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Internazionale

Francia: rivolta contro la deriva fascista e razzista. Una risposta è possibile!

A Parigi e in centinaia di altre città in tutta la Francia, decine di migliaia di persone hanno risposto all’appello della “Marcia della Solidarietà” contro “il razzismo e il fascismo”_

“Una risposta al fascismo è possibile!” “In mezzo alla folla si è formato un piccolo cerchio per ascoltare i portavoce della Marcia della Solidarietà e i collettivi di migranti senza documenti, minori non-accompagnati, studenti stranieri e migranti in lotta, che erano dietro l’appello a manifestare sabato 22 marzo. 

“Oggi non abbiamo ancora trovato una cura per il razzismo”, afferma un rappresentante intercollettivo per la difesa dei lavoratori senza documenti, che indossa un distintivo a sostegno dei lavoratori senza documenti alle poste. 

“Questa mobilitazione deve essere una leva per combattere. Un potere debole attacca sempre le persone che si trovano in situazioni precarie, per renderle ancora più precarie”. 

Malgrado la pioggia e soprattutto i sabotaggi da parte di falsa sinistra e sionisti vari, la manifestazione parigina è iniziata sotto alcuni raggi di sole, che hanno incoraggiato i partecipanti. Decine di migliaia di persone si sono radunate in Place de la République per esprimere la propria preoccupazione per la deriva verso l’estrema destra delle politiche pubbliche e amministrative. 

“La situazione peggiora sempre di più”, si lamenta Fatiha, attivista dell’Associazione per la solidarietà con tutti gli immigrati (Asti) a Colombes. Marocchina di 60 anni, lei vive in Francia da quarant’anni e ha tre figli francesi. Sebbene affermi di considerarsi più fortunata delle persone che sostiene, perché “per ora ha i documenti”, aggiunge: “Cosa succederà quando la mia carta scadrà? E se non lo rinnovassero?» Ad Asti nota i “cavilli” e ostacoli dell’amministrazione francese. L’ultimo esempio riguarda i test di lingua francese che diventeranno obbligatori da luglio 2025 per ottenere il permesso di soggiorno, in conformità con la legge Darmanin. “È catastrofico, ho una collega che ha pianto per questo”, racconta. Le persone fanno già ogni sforzo per cercare di leggere le lettere che inviamo loro, per capire cosa chiediamo loro, e poi chiedi loro di avere un alto livello di francese! Come possono farcela? Stanno solo cercando scuse, tutto qui.” 

A poche decine di metri di distanza, Hakim scruta con aria risoluta l’orizzonte. “Siamo abituati a essere qui”, sottolinea l’uomo impegnato da due anni nell’associazione Droits devant, presente con le sue numerose bandiere gialle all’inizio del corteo. Quarantenne di origine algerina lui è in Francia da dieci anni e ammette di essersi rivolto a diversi avvocati per ottenere la nazionalità, senza successo. Quindi continua a lavorare nell’edilizia durante la settimana e a fare campagna elettorale nei fine settimana. “I media ci accomunano tutti quanti. Certo, c’è chi fa cose stupide, ma ci sono anche delle confusioni.” 

Anne non prende queste precauzioni. “Camminiamo a testa alta!” “Oggi i fascisti sono i buoni, l’estrema destra salverà gli ebrei … Stiamo vivendo un vero e proprio crollo”, si lamenta, insistendo sulla necessità di scendere in piazza per dimostrare che “non sono solo i pazzi a gridare forte”, riferendosi al clamore mediatico dei canali del gruppo Bolloré. È venuta con la figlia Sarah, il cui padre è algerino. A 18 anni, questa è la sua seconda manifestazione. “La prima è stata quando ci hanno rubato le elezioni quest’estate”, insiste sua madre, riferendosi alla vittoria dell’NFP al secondo turno delle elezioni legislative nel luglio 2024. “Da allora, cosa abbiamo avuto? Retailleau (il ministro egli interni fascista-razzista-sessista) e Bayrou (il democristiano ipocrita e di destra che copre i pedofili).” Evelyne, attivista di Attac, è un po’ cupa nonostante la grande affluenza di questo sabato. Il cartello che tiene in mano è un disegno di Vincent Bolloré (il nuovo boss dei media che sostiene la destra fascista) con i nomi dei numerosi organi di informazione di sua proprietà sotto lo slogan “Sta peggiorando!” ” – riassume bene il sentimento di spostamento ideologico verso l’estrema destra che lei avverte. “Ero attivo nel maggio del 1968, i miei genitori erano entrambi combattenti della resistenza e ho la sensazione che tutti gli ideali in cui credevamo siano sotto attacco. “Sta accadendo molto rapidamente”, afferma l’attivista settantenne, che cita in particolare l’inasprimento delle politiche migratorie da parte di Bruno Retailleau. 

L’accusa di non parlare contro l’antisemitismo

Per coronare il tutto, un membro della sua famiglia gli scrisse per farlo arrabbiare dicendo che la lotta contro l’antisemitismo non rientrava tra gli slogan esplicitamente esposti durante la manifestazione: “contro il razzismo e il fascismo”. “Quando combattiamo contro il fascismo, stiamo ovviamente combattendo contro l’antisemitismo! Ma molte persone non lo capiscono. “Quando critichi Netanyahu, vieni subito etichettato come antisemita”, si rammarica. Sta ovviamente pensando al manifesto che ritrae il presentatore Cyril Hanouna sotto forma di caricature antisemite degli anni ’30, diffuso da La France Insoumise (LFI), ma la speculazione strumentale non è servita a nulla. Rimosso rapidamente dai social network di LFI, ha permesso all’estrema destra di fare campagna nel tentativo di screditare l’intera manifestazione dell’intera giornata. “A sinistra, sta causando danni. Su un argomento così delicato, dobbiamo essere prudenti. “Temo che sarà difficile risolvere il problema, a meno che non smettano di gettare benzina sul fuoco”, afferma Evelyne. 

Il corteo comprendeva gruppi che combattevano l’antisemitismo: Golem e Tsedek. Diversi cartelli indicavano inoltre la volontà dei manifestanti di ricordare l’importanza di questo impegno, mentre il numero di atti antisemiti registrati in Francia è quadruplicato tra il 2022 e il 2024, ovvero 1.570 atti rispetto ai 436 di due anni fa. Ma martedì 18 marzo Israele riprendeva i massacri nella Striscia di Gaza, ed erano onnipresenti le denunce dei crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano agli ordini del governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu. Durante la manifestazione sono state sventolate bandiere palestinesi e sono stati lanciati appelli alla pace. Particolarmente partecipato è stato il corteo dei gruppi di solidarietà con la Palestina. Una filiale della BNP Paribas, il principale finanziere europeo di Israele, oggetto di una campagna di boicottaggio, è stata attaccata nei pressi di Place de la Bastille. Posizionato in fondo al corteo, LFI mobilitò subito le sue truppe. Dietro il suo camion, dove la playlist degli attivisti alternava Diam’s, Tagada Jones e Aya Nakamura, erano presenti decine di suoi leader: Jean-Luc Mélenchon si trovava a Marsiglia, dove non ha parlato. “Il nostro obiettivo, data la situazione nel mondo, era di farne una manifestazione di massa: è stato un successo”, ha affermato Éric Coquerel, deputato LFI. Per la deputata dell’Essonne Claire Lejeune, questa marcia deve essere “il punto di partenza di una grande risposta popolare” contro l’ascesa delle idee razziste. Di fronte a quello che lei definisce un “momento fascista”, ricorda che nel luglio 2024, la gente di sinistra “si rese conto che le idee del RN erano abbastanza forti da far cadere la Francia” e impedirne la vittoria alle elezioni legislative. Resta il fatto che, affinché si verifichi la svolta nella direzione opposta, la strada è stretta e la caricatura di Cyril Hanouna ha permesso agli oppositori di LFI di accomunarlo agli “eredi dell’estrema destra”. “La rimozione di questo poster riflette la nostra comprensione degli effetti che ha avuto sulle persone”, afferma Claire Lejeune. Ci opponiamo a tutte le forme di razzismo e la lotta contro l’antisemitismo deve essere in prima linea in questa risposta. È sempre stato lì, ma dobbiamo renderlo esplicito e farne parte attiva della nostra battaglia”. 

Dietro il corteo molto partecipato degli Insoumis, quelli degli Ecologisti e del Partito Socialista (che lo stesso giorno organizzava a Tolosa una manifestazione sulla “Francia”) erano più radi. La deputata parigina Sandrine Rousseau (ecologista di sinistra) ha accolto con favore la visione di “una Francia che resiste, in un periodo in cui ogni giorno si verifica uno scivolone con Bruno Retailleau al Ministero dell’Interno”. 

La segretaria nazionale degli Ecologisti, Marine Tondelier, ha ricordato la prevalenza del razzismo nella società francese evocando il caso di Djamel, ucciso da un attivista della Brigata Patriottica Francese (BFP) a Dunkerque (Nord) nell’agosto 2024. La vittima aveva presentato tre denunce per insulti razzisti contro l’uomo che alla fine l’ha uccisa. “Viviamo in una società diventata sonnambula”, afferma Marine Tondelier. Il risveglio è iniziato il 22 marzo?

Al termine della manifestazione, i manifestanti hanno denunciato le aggressive azioni della polizia volte a dividere il corteo da gruppi di clandestini e a creare confusione. “I ragazzi del BRAV-M con i caschi bianchi e neri hanno deliberatamente interrotto il corteo, abbiamo iniziato a sentire odore di gas lacrimogeni, hanno spaventato tutti”, ha raccontato un partecipante. “Abbiamo paura di cadere in un terribile oscurantismo. Oggi possiamo ancora dimostrarlo. Saremo ancora in grado di farlo dopo? “, aveva chiesto poco prima Evelyne, l’attivista di Attac.

articolo originale su mediapart.fr

Redazione Italia

Un nuovo Manifesto di Ventotene?

Lo sguardo sulla Terra da un satellite artificiale ha lasciato folgorati quasi tutti gli astronauti che lo hanno potuto gettare, tanto da indurre alcuni a cambiare completamente il loro modo di pensare. La Terra, ha dichiarato uno di loro, mi è apparsa un corpo unico, tutto interconnesso, molto fragile, tormentato dagli interventi umani. Quelle prime immagini pervenute dallo spazio avevano folgorato anche James Lovelock e Lynn Margulis, spingendoli a elaborare la teoria, o la visione, di Gaia: la Terra è un unico grande organismo che si autoregola, tenuto in vita da tutto ciò che la ricopre e la popola – acqua, aria, suolo ed ecosistemi – mentre molti degli interventi umani ne sono la malattia. E’ la verità dell’Antropocene, l’era della trasformazione della realtà fisica della Terra, ma anche della sua devastazione, da parte della specie umana.

