Il pacifismo a targhe alterne che vuole lasciare l’Ucraina in balia della Russia
Dal giorno dell’invasione dell’Ucraina la parola “pace” è stata invocata nelle piazze, nelle televisioni, nei giornali e nei social. Chi d'altronde potrebbe sostenere altro oppure volere la guerra?
Anche il voltafaccia di Trump e l’ambiguità con cui Putin ha rifiutato la tregua, sono motivati da entrambi in nome della “pace”. Lo stesso dibattito sulla necessità dell'Europa di avere una sua autonoma politica di difesa, e quindi di investimenti adeguati, avviene su diverse e spesso opposte concezioni di cosa significhi pace, di come si sia realizzata e di come vada assicurata nel futuro.
Tra i molti ad avere un'opinione opposta è utile segnalare Carlo Rovelli, per cui Trump ha persino un ruolo positivo nello scongiurare una possibile “Terza guerra mondiale” e una possibile forza di pace al servizio del disarmo globale.
Il tema della pace però non coincide in automatico con il pacifismo, così come il pacifismo è cosa diversa dalla nonviolenza. Chi nella Seconda guerra mondiale sconfisse il nazifascismo voleva la pace senza essere pacifista. Pannella, il politico che ha fatto proprio lo strumento della nonviolenza in Italia, delineava la differenza netta con il pacifismo.
Non esiste un movimento pacifista che abbia il monopolio della pace. Non esiste una risposta a cosa sia, essendo diversa per luogo, epoca e da chi lo organizza. Il pacifismo ha sempre avuto un'azione collettiva di massa all’opposto della nonviolenza che si realizza anche con azioni individuali di disobbedienza civile.
Si può però provare una suddivisione in “pacifismo assoluto” e “pacifismo relativo”.
Possiamo pensare il pacifismo assoluto come una teoria ed una pratica coerente, utopico ed intransigente senza compromessi di sorta. Potrebbe essere derivato da una idea nonviolenta originata da una filosofia o una corrente religiosa. Più difficilmente da una scelta politica. Rifiutare l'uso della violenza senza compromessi di sorta, fino all'estremo di essere disposti a subirla, si basa sulla fiducia che l'altro, il nemico, sia capace di compiere la stessa valutazione. Che attraverso la parola e l'ascolto si disarmi ogni conflitto.
Gandhi, durante la Prima guerra mondiale pensava che gli indiani dovessero contribuire alla difesa, poiché solo così avrebbe avuto senso chiedere uguali diritti come parte dell’Impero britannico. Il 12 dicembre del 1931 incontra Mussolini, che di lui dice “è un santone, un genio che usa la bontà come arma”. Verso Mussolini non nasconde ammirazione: “Molte delle riforme che ha fatto mi attirano, perché le ha fatte in nome e per l’interesse del suo popolo. Però le ha fatte col guanto di ferro e la costrizione”. Riconosce inoltre ai suoi discorsi un “nocciolo” di “sincerità e di amore appassionato per il suo popolo”, arrivando ad affermare che i suoi metodi non sono diversi da quelli di altri Stati democratici.
Dopo l’accordo di Monaco del 1938, che consegna la regione dei Sudeti alla Germania prima difende Francia e Gran Bretagna, e dopo invita la Cecoslovacchia a non chiedere il loro intervento armato fino a “perire disarmati”. Il 23 luglio del 1939 e il 24 dicembre del 1940 scrisse due lettere a Hitler chiamandolo “caro amico" invitandolo a fermare la guerra.
Rivolto ai britannici che si stanno difendendo dice: “abbandonate le armi che impugnate, [...] invitate Hitler e Mussolini a prendere ciò che vogliono della vostra bella isola, con tutto ciò che di grande e di bello contiene”. Vorrebbe offrire un appoggio morale e nonviolento alla resistenza britannica ma si trova contro gli stessi membri del congresso indiano. Media la sua opinione e afferma che l’India può partecipare alla guerra solo se insieme alla libertà per gli inglesi si sarebbe affermata la libertà per gli indiani.
