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intelligenza artificiale

Podcast RSI – L’IA ha troppa fame di energia. Come metterla a dieta

Questo articolo è importato dal mio blog precedente Il Disinformatico: l’originale (con i commenti dei lettori) è qui.

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunesGoogle PodcastsSpotify e feed RSS.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.


Una singola domanda a ChatGPT consuma grosso modo la stessa energia elettrica che serve per tenere accesa una lampadina comune per venti minuti e consuma dieci volte più energia di una ricerca in Google. La fame di energia dell’intelligenza artificiale online è sconfinata e preoccupante. Ma ci sono soluzioni che permettono di smorzarla.

Questa è la storia del crescente appetito energetico dei servizi online, dai social network alle intelligenze artificiali, del suo impatto ambientale e di come esiste un modo alternativo per offrire gli stessi servizi con molta meno energia e con molto più rispetto per la nostra privacy. Perché ogni foto, ogni documento, ogni testo che immettiamo in ChatGPT, Gemini, Copilot o altri servizi online di intelligenza artificiale viene archiviato, letto, catalogato, analizzato e schedato dalle grandi aziende del settore.

Benvenuti alla puntata del 30 agosto 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]


Una recente indagine pubblicata da NPR, una rinomata organizzazione indipendente non profit che comprende un migliaio di stazioni radio statunitensi ed è stata fondata dal Congresso degli Stati Uniti, fa il punto della situazione sulla nuova fame di energia dovuta al boom delle intelligenze artificiali.

Quando usiamo un servizio online di intelligenza artificiale, come ChatGPT, Copilot o Gemini, per citare i più diffusi, i complessi calcoli necessari per elaborare e fornirci la risposta non avvengono sul nostro computer, tablet o telefonino, per cui non ci accorgiamo di quanta energia viene consumata per restituirci quella risposta. Il nostro dispositivo non fa altro che prendere la nostra richiesta, inoltrarla via Internet a questi servizi, e ricevere il risultato, facendocelo vedere o ascoltare.

Ma dietro le quinte, le intelligenze artificiali online devono disporre di grandi data center, ossia strutture nelle quali vengono radunati computer appositi, dotati di processori dedicati all’intelligenza artificiale, che hanno dei consumi energetici prodigiosi. Secondo una stima riportata da NPR, una singola richiesta a ChatGPT usa all’incirca la stessa quantità di energia elettrica necessaria per tenere accesa una normale lampadina per una ventina di minuti. Immaginate milioni di persone che interrogano ChatGPT tutto il giorno, e pensate a venti minuti di lampadina accesa per ogni domanda che fanno a questa intelligenza artificiale.

Secondo un’analisi pubblicata dalla banca d’affari Goldman Sachs a maggio 2024, una richiesta fatta a ChatGPT consuma 2,9 wattora di energia elettrica, quasi dieci volte di più di una normale richiesta di ricerca fatta a Google [0,3 wattora] senza interpellare i suoi servizi di intelligenza artificiale. Questa analisi stima che il fabbisogno energetico mondiale dei data center che alimentano la rivoluzione dell’intelligenza artificiale salirà del 160% entro il 2030; serviranno circa 200 terawattora ogni anno solo per i consumi aggiuntivi dovuti all’intelligenza artificiale.

Per fare un paragone, il consumo annuo svizzero complessivo di energia elettrica è stato di 56 terawattora [Admin.ch]. In parole povere: solo per gestire l’intelligenza artificiale servirà un’energia pari a quasi quattro volte quella consumata da tutta la Confederazione.

Questi data center attualmente sono responsabili di circa il 2% di tutti i consumi di energia elettrica, ma entro la fine del decennio probabilmente consumeranno dal 3 al 4%, raddoppiando le loro emissioni di CO2. Goldman Sachs segnala che negli Stati Uniti saranno necessari investimenti per circa 50 miliardi di dollari per aggiungere capacità di produzione di energia per far fronte all’appetito energetico dei data center.

In Europa, sempre secondo l’analisi di Goldman Sachs, la crescente elettrificazione delle attività e l’espansione dei data center potrebbero far crescere il fabbisogno energetico del 40% o più entro il 2033. Entro il 2030, si prevede che la fame di energia di questi data center sarà pari all’intero consumo annuale di Portogallo, Grecia e Paesi Bassi messi insieme. Per stare al passo, la rete elettrica europea avrà bisogno di investimenti per circa 1,6 miliardi di euro nel corso dei prossimi anni.

Queste sono le stime e le previsioni degli esperti, ma ci sono già dei dati molto concreti su cui ragionare. Google e Microsoft hanno pubblicato due confessioni energetiche discrete, poco pubblicizzate, ma molto importanti.


Ai primi di luglio 2024, Google ha messo online il suo nuovo rapporto sulla sostenibilità delle proprie attività. A pagina 31 di questo rapporto si legge un dato molto significativo: l’anno scorso le sue emissioni di gas serra sono aumentate del 48% rispetto al 2019 principalmente a causa degli aumenti dei consumi di energia dei data center e delle emissioni della catena di approvvigionamento”, scrive il rapporto, aggiungendo che “man mano che integriamo ulteriormente l’IA nei nostri prodotti, ridurre le emissioni potrebbe essere impegnativo a causa dei crescenti fabbisogni energetici dovuti alla maggiore intensità dei calcoli legati all’IA” [“In 2023, our total GHG emissions were 14.3 million tCO2e, representing a 13% year-over-year increase and a 48% increase compared to our 2019 target base year. […] As we further integrate AI into our products, reducing emissions may be challenging due to increasing energy demands from the greater intensity of AI compute, and the emissions associated with the expected increases in our technical infrastructure investment.”].