Niente ci avvicina alla Terra più di quello sguardo da lontano. Per questo quelle immagini andrebbero mostrate, illustrate, commentate e approfondite il più spesso possibile nelle scuole, sui media e in ogni sede del discorso pubblico, perché parlano più e meglio di qualsiasi teoria e ne sono premesse e complementi indispensabili.

Con la crisi climatica e ambientale ci stiamo avvicinando a grandi passi all’orlo di un baratro da cui non si torna indietro. Molti ne sono consapevoli, ma pochi (e tra questi la quasi totalità dell’establishment politico, finanziario, industriale e dei media di tutto il mondo) trovano la voglia, la forza o la capacità di misurarsi con il problema. Molti altri abitanti della Terra ne percepiscono il rischio in modo indistinto e irriflesso a partire da quanto sta cambiando sotto i loro occhi: non solo il clima, soprattutto quando sono vittime di eventi metereologici estremi, ma anche “la natura”, il vivente e persino l’ambiente costruito e manomesso. Pochi ne sono realmente all’oscuro. A spingere il carro dell’indifferenza è per lo più l’attaccamento ad abitudini o privilegi a cui non si sa rinunciare, ma soprattutto la paura di rimanere soli e indifesi, molto più di una vera adesione alle tesi di coloro che hanno fatto del negazionismo climatico una professione, per lo più ben retribuita dall’industria del petrolio e affini. Ma nessuno, comunque, sembra vedere nella guerra, nelle tante guerre in corso, un acceleratore micidiale della crisi climatica e ambientale, e con essa, e per essa, anche della nostra umanità.

Per noi che invece siamo consapevoli della minaccia esistenziale (è una parola di moda) rappresentata dalla crisi climatica e da tutto ciò che ne consegue, la guerra è il culmine e il punto di approdo di un modo di agire e pensare diffuso, indotto dai poteri dominanti, che da decenni hanno consapevolmente deciso di sacrificare la salvaguardia della nostra vita su questo pianeta all’imperativo della “crescita” del prodotto interno lordo (il PIL); che altro non è che ciò che Marx, e tanti con lui, chiamavano – e ora non chiamano più – “accumulazione del capitale”.

Quindi, tutto ok per quanto riguarda la decarbonizzazione, purché non intralci la crescita, anzi, purché contribuisca, in tutto o in parte, ad alimentarla. Se no, lasciamola perdere! Così è stato lungo tutta la trentennale sequenza delle CoP per l’attuazione dell’Accordo Quadro sul Clima, che hanno continuato a riunire ogni anno decine e decine di migliaia di “addetti ai lavori” senza mai definire né imporre delle misure efficaci, e avvolgendo invece tutto in un velo di ipocrisia. Trump, con il suo negazionismo climatico a base ostentatamente affaristica e antiscientifica, non ha fatto che accelerare la fuga dalla decarbonizzazione delle tante banche, imprese e istituzioni che vi si erano – a parole – impegnate, ma che, fiutando l’aria, avevano già imboccato la propria ritirata anche prima del suo ritorno al governo degli Stati Uniti.

Ma la guerra in Ucraina, come le altre in corso, avrebbe dovuto far riflettere: sostenerle, in qualsiasi modo e per qualsiasi motivo, è la negazione assoluta di ogni aspirazione, progetto o ipotesi di conversione ecologica. Perché sotto il cappello della conversione ecologica si raccoglie tutto ciò che risulta condizione o conseguenza di una transizione energetica effettiva: pace, ambiente, diritto alla vita, dignità, democrazia, decentramento, eguaglianza, salute, istruzione, mentre la guerra, con il suo consumo di combustibili e materiali, l’inquinamento di suolo, aria e acque, la devastazione di edifici, impianti, strade, ponti, macchinari, la distruzione di vite e di esistenze, il comando che non può essere discusso, è la negazione di tutte quelle cose.

Ma quelle distruzioni non sono forse anche un arresto della crescita, dell’accumulazione del capitale, dell’economia? No: accumulazione del capitale non è la stessa cosa che capitale accumulato. La prima è un processo, il motore dello sviluppo capitalistico e della società che esso modella, il secondo è uno stock di beni che può anche essere azzerato, purché la prima non si interrompa, anche ricominciando da capo. Così la produzione bellica, per sostituire, integrare, accrescere le armi impiegate o distrutte in guerra può alimentare la crescita al posto delle industrie che non lo fanno più, come quella dell’auto, o non possono essere attive sotto le bombe, come quella delle costruzioni. Dunque, anche per l’Europa la guerra non è un’alternativa alla crescita, come lo è invece alla conversione ecologica, anzi, ne sta diventando il supporto. Anche per questo, nei tre anni della guerra in Ucraina, non c’è stata una sola iniziativa o un solo cenno di mediazione da parte dell’Unione Europea o di uno dei suoi Stati membri.

Non possiamo più, se mai l’abbiamo fatto, continuare ad affidarci a coloro che hanno da tempo imboccato quella strada; la loro cultura, i loro interessi, le loro abitudini, la loro ignoranza vanno tutte in quella direzione. Né possiamo contare sulle divergenze tra i Governi degli Stati europei per un’inversione di rotta. Ci vuole un taglio netto tra chi sta ai vertici ed è responsabile di quella deriva e tutti coloro che si ritrovano alla base della piramide sociale e vorrebbero vivere in un mondo diverso e senza guerre.

Il percorso per invertire rotta passa attraverso il ritiro della delega concessa a Stati e Governi, che peraltro l’hanno da tempo ceduta, a loro volta, alla finanza internazionale. E lo sviluppo dell’iniziativa di base non può darsi che abbandonando l’ossessione dei confini da “difendere” dai migranti e da nemici costruiti ad arte, per lo più con la menzogna.

Il confederalismo democratico del Rojava, multietnico, egualitario, partecipato e femminista, un processo in corso, ma forse anche la constatazione che l’obiettivo dei due Stati in Palestina è ormai irrealizzabile, e che l’unica soluzione prospettabile, un sogno a venire, certamente “a lungo termine”, è la convivenza, su un piede di parità, di due comunità diverse in un unico territorio che non sia più uno Stato, alludono entrambe alla direzione che dovrebbe imboccare una rifondazione dell’Europa orientata non alla guerra ma alla conversione ecologica.

Di fronte ai venti di guerra che stanno investendo l’Europa, occorre un ripensamento radicale come quello che oltre ottant’anni fa, nel pieno dell’offensiva nazifascista, aveva indotto tre militanti imprigionati e isolati in uno sperduto angolo dell’Europa a concepirne la rinascita in una visione che allora sembrava assurda. Rispetto a loro abbiamo il vantaggio di non essere solo in tre, ma molti di più, di non essere prigionieri, ma ancora liberi di circolare e confrontarci e di non essere già in piena guerra mondiale, ma di poterla ancora fermare. Forse è arrivato il momento di redigere insieme un nuovo “Manifesto di Ventotene” o qualcosa di analogo, adattato al nostro tempo, per prospettare una rinascita dal basso dell’Europa tenendo ferma la rotta della conversione ecologica. Può sembrare un’utopia assurda, ma certo non più pazza di quella che aveva ispirato i Tre di Ventotene.

 

Guido Viale

Appello per la giustizia e la pace

In questa giornata mondiale dell’acqua per la vita,

 

Noi, artisti dell’Agorà degli Abitanti della Terra, parafrasando il grande jazzista Archie Shepp, diciamo: « Non siamo arrabbiati, ma infuriati! Non potete più posticipare il nostro sogno, lo canteremo, lo balleremo, lo grideremo, se necessario lo ruberemo a questa terra… » e chiamiamo le donne e gli uomini assetati di Giustizia e di Pace a costruire un’Altra Umanità.

 

DENUNCIAMO COME INAMMISSIBILI:

 

  1. La spoliazione della Vita attraverso la violenza verso l’altro, le guerre, i genocidi, le carestie.

 

Chiamiamo a bandire la guerra e di ogni forma di violenza e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, pratiche mostruose e indegne dell’umanità, che da 5000 anni versano sangue, seminano morte e si nutrono di menzogne. No, l’Ucraina non è stata distrutta per la spartizione delle sue terre rare! No, Gaza non è stata rasa al suolo e i suoi abitanti massacrati per realizzare la vergogna di una nuova Rivierà oltraggiosa, né per aprire un secondo Canale di Suez, vantaggioso per Israele e per la Grande Finanza! NO ?! E allora per quale motivo?! Rifiutiamo di costruire la Storia sui genocidi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle!

 

  1. La spoliazione della Vita attraverso il calpestamento, la negazione dei diritti umani universali.

 

Chiamiamo a lottare contro ogni soppressione o riduzione delle libertà fondamentali; contro la mancata osservanza dei diritti umani; contro le strategie egemoniche e alienanti del capitalismo che oggi manipolano le nostre volontà fino all’elezione rappresentanti miliardari, gli stessi che un tempo votavano per eleggere funzionari al loro posto, vendendoci i bei principi di libertà, uguaglianza, fraternità, e che oggi, arroganti bugiardi, dettano leggi e governano secondo criteri di redditività.

 

  1. La spoliazione della Vita attraverso la distruzione dei beni comuni mondiali, della natura e in particolare la predazione dell’acqua.

 

Chiamiamo a combattere ogni predazione del vivente, ogni gestione sotto forma di appropriazione dei beni comuni mondiali (acqua potabile, salute, istruzione, cultura, terra, abitazione, ecc.), ogni confisca del diritto universale alla salute e alla conoscenza attraverso la « brevettabilità del vivente a titolo privato ​​e a scopo di lucro nonché dell’Intelligenza Artificiale »* e di qualsiasi finanziarizzazione dei diritti alla Vita qualunque essa sia, inclusa la sostituzione del concetto di diritto con quello di accesso su una base equa a un prezzo accessibile. Dichiariamo illegale qualsiasi forma di avvelenamento dei terreni, dei mari, dei corsi d’acqua e delle falde acquifere mediante sostanze tossiche o inquinanti. Perché siamo consapevoli che il pianeta Terra è il nostro unico habitat vivibile, il nostro tesoro; che in quanto tale, è nostra responsabilità rispettarlo e che le risorse vitali che esso contiene, essendo indispensabili alla Vita, devono essere condivise equamente, secondo le leggi della convivenza e non asservite alla finanziarizzazione sfrenata! Siamo forse diventati ciechi, insensibili, indifferenti a questo crimine senza precedenti contro l’umanità che si sta compiendo sotto i nostri occhi, a questo ecocidio che richiede cure immediate se vogliamo che i figli dei nostri figli possano viverci e non solo sopravviverci?

