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Politica

Sardegna: nuove adesioni a Sa Manifestada contra a su colonialismu energèticu

Il prossimo 1° marzo si terrà a Quartu Sant’Elena (CA) una Manifestada contra a su colonialismu energèticu (Manifestazione contro il colonialismo energetico), che si inserisce all’interno delle mobilitazioni che da oltre due anni contrastano il piano di speculazione energetica imposto dal governo Draghi e proseguito dal governo Meloni senza consenso popolare: la costruzione di un maxi condotto elettrico affidato a Terna – il Thyrrenian Link – ai fini di collegare Sardegna e Sicilia al continente per il trasporto dell’energia prodotta sulle isole e l’occupazione di ettari ed ettari di terreni per l’installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici.

Ma gli speculatori e sciacalli della transizione energetica promossa dagli imperialisti UE in barba alla maggioranza della popolazione sarda, non hanno tenuto conto della resistenza popolare. Un’isola vessata da decenni dall’occupazione militare (un quarto del territorio soggetto a servitù militare) già inquinato dalle esercitazioni a fuoco dei paesi Nato, dallo smantellamento della sanità pubblica, dal degrado di intere aree industriali dismesse e abbandonate e, in particolare nel Sulcis e nella zona di Porto Torres, il pesante inquinamento ambientale dovuto alle ex miniere mai bonificate e al petrolchimico, non può più tollerare l’abuso della propria terra e lo sfruttamento dei propri lavoratori.

Le mobilitazioni che hanno infiammato la Sardegna, dall’ampio protagonismo popolare nella raccolta firme per la legge di iniziativa popolare “Pratobello24” fino ai blocchi stradali per impedire il trasporto delle pale eoliche, ai presidi di occupazione delle terre soggette a esproprio così le decine di altre iniziative popolari che hanno attraversato la Sardegna (solidarietà al popolo Palestinese, lotta contro l’occupazione militare, lotta contro lo smantellamento della sanità pubblica e del tessuto produttivo), dimostrano che una grossa fetta delle masse popolari sarde vuole un cambiamento radicale.

Cambio radicale promesso dalla stessa giunta regionale presieduta da Alessandra Todde e dalla “campo largo” M5S-PD che però, decisa a proseguire i programmi previsti dall’agenda Draghi in Sardegna, sputa letteralmente in faccia alle decine di migliaia di sardi che l’hanno votata, non accettando la vittoria politica che le oltre 210.000 firme raccolte per presentare la legge Pratobello24 hanno dimostrato: la giunta regionale “del cambiamento” o si rimette alla volontà e le indicazioni delle masse popolari oppure è lo zerbino del governo Meloni, degli speculatori che vogliono fare della Sardegna un banchetto con cui ingrassarsi, degli imperialisti Usa, dei sionisti, della Nato e della Ue. È negli interessi di questi padroni che sono imposte le grandi opere e le scorribande di speculatori e affaristi in Sardegna, nostrani o stranieri, non di quelli delle masse popolari sarde.

Allo stesso tempo, le 210.000 firme raccolte con la campagna Pratobello24 dimostra che solo le masse popolari organizzate possono fermare la fiera delle speculazioni e degli affari e che la Sardegna non ha bisogno di governanti zerbini delle autorità italiane e delle multinazionali.

La mobilitazione contro la speculazione energetica deve alzare di tono tutte le mobilitazioni in corso in Sardegna, unirle sotto la parola d’ordine di cacciare la giunta Todde dal consiglio regionale e lo stuolo di partiti e individui che per anni hanno banchettato sulle spalle dei lavoratori sardi promettendo “autonomia” dallo Stato centrale ma asservendo sempre di più la Sardegna agli interessi delle multinazionali.

La mobilitazione contro la speculazione energetica deve unire le mobilitazioni in corso in Sardegna per imporre la costituzione di una giunta regionale di tipo nuovo che approfitta della crisi di governo e dello scontro interno al Consiglio regionale, composta da quegli organismi e individui che nel corso degli ultimi anni non hanno mai piegato la testa contro le autorità dello Stato italiano e contro gli interessi degli speculatori, che nella lotta hanno dimostrato di essere coerenti e di voler difendere e affermare i diritti delle masse popolari sarde.