Fin dal 2007, Google aveva dichiarato ogni anno che stava mantenendo una cosiddetta carbon neutralityoperativa, ossia stava compensando le proprie emissioni climalteranti in modo da avere un impatto climatico sostanzialmente nullo. Ma già nella versione 2023 di questo rapporto ha dichiarato invece che non è più così, anche se ambisce a tornare alla neutralità entro il 2030.

Anche Microsoft ammette che l’intelligenza artificiale sta pesando sui suoi sforzi di sostenibilità. Nel suo rapporto apposito, l’azienda scrive che le sue emissioni sono aumentate del 29% rispetto al 2020 a causa della costruzione di nuovi data center, concepiti e ottimizzati specificamente per il carico di lavoro dell’intelligenza artificiale.

E a proposito di costruzione di data center, Bloomberg fa notare che il loro numero è raddoppiato rispetto a nove anni fa: erano 3600 nel 2015, oggi sono oltre 7000, e il loro consumo stimato di energia elettrica equivale a quello di tutta l’Italia.

Distillando questa pioggia di numeri si ottiene un elisir molto amaro: l’attuale passione mondiale per l’uso onnipresente dell’intelligenza artificiale ha un costo energetico e un impatto ambientale poco visibili, ma molto reali, che vanno contro l’esigenza di contenere i consumi per ridurre gli effetti climatici. È facile vedere proteste molto vistose contro i voli in aereo, per esempio, e c’è una tendenza diffusa a rinunciare a volare come scelta di tutela dell’ambiente. Sarebbe ironico se poi chi fa questi gesti passasse la giornata a trastullarsi con ChatGPT perché non si rende conto di quanto consumo energetico ci stia dietro.

Per fare un paragone concreto e facile da ricordare, se quei 2,9 wattora necessari per una singola richiesta a ChatGPT venissero consumati attingendo alla batteria del vostro smartphone, invece che a qualche datacenter dall’altra parte del mondo, il vostro telefonino sarebbe completamente scarico dopo soltanto quattro domande. Se usaste delle normali batterie stilo, ne dovreste buttare via una ogni due domande.


Ognuno di noi può fare la propria parte per contenere questo appetito energetico smisurato, semplicemente scegliendo di non usare servizi basati sull’intelligenza artificiale remota se non è strettamente indispensabile. Ma esiste anche un altro modo per usare l’intelligenza artificiale, che consuma molto, molto meno: si chiama tiny AI, ossia microintelligenza artificiale locale [locally hosted tiny AI].

Si tratta di software di IA che si installano e funzionano su computer molto meno potenti ed energivori di quelli usati dalle grandi aziende informatiche, o addirittura si installano sugli smartphone, e lavorano senza prosciugarne la batteria dopo quattro domande. Hanno nomi come Koala, Alpaca, Llama, H2O-Danube, e sono in grado di generare testi o tradurli, di rispondere a domande su vari temi, di automatizzare la scrittura di un documento, di trascrivere una registrazione o di riconoscere una persona, consumando molta meno energia delle intelligenze artificiali online.

Per esempio, una microintelligenza artificiale può essere installata a bordo di una telecamera di sorveglianza, su un componente elettronico che costa meno di un dollaro e ha un consumo energetico trascurabile: meno dell’energia necessaria per trasmettere la sua immagine a un datacenter remoto tramite la rete telefonica cellulare.

Nella tiny AI, l’elaborazione avviene localmente, sul dispositivo dell’utente, e quindi non ci sono problemi di privacy: i dati restano dove sono e non vengono affidati a nessuno. Bisogna però cambiare modo di pensare e di operare: per tornare all’esempio della telecamera, invece di inviare a qualche datacenter le immagini grezze ricevute dalla telecamera e farle elaborare per poi ricevere il risultato, la tiny AI le elabora sul posto, direttamente a bordo della telecamera, e non le manda a nessuno: se rileva qualcosa di interessante, trasmette al suo proprietario semplicemente l’avviso, non l’intera immagine, con un ulteriore risparmio energetico.

Non si tratta di alternative teoriche: queste microintelligenze sono già in uso, per esempio, negli occhiali smart dotati di riconoscimento vocale e riconoscimento delle immagini. Siccome devono funzionare sempre, anche quando non c’è connessione a Internet, e dispongono di spazi limitatissimi per le batterie, questi oggetti devono per forza di cose ricorrere a un’intelligenza ultracompatta e locale.

Ma allora perché le grandi aziende non usano questa soluzione dappertutto, invece di costruire immensi datacenter? Per due motivi principali. Il primo è tecnico: queste microintelligenze sono brave a fare una sola cosa ciascuna, mentre servizi come Google Gemini o ChatGPT sono in grado di rispondere a richieste di molti tipi differenti e più complesse, che hanno bisogno di attingere a immense quantità di dati. Ma le richieste tipiche fatte dagli utenti a un’intelligenza artificiale sono in gran parte semplici, e potrebbero benissimo essere gestite da una tiny AI. Troppo spesso, insomma, si impugna un martello per schiacciare una zanzara.

