L’inganno del riarmo europeo
parte prima: l’impossibile deterrenza
Da quando i ministeri della guerra dei singoli Paesi sono diventati, con buona dose di ipocrisia, “ministeri della difesa”, il riarmo e la crescita delle spese militari vengono mistificati come necessità per opporsi al “cattivo” che ovviamente è sempre “l’altro”. Questa è anche la logica della UE che vuole riarmarsi per opporsi al presunto pericolo che viene dalla Russia.
Va detto che purtroppo questa ipotesi, dichiarata come “deterrenza”, gode di una certa credibilità nell’opinione pubblica, forse perché richiama il vecchio “equilibrio del terrore” che si determinò all’epoca della guerra fredda.
Noi, al contrario, restiamo fedeli alla pace incondizionata e all’idea del disarmo unilaterale, come unica condizione di umanità e progresso civile. E se un nemico più forte attacca si reagisce con la forza della resistenza popolare che può essere strategicamente vincente contro qualunque nemico, come dimostrano il Vietnam e l’Afghanistan che hanno rispedito a casa gli Usa, vale a dire l’esercito di gran lunga più attrezzato e più forte del mondo.
Mi rendo conto, tuttavia, che la mia è una posizione etica e di principio che sicuramente non avrà convinto i “pragmatici” sostenitori della “deterrenza”. A questo punto, allora, con una “finzione retorica”, assumiamo (senza credervi) il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi per mostrare che anche in questo caso, si giunge a conclusioni assurde sul piano logico e irreali sul piano pratico. La deterrenza europea è in sostanza, e innanzitutto, un inganno propagandistico.
Partiamo intanto da un paio di premesse.
Innanzitutto non si capisce che senso ha parlare di riarmo del nostro continente se si considera il fatto che l’UE, più i paesi europei della NATO, Regno Unito in testa, spendono già oggi in armamenti quattro volte più della Russia e decisamente più di Russia e Cina messe insieme.
Seconda considerazione: quale interesse potrebbe avere la Russia ad attaccare l’Europa? Stiamo parlando del paese col territorio più vasto del mondo e con enormi ricchezze naturali, ma con una esigua popolazione di appena 143,8 milioni di abitanti (al 2023). Attaccare l’Europa per vincerla e controllarla sarebbe semplicemente un suicidio. Inoltre non credo proprio che gli Usa, malgrado le follie di Trump, se ne starebbero tranquilli a guardare, e neppure i paesi del BRICS+, attuali alleati della Russia, credo accetterebbero in silenzio una tale evenienza.
Ma sorvoliamo anche su tutto questo.
La deterrenza europea resta una impossibile utopia per almeno due ragioni. La prima è che l’Europa è un insieme differenziato di Stati, seppure alleati, e non avrà mai un esercito unico e un comando unificato se non in condizioni estreme che tuttavia non possono essere predeterminate in tempo di pace, seppure di “pace armata”. Questa è una debolezza che non può essere superata.
La seconda questione riguarda la inadeguatezza tecnologica degli armamenti che l’Europa può, e con ogni probabilità potrà in futuro, mettere in campo. Partiamo dalla deterrenza nucleare. In Europa possiedono armi nucleari il Regno Unito (225 testate) e la Francia (280 testate), a fronte delle 4380 della Russia. Qualcuno dice però che non conta il numero, ma il solo fatto di averle, e allora non si capisce perché l’Europa dovrebbe riarmarsi anche con armi convenzionali. Qualcun altro dice che non è così, e allora bisognerà prendere atto che le capacità d’impiego (tramite missili da terra, bombardieri dal cielo e sottomarini dal mare) sono nettamente inferiori a quelle dei russi. Per quanto riguarda, poi, gli armamenti convenzionali resta una evidente arretratezza tecnologica dell’Europa soprattutto per quanto concerne le telecomunicazioni e la guerra aerea.