Serve un nuovo governo della Regione Sardegna, che fa saltare il banco del gioco sporco con cui le multinazionali della “green economy” vogliono occupare la Sardegna e che metta mano a tutti gli altri problemi che l’Isola vive: dallo smantellamento del tessuto produttivo e dallo spopolamento ad esso collegato, all’occupazione militare e all’inquinamento da poligono, fino allo smantellamento della sanità pubblica.

Ma tutto ciò vuol dire innanzitutto combattere sfiducia, disfattismo e superare lo spirito di concorrenza fra partiti e organizzazioni politiche e sindacali in favore dell’unità d’azione, della concatenazione delle mobilitazioni e del coordinamento degli organismi che le promuovono. Solo unendo le forze di tutti verso un obiettivo comune è possibile sbarrare la strada alla classe dominante e cambiare la rotta.

Si tratta di applicare il principio per cui è legittimo tutto quello che va negli interessi delle masse popolari anche se è illegale: rendere ordinaria la violazione dei divieti e delle censure con cui le autorità borghesi cercano di impedire lo sviluppo della mobilitazione (ogni divieto è efficace solo se qualcuno lo rispetta). Far decadere il principio per cui le opere speculative proseguono sotto la giustificazione degli accordi già presi (ma da chi? Per quali interessi?) o per sbrigare “gli affari correnti”: gli accordi così come sono stati firmati possono essere stracciati!

Si tratta, infine, di superare la convinzione che l’unico ruolo che le masse popolari organizzate possono assumere verso il governo è quello di rivendicare, in un contesto e in una fase in cui, invece, l’unica alternativa realistica al marasma in cui siamo immersi è che le organizzazioni operaie e popolari si occupino direttamente di politica, di governo dei territori e di governo del paese: che assumano il ruolo di nuova classe dirigente, indipendentemente dalle tornate elettorali. Il presupposto per l’autodeterminazione delle masse popolari sarde passa attraverso la mobilitazione per la sovranità nazionale e popolare, per la costituzione di un nuovo governo dell’isola che risponda del suo operato direttamente agli organismi operai e popolari.

Redazione Sardigna

Filippine: Democrazia, memoria e riconciliazione di fronte al dilagante autoritarismo

39 anni fa, la Rivoluzione nonviolenta People Power che pose fine alla dittatura di Ferdinand Marcos segnò una svolta nella storia delle Filippine.

Nel 1983, il dittatore Ferdinand Marcos, sostenuto dagli Stati Uniti, ordinò l’assassinio del suo rivale Benigno Aquino e impose la censura dei media. Solo Radio Veritas sfidò l’oscuramento, scatenando proteste di massa settimanali. Nel 1986, messo alle strette, Marcos indisse delle elezioni lampo. Corazón Aquino, vedova di Benigno, si impose come leader dell’opposizione. Un esercito civile di 20.000 osservatori cercò di prevenire i brogli, ma Marcos dichiarò la vittoria. Nessuno gli credette. I legislatori abbandonarono il Congresso, i boicottaggi paralizzarono le sue aziende e la Chiesa lo condannò. Gli scioperi svuotarono strade e fabbriche. Una fazione militare tentò un colpo di Stato, ma Aquino insistette sulla resistenza pacifica.

Quando Marcos ordinò alle truppe di schiacciare il dissenso, il cardinale Jaime Sin invitò alla resistenza nonviolenta. Le suore si inginocchiarono davanti ai carri armati. I cittadini offrirono ai soldati riso, acqua e fiori. Le truppe si rifiutarono di sparare. Per tre giorni, il popolo paralizzò la nazione. Alla fine Marcos fuggì e Corazón Aquino assunse il potere.

Quel 25 febbraio non divenne solo la caduta di un dittatore, ma un simbolo della capacità del popolo di sanare vecchie ferite e di forgiare una pace democratica attraverso l’azione popolare.

Oggi le Filippine reagiscono al fatto che il presidente Ferdinand Marcos Jr. (figlio del dittatore spodestato) ha cancellato la commemorazione ufficiale di questa data dal calendario delle festività. Ciò solleva profondi interrogativi sull’evoluzione della riconciliazione nazionale, sulla politica interna e sulla memoria storica del Paese.

L’eredità di un passato doloroso e la ricerca della riconciliazione

La Rivoluzione del 1986 non solo ha rovesciato un regime autoritario, ma ha simboleggiato la chiusura di un capitolo sanguinoso. Per molti, rimane un trionfo della protesta pacifica, una società che ricostruisce la propria identità sulla libertà e sulla giustizia.