Quello di Gandhi è un percorso complesso e non lineare che, soprattutto quando attiene all’India, individua delle mediazioni ma progressivamente lo porta a una radicalità utopica della nonviolenza.
La stessa Chiesa, che per secoli ha avuto le sue armate o benedetto quelle di altri, ha approfondito il tema del diritto alla difesa. Durante la guerra in Bosnia, Papa Giovanni Paolo II disse:
Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici, i processi previsti dalle convenzioni e dalle organizzazioni internazionali sono stati attuati e, nonostante ciò, le popolazioni stanno soccombendo sotto i colpi di un aggressore ingiusto, gli Stati non hanno più il “diritto all’indifferenza [...] I principi di sovranità degli Stati e di non ingerenza nei loro affari interni – che sono ancora di grande valore – non possono essere usati come paravento dietro cui è possibile torturare e uccidere.
Il 23 gennaio del 1994 durante l’Angelus affermò:
Non dobbiamo rassegnarci! Agli organismi competenti rimane la responsabilità di non tralasciare nulla di quanto è umanamente possibile per disarmare l'aggressore e creare le condizioni di una giusta e durevole pace.
Alexander Langer e Don Tonino Bello organizzano marce contro la Guerra del Golfo, ma si trovano impotenti davanti alla guerra in Bosnia e all’assedio di Sarajevo.
Langer, pacifista e nonviolento, promotore dell’appello L’Europa muore o rinasce a Sarajevo ricorda come chiedendo al Presidente francese Chirac per impedire i massacri e l’assedio di Sarajevo fosse invitato a non dividere il conflitto in buoni e cattivi.
Don Tonino Bello, nel dicembre del 1992, dopo essere stato a Sarajevo “tornò pieno di dubbi, e non li nascose, aveva vissuto con acuto dolore l’impotenza della pura proclamazione della pace, non se la sentiva di dare o escludere indicazioni operative, era sicuro di una cosa: che la pace, per affermarsi, ha bisogno anzitutto di persone pacifiche e mezzi pacifici”.
Langer era convinto della possibilità di evitare ogni intervento armato, ma fu posto di fronte al dilemma di come impedire che l’uso della guerra costringesse i più deboli e indifesi a soccombere. Visse l'impossibilità di risolvere quel contrasto mettendo fine alla sua vita. Nel 2021 Alexander Langer è diventato cittadino onorario di Sarajevo.
Sono tre esempi diversi che non tracciano una conclusione coerente, se non il dilemma che queste persone ebbero di fronte alla guerra e all’azione nonviolenta. Il pacifismo assoluto è quindi un'opzione utopica, mai messa in pratica in uno scenario bellico dove potrebbe arrestarsi davanti a una volontà opposta, contro la quale il diritto alla difesa non può non essere preso in esame.
Un pacifismo assoluto non può essere invece usato strumentalmente, diventare un escamotage per non decidere chi ha violato le regole del diritto internazionale o quale in un conflitto è la parte che va difesa e sostenuta. Aiuta queste riflessioni il libro di Norberto Bobbio Una guerra giusta? scritto dopo l’inizio della prima guerra del Golfo, e dove il filosofo risponde al quesito se quella guerra fosse giusta o ingiusta, se fosse efficace o inefficace. Approfondisce temi quali la sua proporzionalità nella risposta e i limiti per riconfermare il principio di legittimità.
Il pacifismo relativo è all'opposto un pacifismo portato direttamente all'interno di più ampie scelte politiche e ideologiche. Ovviamente quando non ci sono guerre il pacifismo non genera un dibattito essendo la pace un principio, un valore assoluto. Ritorna solo quando lo si vuole contrapporre, con la sua aura di purezza, in opposizione a un fatto contingente che avviene. Dichiararsi pacifisti, individualmente o per mezzo di organizzazioni politiche o sociali, significa quasi sempre porsi immediatamente in ogni dibattito al di sopra, in una posizione di vantaggio anche psicologico.