 

  1. La spoliazione della vita attraverso l’espropriazione del futuro.

 

Chiamiamo a rifiutare di vedere il futuro dell’Umanità confiscato a causa delle molteplici spoliazioni perpetrate dal sistema dominante. Dov’è l’umano in tutto ciò, dov’è la democrazia così duramente conquistata? Di quale mondo siamo ancora cittadini? Abitanti della terra, siamo divisi tra coloro che le forze del denaro ignorano e coloro che esse intorpidiscono. La spoliazione ha sostituito la condivisione. È lei che comanda e che estenderà ils suo dominio se rimaniamo comodamente rintanati nel nostro comfort e nei nostri piccoli vantaggi individuali!

 

NOI CREDIAMO CHE:

 

  1. Grazie ai valori inalienabili di libertà, di giustizia e nel rispetto dei diritti umani, possiamo tutti diventare difensori del valore della vita, della tenerezza dei cuori, delle meraviglie che vengono devastate, e costruire un’Altra Umanità fondata sull’aiuto reciproco, l’uguaglianza, la solidarietà, la responsabilità, il rispetto delle risorse della nostra Terra, così come il diritto ai beni comuni pubblici globali.

 

  1. Quest’Altra Umanità, indignata per la corsa e l’escalation della maggior parte delle Nazioni verso un aumento delle spese destinate agli armamenti, sotto l’impulso irragionevole degli Stati più bellicosi del pianeta, sarà in grado di respingere fermamente i disastrosi concetti di guerra difensiva, guerra giusta, guerra per legittima difesa, o persino di pace armata, così come quello caro all’autore romano Vegezio (IV-V secolo): Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) e costruirà una Pace Mondiale Duratura (SWP).

 

CI IMPEGNIAMO:

 

  1. A stabilire legami con artisti, donne e uomini desiderosi di unirsi a noi, per creare, attraverso i nostri mezzi artistici, una rete internazionale promotrice di progetti che inaugurino un’Altra Umanità.

 

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*Riccardo Petrella, Lettera ai figli e ai nipoti, Ed. Couleur livres

 

  1. A diffondere Giustizia e Pace, ad immagine dell’Acqua per la Vita, attraverso:

 

Le nostre parole e i nostri scritti, le nostre danze, le nostre creazioni radiofoniche, i nostri canti, le nostre scenografie, i nostri atti scenici, le nostre immagini, i nostri disegni, le nostre illuminzioni, i nostri stand-up, le nostre statue, i nostri costumi, i nostri dubbi, le nostre sculture, le nostre composizioni, i nostri dipinti, i nostri trucchi, le nostre coreografie, i nostri numeri da clown, da circo, i nostri tours di magia, le nostre acrobazie, la nostra grafica, i nostri spettacoli equestri, le nostre giocolerie, i nostri one man e woman show, i nostri sogni a occhi aperti o chiusi, le nostre passeggiate, i nostri pranzi sull’erba, i nostri personaggi, i nostri libri, le nostre carezze, le nostre cadute, i nostri cabaret, i nostri desideri, le nostre torte, le nostre ricette di cucina, i nostri bricolages, i nostri bagni, la nostra pasta ai funghi porcini, i nostri deliri, i nostri amori, le nostre bugie, le sue… le loro, le nostre, le vostre, le tue…, i nostri colori, le nostre indigestioni, i nostri tramonti, le nostre albe di Luna, le nostre dune, i nostri animali, tutti i nostri insetti, i nostri mostri amorevoli, i nostri messaggi, i nostri massaggi, i nostri cavoletti di Bruxelles, i nostri incontri, le nostre madri e i nostri padri, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri alberi, le nostre foreste, le nostre spiagge, la nostra sabbia e i suoi castelli, i nostri diari segreti, i nostri carnet da ballo, i nostri carnet rose, i nostri fiori preferiti o quelli dimenticati, la nostra campagna sotto la pioggia e il petricore che ne consegue, i profumi che svaniscono, le nostre soffiate di naso, le nostre guarigioni, i nostri doni, dunque! La nostra rabbia, il nostro scherno, i nostri raduni pacifici, le nostre risate e le nostre lacrime, i nostri pomeriggi, i nostri dopo amore, i nostri dopo la tempesta, i nostri dopo tutto, i nostri dopo di voi… le nostre rivoluzioni, le nostre buone condotte e quelle cattive, i nostri misteri e i suoi… i tuoi, l’altro che ci tende la mano e che manchiamo o afferriamo per caso scendendo dal treno in partenza, perché abbiamo deciso di restare tra le sue braccia, perché la VITA è VIVA, come una sorgente d’acqua pura che ci insegna a dire SI, a illuminare… ad aiutare senza mostrarlo, né dirlo, solo facendolo, perché è tanto ovvio quanto difficile come amare e imparare… perché pensiamo di sapere tutto e invece non sappiamo nulla, soprattutto non sappiamo perché ci sono persone che combattono, uccidono, torturano, imprigionano, tagliano le mani e incatenano il prossimo fino a farlo morire! I nostri GRAZIE! Quelli che diciamo, quelli che tacciamo, quelli che non diciamo mai… Mai GRAZIE?! Mai ?! Anche quando tutto ci conduce a dirlo… Come tutto conduce all’Acqua che è VITA, alla condivisione, ai giusti, alla verità che non esiste, poiché ognuno ha la propria e tuttavia dobbiamo trovarne una che sia comune, che ci unisca, ci assomigli, tessendo legami indissolubili, necessari tra coloro che resistono, ribelli, indignati, assetati, desiderosi. Si, desiderosi!

Perché i nostri figli e i nostri nipoti non debbano vergognarsi di essere stati messi al mondo…

 

Gli artisti dell’Agorà degli Abitanti della Terra

Agorà degli Abitanti della Terra

Palestina: coloni israeliani hanno ferito il regista palestinese Hamdan Ballal, premio Oscar

I coloni israeliani hanno attaccato un gruppo di palestinesi a Massafer Yatta, ferendone alcuni e l’esercito ha arrestato le vittime.

Una delle vittime è il co-regista di “No Other Land”, il documentario che ha vinto l’Oscar. Hamdan Ballal era a Susiya, uno dei villaggi di Massafer Yatta insieme ad altri abitanti del villaggio.

Un gruppo di 10 coloni ha iniziato ad aggredirli con lancio di pietre, secondo testimoni oculari. Ballal è stato colpito alla testa e stava perdendo molto sangue ed è stata chiamata d’urgenza un’ambulanza della Mezzaluna rossa palestinese, per prestare le prime cure e ricoverarlo.

L’arrivo dei soldati ha bloccato tutto. Ballal è stato letteralmente trascinato con forza fuori dall’ambulanza e portato via insieme ad altri tre palestinesi. Nessuno dei coloni aggressori è stato fermato. Fino a stamattina non si conosceva ancora dove fosse stato portato il regista premio Oscar.

Nel pomeriggio di oggi, Lea Tsemel, l’avvocata di Hamdan Ballal, ha annunciato il suo imminente rilascio e riferito che il suo assistito e altri due palestinesi avevano trascorso la notte sul pavimento di una base militare, con gravi ferite riportate in seguito all’aggressione  dei coloni.

Hamdan Ballal è stato rilasciato nel tardo pomeriggio di oggi.

Farid Adly

SIAM MALFATTORI ! Illegalismo ed elettoralismo al tramonto dell’Internazionale

Al suo apice, l’Internazionale era sufficientemente imponente nella sua militanza, forza numerica e influenza da convincere il governo italiano che doveva essere distrutta.

Benedetto Cairoli e Giuseppe Zanardelli si insediarono come primo ministro e ministro dell’interno nel marzo 1878: il loro governo è universalmente considerato il più liberale dall’unificazione. Nel discorso tenuto nel suo collegio elettorale di Iseo nel 1878, in cui formulò la strategia del governo, Zanardelli condannò l’Internazionale per aver diffuso insegnamenti che erano “la negazione di tutti i diritti e della morale” e che trovavano “convertiti pronti e pericolosi” tra i “meno istruiti” delle moltitudini. In pratica, la tolleranza liberale si estendeva solo ai rispettabili radicali della classe media, come gli irredentisti repubblicani, non certo agli operai rivoluzionari aderenti all’Internazionale. Il doppio standard poliziesco e giudiziario sarebbe rimasto vivo e vegeto per decenni.

La campagna di repressione che il nuovo governo liberale avrebbe scatenato contro l’Internazionale veniva giustificata nel dibattito parlamentare e sugli organi di stampa da una serie di atti terroristici commessi in Italia e all’estero. Questa campagna denigratoria contribuì a cristallizzare l’immagine che lo Stato liberale aveva evocato davanti agli occhi della borghesia italiana negli ultimi anni: gli anarchici come pericolosi sociopatici. Sebbene questi attentati non fossero collegati, le autorità italiane – sempre suscettibili di teorie del complotto – erano convinte che l’Internazionale avesse ordito un complotto per assassinare i capi di Stato d’Europa.

Il 28 dicembre 1878 papa Leone XIII promulgò l’enciclica “Quod apostolici muneris”, condannando la “pestilenza mortale che serpeggia nei recessi più reconditi della società e la porta all’estremo pericolo della rovina”; cioè “la setta di coloro che, con nomi diversi e barbari, si definiscono socialisti, comunisti e nichilisti”. L’enciclica metteva a disposizione l’enorme potere e prestigio della Chiesa nella lotta contro il socialismo, in cambio del ripristino da parte dello Stato di “quella condizione di libertà con la quale può efficacemente diffondere le sue benefiche influenze a favore della società umana”. Radicato nella comune paura del socialismo, il riavvicinamento tra Chiesa e Stato in Italia era iniziato.