Il secondo motivo è poco tecnico e molto commerciale. Se gli utenti si attrezzano con una microintelligenza propria, che oltretutto spesso è gratuita da scaricare e installare, crolla tutto il modello di business attuale, basato sull’idea di convincerci che pagare un abbonamento mensile per avere servizi basati sull’intelligenza artificiale remota sia l’unico modello commerciale possibile.

La scelta, insomma, sta a noi: o diventare semplici cliccatori di app chiavi in mano, che consumano quantità esagerate di energia e creano una dipendenza molto redditizia per le aziende, oppure rimboccarsi un pochino le maniche informatiche e scoprire come attrezzarsi con un’intelligenza artificiale locale, personale, che fa quello che vogliamo noi e non va a raccontare a nessuno i nostri fatti personali. E come bonus non trascurabile, riduce anche il nostro impatto globale su questo fragile pianeta.

Fonti aggiuntive

Ultra-Efficient On-Device Object Detection on AI-Integrated Smart Glasses with TinyissimoYOLO, Arxiv.org, 2023

Tiny VLMs bring AI text plus image vision to the edge, TeachHQ.com, 2024

Tiny AI is the Future of AI, AIBusiness, 2024

The Surprising Rise of “Tiny AI”, Medium, 2024

I test AI chatbots for a living and these are the best ChatGPT alternatives, Tom’s Guide, 2024

Ci vediamo a Rovereto domattina per parlare di IA?

Domani (25 ottobre) alle 8.30 sarò al Teatro Zandonai, a Rovereto, nell’ambito del Festival Informatici Senza Frontiere, per un incontro pubblico sul tema Intelligenza artificiale: falsi timori, rischi e benefici reali. Tutti gli eventi del Festival sono in presenza e gratuiti; per assicurarvi un posto, iscrivetevi agli appuntamenti sul sito del Festival.

A domani!

2024/10/25. Non segnalo più le Avventurette in auto elettrica semplicemente perché ormai la Dama e io siamo talmente abituati che non pianifichiamo neanche più i viaggi: non sono più avventurette! Siamo partiti da casa con il 100% di carica, fatta comodamente a casa con l’energia solare del tetto fotovoltaico, abbiamo percorso 292 km senza dover fare tappe di ricarica, e siamo arrivati all’albergo a Rovereto con un buon 10% di carica residua, dopo aver consumato 50,8 kWh. All’albergo c’è la colonnina (l’abbiamo scelto apposta) e così abbiamo messo sotto carica l’auto (una Tesla Model S 70 di seconda mano) per ripartire oggi pomeriggio e tornare direttamente al Maniero Digitale. Zero problemi.

Computer grafica nel 1968. Con la demo che ispirò HAL per “2001: Odissea nello spazio”

Link al video su YouTube

Sembrano immagini da un universo parallelo, ma le immagini mostrate in questo filmato del 1968 (YouTube) sono la realtà di quello che già si faceva nei laboratori della Bell alla fine degli anni Sessanta: grafica digitale, composizione di musica al computer, progettazione virtuale di circuiti elettronici usando uno stilo (o penna ottica come si chiamava all’epoca), simulazioni 3D di orbite spaziali, sintesi vocale, concezione di film generati al computer, e altro ancora. I macchinari di allora erano enormi, lentissimi e costosissimi: oggi abbiamo a disposizione le stesse risorse sui nostri telefonini.

A 10:00 una chicca per gli appassionati di fantascienza: la scena che quasi sicuramente ispirò Stanley Kubrick per la famosa sequenza di 2001: Odissea nello spazio nella quale il computer intelligente HAL (spoiler!) subisce una lobotomia e gli viene chiesto di cantare una canzoncina per segnalare il progressivo degrado delle sue capacità intellettive. La canzoncina, in questo documentario e nel film, è Daisy Bell; nell’edizione italiana venne sostituita con la filastrocca Giro Girotondo. Si perse così il riferimento a queste sperimentazioni della Bell e anche una battuta sottile nel testo della canzoncina, quando HAL dice “I’m half crazy” (sono mezzo matto).

Il documentario si intitola The Incredible Machine ed è datato 1968. I sottotitoli automatici di YouTube sono pieni di errori; non fidatevi di quello che scrivono.

Qui trovate il programma in Perl per far cantare Daisy Bell alla sintesi vocale del Mac.

Secondo la didascalia del video su YouTube, si tratta del sistema informatico Graphic 1 dei Bell Labs, composto da un PDP-5 della Digital Equipment Corporation accoppiato a periferiche come una penna ottica Type 370, una tastiera da telescrivente Teletype Model 33 della Teletype Corporation, e un display incrementale di precisione DEC Type 340 coadiuvato da una memoria buffer RVQ della Ampex capace di immagazzinare 4096 parole (words). La risoluzione sul monitor era 1024×1024 (una foto su Instagram di oggi, per capirci). Ripeto, siamo nel 1968 e questi avevano già monitor con queste caratteristiche. L’output grafico veniva passato a un sistema IBM 7094 da 200 kflop/secondo, collegato a un registratore su microfilm SC 4020 della Stromberg Carlson che, sempre stando alla didascalia, “ci metteva ore a leggere e registrare i dati”. Ma le avvisaglie di tutto quello che conosciamo oggi c’erano già.

Fonte aggiuntiva: Hackaday.