Chi si dichiara pacifista vuole la pace. Chi non lo è cosa vuole se non il suo opposto ovvero una guerra? Lo schema è insieme brutale, semplice e anche persuasivo.
Prima della Seconda guerra mondiale gli Stati avevano tutti un ministero della guerra e spesso un ministero per ogni forza armata. La guerra era considerata non una eventualità remota, ma un'opzione inevitabile del proprio paese. Si era sempre pronti alla guerra che era il meccanismo naturale a cui anche i popoli erano preparati. La guerra faceva parte della vita delle persone.
Dopo la Seconda guerra mondiale il cambiamento è stato radicale. Oggi esistono solo ministeri della Difesa (mai con militari al comando) e il loro ruolo è subordinato alla politica.
Da ottanta anni nei paesi che fanno parte dell’Unione Europea abbiamo vissuto un periodo di pace nel primo periodo della sua storia senza guerre entro i confini. La domanda è: perché? Perché questi decenni sono il risultato profondo, insieme politico e filosofico, di una azione umana che ha costruito un nuovo diritto internazionale e una comunità istituzionale nata per raggiungere l'obiettivo della pace.
Organismi e strumenti imperfetti e che non hanno debellato il ricorso alla guerra nel mondo, ma che pure hanno costituito un cambio di paradigma e hanno retto un’idea diversa di civiltà, una promessa realizzabile.
Storie e culture diverse, ma certo il frutto di una lunga epoca sanguinosa da superare e che ha fatto nascere scelte e volontà di pace fin dalle intuizioni del Manifesto di Ventotene per l'Europa libera e unita.
La guerra non doveva più essere lo strumento di soluzione dei conflitti, economici o territoriali o religiosi, tra gli Stati. Per impedire il ripetersi delle guerre tra le Nazioni bisognava associarle in qualcosa di più grande. Non un destino nazionale ma europeo e sovranazionale.
Il pacifismo del dopoguerra è stato invece uno strumento politico nettamente schierato. I Partigiani della pace usavano il lessico della pace, ma trovavano una sua collocazione politica sia dentro i paesi del blocco sovietico sia nei movimenti politici e nazionali, armati, del terzo mondo. Il pacifismo organizzato è stato collaterale a organizzazioni politiche o sociali o religiose e ha sempre scelto quali guerre avversare,meritevoli della protesta, e quali ritenere legittime o da giustificare.
L’occupazione della Crimea nel 2014 e l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022 hanno rotto decenni di pace e anche di guerra fredda. Una guerra in cui la Russia ha finalità coloniali e imperiali che riportano ai miti sia zaristi che sovietici.
Da subito il movimento pacifista ha scelto con estrema ambiguità di parlare di pace senza però chiarire chi aveva violato quella pace. Non solo non scegliendo da che parte stare, ma non dando un giudizio sulle responsabilità della guerra, oppure ponendolo tra molti “ma”.
Secondo questa prospettiva, usando concetti da pace assoluta, gli ucraini dovrebbero usare la nonviolenza e paesi come l’Italia non dovrebbero dare armi per difendersi e quindi favorire la guerra. Oppure si relativizza talmente il concetto da finire per usare gli stessi argomenti della propaganda russa.
Motivazioni che hanno resistito a qualunque obiezione e vengono ripetute ancora oggi. Dal “colpo di Stato del 2014”, alle minoranze russe represse, all’allargamento della NATO, al governo nazista, alla pace impedita ora da Zelensky, ora da Biden, ora da Boris Johnson.
Se la collocazione ideologica ha sempre e solo avversato l'occidente, risulta conseguente non vedere le responsabilità in altri Stati anche di fronte a una invasione. Così mentre si nega il diritto dell'Ucraina di difendersi non si chiede alla Russia di ritirarsi o di non usare armi iraniane o soldati della Corea del Nord.