Alla fine di dicembre del 1878, mentre da ogni pulpito si lanciavano anatemi contro la “pestilenza del socialismo”, il nuovo governo di Agostino Depretis ordinò una nuova ondata di arresti che coinvolse quasi tutti i leader anarchici ancora in libertà, per poi passare a colpire la base. Una circolare del ministero dell’Interno notificò a tutti i prefetti del regno che l’intento del governo era quello di distruggere la setta internazionalista, raccomandò che tutti i membri dell’Internazionale fossero posti sotto ammonizione e di vigilare attentamente per coglierli in violazione e deferirli all’Autorità competente”.

Il governo era convinto che l’applicazione diffusa dell’ammonizione avrebbe spezzato l’Internazionale, specialmente se – come notò il capo della polizia di Firenze – l’Autorità Giudiziaria si persuadesse una volta per tutte che gli aderenti alla setta non dovevano più essere considerati un partito politico, ma un insieme di malfattori. La polizia intraprendente non ebbe difficoltà a inventare una serie di accuse – linguaggio volgare, associazione con persone sospette, sospetto di furto e altri crimini contro la proprietà e le persone – per intrappolare un individuo preso di mira. E per condannare un anarchico per “contravvenzione alla ammonizione”, bastava scoprirlo mentre parlava con un altro compagno. Centinaia di anarchici caddero vittime dell’ammonizione in questo modo.

Il 16 febbraio 1880 la Corte di Cassazione di Roma stabilì che un’associazione internazionalista composta da cinque o più persone costituiva un’associazione di malfattori ai sensi dell’articolo 426 del codice penale. La sentenza della corte è stata una testimonianza del pregiudizio sociale della classe dirigente italiana; essa afferma apertamente che l’internazionalismo è solo una maschera sotto la quale si nasconde il malfattore comune. Le sentenze delle corti di Cassazione ebbero l’effetto di spogliare gli anarchici di ogni status giuridico di sovversivi politici e di esporli a tutto il peso della repressione statale come presunti malfattori. Nei successivi vent’anni – grazie all’insidia ineludibile fornita dall’articolo 426 (poi 248) del codice penale – il reato di costituire un’associazione di malfattori – divenne il randello con cui il governo colpì il movimento a suo piacimento. Migliaia di anarchici furono condannati al carcere e al domicilio coatto non per atti illegali e nemmeno per l’intenzione di commetterli, ma unicamente per le idee che professavano.

Nel 1880, tuttavia, le decisioni delle alte corti fornirono solo un tardivo colpo di grazia. Le precedenti ripetute ondate di arresti di massa, i molti mesi trascorsi in detenzione preventiva in attesa del processo, la completa impossibilità di svolgere attività politica derivante dall’ammonizione e la crescente diaspora di leader e militanti che sceglievano l’esilio piuttosto che la prigione avevano già avuto il loro pedaggio. La Federazione Italiana dell’Internazionale non esisteva più come organizzazione vitale.

Alla fine degli anni 70 dell’Ottocento l’anarchismo italiano era già in profonda crisi a causa soprattutto della repressione governativa. Negli anni successivi, tre fattori si combinarono per aggravare la crisi e impedirne la soluzione: la paura della persecuzione, ancora più intimidatoria ora che gli anarchici erano stati ufficialmente bollati come malfattori; l’esilio di leader chiave, in particolare Cafiero e Malatesta, capaci di energizzare e guidare; il dissenso e il caos causati dall’adozione da parte di Andrea Costa della tattica elettorale. Come risultato di questa crisi prolungata, il movimento anarchico conobbe una significativa trasformazione e declino tra il 1879 e il 1883, le cui caratteristiche più salienti furono la demoralizzazione, la paralisi generale dell’attività e la disintegrazione.

La debolezza organizzativa e l’estremismo ideologico stavano rapidamente diventando una funzione l’uno dell’altro, non sorprenderà quindi che proprio quando il movimento era meno capace di intraprendere un’azione diretta, gli appelli alla violenza fossero più frequenti. Questi appelli erano lanciati da anarchici veterani che erano diventati estremisti intrattabili, trasformati spiritualmente e intellettualmente dalla persecuzione, dalla sconfitta e dalla disillusione che avevano sofferto. Nella loro rabbia e frustrazione, percependo di essere in guerra non solo con lo Stato ma con l’intera società, questi anarchici divennero apostoli della violenza.

Articolando un approccio post-internazionale all’attività rivoluzionaria, in cui piccoli gruppi – ciascuno operante autonomamente come una cellula clandestina ma uniti dal loro unico scopo di violenza contro l’ordine costituito – questi apostoli della violenza avrebbero intrapreso continue guerriglie e atti terroristici contro persone e proprietà. Attentati come quello di Agesilao Milano al re borbonico Ferdinando II, o come quello di Felice Orsini all’imperatore Luigi Napoleone, facevano parte della venerata tradizione rivoluzionaria che il movimento internazionalista aveva ereditato dalla democrazia radicale. Finché l’Internazionale aveva mantenuto una parvenza di organizzazione e di vitalità, la teoria e la pratica rivoluzionaria avevano sempre enfatizzato l’insurrezionalismo, mentre il terrorismo rimase un fenomeno raro nel movimento anarchico italiano. Tra il 1880 e il 1881, tuttavia, l’apologia del terrorismo come strategia rivoluzionaria preferita divenne un luogo comune in molti circoli anarchici, specialmente tra gli esuli che avevano sofferto di più a causa delle persecuzioni e che erano sconvolti dai recenti eventi in Italia, soprattutto per la mancata rivolta delle masse. Gli atti di violenza individuale o clandestina di gruppo sembravano ormai l’unica opzione disponibile, l’unica alternativa alla completa impotenza. L’anarchismo italiano nel 1881 era sulla buona strada per diventare atomizzato, poiché sia i leader che la base rifiutavano i centri, le commissioni di corrispondenza, i piani generali e una miriade di altre attività associate all’organizzazione, tutto in nome dell’antiautoritarismo e della libera iniziativa. La rivolta permanente auspicata da Carlo Cafiero non divenne mai un programma d’azione per l’anarchismo italiano negli anni ’80 dell’Ottocento: era uno stato d’animo, che offriva sostentamento psicologico ai ribelli intransigenti bloccati spiritualmente e moralmente in una lotta impari contro lo stato e la società borghese.

Malatesta non condivideva la crescente avversione nei confronti dell’organizzazione del movimento ed era destinato a trovarsi in contrasto con molti vecchi compagni per i quali un’organizzazione nazionale affidabile rappresentava una minaccia autoritaria. Una forte opposizione alla proposta di Malatesta si fece sentire ancor prima della convocazione del congresso di Londra.

Circa quarantacinque delegati, che pretendevano di rappresentare cinquantamila membri, sessanta federazioni (esistenti principalmente sulla carta) e cinquantanove gruppi individuali, si riunirono a Charrington Street, a Londra, dal 14 al 20 luglio 1881. Erano presenti alcune delle figure più illustri dell’anarchismo: Malatesta, Merlino, Kropotkin, Louise Michel, Emile Gautier, Nicholas Chaikovsky, Johann Neve, Joseph Peukert. Erano rappresentate le tre correnti ideologiche del movimento in Europa e negli Stati Uniti: comunisti anarchici, collettivisti anarchici e individualisti. Il famigerato Serreaux, che fu poi accertato essere una spia, era un partecipante attivo e un portavoce non ufficiale dell’ala terroristica del movimento. L’anarchismo in tutta Europa aveva sperimentato più o meno le stesse avversità che avevano trasformato il movimento italiano e reagiva in modo simile: paura di persecuzioni, risposta esagerata ai leader disertori o inattivi (Brousse in Francia e Guillaume nel Giura) e disillusione per i progressi compiuti dal socialismo legalitario. Ad eccezione della Spagna, le grandi federazioni nazionali che comprendono le associazioni dei lavoratori si sono disintegrate o sono diventate inattive. Ciò che rimaneva era un insieme amorfo di piccoli gruppi legati solo dai loro ideali e da un comune timore dell’organizzazione. Il disincanto nei confronti delle classi lavoratrici per non essersi ribellate era ormai diffuso anche nel movimento anarchico. Così, piuttosto che continuare a sperare in sollevamenti popolari, la loro fede veniva riposta nell’attentato. La dinamite e il pugnale avrebbero sicuramente scosso l’ordine esistente. Date queste condizioni e atteggiamenti, quindi, la probabilità che il congresso di Londra potesse resuscitare un’organizzazione pubblica su larga scala basata sulle associazioni operaie era nulla. Il dibattito congressuale confermò tali premesse: preferendo rimanere ermeticamente chiusi nella loro torre d’avorio, per timore che fosse contaminato dall’autoritarismo, i delegati anarchici sacrificarono l’Internazionale sull’altare dell’autonomia locale e della libera iniziativa. Il congresso di Londra si concluse quindi con una sepoltura, non con una resurrezione. Da allora in poi, l’Internazionale si affacciò sulla scena europea solo come una sinistra apparizione, perseguitando politici e poliziotti soggetti a incubi di cospirazioni mondiali.

Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlino, che non favorirono mai il terrorismo e lo censurarono negli anni ’90 dell’Ottocento, non si opposero al cambiamento di strategia rivoluzionaria in questo periodo, almeno non pubblicamente. Così il movimento mancava di un efficace contrappeso al nuovo estremismo. La loro attenzione in quel periodo era piuttosto concentrata a combattere il socialismo legalitario, che si era avvantaggiato del tradimento di Andrea Costa.

Da un punto di vista di classe, terrorismo ed elettoralismo si equivalgono.

Mentre l’anarchismo ha come scopo la liberazione delle masse sfruttate da parte delle stesse masse, “l’emancipazione degli operai deve essere opera degli operai stessi” era scritto nel Preambolo degli statuti dell’Associazione Internazionale dei lavoratori), il terrorismo e l’elettoralismo affidano questa emancipazione a ristrette minoranze che libererebbero le masse senza un’attiva partecipazione da parte di queste ultime; l’uno con la violenza, l’altro con la scheda elettorale. Probabilmente sia Errico Malatesta che Francesco Saverio Merlino ritenevano la tattica elettorale più pericolosa, anche sul piano dei principi, rispetto alla pratica terrorista. Solo più tardi si resero conto che anche il terrorismo (il ravacholismo come si diceva allora) si poneva al di fuori del perimetro anarchico. Ma era ormai troppo tardi: le tendenze antiorganizzatrici, illegaliste, di disprezzo della lotta immediata si erano radicate all’interno del movimento e fu necessario un lavoro lungo e paziente per ricostituire una tendenza classista e organizzatrice.