Il 22 novembre a Edilespo (Lugano) parleremo di IA e robotica nell’edilizia

Venerdì 22 novembre alle 17.30, presso il Centro Esposizioni Lugano, sarò moderatore di una tavola rotonda intitolata Le nuove tecnologie digitali applicate alla progettazione/costruzione: la nuova era dell’intelligenza artificiale e la robotica nell’edilizia, nell’ambito del Salone dell’Edilizia Edilespo.

Per un’ora e un quarto avrò il piacere di moderare esperti d’eccezione e di parlare anche di Robodog, un cane-robot guida per ciechi. Questi sono i partecipanti alla tavola rotonda:

  • Professor Andrea Emilio Rizzoli, direttore dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale USI-SUPSI
  • Architetto Loris Dellea, direttore della CAT (Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino)
  • Davide Plozza, ricercatore del politecnico di Zurigo e sviluppatore di Robodog
  • Alessandro Marrarosa, rappresentante di Digitalswitzerland
  • Christian Righinetti, esperto UAS (Unmanned Aircraft Systems) di DroneAir

A seguire ci sarà un aperitivo offerto da Securiton SA – Taverne e CAT (Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino).

Podcast RSI – Microsoft accusata di leggere i documenti degli utenti di Word per addestrare la sua IA: i fatti fin qui

Questo è il testo della puntata del 25 novembre 2024 del podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto. Il testo include anche i link alle fonti di questa puntata.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, YouTube Music, Spotify e feed RSS.


[CLIP: brano della versione italiana della sigla iniziale della serie TV Il Prigioniero]

Sta circolando un’accusa pesante che riguarda il popolarissimo software Word di Microsoft: userebbe i testi scritti dagli utenti per addestrare l’intelligenza artificiale dell’azienda. Se l’accusa fosse confermata, le implicazioni in termini di privacy, confidenzialità e diritto d’autore sarebbero estremamente serie.

Questa è la storia di quest’accusa, dei dati che fin qui la avvalorano, e di come eventualmente rimediare. Benvenuti alla puntata del 25 novembre 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]


Le intelligenze artificiali hanno bisogno di dati sui quali addestrarsi. Tanti, tanti dati: più ne hanno, più diventano capaci di fornire risposte utili. Un’intelligenza artificiale che elabora testi, per esempio, deve acquisire non miliardi, ma migliaia di miliardi di parole per funzionare decentemente.

Procurarsi così tanto testo non è facile, e quindi le aziende che sviluppano intelligenze artificiali pescano dove possono: non solo libri digitalizzati ma anche pagine Web, articoli di Wikipedia, post sui social network. E ancora non basta. Secondo le indagini del New York Times [link diretto con paywall; copia su Archive.is], OpenAI, l’azienda che sviluppa ChatGPT, aveva già esaurito nel 2021 ogni fonte di testo in inglese pubblicamente disponibile su Internet.

Per sfamare l’appetito incontenibile della sua intelligenza artificiale, OpenAI ha creato uno strumento di riconoscimento vocale, chiamato Whisper, che trascriveva il parlato dei video di YouTube e quindi produceva nuovi testi sui quali continuare ad addestrare ChatGPT. Whisper ha trascritto oltre un milione di ore di video di YouTube, e dall’addestramento basato su quei testi è nato ChatGPT 4.

Questa stessa trascrizione di massa l’ha fatta anche Google, che inoltre ha cambiato le proprie condizioni di servizio per poter acquisire anche i contenuti dei documenti pubblici scritti su Google Docs, le recensioni dei ristoranti di Google Maps, e altro ancora [New York Times].

Da parte sua, Meta ha avvisato noi utenti che da giugno di quest’anno usa tutto quello che scriviamo pubblicamente su Facebook e Instagram per l’addestramento delle sue intelligenze artificiali, a meno che ciascuno di noi non presenti formale opposizione, come ho raccontato nella puntata del 7 giugno 2024.

Insomma, la fame di dati delle intelligenze artificiali non si placa, e le grandi aziende del settore sono disposte a compromessi legalmente discutibili pur di poter mettere le mani sui dati che servono. Per esempio, la legalità di usare massicciamente i contenuti creati dagli YouTuber senza alcun compenso o riconoscimento è perlomeno controversa. Microsoft e OpenAI sono state portate in tribunale negli Stati Uniti con l’accusa di aver addestrato il loro strumento di intelligenza artificiale Copilot usando milioni di righe di codice di programmazione pubblicate sulla piattaforma GitHub senza il consenso dei creatori di quelle righe di codice e violando la licenza open source adottata da quei creatori [Vice.com].

In parole povere, il boom dell’intelligenza artificiale che stiamo vivendo, e i profitti stratosferici di alcune aziende del settore, si basano in gran parte su un saccheggio senza precedenti della fatica di qualcun altro. E quel qualcun altro, spesso, siamo noi.

In questo scenario è arrivata un’accusa molto specifica che, se confermata, rischia di toccarci molto da vicino. L’accusa è che se scriviamo un testo usando Word di Microsoft, quel testo può essere letto e usato per addestrare le intelligenze artificiali dell’azienda.

Questo vorrebbe dire che qualunque lettera confidenziale, referto medico, articolo di giornale, documentazione aziendale riservata, pubblicazione scientifica sotto embargo sarebbe a rischio di essere ingerita nel ventre senza fondo delle IA, dal quale si è già visto che può essere poi rigurgitata, per errore o per dolo, rendendo pubblici i nostri dati riservati, tant’è vero che il già citato New York Times è in causa con OpenAI e con Microsoft perché nei testi generati da ChatGPT e da Copilot compaiono interi blocchi di testi di articoli della testata, ricopiati pari pari [Harvard Law Review].

