1

 

“Nei pressi del Castello di Argirocastro, un’anziana venditrice offre erbe essiccate e tè di montagna (Sideritis), un infuso tradizionale noto per le sue proprietà antinfiammatorie, digestive e rilassanti. Ricco di antiossidanti, aiuta a rafforzare il sistema immunitario e alleviare raffreddore e problemi digestivi, tramandando antichi rimedi naturali della tradizione albanese.”

“Nel parco centrale di Berat, due anziani si sfidano a scacchi, approfittando del sole per riscaldarsi all’aria aperta. Questo gioco, profondamente radicato nella cultura albanese, è una passione diffusa nei caffè e nei parchi, simbolo di strategia e socialità, tramandato di generazione in generazione nelle città storiche del paese.”

“Nel quartiere delle case popolari di Coriza, una donna Ashkali stende il bucato sulla ringhiera della scuola dopo averlo lavato a mano nel giardino. Un tempo la sua casa ospitava tre famiglie in tre stanze con bagno esterno senza acqua corrente, ma oggi è rimasta solo lei con due dei figli, mentre gli altri sono emigrati all’estero in cerca di un futuro migliore.”

 

“All’ingresso di Moscopoli, pittoresca località montana rinomata per le sue antiche chiese ortodosse e il pregiato miele di fiori selvatici, una donna gestisce la vendita di prodotti tipici locali, offrendo ai visitatori un assaggio delle tradizioni e dei sapori autentici di questo affascinante villaggio.”

“In Albania, il tacchino è il piatto simbolo del cenone di Capodanno. Nei giorni precedenti, le strade si riempiono di improvvisati allevatori che guidano gruppi di tacchini con lunghi bastoni, conducendoli verso mercati improvvisati lungo le strade, dove vengono venduti ai passanti in una tradizione che si ripete ogni anno.”

“Nel bar del quartiere delle case popolari di Coriza, uomini del posto si sfidano a Tavëll, la versione albanese del backgammon. Nei mesi freddi, i bar diventano rifugi dal gelo montano, luoghi di socialità dove tra una partita e un caffè turco si scambiano storie e si rafforzano legami, mantenendo viva una tradizione radicata nella cultura locale.”

“Tra le case popolari di Tirana, recentemente assegnate a famiglie rom, un rappresentante del Movimento Bashkë mi accompagna in un viaggio tra storie di resilienza e speranza. Mentre la comunità affronta sfide quotidiane, il movimento si batte per l’inclusione e i diritti sociali, in un’Albania che cambia tra difficoltà e nuove opportunità.”

“La sussistenza delle minoranze etniche in Albania, come i rom, è spesso legata al recupero di rifiuti urbani. Materiali come la plastica vengono raccolti e portati nei centri di raccolta, dove vengono scambiati per pochi lek al chilo. Questa attività rappresenta una fonte di reddito essenziale, nonostante le difficili condizioni di lavoro e la mancanza di regolamentazione.”

“Chi si nasconde sotto questo topolino? In uno dei parchi di Tirana, un anziano signore lavora come figurante per foto con i passanti. Tra sorrisi e scatti ricordo, il costume diventa il suo mezzo di sostentamento, trasformando un angolo verde della capitale in un piccolo teatro quotidiano di incontri e fantasia.”

“Nel mercato di Scutari, un venditore siede con eleganza davanti alla sua bancarella di tessuti. Con giacca di pelle, sciarpa e coppola, incarna la tradizione albanese di vestire con cura, tipica degli anziani, per cui l’eleganza è segno di rispetto, disciplina e dignità. Un codice non scritto che ancora resiste tra le generazioni più mature.”

“Lungo le strade di Tirana, piccoli banchi colmano i marciapiedi di colori vivaci, vendendo frutta e verdura anche nel cuore dell’inverno. Sebbene l’Albania abbia una forte tradizione agricola, gran parte di questi prodotti proviene dall’estero, importati per soddisfare la domanda stagionale. Tra le cassette di peperoni e pomodori, il commercio resiste al freddo, mantenendo viva l’anima dei mercati di strada.”