 

Tiziano Antonelli

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Francia: rivolta contro la deriva fascista e razzista. Una risposta è possibile!

A Parigi e in centinaia di altre città in tutta la Francia, decine di migliaia di persone hanno risposto all’appello della “Marcia della Solidarietà” contro “il razzismo e il fascismo”_

“Una risposta al fascismo è possibile!” “In mezzo alla folla si è formato un piccolo cerchio per ascoltare i portavoce della Marcia della Solidarietà e i collettivi di migranti senza documenti, minori non-accompagnati, studenti stranieri e migranti in lotta, che erano dietro l’appello a manifestare sabato 22 marzo. 

“Oggi non abbiamo ancora trovato una cura per il razzismo”, afferma un rappresentante intercollettivo per la difesa dei lavoratori senza documenti, che indossa un distintivo a sostegno dei lavoratori senza documenti alle poste. 

“Questa mobilitazione deve essere una leva per combattere. Un potere debole attacca sempre le persone che si trovano in situazioni precarie, per renderle ancora più precarie”. 

Malgrado la pioggia e soprattutto i sabotaggi da parte di falsa sinistra e sionisti vari, la manifestazione parigina è iniziata sotto alcuni raggi di sole, che hanno incoraggiato i partecipanti. Decine di migliaia di persone si sono radunate in Place de la République per esprimere la propria preoccupazione per la deriva verso l’estrema destra delle politiche pubbliche e amministrative. 

“La situazione peggiora sempre di più”, si lamenta Fatiha, attivista dell’Associazione per la solidarietà con tutti gli immigrati (Asti) a Colombes. Marocchina di 60 anni, lei vive in Francia da quarant’anni e ha tre figli francesi. Sebbene affermi di considerarsi più fortunata delle persone che sostiene, perché “per ora ha i documenti”, aggiunge: “Cosa succederà quando la mia carta scadrà? E se non lo rinnovassero?» Ad Asti nota i “cavilli” e ostacoli dell’amministrazione francese. L’ultimo esempio riguarda i test di lingua francese che diventeranno obbligatori da luglio 2025 per ottenere il permesso di soggiorno, in conformità con la legge Darmanin. “È catastrofico, ho una collega che ha pianto per questo”, racconta. Le persone fanno già ogni sforzo per cercare di leggere le lettere che inviamo loro, per capire cosa chiediamo loro, e poi chiedi loro di avere un alto livello di francese! Come possono farcela? Stanno solo cercando scuse, tutto qui.” 

A poche decine di metri di distanza, Hakim scruta con aria risoluta l’orizzonte. “Siamo abituati a essere qui”, sottolinea l’uomo impegnato da due anni nell’associazione Droits devant, presente con le sue numerose bandiere gialle all’inizio del corteo. Quarantenne di origine algerina lui è in Francia da dieci anni e ammette di essersi rivolto a diversi avvocati per ottenere la nazionalità, senza successo. Quindi continua a lavorare nell’edilizia durante la settimana e a fare campagna elettorale nei fine settimana. “I media ci accomunano tutti quanti. Certo, c’è chi fa cose stupide, ma ci sono anche delle confusioni.” 

Anne non prende queste precauzioni. “Camminiamo a testa alta!” “Oggi i fascisti sono i buoni, l’estrema destra salverà gli ebrei … Stiamo vivendo un vero e proprio crollo”, si lamenta, insistendo sulla necessità di scendere in piazza per dimostrare che “non sono solo i pazzi a gridare forte”, riferendosi al clamore mediatico dei canali del gruppo Bolloré. È venuta con la figlia Sarah, il cui padre è algerino. A 18 anni, questa è la sua seconda manifestazione. “La prima è stata quando ci hanno rubato le elezioni quest’estate”, insiste sua madre, riferendosi alla vittoria dell’NFP al secondo turno delle elezioni legislative nel luglio 2024. “Da allora, cosa abbiamo avuto? Retailleau (il ministro egli interni fascista-razzista-sessista) e Bayrou (il democristiano ipocrita e di destra che copre i pedofili).” Evelyne, attivista di Attac, è un po’ cupa nonostante la grande affluenza di questo sabato. Il cartello che tiene in mano è un disegno di Vincent Bolloré (il nuovo boss dei media che sostiene la destra fascista) con i nomi dei numerosi organi di informazione di sua proprietà sotto lo slogan “Sta peggiorando!” ” – riassume bene il sentimento di spostamento ideologico verso l’estrema destra che lei avverte. “Ero attivo nel maggio del 1968, i miei genitori erano entrambi combattenti della resistenza e ho la sensazione che tutti gli ideali in cui credevamo siano sotto attacco. “Sta accadendo molto rapidamente”, afferma l’attivista settantenne, che cita in particolare l’inasprimento delle politiche migratorie da parte di Bruno Retailleau. 

L’accusa di non parlare contro l’antisemitismo

Per coronare il tutto, un membro della sua famiglia gli scrisse per farlo arrabbiare dicendo che la lotta contro l’antisemitismo non rientrava tra gli slogan esplicitamente esposti durante la manifestazione: “contro il razzismo e il fascismo”. “Quando combattiamo contro il fascismo, stiamo ovviamente combattendo contro l’antisemitismo! Ma molte persone non lo capiscono. “Quando critichi Netanyahu, vieni subito etichettato come antisemita”, si rammarica. Sta ovviamente pensando al manifesto che ritrae il presentatore Cyril Hanouna sotto forma di caricature antisemite degli anni ’30, diffuso da La France Insoumise (LFI), ma la speculazione strumentale non è servita a nulla. Rimosso rapidamente dai social network di LFI, ha permesso all’estrema destra di fare campagna nel tentativo di screditare l’intera manifestazione dell’intera giornata. “A sinistra, sta causando danni. Su un argomento così delicato, dobbiamo essere prudenti. “Temo che sarà difficile risolvere il problema, a meno che non smettano di gettare benzina sul fuoco”, afferma Evelyne. 

Il corteo comprendeva gruppi che combattevano l’antisemitismo: Golem e Tsedek. Diversi cartelli indicavano inoltre la volontà dei manifestanti di ricordare l’importanza di questo impegno, mentre il numero di atti antisemiti registrati in Francia è quadruplicato tra il 2022 e il 2024, ovvero 1.570 atti rispetto ai 436 di due anni fa. Ma martedì 18 marzo Israele riprendeva i massacri nella Striscia di Gaza, ed erano onnipresenti le denunce dei crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano agli ordini del governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu. Durante la manifestazione sono state sventolate bandiere palestinesi e sono stati lanciati appelli alla pace. Particolarmente partecipato è stato il corteo dei gruppi di solidarietà con la Palestina. Una filiale della BNP Paribas, il principale finanziere europeo di Israele, oggetto di una campagna di boicottaggio, è stata attaccata nei pressi di Place de la Bastille. Posizionato in fondo al corteo, LFI mobilitò subito le sue truppe. Dietro il suo camion, dove la playlist degli attivisti alternava Diam’s, Tagada Jones e Aya Nakamura, erano presenti decine di suoi leader: Jean-Luc Mélenchon si trovava a Marsiglia, dove non ha parlato. “Il nostro obiettivo, data la situazione nel mondo, era di farne una manifestazione di massa: è stato un successo”, ha affermato Éric Coquerel, deputato LFI. Per la deputata dell’Essonne Claire Lejeune, questa marcia deve essere “il punto di partenza di una grande risposta popolare” contro l’ascesa delle idee razziste. Di fronte a quello che lei definisce un “momento fascista”, ricorda che nel luglio 2024, la gente di sinistra “si rese conto che le idee del RN erano abbastanza forti da far cadere la Francia” e impedirne la vittoria alle elezioni legislative. Resta il fatto che, affinché si verifichi la svolta nella direzione opposta, la strada è stretta e la caricatura di Cyril Hanouna ha permesso agli oppositori di LFI di accomunarlo agli “eredi dell’estrema destra”. “La rimozione di questo poster riflette la nostra comprensione degli effetti che ha avuto sulle persone”, afferma Claire Lejeune. Ci opponiamo a tutte le forme di razzismo e la lotta contro l’antisemitismo deve essere in prima linea in questa risposta. È sempre stato lì, ma dobbiamo renderlo esplicito e farne parte attiva della nostra battaglia”. 

Dietro il corteo molto partecipato degli Insoumis, quelli degli Ecologisti e del Partito Socialista (che lo stesso giorno organizzava a Tolosa una manifestazione sulla “Francia”) erano più radi. La deputata parigina Sandrine Rousseau (ecologista di sinistra) ha accolto con favore la visione di “una Francia che resiste, in un periodo in cui ogni giorno si verifica uno scivolone con Bruno Retailleau al Ministero dell’Interno”. 

La segretaria nazionale degli Ecologisti, Marine Tondelier, ha ricordato la prevalenza del razzismo nella società francese evocando il caso di Djamel, ucciso da un attivista della Brigata Patriottica Francese (BFP) a Dunkerque (Nord) nell’agosto 2024. La vittima aveva presentato tre denunce per insulti razzisti contro l’uomo che alla fine l’ha uccisa. “Viviamo in una società diventata sonnambula”, afferma Marine Tondelier. Il risveglio è iniziato il 22 marzo?

Al termine della manifestazione, i manifestanti hanno denunciato le aggressive azioni della polizia volte a dividere il corteo da gruppi di clandestini e a creare confusione. “I ragazzi del BRAV-M con i caschi bianchi e neri hanno deliberatamente interrotto il corteo, abbiamo iniziato a sentire odore di gas lacrimogeni, hanno spaventato tutti”, ha raccontato un partecipante. “Abbiamo paura di cadere in un terribile oscurantismo. Oggi possiamo ancora dimostrarlo. Saremo ancora in grado di farlo dopo? “, aveva chiesto poco prima Evelyne, l’attivista di Attac.

articolo originale su mediapart.fr

Redazione Italia

Un nuovo Manifesto di Ventotene?

Lo sguardo sulla Terra da un satellite artificiale ha lasciato folgorati quasi tutti gli astronauti che lo hanno potuto gettare, tanto da indurre alcuni a cambiare completamente il loro modo di pensare. La Terra, ha dichiarato uno di loro, mi è apparsa un corpo unico, tutto interconnesso, molto fragile, tormentato dagli interventi umani. Quelle prime immagini pervenute dallo spazio avevano folgorato anche James Lovelock e Lynn Margulis, spingendoli a elaborare la teoria, o la visione, di Gaia: la Terra è un unico grande organismo che si autoregola, tenuto in vita da tutto ciò che la ricopre e la popola – acqua, aria, suolo ed ecosistemi – mentre molti degli interventi umani ne sono la malattia. E’ la verità dell’Antropocene, l’era della trasformazione della realtà fisica della Terra, ma anche della sua devastazione, da parte della specie umana.