Vediamo su cosa si basa quest’accusa.


Il 13 novembre scorso il sito Ilona-andrews.com, gestito da una coppia di scrittori, ha segnalato un problema con la funzione Esperienze connesse di Microsoft Word [Connected Experiences nella versione inglese]. Se non avete mai sentito parlare di questa funzione, siete in ottima e ampia compagnia: è sepolta in una parte poco frequentata della fitta foresta di menu e sottomenu di Word. Nell’articolo che accompagna questo podcast sul sito Attivissimo.me trovate il percorso dettagliato da seguire per trovarla, per Windows e per Mac.

  • Word per Windows (applicazione): File – Opzioni – Centro protezione – Impostazioni Centro protezione – Opzioni della privacy – Impostazioni di privacy – Dati di diagnostica facoltativi [in inglese: File – Options – Trust Center – Trust Center Settings – Privacy Options – Privacy Settings – Optional Connected Experiences]
  • Word per Mac (applicazione): Word – Preferenze – Privacy – Gestisci le esperienze connesse [in inglese: Word – Preferences – Privacy – Manage Connected Experiences]
  • Word su Web: File – Informazioni – Impostazioni privacy
Screenshot da Word per Mac italiano.
Screenshot da Word su web in italiano.

Secondo questa segnalazione di Ilona-andrews.com, ripresa e approfondita anche da Casey Lawrence su Medium.com, Microsoft avrebbe attivato senza troppo clamore in Office questa funzione, che leggerebbe i documenti degli utenti allo scopo di addestrare le sue intelligenze artificiali. Questa funzione è di tipo opt-out, ossia viene attivata automaticamente a meno che l’utente richieda esplicitamente la sua disattivazione.

L’informativa sulla privacy di Microsoft collegata a questa funzione dice testualmente che i dati personali raccolti da Microsoft vengono utilizzati, fra le altre cose, anche per “Pubblicizzare e comunicare offerte all’utente, tra cui inviare comunicazioni promozionali, materiale pubblicitario mirato e presentazioni di offerte pertinenti.” Traduzione: ti bombarderemo di pubblicità sulla base delle cose che scrivi usando Word. E già questo, che è un dato di fatto dichiarato da Microsoft, non è particolarmente gradevole.

Screenshot tratto dall’informativa sulla privacy di Microsoft.

Ma c’è anche un altro passaggio dell’informativa sulla privacy di Microsoft che è molto significativo: “Nell’ambito del nostro impegno per migliorare e sviluppare i nostri prodotti” diceMicrosoft può usare i dati dell’utente per sviluppare ed eseguire il training dei modelli di intelligenza artificiale”.

Sembra abbastanza inequivocabile, ma bisogna capire cosa intende Microsoft con l’espressione “dati dell’utente. Se include i documenti scritti con Word, allora l’accusa è concreta; se invece non li include, ma comprende per esempio le conversazioni fatte con Copilot, allora il problema c’è lo stesso ed è serio ma non così catastroficamente grave come può parere a prima vista.

Secondo un’altra pagina informativa di Microsoft, l’azienda dichiara esplicitamente di usare le “conversazioni testuali e a voce fatte con Copilot”*, con alcune eccezioni: sono esclusi per esempio gli utenti autenticati che hanno meno di 18 anni, i clienti commerciali di Microsoft, e gli utenti europei (Svizzera e Regno Unito compresi).**

* “Except for certain categories of users (see below) or users who have opted out, Microsoft uses data from Bing, MSN, Copilot, and interactions with ads on Microsoft for AI training. This includes anonymous search and news data, interactions with ads, and your voice and text conversations with Copilot [...]”
** “Users in certain countries including: Austria, Belgium, Brazil, Bulgaria, Canada, China, Croatia, Cyprus, the Czech Republic, Denmark, Estonia, Finland, France, Germany, Greece, Hungary, Iceland, Ireland, Israel, Italy, Latvia, Liechtenstein, Lithuania, Luxembourg, Malta, the Netherlands, Norway, Nigeria, Poland, Portugal, Romania, Slovakia, Slovenia, South Korea, Spain, Sweden, Switzerland, the United Kingdom, and Vietnam. This includes the regions of Guadeloupe, French Guiana, Martinique, Mayotte, Reunion Island, Saint-Martin, Azores, Madeira, and the Canary Islands.”

Nella stessa pagina, Microsoft dichiara inoltre che non addestra i propri modelli di intelligenza artificiale sui dati personali presenti nei profili degli account Microsoft o sul contenuto delle mail, e aggiunge che se le conversazioni fatte con l’intelligenza artificiale dell’azienda includono delle immagini, Microsoft rimuove i metadati e gli altri dati personali e sfuoca i volti delle persone raffigurate in quelle immagini. Inoltre rimuove anche i dati che potrebbero rendere identificabile l’utente, come nomi, numeri di telefono, identificativi di dispositivi o account, indirizzi postali e indirizzi di mail, prima di addestrare le proprie intelligenze artificiali.

Secondo le indagini di Medium.com, inoltre, le Esperienze connesse sono attivate per impostazione predefinitaper gli utenti privati, mentre sono automaticamente disattivate per gli utenti delle aziende che usano la crittografia DKE per proteggere file e mail.


