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Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

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Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

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A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

L'articolo Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione proviene da .

Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

L'articolo Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione proviene da .

Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

L'articolo Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione proviene da .

Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

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Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

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Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

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Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

L'articolo Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione proviene da .

Mentire con le statistiche: dati ISTAT e occupazione

A dicembre 2024 gli occupati, stando ai dati Istat, erano superiori a quelli di un anno prima, con un aumento di 274 mila unità e una crescita in percentuale del tasso di occupazione pari allo 0,3%. Per alcune fasce di età, specie i giovani, l’occupazione era invece in sostanziale decrescita e questo solo dato dovrebbe indurre a riflettere sul fallimento dei percorsi di formazione e orientamento, delle politiche attive in generale.

Ma si sa, da sempre, che le statistiche da sole non sono di aiuto specie se non riescono a distinguere tra occupazione stabile e precaria: pochissimi giorni di impiego annui vengono considerati alla stessa stregua di un contratto a tempo determinato pari a 3 mesi e perfino a uno indeterminato.

Ma ad onor del vero le rilevazioni di fine 2024 parlavano di piccola contrazione del lavoro autonomo, di vistoso calo del tempo determinato e ripresa dell’indeterminato quindi, alla luce di questi dati, ha forse ragione il governo Meloni a cantar vittoria?

La prima osservazione riguarda il numero degli anziani che trovano lavoro dopo averlo perso, il che induce a riflettere come la ricerca di personale specializzato da impiegare prontamente in ambito produttivo sia pur sempre l’opzione preferita ai processi, lunghi e costosi, di indirizzo, formazione e aggiornamento. Insomma, i posti di lavoro aumentano soprattutto nella fascia over 49 o tra gli under 30 dove le assunzioni presentano costi decisamente vantaggiosi per le imprese, tra sgravi fiscali, contratti di apprendistato e altro ancora.

Un po’ come accade con la mobilità nella Pubblica amministrazione, alla fine non si promuove nuova occupazione e permangono gli iniqui tetti di spesa in materia di personale che poi condannano la PA ad avere la forza lavoro più anziana, e tra le meno pagate in assoluto, della Ue.

C’è poi un’ulteriore considerazione che meriterebbe di essere studiata ossia i salari italiani che al cospetto degli altri nei paesi Ue calano da oltre 30 anni, un calo in potere di acquisto con i rinnovi contrattuali sempre al di sotto della inflazione. Dopo lustri, a forza di perdere potere di acquisto, il divario salariale italiano rispetto a quello Ue inizia a farsi preoccupante ma questa notizia non viene riportata perché non accresce la popolarità degli esecutivi.

E allora per giustificare politiche fiscali e lavorative fallimentari (la tassa piatta, la decontribuzione,    i contratti adeguati al codice Ipca che in tempi di crescita delle tariffe energetiche palesa tutti i suoi limiti) si stanziano risorse pari a un terzo della inflazione nella Pubblica amministrazione, si scambiano aumenti economici con benefit e continuo ricorso al welfare aziendale, si punta tutto sui contratti di secondo livello che rappresentano alla lunga un’arma a doppio taglio perché accrescono la produttività, alimentano le deroghe ai già inadeguati contratti nazionali e scambiano salario con servizi alle strutture private, il che alimenta la spirale dello smantellamento dei servizi pubblici.

Torniamo, per chiudere, sugli occupati ma non prima di avere evidenziato due criticità ossia l’imminente riconversione di parte dell’industria a fini di guerra che porterà certo un incremento occupazionale, come accadde negli Usa e nella Germania di un secolo fa. E ammesso, ma non concesso, che produrre armi sia una soluzione, non viene spiegato che a guadagnarci saranno non i lavoratori e le lavoratrici ma le multinazionali del settore che hanno visto crescere i loro titoli azionari del 50% in pochi mesi, a conferma che la spirale speculativa-finanziaria è complementare ai processi di militarizzazione.

Un anno fa, quando si parlava di riconversione dell’economia a fini green, analisti e statistici davano per scontato che la perdita occupazionale sarebbe stata rilevante, i cantori del nuovo mondo sono sovente poco avvezzi a fare i conti con la vita reale.

Secondo il report di Exclesior e Unioncamere “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)” nei prossimi tre anni i lavori più richiesti saranno quelli di alto profilo, come dirigenti, specialisti e tecnici. Ma tra numeri chiusi per l’accesso a molte facoltà universitarie, politiche attive del lavoro carenti e inefficaci, business della formazione con poche ricadute positive, siamo certi di essere capaci di rispondere positivamente a queste sfide? La tendenza degli ultimi anni, con gli stages scuola lavoro, è stata spesso quella di impiegare per settimane studenti in lavori di bassa manovalanza (sottraendoli a ore di insegnamento), quando era stata decantata una nuova era nella quale i giovanissimi avrebbero imparato un lavoro acquisendo competenze da spendere dopo il diploma. Pochi sono i posti di lavoro creati in questi anni dagli stages scuola lavoro e sovente a tempo determinato.

Chiudiamo con il rapporto tra immigrazion e occupazione: gli stranieri in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano circa il 10 per cento del totale degli occupati, con un tasso di occupazione identico a quello degli autoctoni ma con innumerevoli attività lavorative meno pagate. In un paese nel quale il permesso di soggiorno è legato ad un contratto di lavoro sovente accade di accettare condizioni retributive non dignitose, ed è per questa ragione che un crescente numero di migranti oggi presenta una coscienza di classe maggiore di quella degli italiani specie nei magazzini della logistica.

Permane poi la cosiddetta disparità di genere: le donne migranti hanno tassi di occupazione (47,5%), disoccupazione (15,2%) e inattività (43,8%) sensibilmente peggiori rispetto agli uomini. Lo stesso discorso, pur con percentuali differenti, vale anche per donne e uomini italiane, sia sufficiente ricordare che i posti da coprire per gli asili nido sono pari al 15% dei bambini e delle bambine sotto 3 anni quando la media europea è sopra il 33 per cento. E a rimetterci sono soprattutto le donne alla ricerca di un impiego: qui entrano in gioco altri fattori come la inadeguatezza del welfare, fermo alle famiglie monoreddito e con una popolazione sempre più vecchia. Ma di questo, e di molto altro, parleremo in un’altra occasione.

Federico Giusti

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