Nel cuore del vecchio Bazar di Argirocastro, una signora attende pazientemente i clienti seduta davanti alla sua bottega. Con mani esperte si dedica all’uncinetto, un’antica arte albanese tramandata da generazioni. Tra fili e punti, crea con passione nuovi prodotti da vendere, mantenendo vive le tradizioni artigianali di questo affascinante angolo storico.”

“In Piazza Skënderbej a Tirana, un anziano signore si traveste da Babbo Natale per i festeggiamenti di Natale e Capodanno, cercando di arrotondare la sua pensione. Seduto tra le luci scintillanti e le decorazioni natalizie, osserva il via vai della città, regalando ai passanti un sorriso e un momento di magia in cambio di qualche moneta.”

“Nel pittoresco villaggio di Moscopoli, un’anziana signora annaffia con cura il suo orto, indossando abiti tradizionali scuri. In Albania, il nero è spesso scelto dalle donne anziane come simbolo di modestia, rispetto e lutto per le perdite subite nel corso della vita. Questa pratica riflette una profonda connessione con le tradizioni culturali e un forte senso di appartenenza alla comunità locale.”

“Sul lungomare di Durazzo, due ragazzi della nuova generazione albanese passeggiano mentre il sole si riflette sulle onde. Un tempo, da qui partivano migliaia di emigranti in cerca di un futuro migliore. Oggi, i giovani hanno il compito di costruire un’Albania che guarda al domani, tra il ricordo delle partenze e la speranza di una crescita nel proprio paese.”

 

 

 

 

 

Giovanni Simone

La Serbia in rivolta tra mobilitazioni di massa locali e rilancio europeo

Il movimento studentesco in Serbia conquista finalmente l’agognato spazio su una parte dei mezzi di comunicazione al di fuori del circuito regionale balcanico, contesto nel quale ha rappresentato una forza propulsiva per numeri, costanza e rapidità di espansione geografica, senza trascurare la creatività e la forza dei messaggi che si intersecano con coerenza e determinazione. Sebbene la sua copertura resti ancora nettamente inferiore rispetto alle aspettative degli organizzatori e all’impatto numerico e alla propagazione della mobilitazione che, negli ultimi tre mesi, ha attraversato il rigidissimo inverno serbo e ha raggiunto anche le aree rurali, le manifestazioni si susseguono e continuano alternando blocchi stradali, sit-in per le strade e nelle piazze, soprattutto a Belgrado e Novi Sad,  oltre alle lunghe marce di protesta a piedi tra le due città, come quella promossa dagli studenti e dalle studentesse universitarie alla fine del mese di gennaio.

Il movimento, oltre alla forte connotazione studentesca, sta diventando sempre più trasversale e intergenerazionale e riuscendo a guadagnare terreno anche nelle aree rurali, tanto che una donna in piazza a Bruxelles mi rivela commossa quanto «questo sia un forte catalizzatore che spinge all’azione anche a distanza, per esprimere solidarietà e rafforzare le richiesta, mosse dalla speranza che tanta capacità di reazione generi il cambiamento sperato per molto tempo». Lo spostamento al di fuori dei circuiti urbani rappresenta spesso una sfida ancor più complessa rispetto alla risonanza internazionale della protesta, a causa delle numerose difficoltà logistiche, di spostamento, di comunicazione e soprattutto alle sproporzioni numeriche. Allo stesso tempo, il movimento antigovernativo si fa sempre più visibile e vocale nel cuore delle piazze di altri Paesi del resto del continente europeo, da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Lubiana.

Il ruolo della diaspora e delle mobilitazioni internazionali nel caso della Serbia

Come accaduto in altre proteste recenti provenienti dall’Est, ovvero da aree riconducibili a quei Paesi che spesso vengono definiti con il termine evocativo di “fringe countries”, riferito solitamente ai margini dell’Unione Europea o del continente europeo nel suo insieme in particolare ai Balcani occidentali o al Caucaso meridionale, anche la mobilitazione della diaspora serba e della popolazione studentesca si organizza in maniera sempre più strutturata e creativa nelle principali città europee. In particolare, Bruxelles è diventata in poco tempo un punto nevralgico della protesta, anche per l’inevitabile sinergia delle rivendicazioni che si intrecciano con le mobilitazioni contro l’apertura della più grande miniera di litio del continente europeo nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale.