In sintesi, la tesi che Microsoft si legga i documenti Word scritti da noi non è confermata per ora da prove concrete, ma di certo l’azienda ammette di usare le interazioni con la sua intelligenza artificiale a scopo pubblicitario, e già questo è piuttosto irritante. Scoprire come si fa per disattivare questo comportamento e a chi si applica è sicuramente un bonus piacevole e un risultato utile di questo allarme.

Ma visto che gli errori possono capitare, visto che i dati teoricamente anonimizzati si possono a volte deanonimizzare, e visto che le aziende spesso cambiano le proprie condizioni d’uso molto discretamente, è comunque opportuno valutare se queste Esperienze connesse vi servono davvero ed è prudente disattivarle se non avete motivo di usarle, naturalmente dopo aver sentito gli addetti ai servizi informatici se lavorate in un’organizzazione. Le istruzioni dettagliate, anche in questo caso, sono su Attivissimo.me.

E se proprio non vi fidate delle dichiarazioni delle aziende e volete stare lontani da questa febbre universale che spinge a infilare dappertutto l’intelligenza artificiale e la raccolta di dati personali, ci sono sempre prodotti alternativi a Word ed Excel, come LibreOffice, che non raccolgono assolutamente nulla e non vogliono avere niente a che fare con l’intelligenza artificiale.

Il problema di fondo, però, rimane: le grandi aziende hanno una disperata fame di dati per le loro intelligenze artificiali, e quindi continueranno a fare di tutto per acquisirli. Ad aprile 2023 Meta, che possiede Facebook, Instagram e WhatsApp, ha addirittura valutato seriamente l’idea di comperare in blocco la grande casa editrice statunitense Simon & Schuster pur di poter accedere ai contenuti testuali di alta qualità costituiti dal suo immenso catalogo di libri sui quali ha i diritti [New York Times].

OpenAI, invece, sta valutando un’altra soluzione: addestrare le intelligenze artificiali usando contenuti generati da altre intelligenze artificiali. In altre parole, su dati sintetici. Poi non sorprendiamoci se queste tecnologie restituiscono spesso dei risultati che non c’entrano nulla con la realtà. Utente avvisato, mezzo salvato.

Fonti aggiuntive

ChatGPT collected our data without permission and is going to make billions off it, Scroll.in (2023)
Panoramica delle esperienze connesse facoltative in Office (versione 30/10/2024)

Intelligenza artificiale usata bene: bot etichetta le immagini Mastodon con testo ALT per ipo e non vedenti

L’attuale IA fallisce in molti compiti, ma nel riconoscimento delle immagini se la cava egregiamente. Perché non usarla per rendere Internet più accessibile a tutti, per esempio facendole scrivere automaticamente le descrizioni delle immagini sui social network?

Su Mastodon c’è @altbot@fuzzies.wtf, un bot che fa esattamente questo. È sufficiente seguirlo: fatto questo, se pubblicate un post con un’immagine per la quale non avete già scritto voi un testo alternativo per ipo e non vedenti, il bot passa l’immagine all’IA Gemini, che restituisce in una manciata di secondi una descrizione dell’immagine, che potete includere nel post editandolo.

Per esempio, stamattina ho postato il consueto Gatto Del Giorno anche su Mastodon, come al solito:

Non ho scritto intenzionalmente un testo ALT, e Altbot ha risposto così in una manciata di secondi:

@ildisinformatico Ecco una descrizione alternativa del testo per una persona che non può vedere l’immagine:

Primo piano di un gatto sdraiato sulla schiena, con il viso rivolto verso l’alto. Il gatto ha un manto grigio e marrone chiaro con chiazze più scure, e occhi azzurri intensi. I suoi baffi sono ben visibili. Parte del corpo del gatto è visibile, mostrando la sua pelliccia morbida e chiara.

Fornito da @altbot, generato utilizzando Gemini.

Niente male.

Disponibile la versione 25.2 di LibreOffice, la suite per ufficio senza intelligenza artificiale ficcanaso

È stupendamente ironico che oggi non avere integrata l’intelligenza artificiale in un prodotto sia diventato un bonus. Non stupisce che sia così, dopo tutti i disastri, le violazioni della riservatezza e le figuracce prodotte da chi si affida incautamente all’IA o se la trova imposta dagli aggiornamenti dei prodotti che usa.

Non solo: visto che tutte le principali aziende statunitensi del software hanno deciso di prostituirsi con l’amministrazione Trump e i suoi deliri imperialisti, sganciarsi il più possibile dalla dipendenza dal software prodotto da queste aziende è oggi una considerazione strategica di sopravvivenza e sovranità per privati, società e governi; non più un astratto principio culturale.

Riporto quindi con particolare piacere qui sotto l’annuncio da parte della Document Foundation della nuova versione della suite per ufficio LibreOffice, che genera documenti in formato standard ISO (leggibili quindi senza dover per forza usare lo specifico software di una specifica azienda), è gratuito (sostenuto dalle donazioni), è libero, è open source, non ha complicazioni di licenze che scadono ed è multipiattaforma. Uso da molti anni LibreOffice per quasi tutto quello che scrivo, compresi i libri.

L’annuncio riassume le novità introdotte da questa versione e fornisce i link per scaricarla e per leggere le note dettagliate di rilascio.