L’unica soluzione, a meno di non volere scommettere sui tempi lunghi, sarebbe quella di rivolgersi agli Usa, che tuttavia non credo siano disponibili a condividere il meglio a loro disposizione, a meno di non mantenerne il controllo a distanza potendone attivare o disattivare i dispositivi d’impiego in qualsiasi momento.
Se dunque il riarmo europeo è sul piano militare qualcosa di assolutamente senza senso, cosa altro si nasconde (se si nasconde) dietro una tale ipotesi?
parte seconda: riarmo ed economia
Il progetto del riarmo europeo prevede una spesa di 800 miliardi per i prossimi quattro anni, di cui 150 a carico della Comunità Europea, e i restanti 650 da addebitare ai singoli Stati dell’Unione, senza tuttavia contabilizzarli entro le regole del “patto di stabilità”. In pratica una truffa a tutti gli effetti! Infatti: la possibilità che viene concessa ai singoli paesi di poter spendere in armamenti senza avere sul collo il fiato della Banca Centrale Europea e dei burocrati di Bruxelles, non significa che quelle cifre non andranno ad incrementare ulteriormente il debito pubblico, con effetti letali per i paesi maggiormente indebitati come l’Italia.
Il risultato sarà un ulteriore taglio alla spesa sociale che corrisponderà in pratica alla quasi completa dismissione del servizio sanitario nazionale e del servizio scolastico, già oggi fortemente in crisi. A ciò si aggiungano, inoltre, le gravi penalizzazioni che riguarderanno il sistema previdenziale e assistenziale.
Chi avrà tutto da guadagnare da questa situazione sarà innanzitutto la Germania, che non avrà solo la possibilità di spendere di più rispetto ai paesi più indebitati, ma che potrà ribadire il suo ruolo di preminenza politica in ambito continentale, riaffermando con forza quale collante dell’Unione il “ricatto del debito”, da fare valere come in passato nei confronti dei consociati. Da questa situazione, però, i nostri vicini tedeschi potrebbero ricavare non solo vantaggi politici, ma anche nuove opportunità per rilanciarsi sul piano economico.
La Germania si trova al momento in una condizione di grave recessione economica. La perdita del gas russo da acquistare a prezzi molto vantaggiosi è venuta a coincidere e a sommarsi con la crisi dell’auto, da sempre considerato il punto di forza dell’economia teutonica. Si tratta di una difficoltà globale del settore a cui si aggiunge il fatto che le aziende tedesche hanno praticamente perso la battaglia strategica intorno all’auto elettrica nei confronti dei competitori statunitensi e cinesi.
Non è dunque un caso che il nuovo governo tedesco, appena insediato, in perfetto accordo con i burocrati di Bruxelles, abbia pensato alla nuova economia di guerra come ad un grande piano di riconversione produttiva, che prevede la trasformazione dell’industria dell’auto in industria bellica.
Per la Germania, ciò che a me pare veramente in ballo, più che una questione puramente militare, è l’esigenza di rilanciare quel ruolo di preminenza economica che da sempre è stato costitutivo della stessa Unione Europea, e che vedeva l’economia tedesca dominare i mercati continentali, ridotti ad una sorta di suo mercato interno grazie all’uso della moneta unica. Come sempre la guerra è un ottimo mezzo per fare profitti.
Un’ultima questione: poiché la geopolitica è un mondo in continuo divenire e nessuno può dire con certezza cosa ci riserverà il futuro, è pure possibile (per me anche pressocché certo, ma su questo non voglio insistere) che “il pericolo russo” venga archiviato tra qualche anno come una preoccupazione del passato. Siamo sicuri che a quel punto la Polonia e la stessa Francia saranno così contente di avere ai loro confini una Germania armata fino ai denti? (Lo dico come motivo di riflessione pure per quanti, anche agitando in modo strumentale il Manifesto di Ventotene, immaginano un’Europa unita e armata. Anche noi siamo per una “fratellanza” tra i popoli, ma senza armi e senza frontiere. Una circostanza che, tuttavia, non immaginiamo probabile in tempi brevi).