Niente ci avvicina alla Terra più di quello sguardo da lontano. Per questo quelle immagini andrebbero mostrate, illustrate, commentate e approfondite il più spesso possibile nelle scuole, sui media e in ogni sede del discorso pubblico, perché parlano più e meglio di qualsiasi teoria e ne sono premesse e complementi indispensabili.

Con la crisi climatica e ambientale ci stiamo avvicinando a grandi passi all’orlo di un baratro da cui non si torna indietro. Molti ne sono consapevoli, ma pochi (e tra questi la quasi totalità dell’establishment politico, finanziario, industriale e dei media di tutto il mondo) trovano la voglia, la forza o la capacità di misurarsi con il problema. Molti altri abitanti della Terra ne percepiscono il rischio in modo indistinto e irriflesso a partire da quanto sta cambiando sotto i loro occhi: non solo il clima, soprattutto quando sono vittime di eventi metereologici estremi, ma anche “la natura”, il vivente e persino l’ambiente costruito e manomesso. Pochi ne sono realmente all’oscuro. A spingere il carro dell’indifferenza è per lo più l’attaccamento ad abitudini o privilegi a cui non si sa rinunciare, ma soprattutto la paura di rimanere soli e indifesi, molto più di una vera adesione alle tesi di coloro che hanno fatto del negazionismo climatico una professione, per lo più ben retribuita dall’industria del petrolio e affini. Ma nessuno, comunque, sembra vedere nella guerra, nelle tante guerre in corso, un acceleratore micidiale della crisi climatica e ambientale, e con essa, e per essa, anche della nostra umanità.

Per noi che invece siamo consapevoli della minaccia esistenziale (è una parola di moda) rappresentata dalla crisi climatica e da tutto ciò che ne consegue, la guerra è il culmine e il punto di approdo di un modo di agire e pensare diffuso, indotto dai poteri dominanti, che da decenni hanno consapevolmente deciso di sacrificare la salvaguardia della nostra vita su questo pianeta all’imperativo della “crescita” del prodotto interno lordo (il PIL); che altro non è che ciò che Marx, e tanti con lui, chiamavano – e ora non chiamano più – “accumulazione del capitale”.

Quindi, tutto ok per quanto riguarda la decarbonizzazione, purché non intralci la crescita, anzi, purché contribuisca, in tutto o in parte, ad alimentarla. Se no, lasciamola perdere! Così è stato lungo tutta la trentennale sequenza delle CoP per l’attuazione dell’Accordo Quadro sul Clima, che hanno continuato a riunire ogni anno decine e decine di migliaia di “addetti ai lavori” senza mai definire né imporre delle misure efficaci, e avvolgendo invece tutto in un velo di ipocrisia. Trump, con il suo negazionismo climatico a base ostentatamente affaristica e antiscientifica, non ha fatto che accelerare la fuga dalla decarbonizzazione delle tante banche, imprese e istituzioni che vi si erano – a parole – impegnate, ma che, fiutando l’aria, avevano già imboccato la propria ritirata anche prima del suo ritorno al governo degli Stati Uniti.

Ma la guerra in Ucraina, come le altre in corso, avrebbe dovuto far riflettere: sostenerle, in qualsiasi modo e per qualsiasi motivo, è la negazione assoluta di ogni aspirazione, progetto o ipotesi di conversione ecologica. Perché sotto il cappello della conversione ecologica si raccoglie tutto ciò che risulta condizione o conseguenza di una transizione energetica effettiva: pace, ambiente, diritto alla vita, dignità, democrazia, decentramento, eguaglianza, salute, istruzione, mentre la guerra, con il suo consumo di combustibili e materiali, l’inquinamento di suolo, aria e acque, la devastazione di edifici, impianti, strade, ponti, macchinari, la distruzione di vite e di esistenze, il comando che non può essere discusso, è la negazione di tutte quelle cose.

Ma quelle distruzioni non sono forse anche un arresto della crescita, dell’accumulazione del capitale, dell’economia? No: accumulazione del capitale non è la stessa cosa che capitale accumulato. La prima è un processo, il motore dello sviluppo capitalistico e della società che esso modella, il secondo è uno stock di beni che può anche essere azzerato, purché la prima non si interrompa, anche ricominciando da capo. Così la produzione bellica, per sostituire, integrare, accrescere le armi impiegate o distrutte in guerra può alimentare la crescita al posto delle industrie che non lo fanno più, come quella dell’auto, o non possono essere attive sotto le bombe, come quella delle costruzioni. Dunque, anche per l’Europa la guerra non è un’alternativa alla crescita, come lo è invece alla conversione ecologica, anzi, ne sta diventando il supporto. Anche per questo, nei tre anni della guerra in Ucraina, non c’è stata una sola iniziativa o un solo cenno di mediazione da parte dell’Unione Europea o di uno dei suoi Stati membri.

Non possiamo più, se mai l’abbiamo fatto, continuare ad affidarci a coloro che hanno da tempo imboccato quella strada; la loro cultura, i loro interessi, le loro abitudini, la loro ignoranza vanno tutte in quella direzione. Né possiamo contare sulle divergenze tra i Governi degli Stati europei per un’inversione di rotta. Ci vuole un taglio netto tra chi sta ai vertici ed è responsabile di quella deriva e tutti coloro che si ritrovano alla base della piramide sociale e vorrebbero vivere in un mondo diverso e senza guerre.

Il percorso per invertire rotta passa attraverso il ritiro della delega concessa a Stati e Governi, che peraltro l’hanno da tempo ceduta, a loro volta, alla finanza internazionale. E lo sviluppo dell’iniziativa di base non può darsi che abbandonando l’ossessione dei confini da “difendere” dai migranti e da nemici costruiti ad arte, per lo più con la menzogna.

Il confederalismo democratico del Rojava, multietnico, egualitario, partecipato e femminista, un processo in corso, ma forse anche la constatazione che l’obiettivo dei due Stati in Palestina è ormai irrealizzabile, e che l’unica soluzione prospettabile, un sogno a venire, certamente “a lungo termine”, è la convivenza, su un piede di parità, di due comunità diverse in un unico territorio che non sia più uno Stato, alludono entrambe alla direzione che dovrebbe imboccare una rifondazione dell’Europa orientata non alla guerra ma alla conversione ecologica.

Di fronte ai venti di guerra che stanno investendo l’Europa, occorre un ripensamento radicale come quello che oltre ottant’anni fa, nel pieno dell’offensiva nazifascista, aveva indotto tre militanti imprigionati e isolati in uno sperduto angolo dell’Europa a concepirne la rinascita in una visione che allora sembrava assurda. Rispetto a loro abbiamo il vantaggio di non essere solo in tre, ma molti di più, di non essere prigionieri, ma ancora liberi di circolare e confrontarci e di non essere già in piena guerra mondiale, ma di poterla ancora fermare. Forse è arrivato il momento di redigere insieme un nuovo “Manifesto di Ventotene” o qualcosa di analogo, adattato al nostro tempo, per prospettare una rinascita dal basso dell’Europa tenendo ferma la rotta della conversione ecologica. Può sembrare un’utopia assurda, ma certo non più pazza di quella che aveva ispirato i Tre di Ventotene.

 

Guido Viale

Appello per la giustizia e la pace

In questa giornata mondiale dell’acqua per la vita,

 

Noi, artisti dell’Agorà degli Abitanti della Terra, parafrasando il grande jazzista Archie Shepp, diciamo: « Non siamo arrabbiati, ma infuriati! Non potete più posticipare il nostro sogno, lo canteremo, lo balleremo, lo grideremo, se necessario lo ruberemo a questa terra… » e chiamiamo le donne e gli uomini assetati di Giustizia e di Pace a costruire un’Altra Umanità.

 

DENUNCIAMO COME INAMMISSIBILI:

 

  1. La spoliazione della Vita attraverso la violenza verso l’altro, le guerre, i genocidi, le carestie.

 

Chiamiamo a bandire la guerra e di ogni forma di violenza e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, pratiche mostruose e indegne dell’umanità, che da 5000 anni versano sangue, seminano morte e si nutrono di menzogne. No, l’Ucraina non è stata distrutta per la spartizione delle sue terre rare! No, Gaza non è stata rasa al suolo e i suoi abitanti massacrati per realizzare la vergogna di una nuova Rivierà oltraggiosa, né per aprire un secondo Canale di Suez, vantaggioso per Israele e per la Grande Finanza! NO ?! E allora per quale motivo?! Rifiutiamo di costruire la Storia sui genocidi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle!

 

  1. La spoliazione della Vita attraverso il calpestamento, la negazione dei diritti umani universali.

 

Chiamiamo a lottare contro ogni soppressione o riduzione delle libertà fondamentali; contro la mancata osservanza dei diritti umani; contro le strategie egemoniche e alienanti del capitalismo che oggi manipolano le nostre volontà fino all’elezione rappresentanti miliardari, gli stessi che un tempo votavano per eleggere funzionari al loro posto, vendendoci i bei principi di libertà, uguaglianza, fraternità, e che oggi, arroganti bugiardi, dettano leggi e governano secondo criteri di redditività.

 

  1. La spoliazione della Vita attraverso la distruzione dei beni comuni mondiali, della natura e in particolare la predazione dell’acqua.

 

Chiamiamo a combattere ogni predazione del vivente, ogni gestione sotto forma di appropriazione dei beni comuni mondiali (acqua potabile, salute, istruzione, cultura, terra, abitazione, ecc.), ogni confisca del diritto universale alla salute e alla conoscenza attraverso la « brevettabilità del vivente a titolo privato ​​e a scopo di lucro nonché dell’Intelligenza Artificiale »* e di qualsiasi finanziarizzazione dei diritti alla Vita qualunque essa sia, inclusa la sostituzione del concetto di diritto con quello di accesso su una base equa a un prezzo accessibile. Dichiariamo illegale qualsiasi forma di avvelenamento dei terreni, dei mari, dei corsi d’acqua e delle falde acquifere mediante sostanze tossiche o inquinanti. Perché siamo consapevoli che il pianeta Terra è il nostro unico habitat vivibile, il nostro tesoro; che in quanto tale, è nostra responsabilità rispettarlo e che le risorse vitali che esso contiene, essendo indispensabili alla Vita, devono essere condivise equamente, secondo le leggi della convivenza e non asservite alla finanziarizzazione sfrenata! Siamo forse diventati ciechi, insensibili, indifferenti a questo crimine senza precedenti contro l’umanità che si sta compiendo sotto i nostri occhi, a questo ecocidio che richiede cure immediate se vogliamo che i figli dei nostri figli possano viverci e non solo sopravviverci?