LibreOffice 25.2, la suite per ufficio per le esigenze degli utenti di oggi

La nuova major release offre un gran numero di miglioramenti all’interfaccia utente e all’accessibilità, oltre alle consuete funzionalità di interoperabilità

Berlino, 6 febbraio 2025 – LibreOffice 25.2, la nuova major release della suite per ufficio gratuita e supportata dalla community di volontari per Windows (Intel, AMD e ARM), macOS (Apple Silicon e Intel) e Linux è disponibile su https://www.libreoffice.org/download. LibreOffice è la migliore suite per ufficio per gli utenti che vogliono mantenere il controllo sul proprio software e sui propri documenti, proteggendo la propria privacy e la propria vita digitale dalle interferenze commerciali e dalle strategie di lock-in delle Big Tech.

LibreOffice è l’unica suite per ufficio progettata per soddisfare le esigenze reali degli utenti, e non solo la loro percezione visiva. Offre una serie di opzioni di interfaccia per adattarsi alle diverse abitudini degli utenti, da quelle tradizionali a quelle moderne, e sfrutta al meglio le diverse dimensioni degli schermi, ottimizzando lo spazio disponibile per mettere il massimo numero di funzioni a uno o due clic di distanza. È anche l’unico software per la creazione di documenti (che possono contenere informazioni personali o riservate) che rispetta la privacy dell’utente, garantendogli la possibilità di decidere se e con chi condividere i contenuti creati, grazie al formato standard e aperto che non viene utilizzato come strumento di lock-in, obbligando ad aggiornamenti periodici del software. Il tutto con un set di funzionalità paragonabile a quello dei principali software presenti sul mercato e di gran lunga superiore a quello di qualsiasi concorrente.

Ciò che rende LibreOffice unico è la piattaforma tecnologica LibreOffice, l’unica sul mercato che consente lo sviluppo coerente di versioni desktop, mobile e cloud – comprese quelle fornite dalle aziende dell’ecosistema – in grado di produrre documenti identici e completamente interoperabili basati sui due standard ISO disponibili: l’aperto ODF o Open Document Format (ODT, ODS e ODP) e il proprietario Microsoft OOXML (DOCX, XLSX e PPTX). Quest’ultimo nasconde agli utenti un gran numero di complessità artificiali (e inutili) che creano problemi a chi è convinto di utilizzare un formato standard.

Gli utenti finali possono ottenere un supporto tecnico di primo livello dai volontari attraverso sia la mailing list degli utenti sia il sito web Ask LibreOffice: https://ask.libreoffice.org.

Nuove caratteristiche di LibreOffice 25.2

PRIVACY
    • LibreOffice è in grado di rimuovere tutte le informazioni personali associate a qualsiasi documento (nome dell’autore e timestamp, ora di modifica, nome e configurazione della stampante, modello di documento, autore e data per i commenti e le modifiche tracciate).

CORE/GENERALE
    • LibreOffice 25.2 può leggere e scrivere file ODF versione 1.4.
    • Molti miglioramenti nell’interoperabilità con i documenti OOXML proprietari.
    • È ora possibile firmare automaticamente i documenti dopo aver definito un certificato predefinito.
    • Windows 7 e 8/8.1 sono piattaforme deprecate, e il loro supporto verrà definitivamente rimosso con la versione 25.8.
    • Le estensioni e le funzioni che si basano su Python non funzionano su Windows 7.

WRITER
    • Miglioramento della gestione del tracciamento delle modifiche, per gestire un gran numero di modifiche nei documenti più lunghi.
    • I commenti vengono ora tracciati nel Navigatore quando si sposta il focus su di loro, mentre il ridimensionamento dell’area contenente i commenti ora mostra una guida visuale.
    • Sono state aggiunte opzioni per impostare un livello di zoom predefinito per l’apertura dei documenti, sovrascrivendo il livello memorizzato nei documenti stessi.
    • È ora possibile eliminare tutti i contenuti dello stesso tipo (con l’esclusione delle intestazioni) tramite il Navigatore.

CALC
    • Aggiunta di una finestra di dialogo “Gestione dei record duplicati” per selezionare/eliminare i record duplicati.
    • Sia la finestra di dialogo della procedura guidata per le funzioni che l’area nella barra laterale delle funzioni sono stati migliorati per quanto riguarda la ricerca e l’esperienza dell’utente.
    • I modelli di Solver possono essere salvati nei fogli di calcolo, e Solver è in grado di fornire una relazione sull’analisi di sensibilità.
    • Aggiunta di nuove opzioni di protezione del foglio relative alle tabelle Pivot, ai grafici Pivot e ai filtri automatici.

IMPRESS E DRAW
    • Molti miglioramenti a tutti i modelli di Impress, che ora hanno elementi visibili (colore del carattere impostato su nero) nelle Note e negli Handout.
    • Gli oggetti possono essere centrati sulla diapositiva di Impress (o sulla pagina di Draw) in un unico passaggio.
    • La ripetizione automatica delle diapositive può ora essere attivata in modalità a finestre.
    • Il testo in eccesso nelle note del presentatore non viene più tagliato durante la stampa.

INTERFACCIA UTENTE
    • L’elenco dei file utilizzati di recente ha ora una casella di controllo “[x] Solo il modulo corrente” che consente di filtrare l’elenco.
    • I margini degli oggetti sono ora attivati indipendentemente dai Segni di Formattazione.
    • Il colore dei caratteri non stampati e il colore di sfondo dei commenti possono essere personalizzati.
    • Sono stati aggiornati gli elementi predefiniti per gli elenchi non ordinati (noti anche come “bullet”).
    • Miglioramenti significativi ai temi delle applicazioni.