Il popolo filippino, con la sua diversità culturale e la sua storia di resistenza, ha ripetutamente dimostrato un impegno al cambiamento. Alcuni sostengono che l’elezione di Marcos junior, nonostante la sua controversa “eredità”, rifletta il desiderio collettivo di verificare se le vecchie ferite possano trasformarsi in dialogo tra le strade e le élite. Questo tacito consenso non è una cieca accettazione del passato, ma una scommessa sulla speranza: la convinzione che una nazione forgiata nella lotta possa reinventarsi.

Forse molti hanno considerato l’elezione di Marcos Jr. come un’occasione per guarire, dando fiducia al figlio del dittatore. In questo senso, forse la società mirava a separare l’uomo dalla colpa storica della sua famiglia. Il voto non riguardava tanto il passato quanto un esperimento di riconciliazione, in cui convergono memoria e speranza. Da una prospettiva nonviolenta, il vero merito è delle persone che hanno cercato di trasformare i retaggi autoritari in opportunità di cambiamento. Questo è certo.

Il “potere delle strade” e la trasformazione della memoria storica

La decisione di abolire la festività non può essere vista in modo isolato. Per quasi quattro decenni, scuole, università e gruppi come Pace e Bene hanno mantenuto viva la memoria attraverso strumenti educativi – persino pagine da colorare sulla nonviolenza – per insegnare alle nuove generazioni la rivoluzione. Questo sforzo riflette un’aspirazione collettiva a onorare i sacrifici fatti per la libertà.

Tuttavia, è sorprendente che un governo democraticamente eletto ometta una pietra miliare che simboleggia la vittoria dei cittadini sull’oppressione. Questo potrebbe essere visto come un brusco tentativo di “chiudere la ferita” senza una riflessione nazionale, cancellando una lezione storica fondamentale: la vera trasformazione sociale richiede il riconoscimento dei torti subiti in passato.

Per molti filippini, la cancellazione della festa impoverisce la memoria collettiva. Ci si aspettava che Marcos Jr. avrebbe abbinato le politiche di riconciliazione a gesti simbolici in onore della lotta del popolo. Spostando la commemorazione al lunedì successivo – riducendo l’impatto socioeconomico – avrebbe affermato lo spirito della rivoluzione come pilastro della democrazia. Non facendolo, il progetto di trasformazione del suo governo appare ambiguo.

L’ambivalenza di Marcos Jr: Espiazione o continuità di una “eredità familiare”?

Il dilemma di Marcos Jr. risiede nel suo complesso rapporto con l’eredità familiare. La sua elezione segnala la volontà popolare di superare la dittatura, ma azioni come la cancellazione della festività riecheggiano ombre autoritarie.

Questa dualità divide la società filippina. Alcuni ritengono che la speranza di cambiamento del popolo sia genuina, confidando che le élite abbiano abbracciato la riparazione. In quest’ottica, l’elezione di Marcos Jr. è uno sforzo collettivo per trasformare il dolore in un futuro migliore.

I critici, tuttavia, sostengono che senza gesti simbolici o riforme strutturali, l’espiazione storica rimane vuota. L’annullamento della festività costituisce un pericoloso precedente. Non riprogrammarla – nonostante il minimo disagio socioeconomico – è visto come una riscrittura della storia, che mette a tacere i combattenti per la libertà.

Questo solleva domande più ampie: Le Filippine stanno soccombendo alle vecchie strutture di potere e alle influenze esterne, come la geopolitica statunitense, o stanno vivendo un vero e proprio rinnovamento? La risposta non è chiara e i timori di un regresso alimentano l’incertezza dell’opinione pubblica.

Un parallelo globale: Autoritarismo, poteri sospetti e l’era oscura della sorveglianza tecnologica

La situazione filippina rispecchia una tendenza globale. Negli ultimi due anni, la deriva autoritaria è aumentata in tutto il mondo.

Come notano Levitsky e Ziblatt in “Come muoiono le democrazie”, le democrazie moderne non crollano a causa di colpi di stato, ma grazie a leader eletti che svuotano le istituzioni, arricchiscono le élite e i ricchi patologici e soffocano le libertà. L’Ungheria, la Polonia e l’Italia, insieme a molti altri Paesi dell’America Latina e dell’Asia, riflettono questo spostamento verso il governo degli uomini forti e la disuguaglianza.

