Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità
Il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media Ue ed è il valore più basso tra i 27 paesi dell’Unione.
Pur avendo raggiunto il suo massimo livello, il tasso di occupazione femminile è cresciuto in Italia meno rispetto alla media Ue: 6 punti dal 2008 al 2024 in confronto a 8,6 punti in Europa.
Il gap di genere nel tasso di occupazione è quasi il doppio della media Ue: 17,4 punti contro 9,1 punti.
Ad ampliare ulteriormente i divari con l’Ue si aggiungono le marcate disparità territoriali: mentre tutte le regioni del Nord e del Centro, tranne il Lazio, hanno raggiunto l’obiettivo previsto dalla Strategia di Lisbona 2010, pari al 60%, nessuna regione meridionale ha raggiunto il target europeo.
E’ quanto evidenzia il recente Rapporto CNEL-ISTAT “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità”.
La crescita che si è avuta dal 2008 al 2024 è dovuta però soprattutto al segmento delle ultracinquantenni: mentre l’aumento per le over50 raggiunge i 20 punti, per le 25-34enni si ferma a 1,4 punti.
Quanto al divario di genere, in questo caso si accentua a sfavore delle donne nelle classi di età più avanzate, attestandosi a 12,1 punti per i più giovani e a 22,9 punti nella fascia più adulta.
Le differenze si accentuano ulteriormente nel Mezzogiorno, dove la distanza tra i tassi di occupazione femminile e maschile passa da 14,2 punti per classe 15-34 anni a quasi il triplo per le 50-64enni (33,1 punti in meno rispetto agli uomini).
Mentre tra gli uomini – evidenzia il Rapporto CNEL-ISTAT – circa sette occupati su dieci possono contare su un lavoro standard (dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti), tra le donne sono in questa situazione poco più della metà delle occupate (53,9%).
Quasi un quarto delle donne che lavora presenta uno o più elementi di vulnerabilità (dipendente a tempo determinato, part time involontario, ecc.), contro il 13,8% gli uomini.
Risultano più spesso vulnerabili le lavoratrici giovani (38,7%), residenti nel Sud (31,2%), con bassa istruzione (31,7% per le donne che hanno fino alla licenza media) e straniere (36,5%).
Il Rapporto mette in luce anche la diminuzione delle famiglie monoreddito: tra il 2008 e il 2023 è calata di oltre sei punti la quota di coppie in cui solo l’uomo lavora, provvedendo alle necessità finanziarie della famiglia (dal 33,5 al 25,2%).
Nel confronto europeo l’Italia si colloca al terzo posto (dopo Grecia e Romania) per diffusione del modello monoreddito maschile e comunque lontana dalla media Ue del 16,1%.
Risultano invece in aumento nel nostro paese le coppie paritarie, in cui entrambi i partner lavorano e hanno redditi da lavoro di livello simile (dal 27,8 al 29,8%).
E nelle coppie paritarie si ha un maggior benessere.
Vivere in una coppia in cui i partner contribuiscono in egual modo al proprio reddito – rivela lo studio CNEL-ISTAT – migliora il benessere soggettivo: il 63% dei partner di coppie paritarie si dice molto soddisfatto della vita, a fronte di percentuali di circa il 40% dei partner di coppie monoreddito maschile.
La stima con un modello logistico della probabilità che la donna in coppia sia soddisfatta della vita indica che, anche a parità di altre condizioni, sono avvantaggiate le donne che vivono in una coppia paritaria, poiché vivere nelle altre tipologie di coppia si associa a una minore probabilità di essere soddisfatte della vita.
Il 69,3% delle donne che vivono da sole – si apprende dal Rapporto CNEL-ISTAT – ha un impiego, percentuale che scende al 62,9% tra le madri sole e al 57,2% tra le madri in coppia.
Viceversa, tra gli uomini il tasso di occupazione per i single è di circa il 77% e arriva all’86,3% per i padri in coppia.
Tra i 25 e i 34 anni meno della metà delle madri risulta occupata.
Le disparità a livello territoriale appaiono molto importanti, legandosi anche alla diversa disponibilità di servizi per la prima infanzia: mentre nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%.
Sono invece 600mila le donne inattive che non cercano lavoro perché scoraggiate.
Le disoccupate sono poco meno di un milione e quelle “di lunga durata”, cioè in cerca di lavoro da un anno o più, corrispondono al 54,3%.
Le inattive sono oltre 7,8 milioni e per un terzo a causa di motivazioni familiari.
Quasi 600 mila donne non cerca lavoro perché scoraggiata, in quanto convinta di non riuscire a trovare un impiego. Grazie al maggiore investimento in formazione – afferma il Rapporto CNEL-ISTAT – le donne in Italia sono mediamente più istruite degli uomini.
Il 68% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica, contro il 62,9% degli uomini. Il 24,9% è in possesso di un titolo terziario, contro il 18,3% degli uomini.
Ma questo non si traduce in un vantaggio lavorativo.
Permane una marcata segregazione orizzontale: circa la metà dell’occupazione femminile risulta concentrata in sole 21 professioni, mentre per gli uomini questo valore raggiunge ben 53.
E anche la segregazione verticale (“tetto di cristallo”) continua ad essere una realtà.
In Italia, le parlamentari donna – sottolinea lo studio CNEL-ISTAT – sono il 33,6%.
La quota di donne elette nei consigli regionali si ferma al 24,5%.
Per quel che riguarda le imprese, solo il 28,8% è a conduzione femminile.
La quota di imprenditrici è comunque in crescita, in tutte le classi di età, ma soprattutto tra le under 35 (+2,3 punti).
Qui per scaricare il Rapporto CNEL-ISTAT “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità”:
https://www.cnel.it/Portals/0/CNEL/Comunicazione/PROGRAMMI%20EVENTI/Cnel_Istat_Il%20lavoro%20delle%20donne%20tra%20ostacoli%20e%20opportunit%C3%A0.pdf?ver=2025-03-06-101631-840×tamp=1741256197000.