ACCESSIBILITÀ
    • Miglioramento dei livelli di avviso e di errore nella barra laterale dell’accessibilità, con la possibilità di ignorare gli avvisi.
    • Gli elementi dell’interfaccia utente riportano un identificatore accessibile che può essere utilizzato dalle tecnologie assistive.
    • Windows: l’accessibilità viene attivata ogni volta che uno strumento richiede informazioni sul livello di accessibilità e le relazioni accessibili vengono segnalate correttamente.
    • Linux: le posizioni degli elementi dell’interfaccia utente (anche su Wayland) sono riportate correttamente a livello di accessibilità.

LIBRERIE DI SCRIPTFORGE
    • Una raccolta estensibile e robusta di risorse di macro scripting da invocare da script Basic o Python dell’utente.
    • L’intera serie di servizi (tranne quando la funzione incorporata nativa è migliore) è resa disponibile per gli script Python con sintassi e comportamento identici a quelli del Basic.
    • La documentazione in inglese delle librerie ScriptForge è ora parzialmente integrata nelle pagine di aiuto di LibreOffice.

Contributi a LibreOffice 25.2

Un totale di 176 sviluppatori ha contribuito alle nuove funzionalità di LibreOffice 25.2: il 47% dei commit di codice proviene da 50 sviluppatori impiegati da aziende dell’ecosistema – Collabora e allotropia – e da altre organizzazioni, il 31% dai sette sviluppatori di The Document Foundation e il restante 22% dai 119 singoli sviluppatori volontari.

Altri 189 volontari hanno impegnato 771.263 stringhe localizzate in 160 lingue, che rappresentano centinaia di persone che lavorano alle traduzioni. LibreOffice 25.2 è disponibile in 120 lingue, più di ogni altro software desktop, per cui può essere utilizzato da oltre 5,5 miliardi di persone nella lingua madre. Inoltre, oltre 2,4 miliardi di persone parlano una delle 120 lingue come seconda lingua.

LibreOffice per le aziende

Per le implementazioni di livello aziendale, TDF raccomanda vivamente la famiglia di applicazioni LibreOffice Enterprise dei partner dell’ecosistema – per desktop, mobile e cloud – con un’ampia gamma di funzionalità a valore aggiunto dedicate e altri vantaggi come gli SLA: https://www.libreoffice.org/download/libreoffice-in-business/.

Ogni riga di codice sviluppata dalle aziende dell’ecosistema per i clienti aziendali viene condivisa con la comunità nel repository del codice master e migliora la piattaforma LibreOffice Technology. I prodotti basati sulla tecnologia LibreOffice sono disponibili per tutti i principali sistemi operativi desktop (Windows, macOS, Linux e ChromeOS), per le piattaforme mobili (Android e iOS) e per il cloud.

Migrazioni a LibreOffice

La Document Foundation pubblica un protocollo di migrazione per aiutare le aziende a passare dalle suite per ufficio proprietarie a LibreOffice, basato sulla distribuzione di una versione LTS (supporto a lungo termine) ottimizzata per le aziende di LibreOffice, oltre alla consulenza e alla formazione per la migrazione fornite da professionisti certificati che offrono soluzioni a valore aggiunto coerenti con le offerte proprietarie. Riferimento: https://www.libreoffice.org/get-help/professional-support/.

Infatti, la maturità del codice sorgente di LibreOffice, il ricco set di funzionalità, il forte supporto agli standard aperti, l’eccellente compatibilità e le opzioni LTS di partner certificati ne fanno la soluzione ideale per le organizzazioni che vogliono riprendere il controllo dei propri dati e liberarsi dal vendor lock-in.

Disponibilità di LibreOffice 25.2

LibreOffice 25.2 è disponibile all’indirizzo https://www.libreoffice.org/download/. I requisiti minimi per i sistemi operativi proprietari sono Microsoft Windows 7 SP1 e Apple MacOS 10.15. I prodotti basati sulla tecnologia LibreOffice per Android e iOS sono elencati qui: https://www.libreoffice.org/download/android-and-ios/.

Per gli utenti che non hanno bisogno delle ultime funzionalità e preferiscono una versione che è stata sottoposta a un maggior numero di test e di correzioni di bug, The Document Foundation mantiene ancora la famiglia LibreOffice 24.8, che include diversi mesi di correzioni di backporting. La versione attuale è LibreOffice 24.8.4.

Gli utenti di LibreOffice, i sostenitori del software libero e i membri della comunità possono sostenere The Document Foundation con una donazione su https://www.libreoffice.org/donate.

[1] Note di rilascio: https://wiki.documentfoundation.org/ReleaseNotes/25.2 


La mia novità preferita è la possibilità di imporre un livello di zoom ignorando quello salvato nel documento: visto che ricevo e maneggio moltissimi documenti generati da terzi, che ovviamente usano un vasto assortimento di livelli di zoom del tutto inadatti al modo in cui lavoro io (monitor 4K da 120 cm di diagonale), passo parecchio tempo a ridimensionare e reinquadrare documenti. Ora li posso vedere subito con il livello di zoom perfetto (Fit Width). Quest’opzione è nelle impostazioni di LibreOffice sotto LibreOffice Writer – View – Zoom – Use preferred values.

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