Nel frattempo, i progressi della sorveglianza tecnologica consentono ai governi di reprimere il dissenso in modo efficiente. Entro il 2025, i droni e l’intelligenza artificiale potrebbero sostituire facilmente la polizia di strada, soffocando la libera espressione. In questo contesto, l’abbandono della festa della democrazia nelle Filippine indica la volontà di sacrificare la memoria storica per una “stabilità” a vantaggio delle élite, una stabilità che genera il caos.

Riconciliazione o regresso  – uno sguardo critico sul futuro delle Filippine

Il paradosso filippino sta nell’equilibrio tra speranza e scetticismo. L’elezione di Marcos Jr. è stato un atto di fede nel superamento dell’autoritarismo. Tuttavia, cancellare la commemorazione senza compromessi suggerisce la persistenza delle vecchie strutture di potere.

A livello globale, la lotta contro il potere concentrato e la sorveglianza definisce la nostra epoca. La sfida delle Filippine è duplice: dimostrare che la riconciliazione è autentica e garantire che la trasformazione democratica non sia dirottata da interessi autoritari.

I filippini, con la loro eredità di resistenza pacifica, potrebbero creare un precedente in cui la memoria e la riconciliazione sono alla base della vera democrazia. Ma questo richiede che i leader, le élite e la società agiscano all’unisono, ricordando che il potere risiede nelle strade e nella capacità collettiva di trasformare la storia in giustizia.

Questo è il bivio che molte democrazie si trovano ad affrontare: capitolare all’autoritarismo o dare potere agli emarginati onorando le lotte del passato. Nelle Filippine, la risposta si manifesta quotidianamente attraverso atti di memoria, proteste pacifiche e politiche che valorizzino la storia. Solo così la nazione potrà trascendere il suo passato dittatoriale.

Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid.

Ángel Sanz Montes

Il passato dell’Austria e la responsabilità del presente

L’ anno 2025 è all’insegna di un importante traguardo storico: l’80° Anniversario della Liberazione dal regime del terrore nazista. Questo momento importante della storia e della memoria in Austria è celebrato dal comitato austriaco di Mauthausen (MKÖ) con vari eventi e iniziative, sia in loco che virtuali. L’obiettivo è preservare la memoria delle vittime e dare un chiaro segnale contro il razzismo, l’antisemitismo e l’estremismo. Le attività commemorative sono incentrate sul tema: “Insieme per un Mai più”.

L’importanza della memoria

Willi Mernyi, presidente del comitato austriaco di Mauthausen, sottolinea l’importanza della memoria nei tempi attuali: “Soprattutto in tempi in cui il nazionalismo è reso di nuovo rispettabile in tutto il mondo, la commemorazione e la memoria della storia sono particolarmente importanti. Non dimenticheremo mai dove l’emarginazione dei gruppi umani e l’odio hanno portato l’Europa più di 80 anni fa. Combattiamo gli inizi!”

Celebrazione della liberazione internazionale e festa della gioia

Un momento centrale dell’anno commemorativo sarà la Festa Internazionale della Liberazione l’11 maggio 2025 nel memoriale del campo di concentramento di Mauthausen. Persone provenienti da tutto il mondo si riuniranno per commemorare le vittime e dare un segno di pace e democrazia.

Già l’8 maggio 2025 si terrà la tradizionale festa della gioia nella Heldenplatz di Vienna. Questo anno il famoso pubblicista e moderatore Paul Lendvai parlerà come testimone dell’epoca. Lendvai, figlio di genitori ebrei, fu rapito nel 1944 con suo padre e condividerà la sua commovente storia nell’ambito dell’evento. Inoltre, una speciale mostra di testimoni dell’epoca arricchirà la Piazza a maggio.

Un altro importante evento è previsto per il 9 maggio 2025 a Vienna: la presentazione di un libro e un colloquio con i tre “Mauthausen-Babys”. Hana Berger-Moran, Mark Olsky ed Eva Clarke sono nati nelle ultime settimane prima della liberazione del campo di concentramento di Mauthausen. Le loro madri dovettero nascondere le loro gravidanze al regime nazista. L’evento offrirà una piattaforma per rendere accessibili le loro toccanti testimonianze ai posteri.