La stessa freddezza che ha accolto la possibile tregua di un mese è un segnale inequivocabile. “Cease fire” per Gaza, ma silenzio per l’Ucraina e nessun sit-in di fronte all’ambasciata russa.
Nello stesso momento due richieste opposte, ma coerenti nella visione di un pacifismo relativo che si nutre di una propaganda antioccidentale. In questi tre anni abbiamo visto identiche posizioni così sovrapponibili da non poter distinguere sia di movimenti di destra che di sinistra o populisti. Non esiste in Italia un movimento di massa che invochi il diritto internazionale per la lettura di conflitti, guerre e occupazioni, ma solo un suo arruolamento selettivo su base ideologica".
Sono parte - volontaria o meno - di una diversa guerra, quella ibrida condotta dalla Russia, per costruire consenso nell’occidente. Persino scelte nonviolente quali le sanzioni economiche sono bollate come inutili e controproducenti. Vi è evidente una oscillazione tra un pacifismo assoluto,“che dovrebbe essere sempre tale senza distinzione di luogo, tempo e soggetti coinvolti” e uno relativo, conseguenza invece delle scelte ideologiche o elettorali di chi le compie.
Una coerenza che vorrebbe imporre ad altri popoli la fine di una guerra al costo di perdite territoriali, sacrificando di fatto la propria indipendenza fino a giustificare le ragioni dell'invasore.
Una incoerenza, sostenuta da una schiera di intellettuali di varia provenienza, che prima non ha creduto all'invasione e dopo ha attinto alle colpe “dell’occidente globale” come definito da Putin.
Non è la NATO o l’Unione Europea che è andata a est. Ma è quell'est che è voluto diventare parte dell'Europa consapevole del proprio tragico passato uscendo dal dominio sovietico. In questo quadro è avvenuto il ribaltamento del ruolo e delle politiche degli Usa che vedono nell'Europa un nemico, arrivando a parlare di “annessione” della NATO per paesi come Finlandia e Svezia.
Gli avvenimenti dal 2022 a oggi hanno posto l’Europa davanti alla aggressività militare della Russia e a quella commerciale degli Stati Uniti, paesi che sembrano voler costruire e condividere un rapporto che implica la quasi esclusione della Ucraina e dell’Europa.
Di fronte a uno sconvolgimento della storia l’Europa deve rapidamente decidere su temi su cui ha costruito il suo ruolo e le sue alleanze economiche e militari. Rapporti economici, regole commerciali, sistemi di difesa quali la NATO non sono oggi punti certi e non sarà facile capire come si muoveranno gli Stati Uniti.
Il tema della difesa è già diventato quello più urgente su cui gli stati e le opinioni pubbliche saranno costretti a confrontarsi e decidere. Oggi la Russia, su un bilancio statale di circa 400 miliardi di euro, ne destina 120 alla difesa. In Italia, invece, ne vanno circa 30 su 900 miliardi.
L'Europa deve avere un'idea politica che leghi difesa e pace non solo se e quanto spendere. Lo hanno compreso i paesi confinanti con la Russia, a partire da quelli come la Moldavia, i Paesi Baltici, i Paesi Scandinavi (storicamente neutrali) e la Polonia. Una pace che difenda la nostra Europa mentre gli Stati Uniti ogni giorno stanno aggiungendo un mattone verso uno stato autocratico e illiberale, persino con minacce dirette a paesi come la Danimarca, attraverso i reiterati discorsi di Trump sull’annessione della Groenlandia.
Questa pace non può basarsi su falsi imitatori di Gandhi, dopo aver passato una vita ad emozionarsi e per ogni guerra di liberazione compresa la Resistenza, che nella migliore delle ipotesi si fermerebbero a scrivere una lettera al caro Putin, o a usare il pacifismo come argomento di propaganda anti-europea.
La bandiera europea sventolava come vessillo identitario delle manifestazioni dei mesi scorsi in Georgia. Qualcuno pensa che sognano l'Europa come continente di guerra, o perché spazio di pace e democrazia opposto alla ideologia militare e nazionalista russa?
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