Le pressioni estrattive esercitate da numerosi Paesi dell’Unione Europea, in particolare dalla Germania, hanno acceso ulteriormente il dibattito e le proteste in corso sin dall’autunno 2021, quando il malcontento della popolazione locale era già esploso in manifestazioni su larga scala in Serbia, culminando il 5 febbraio 2025 in una grande e corale azione di sensibilizzazione all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, in occasione della proiezione in anteprima, ma a porte chiuse (accesso solo su invito nominativo) del documentario “Not in My Country: Serbia’s Lithium Dilemma”, organizzata dall’Istituto per i Minerali e i Materiali Sostenibili dell’Università Cattolica di Lovanio (Institute for Sustainable Metals and Minerals at KU Leuven).

Il documentario è stato duramente criticato da numerosi esperti e attivisti per l’opera di narrazione selettiva, che avrebbe distorto le voci di coloro che si oppongono da anni al progetto estrattivo del gruppo multinazionale anglo-australiano “Rio Tinto Group” e agli interessi delle grandi aziende private nella Serbia occidentale. Nonostante le dichiarazioni altalenanti delle autorità politiche nazionali e sovranazionali, il monitoraggio dell’area da parte dei gruppi di cittadini prosegue costantemente, evidenziando l’impatto ambientale e sociale di quella che, secondo il progetto noto come “Rio Tinto” o “Jader”, sarebbe destinata a diventare la più grande miniera di litio in Europa. Numerosi esponenti politici e istituzionali arrivano a descriverla come una componente fondamentale della transizione ecologica del continente, anche in chiave di allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali. 

Le proteste organizzate dalla diaspora serba e dai movimenti civici, che hanno coinvolto membri dell’accademia e del Parlamento Europeo attenti ai rischi ambientali e sociali, si inseriscono, dunque, in un contesto più ampio di critica nei confronti di quello che viene individuato come un ricatto economico e politico imposto alla Serbia nel quadro del travagliato processo di adesione all’Unione Europea. A tredici anni dal riconoscimento dello status di Paese candidato e undici dall’inizio dei negoziati, tale processo rimane in ogni caso in stallo, mentre crescono le preoccupazioni per il silenziamento del dissenso e la legittimazione di pratiche di sfruttamento estremamente nocive per il territorio e per la popolazione residente, in un contesto, come quello che contraddistingue la Serbia e i Paesi limitrofi, già sotto pressione a livello di inquinamento e di uso delle risorse pubbliche, ambientali e non.

Le proteste attualmente in corso hanno anche acceso i riflettori sulle contraddizioni tra le pressioni economiche e le richieste di conformità agli standard europei, in particolare in materia ambientale, ambiti nei quali la Serbia resta gravemente carente sia nella tutela sia nella gestione e attuazione delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali. Gli esponenti dei movimenti di protesta hanno chiesto a più riprese un maggiore rigore nell’allineamento agli indicatori ESG (Environmental, Social Governance ovvero Ambientale, Sociale e di Governance) e soprattutto l’impegno nella dimostrazione di progressi concreti in relazione al capitolo 27 dell’acquis communautaire sull’azione ambientale e climatica, attualmente bloccato anche a causa della scarsa applicazione delle normative esistenti e dell’influenza eccessiva delle aziende nel processo decisionale.

“Odgovornost!”: il riverbero delle proteste tra lotta alla corruzione e difesa dell’ambiente 

Le proteste per l’estrazione del litio si intrecciano con altre delicate e drammatiche questioni esplose nelle ultime settimane, tra cui il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, ristrutturata con fondi cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. L’incidente, avvenuto il 1° novembre, ha provocato 14 morti e decine di feriti, scatenando manifestazioni di massa in tutto il Paese al grido degli slogan “Zločin, a ne tragedija” (Un crimine, non una tragedia) e “Korupcija ubija” (la corruzione uccide). Il grave episodio ha sollevato immediatamente proteste e numerosi interrogativi sulla trasparenza istituzionale e il livello di corruzione raggiunto dal governo in carica, in particolare nel settore delle infrastrutture pubbliche.