Memoria virtuale e iniziative digitali

Oltre agli eventi commemorativi fisici, il MKÖ si affida sempre più ai canali digitali. Con l’hashtag # Gedenken2025, i testimoni dell’epoca condivideranno le loro storie, pubblicheranno post sul blog e lanciano inviti online a partecipare attivamente. Tutte le persone in Austria sono invitate a deporre fiori o pietre nei monumenti di Vienna o negli ex campi di concentramento, dando così un segno visibile della memoria.

Educazione e sensibilizzazione: lavoro sul futuro per un “mai più”

La trasmissione delle conoscenze alle giovani generazioni svolge un ruolo centrale nel lavoro di promemoria. Il MKÖ prevede numerose offerte formative per i giovani, tra cui visite guidate a monumenti e memoriali, corsi di formazione sul coraggio civile e workshop sull’educazione all’ estremismo di destra. Nell’anno commemorativo 2025, questa offerta sarà ulteriormente intensificata per sensibilizzare i giovani sull’importanza del passato e sulle sfide del presente.

La memoria come responsabilità per il futuro

Affrontare il passato non è solo una questione di memoria, ma anche un impegno per il futuro. Con la scomparsa degli ultimi testimoni, diventa ancora più importante trovare nuove vie di mediazione per mantenere viva la consapevolezza dei crimini del nazionalsocialismo. In un momento in cui le tendenze antidemocratiche e la distorsione della storia sono di nuovo in aumento, è necessaria una posizione chiara. La storia dimostra che la democrazia, i diritti umani e la pace non sono scontati: devono essere difesi attivamente.

L’anno commemorativo 2025 dovrebbe quindi non solo ricordare gli orrori del passato, ma anche essere un appello a impegnarsi per una società aperta, solidale e dignitosa. Perché “mai più” significa agire oggi.

Il comitato austriaco di Mauthausen invita tutte le persone a partecipare attivamente all’anno commemorativo 2025. Insieme diamo un forte segnale di memoria, responsabilità e un futuro senza odio.

Mauthausen Komitee Österreich

Traduzione dal tedesco di Filomena Santoro. Revisione di Thomas Schmid.

Pressenza Wien

Bernie Sanders: “La disperazione non è un’opzione. Dobbiamo reagire in ogni modo possibile”

Proponiamo di seguito la traduzione del discorso di Bernie Sanders al Senato

Non mi capita spesso di ringraziare Elon Musk, ma ha fatto un lavoro eccezionale nel rendere evidente un punto che sosteniamo da anni: viviamo in una società oligarchica in cui i miliardari dominano non solo la politica e le informazioni che consumiamo, ma anche l’amministrazione e la vita economica. Questo non è mai stato così chiaro come oggi. Ma date le notizie e l’attenzione che il signor Musk ha ricevuto nelle ultime settimane mentre smantellava illegalmente e incostituzionalmente le agenzie governative, ho pensato che fosse il momento giusto per porre la domanda che i media e la maggior parte dei politici non sembrano porsi: cosa vogliono davvero lui e gli altri multimiliardari? Qual è il loro obiettivo finale?

A mio parere, ciò per cui Musk e chi gli sta intorno si stanno battendo aggressivamente non è una novità, non è complicato e non è nuovo. È ciò che le classi dominanti nel corso della storia hanno sempre voluto e hanno sempre creduto fosse loro di diritto: più potere, più controllo, più ricchezzaE non vogliono che la gente comune e la democrazia si mettano sulla loro strada. Elon Musk e i suoi colleghi oligarchi credono che il governo e le leggi siano semplicemente un ostacolo ai loro interessi e a ciò a cui hanno diritto.

Nell’America pre-rivoluzionaria, la classe dirigente governava attraverso il “diritto divino dei re”, la convinzione che il re d’Inghilterra fosse un agente di Dio, da non mettere in discussione. Nei tempi moderni, gli oligarchi credono che, in quanto padroni della tecnologia e “individui con un QI elevato”, sia loro assoluto diritto governare. In altre parole, sono i nostri re moderni. E non si tratta solo potere, ma anche di un’incredibile ricchezza. Oggi, Musk, Bezos e Zuckerberg hanno un patrimonio combinato di 903 miliardi di dollari, più della metà più povera della società americana, 170 milioni di persone. Da quando Trump è stato eletto, la loro ricchezza è salita alle stelle. Elon Musk è diventato più ricco di 138 miliardi di dollari, Zuckerberg si è arricchito di 49 miliardi di dollari e Bezos di 28 miliardi di dollari. Sommando tutto, i tre uomini più ricchi d’America sono diventati più ricchi di 215 miliardi di dollari dal giorno delle elezioni. Nel frattempo, mentre i ricchissimi diventano ancora più ricchi, il 60% degli americani vive alla giornata, 85 milioni di persone non hanno assicurazione sanitaria o sono sottoassicurate, il 25% degli anziani cerca di sopravvivere con 15.000 dollari o meno, 800.000 persone sono senza casa e abbiamo il tasso di povertà infantile più alto di quasi tutti i paesi più economicamente sviluppati.