 

  1. La spoliazione della vita attraverso l’espropriazione del futuro.

 

Chiamiamo a rifiutare di vedere il futuro dell’Umanità confiscato a causa delle molteplici spoliazioni perpetrate dal sistema dominante. Dov’è l’umano in tutto ciò, dov’è la democrazia così duramente conquistata? Di quale mondo siamo ancora cittadini? Abitanti della terra, siamo divisi tra coloro che le forze del denaro ignorano e coloro che esse intorpidiscono. La spoliazione ha sostituito la condivisione. È lei che comanda e che estenderà ils suo dominio se rimaniamo comodamente rintanati nel nostro comfort e nei nostri piccoli vantaggi individuali!

 

NOI CREDIAMO CHE:

 

  1. Grazie ai valori inalienabili di libertà, di giustizia e nel rispetto dei diritti umani, possiamo tutti diventare difensori del valore della vita, della tenerezza dei cuori, delle meraviglie che vengono devastate, e costruire un’Altra Umanità fondata sull’aiuto reciproco, l’uguaglianza, la solidarietà, la responsabilità, il rispetto delle risorse della nostra Terra, così come il diritto ai beni comuni pubblici globali.

 

  1. Quest’Altra Umanità, indignata per la corsa e l’escalation della maggior parte delle Nazioni verso un aumento delle spese destinate agli armamenti, sotto l’impulso irragionevole degli Stati più bellicosi del pianeta, sarà in grado di respingere fermamente i disastrosi concetti di guerra difensiva, guerra giusta, guerra per legittima difesa, o persino di pace armata, così come quello caro all’autore romano Vegezio (IV-V secolo): Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) e costruirà una Pace Mondiale Duratura (SWP).

 

CI IMPEGNIAMO:

 

  1. A stabilire legami con artisti, donne e uomini desiderosi di unirsi a noi, per creare, attraverso i nostri mezzi artistici, una rete internazionale promotrice di progetti che inaugurino un’Altra Umanità.

 

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*Riccardo Petrella, Lettera ai figli e ai nipoti, Ed. Couleur livres

 

  1. A diffondere Giustizia e Pace, ad immagine dell’Acqua per la Vita, attraverso:

 

Le nostre parole e i nostri scritti, le nostre danze, le nostre creazioni radiofoniche, i nostri canti, le nostre scenografie, i nostri atti scenici, le nostre immagini, i nostri disegni, le nostre illuminzioni, i nostri stand-up, le nostre statue, i nostri costumi, i nostri dubbi, le nostre sculture, le nostre composizioni, i nostri dipinti, i nostri trucchi, le nostre coreografie, i nostri numeri da clown, da circo, i nostri tours di magia, le nostre acrobazie, la nostra grafica, i nostri spettacoli equestri, le nostre giocolerie, i nostri one man e woman show, i nostri sogni a occhi aperti o chiusi, le nostre passeggiate, i nostri pranzi sull’erba, i nostri personaggi, i nostri libri, le nostre carezze, le nostre cadute, i nostri cabaret, i nostri desideri, le nostre torte, le nostre ricette di cucina, i nostri bricolages, i nostri bagni, la nostra pasta ai funghi porcini, i nostri deliri, i nostri amori, le nostre bugie, le sue… le loro, le nostre, le vostre, le tue…, i nostri colori, le nostre indigestioni, i nostri tramonti, le nostre albe di Luna, le nostre dune, i nostri animali, tutti i nostri insetti, i nostri mostri amorevoli, i nostri messaggi, i nostri massaggi, i nostri cavoletti di Bruxelles, i nostri incontri, le nostre madri e i nostri padri, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri alberi, le nostre foreste, le nostre spiagge, la nostra sabbia e i suoi castelli, i nostri diari segreti, i nostri carnet da ballo, i nostri carnet rose, i nostri fiori preferiti o quelli dimenticati, la nostra campagna sotto la pioggia e il petricore che ne consegue, i profumi che svaniscono, le nostre soffiate di naso, le nostre guarigioni, i nostri doni, dunque! La nostra rabbia, il nostro scherno, i nostri raduni pacifici, le nostre risate e le nostre lacrime, i nostri pomeriggi, i nostri dopo amore, i nostri dopo la tempesta, i nostri dopo tutto, i nostri dopo di voi… le nostre rivoluzioni, le nostre buone condotte e quelle cattive, i nostri misteri e i suoi… i tuoi, l’altro che ci tende la mano e che manchiamo o afferriamo per caso scendendo dal treno in partenza, perché abbiamo deciso di restare tra le sue braccia, perché la VITA è VIVA, come una sorgente d’acqua pura che ci insegna a dire SI, a illuminare… ad aiutare senza mostrarlo, né dirlo, solo facendolo, perché è tanto ovvio quanto difficile come amare e imparare… perché pensiamo di sapere tutto e invece non sappiamo nulla, soprattutto non sappiamo perché ci sono persone che combattono, uccidono, torturano, imprigionano, tagliano le mani e incatenano il prossimo fino a farlo morire! I nostri GRAZIE! Quelli che diciamo, quelli che tacciamo, quelli che non diciamo mai… Mai GRAZIE?! Mai ?! Anche quando tutto ci conduce a dirlo… Come tutto conduce all’Acqua che è VITA, alla condivisione, ai giusti, alla verità che non esiste, poiché ognuno ha la propria e tuttavia dobbiamo trovarne una che sia comune, che ci unisca, ci assomigli, tessendo legami indissolubili, necessari tra coloro che resistono, ribelli, indignati, assetati, desiderosi. Si, desiderosi!

Perché i nostri figli e i nostri nipoti non debbano vergognarsi di essere stati messi al mondo…

 

Gli artisti dell’Agorà degli Abitanti della Terra

Agorà degli Abitanti della Terra

Palestina: coloni israeliani hanno ferito il regista palestinese Hamdan Ballal, premio Oscar

I coloni israeliani hanno attaccato un gruppo di palestinesi a Massafer Yatta, ferendone alcuni e l’esercito ha arrestato le vittime.

Una delle vittime è il co-regista di “No Other Land”, il documentario che ha vinto l’Oscar. Hamdan Ballal era a Susiya, uno dei villaggi di Massafer Yatta insieme ad altri abitanti del villaggio.

Un gruppo di 10 coloni ha iniziato ad aggredirli con lancio di pietre, secondo testimoni oculari. Ballal è stato colpito alla testa e stava perdendo molto sangue ed è stata chiamata d’urgenza un’ambulanza della Mezzaluna rossa palestinese, per prestare le prime cure e ricoverarlo.

L’arrivo dei soldati ha bloccato tutto. Ballal è stato letteralmente trascinato con forza fuori dall’ambulanza e portato via insieme ad altri tre palestinesi. Nessuno dei coloni aggressori è stato fermato. Fino a stamattina non si conosceva ancora dove fosse stato portato il regista premio Oscar.

Nel pomeriggio di oggi, Lea Tsemel, l’avvocata di Hamdan Ballal, ha annunciato il suo imminente rilascio e riferito che il suo assistito e altri due palestinesi avevano trascorso la notte sul pavimento di una base militare, con gravi ferite riportate in seguito all’aggressione  dei coloni.

Hamdan Ballal è stato rilasciato nel tardo pomeriggio di oggi.

Farid Adly

SIAM MALFATTORI ! Illegalismo ed elettoralismo al tramonto dell’Internazionale

Al suo apice, l’Internazionale era sufficientemente imponente nella sua militanza, forza numerica e influenza da convincere il governo italiano che doveva essere distrutta.

Benedetto Cairoli e Giuseppe Zanardelli si insediarono come primo ministro e ministro dell’interno nel marzo 1878: il loro governo è universalmente considerato il più liberale dall’unificazione. Nel discorso tenuto nel suo collegio elettorale di Iseo nel 1878, in cui formulò la strategia del governo, Zanardelli condannò l’Internazionale per aver diffuso insegnamenti che erano “la negazione di tutti i diritti e della morale” e che trovavano “convertiti pronti e pericolosi” tra i “meno istruiti” delle moltitudini. In pratica, la tolleranza liberale si estendeva solo ai rispettabili radicali della classe media, come gli irredentisti repubblicani, non certo agli operai rivoluzionari aderenti all’Internazionale. Il doppio standard poliziesco e giudiziario sarebbe rimasto vivo e vegeto per decenni.

La campagna di repressione che il nuovo governo liberale avrebbe scatenato contro l’Internazionale veniva giustificata nel dibattito parlamentare e sugli organi di stampa da una serie di atti terroristici commessi in Italia e all’estero. Questa campagna denigratoria contribuì a cristallizzare l’immagine che lo Stato liberale aveva evocato davanti agli occhi della borghesia italiana negli ultimi anni: gli anarchici come pericolosi sociopatici. Sebbene questi attentati non fossero collegati, le autorità italiane – sempre suscettibili di teorie del complotto – erano convinte che l’Internazionale avesse ordito un complotto per assassinare i capi di Stato d’Europa.

Il 28 dicembre 1878 papa Leone XIII promulgò l’enciclica “Quod apostolici muneris”, condannando la “pestilenza mortale che serpeggia nei recessi più reconditi della società e la porta all’estremo pericolo della rovina”; cioè “la setta di coloro che, con nomi diversi e barbari, si definiscono socialisti, comunisti e nichilisti”. L’enciclica metteva a disposizione l’enorme potere e prestigio della Chiesa nella lotta contro il socialismo, in cambio del ripristino da parte dello Stato di “quella condizione di libertà con la quale può efficacemente diffondere le sue benefiche influenze a favore della società umana”. Radicato nella comune paura del socialismo, il riavvicinamento tra Chiesa e Stato in Italia era iniziato.