In questo contesto, la richiesta di “odgovornost” (responsabilità o “accountability” nella traduzione adottata in occasione delle manifestazioni internazionali), la lotta alla corruzione e l’opposizione al sistema di potere costruito attorno al presidente Aleksandar Vučić, in carica in tale ruolo dal 2017, sono diventati i pilastri delle rivendicazioni popolari. Il simbolo delle mani sporche di sangue e del colore rosso è stato nuovamente evocato questa mattina nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, quando, alle 11:52 in punto, da Place Jean Rey i manifestanti hanno rilasciato verso il cielo palloncini rossi in ricordo delle vittime di Novi Sad per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle rivendicazioni emerse nel corso delle proteste.

Negli ultimi giorni, tali proteste si sono intensificate in Serbia anche in concomitanza con la festa nazionale della Repubblica dello scorso 15 febbraio e con la contro-manifestazione organizzata dallo stesso Vučić a Sremska Mitrovica, sulle rive del fiume Sava. A Bruxelles, il movimento “Palac gore Brisel” ha dato vita alla seconda domenica consecutiva di mobilitazioni che ha visto una grande partecipazione da parte di attivisti e studenti provenienti da tutto il Belgio e da altre comunità sensibili alle cause espresse per lanciare un messaggio chiaro e intransigente contro la corruzione e l’omissione di responsabilità da parte del governo in carica in Serbia.

Anna Lodeserto

Il liceo Rosa sciopera e scende in piazza

Partecipata la manifestazione sotto l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte contro il dimensionamento del Liceo Rosa con sedi a Susa e Bussoleno

CGIL e CUB hanno indetto al Rosa uno sciopero con una piattaforma che non lascia dubbi:
– L’esclusione, anche per gli anni futuri al 2025/2026, di ogni ipotesi di dimensionamento riguardanti l’Istituto
– La nomina di un Dirigente scolastico titolare dal 1° settembre 2025
– La tempestiva sostituzione del Dirigente reggente con l’affidamento della reggenza ad altro Dirigente scolastico

Massimiliano Rebuffo, segretario provinciale della CGIL-FLC, ha dichiarato che l’adesione allo sciopero è stata dell’80%.

La Dirigente reggente alla quale si fa riferimento nelle rivendicazioni è la Giaccone, Dirigente dell’Istituto Ferrari di Susa che nel 2022 è stata nominata reggente del Rosa. Nel comunicato stampa la CGIL-FLC spiega chiaramente la motivazione: “si è incrinato il rapporto con la comunità educante”.

Piattaforma pienamente condivisa con il comitato di cittadini “Insieme per il Rosa” i cui esponenti ci hanno ribadito con forza le rivendicazioni espresse in questo loro comunicato, anch’esso estremamente esplicito.

Alla manifestazione hanno partecipato i lavoratori (docenti e non docenti) del Rosa, genitori, studenti, molti esponenti del comitato “Insieme per il Rosa”. Una delegazione ha chiesto di parlare con Stefano Suraniti, dirigente dell’USR, il quale ha risposto – secondo quanto dichiarato al microfono da Rebuffo – rendendosi disponibile a ricevere solo genitori, studenti e lavoratori non sindacalizzati, in sostanza si è rifiutato di ricevere i rappresentanti sindacali.

Il “divide et impera” non ha tuttavia funzionato (a meno che lo scopo non fosse in realtà quello di non confrontarsi): non è salito nessuno, il patto tra lavoratori, studenti, cittadini e sindacati ha tenuto.

I manifestanti hanno scandito alcuni slogan: “Fateci Fateci Fateci salire”, “Non chiude la bocca, il Norby (Norberto Rosa n.d.r.) non si tocca”, “Tout le monde déteste la Giaccone”, e sono stati apposti dei post-it sul portone della sede dell’USR con le richieste scritte dai ragazzi.

Fabrizio Maffioletti