Credi che agli oligarchi importi qualcosa di queste persone? Fidati, non gliene frega niente. La decisione di Musk di smantellare l’USAID significa che migliaia di persone tra le più povere del mondo soffriranno la fame o moriranno di malattie prevenibili. Ma il problema non è solo cosa accadrà all’estero. Qui negli Stati Uniti presto si scaglieranno contro i programmi di assistenza sanitaria, nutrizione, edilizia abitativa ed educazione, che proteggono le persone più vulnerabili del nostro Paese, in modo che il Congresso possa fornire enormi agevolazioni fiscali per loro e per i loro colleghi miliardari. Come re moderni, che credono di avere il diritto assoluto di governare, sacrificheranno, senza esitazione, il benessere dei lavoratori per proteggere i loro privilegi. Inoltre, useranno le enormi operazioni mediatiche di loro proprietà per distogliere l’attenzione dall’impatto delle loro politiche mentre “ci intrattengono fino alla morte”. Mentiranno, mentiranno e mentiranno. Continueranno a spendere enormi quantità di denaro per comprare politici in entrambi i principali partiti politici. Stanno conducendo una guerra contro la classe operaia di questo Paese e sono intenzionati a vincerla.

Non vi prenderò in giro: i problemi che questo paese sta affrontando in questo momento sono seri e non sono facili da risolvere. L’economia è truccata, il nostro sistema di finanziamento delle campagne elettorali è corrotto e, in mezzo a tutto ciò, stiamo lottando per controllare il cambiamento climatico.

Ma questo è quello che so. La paura più grande della classe dirigente di questo Paese è che gli americani (neri, bianchi, latini, cittadini e rurali, gay ed eterosessuali) si uniscano per chiedere un governo che rappresenti tutti noi, non solo i pochi ricchi. Il loro incubo è che non ci lasceremo dividere in base alla razza, alla religione, all’orientamento sessuale o al paese di origine e che, insieme, avremo il coraggio di affrontarli.

Sarà facile? Ovviamente no. La classe dirigente di questo paese ti ricorderà costantemente che hanno tutto il potere. Controllano il governo, posseggono i media. “Vuoi sfidarci? Buona fortuna”, diranno. “Non c’è niente che tu possa fare al riguardo”. Ma il nostro compito oggi è non dimenticare le grandi lotte e i sacrifici che milioni di persone hanno sostenuto nel corso dei secoli per creare una società più democratica, giusta e umana:

• Rovesciare il re d’Inghilterra per creare una nuova nazione e autogovernarsi. Impossibile.

• Istituire il suffragio universale. Impossibile.

• Porre fine alla schiavitù e alla segregazione. Impossibile.

• Concedere ai lavoratori il diritto di formare sindacati e porre fine al lavoro minorile. Impossibile.

• Dare alle donne il controllo sui propri corpi. Impossibile.

• Approvare una legge per stabilire la previdenza sociale, Medicare, Medicaid, un salario minimo, standard di aria e acqua pulita. Impossibile.

In questi tempi difficili la disperazione non è un’opzione. Dobbiamo reagire in ogni modo possibile. Dobbiamo essere coinvolti nel processo politico: candidarci, entrare in contatto con i nostri legislatori locali, statali e federali, fare donazioni ai candidati che combatteranno per la classe operaia di questo paese. Dobbiamo creare nuovi canali per la comunicazione e la condivisione delle informazioni. Dobbiamo fare volontariato non solo a livello politico, ma anche per costruire una comunità a livello locale. Tutto ciò che possiamo fare è ciò che dobbiamo fare.

Inutile dire che intendo fare la mia parte, sia all’interno della Beltway che viaggiando per tutto il paese, per sostenere la classe operaia di questo paese. Nei giorni, nelle settimane e nei mesi a venire, spero che vi unirete a me in questa lotta.