Alla fine di dicembre del 1878, mentre da ogni pulpito si lanciavano anatemi contro la “pestilenza del socialismo”, il nuovo governo di Agostino Depretis ordinò una nuova ondata di arresti che coinvolse quasi tutti i leader anarchici ancora in libertà, per poi passare a colpire la base. Una circolare del ministero dell’Interno notificò a tutti i prefetti del regno che l’intento del governo era quello di distruggere la setta internazionalista, raccomandò che tutti i membri dell’Internazionale fossero posti sotto ammonizione e di vigilare attentamente per coglierli in violazione e deferirli all’Autorità competente”.

Il governo era convinto che l’applicazione diffusa dell’ammonizione avrebbe spezzato l’Internazionale, specialmente se – come notò il capo della polizia di Firenze – l’Autorità Giudiziaria si persuadesse una volta per tutte che gli aderenti alla setta non dovevano più essere considerati un partito politico, ma un insieme di malfattori. La polizia intraprendente non ebbe difficoltà a inventare una serie di accuse – linguaggio volgare, associazione con persone sospette, sospetto di furto e altri crimini contro la proprietà e le persone – per intrappolare un individuo preso di mira. E per condannare un anarchico per “contravvenzione alla ammonizione”, bastava scoprirlo mentre parlava con un altro compagno. Centinaia di anarchici caddero vittime dell’ammonizione in questo modo.

Il 16 febbraio 1880 la Corte di Cassazione di Roma stabilì che un’associazione internazionalista composta da cinque o più persone costituiva un’associazione di malfattori ai sensi dell’articolo 426 del codice penale. La sentenza della corte è stata una testimonianza del pregiudizio sociale della classe dirigente italiana; essa afferma apertamente che l’internazionalismo è solo una maschera sotto la quale si nasconde il malfattore comune. Le sentenze delle corti di Cassazione ebbero l’effetto di spogliare gli anarchici di ogni status giuridico di sovversivi politici e di esporli a tutto il peso della repressione statale come presunti malfattori. Nei successivi vent’anni – grazie all’insidia ineludibile fornita dall’articolo 426 (poi 248) del codice penale – il reato di costituire un’associazione di malfattori – divenne il randello con cui il governo colpì il movimento a suo piacimento. Migliaia di anarchici furono condannati al carcere e al domicilio coatto non per atti illegali e nemmeno per l’intenzione di commetterli, ma unicamente per le idee che professavano.

Nel 1880, tuttavia, le decisioni delle alte corti fornirono solo un tardivo colpo di grazia. Le precedenti ripetute ondate di arresti di massa, i molti mesi trascorsi in detenzione preventiva in attesa del processo, la completa impossibilità di svolgere attività politica derivante dall’ammonizione e la crescente diaspora di leader e militanti che sceglievano l’esilio piuttosto che la prigione avevano già avuto il loro pedaggio. La Federazione Italiana dell’Internazionale non esisteva più come organizzazione vitale.

Alla fine degli anni 70 dell’Ottocento l’anarchismo italiano era già in profonda crisi a causa soprattutto della repressione governativa. Negli anni successivi, tre fattori si combinarono per aggravare la crisi e impedirne la soluzione: la paura della persecuzione, ancora più intimidatoria ora che gli anarchici erano stati ufficialmente bollati come malfattori; l’esilio di leader chiave, in particolare Cafiero e Malatesta, capaci di energizzare e guidare; il dissenso e il caos causati dall’adozione da parte di Andrea Costa della tattica elettorale. Come risultato di questa crisi prolungata, il movimento anarchico conobbe una significativa trasformazione e declino tra il 1879 e il 1883, le cui caratteristiche più salienti furono la demoralizzazione, la paralisi generale dell’attività e la disintegrazione.

La debolezza organizzativa e l’estremismo ideologico stavano rapidamente diventando una funzione l’uno dell’altro, non sorprenderà quindi che proprio quando il movimento era meno capace di intraprendere un’azione diretta, gli appelli alla violenza fossero più frequenti. Questi appelli erano lanciati da anarchici veterani che erano diventati estremisti intrattabili, trasformati spiritualmente e intellettualmente dalla persecuzione, dalla sconfitta e dalla disillusione che avevano sofferto. Nella loro rabbia e frustrazione, percependo di essere in guerra non solo con lo Stato ma con l’intera società, questi anarchici divennero apostoli della violenza.

Articolando un approccio post-internazionale all’attività rivoluzionaria, in cui piccoli gruppi – ciascuno operante autonomamente come una cellula clandestina ma uniti dal loro unico scopo di violenza contro l’ordine costituito – questi apostoli della violenza avrebbero intrapreso continue guerriglie e atti terroristici contro persone e proprietà. Attentati come quello di Agesilao Milano al re borbonico Ferdinando II, o come quello di Felice Orsini all’imperatore Luigi Napoleone, facevano parte della venerata tradizione rivoluzionaria che il movimento internazionalista aveva ereditato dalla democrazia radicale. Finché l’Internazionale aveva mantenuto una parvenza di organizzazione e di vitalità, la teoria e la pratica rivoluzionaria avevano sempre enfatizzato l’insurrezionalismo, mentre il terrorismo rimase un fenomeno raro nel movimento anarchico italiano. Tra il 1880 e il 1881, tuttavia, l’apologia del terrorismo come strategia rivoluzionaria preferita divenne un luogo comune in molti circoli anarchici, specialmente tra gli esuli che avevano sofferto di più a causa delle persecuzioni e che erano sconvolti dai recenti eventi in Italia, soprattutto per la mancata rivolta delle masse. Gli atti di violenza individuale o clandestina di gruppo sembravano ormai l’unica opzione disponibile, l’unica alternativa alla completa impotenza. L’anarchismo italiano nel 1881 era sulla buona strada per diventare atomizzato, poiché sia i leader che la base rifiutavano i centri, le commissioni di corrispondenza, i piani generali e una miriade di altre attività associate all’organizzazione, tutto in nome dell’antiautoritarismo e della libera iniziativa. La rivolta permanente auspicata da Carlo Cafiero non divenne mai un programma d’azione per l’anarchismo italiano negli anni ’80 dell’Ottocento: era uno stato d’animo, che offriva sostentamento psicologico ai ribelli intransigenti bloccati spiritualmente e moralmente in una lotta impari contro lo stato e la società borghese.

Malatesta non condivideva la crescente avversione nei confronti dell’organizzazione del movimento ed era destinato a trovarsi in contrasto con molti vecchi compagni per i quali un’organizzazione nazionale affidabile rappresentava una minaccia autoritaria. Una forte opposizione alla proposta di Malatesta si fece sentire ancor prima della convocazione del congresso di Londra.

Circa quarantacinque delegati, che pretendevano di rappresentare cinquantamila membri, sessanta federazioni (esistenti principalmente sulla carta) e cinquantanove gruppi individuali, si riunirono a Charrington Street, a Londra, dal 14 al 20 luglio 1881. Erano presenti alcune delle figure più illustri dell’anarchismo: Malatesta, Merlino, Kropotkin, Louise Michel, Emile Gautier, Nicholas Chaikovsky, Johann Neve, Joseph Peukert. Erano rappresentate le tre correnti ideologiche del movimento in Europa e negli Stati Uniti: comunisti anarchici, collettivisti anarchici e individualisti. Il famigerato Serreaux, che fu poi accertato essere una spia, era un partecipante attivo e un portavoce non ufficiale dell’ala terroristica del movimento. L’anarchismo in tutta Europa aveva sperimentato più o meno le stesse avversità che avevano trasformato il movimento italiano e reagiva in modo simile: paura di persecuzioni, risposta esagerata ai leader disertori o inattivi (Brousse in Francia e Guillaume nel Giura) e disillusione per i progressi compiuti dal socialismo legalitario. Ad eccezione della Spagna, le grandi federazioni nazionali che comprendono le associazioni dei lavoratori si sono disintegrate o sono diventate inattive. Ciò che rimaneva era un insieme amorfo di piccoli gruppi legati solo dai loro ideali e da un comune timore dell’organizzazione. Il disincanto nei confronti delle classi lavoratrici per non essersi ribellate era ormai diffuso anche nel movimento anarchico. Così, piuttosto che continuare a sperare in sollevamenti popolari, la loro fede veniva riposta nell’attentato. La dinamite e il pugnale avrebbero sicuramente scosso l’ordine esistente. Date queste condizioni e atteggiamenti, quindi, la probabilità che il congresso di Londra potesse resuscitare un’organizzazione pubblica su larga scala basata sulle associazioni operaie era nulla. Il dibattito congressuale confermò tali premesse: preferendo rimanere ermeticamente chiusi nella loro torre d’avorio, per timore che fosse contaminato dall’autoritarismo, i delegati anarchici sacrificarono l’Internazionale sull’altare dell’autonomia locale e della libera iniziativa. Il congresso di Londra si concluse quindi con una sepoltura, non con una resurrezione. Da allora in poi, l’Internazionale si affacciò sulla scena europea solo come una sinistra apparizione, perseguitando politici e poliziotti soggetti a incubi di cospirazioni mondiali.

Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlino, che non favorirono mai il terrorismo e lo censurarono negli anni ’90 dell’Ottocento, non si opposero al cambiamento di strategia rivoluzionaria in questo periodo, almeno non pubblicamente. Così il movimento mancava di un efficace contrappeso al nuovo estremismo. La loro attenzione in quel periodo era piuttosto concentrata a combattere il socialismo legalitario, che si era avvantaggiato del tradimento di Andrea Costa.

Da un punto di vista di classe, terrorismo ed elettoralismo si equivalgono.

Mentre l’anarchismo ha come scopo la liberazione delle masse sfruttate da parte delle stesse masse, “l’emancipazione degli operai deve essere opera degli operai stessi” era scritto nel Preambolo degli statuti dell’Associazione Internazionale dei lavoratori), il terrorismo e l’elettoralismo affidano questa emancipazione a ristrette minoranze che libererebbero le masse senza un’attiva partecipazione da parte di queste ultime; l’uno con la violenza, l’altro con la scheda elettorale. Probabilmente sia Errico Malatesta che Francesco Saverio Merlino ritenevano la tattica elettorale più pericolosa, anche sul piano dei principi, rispetto alla pratica terrorista. Solo più tardi si resero conto che anche il terrorismo (il ravacholismo come si diceva allora) si poneva al di fuori del perimetro anarchico. Ma era ormai troppo tardi: le tendenze antiorganizzatrici, illegaliste, di disprezzo della lotta immediata si erano radicate all’interno del movimento e fu necessario un lavoro lungo e paziente per ricostituire una tendenza classista e organizzatrice.

 

Tiziano Antonelli

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