In solidarietà,
Bernie Sanders
Membro del Senato degli Stati Uniti dal 2007

La traduzione della lettera è quella del testo comparso nel sito del CRS

Ulteriori informazioni: https://www.sanders.senate.gov/press-releases/prepared-remarks-sanders-on-the-senate-floor-what-the-oligarchs-really-want/

Redazione Italia

La svolta a destra di Die Linke e il sostegno ad Israele nel genocidio a Gaza

La Germania esce da elezioni veramente devastanti che testimoniano raffiche di vento di destra su tutta l’Europa: una vittoria schiacciante del centro democratico cristiano di centro-destra della CDU e l’incremento dei consensi del partito neonazista dell’Afd di Alice Weidel. Il partito populista di sinistra BSW di Sarah Wagenknecht, che ha fatto discutere, si è attestato al 4,97%; mentre la Die Linke, il partito apparentemente più a sinistra, si colloca come primo a Berlino, ma a livello nazionale si ferma all’8,77%. Non sono risultato incoraggianti, soprattutto se teniamo presente che purtroppo da anni, anche all’interno della Die Linke, molti si sono stazionati su posizioni dichiaratamente neoliberiste.

Un segnale che è proprio la tendenza di questo periodo storico a virare in ogni caso a destra proprio a causa dell’incapacità di pensare cose di sinistra, il tutto arricchito dalla confusione semiotica su cosa sia veramente “la sinistra”. Come osservava Gramsci in una nota scritta in carcere nel 1930: “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

Questa considerazione è purtroppo ancora oggi particolarmente attuale ed un esempio lo possiamo attingere all’interno di Die Linke sulla solidarietà del Partito al “diritto di Israele a difendersi”.

Infatti i principali rappresentanti di Die Linke hanno utilizzato l’anniversario dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 per dimostrare la loro solidarietà con Israele, che da più di un anno commette un genocidio contro i palestinesi a Gaza e ora sta estendendo la sua campagna di annientamento all’intera regione. Ciò sottolinea ancora una volta che questa organizzazione non ha nulla a che fare con la politica di sinistra o addirittura socialista, ma è un’organizzazione che man mano si è spostata su posizioni anti-operaie e filo-imperialista.

Il primo ministro della Turingia Bodo Ramelow (Die Linke) mentre issa la bandiera israeliana

Nel 2024, per l’anniversario del 7 ottobre, l’ex leader parlamentare del Partito nel Bundestag, Dietmar Bartsch, condivise su X/Twitter il manifesto ufficiale del suo partito che recita: “Massacro di Hamas il 7 ottobre 2023. Mai più adesso! (…) Il 7 ottobre 2023 segna un nuovo livello di terrore contro Israele. Mai dalla Shoah sono stati assassinati così tanti ebrei.” – aggiungendo – “L’inattaccabile sicurezza di Israele è la madre della pace in Medio Oriente e in ultima analisi la garanzia di una soluzione a due stati. Quando la memoria svanisce, la barbarie ha trionfato. Mai più adesso!”

Alla luce degli indicibili crimini dell’imperialismo tedesco e della politica di guerra israeliana, tali dichiarazioni sono ripugnanti e niente meno che criminali. La vera barbarie è quella di Israele e dei suoi sostenitori imperialisti, che stanno commettendo un genocidio a Gaza e ora lo stanno estendendo al Libano, strizzando l’occhio anche al nascente regime di ex-qaedisti di Al-Golani in Siria (dopo aver voluto a tutti i costi la caduta del governo laico e baathista di Assad).

Israele non è la “madre della pace in Medio Oriente”, ma l’emblema delle potenze imperialiste per soggiogare l’intera regione. La retorica e i metodi che usa ricordano quelli dei nazisti, che rispondevano a qualsiasi resistenza con brutali punizioni collettive. Come ha spiegato Patrick Martin sul World Socialist Web Site :

Nonostante i continui sforzi di dirottare il ricordo dell’Olocausto per giustificare i crimini moderni dello stato di Israele, è Israele che sta copiando apertamente i metodi selvaggi dei nazisti. In uno degli atti di omicidio di massa più noti del regime di Hitler, dopo che il capo della Gestapo Reinhard Heydrich fu ucciso dai combattenti della resistenza ceca nel 1942, le forze tedesche presero di mira il villaggio di Lidice, sequestrando e giustiziando sommariamente 173 uomini cechi. Di fatto, l’IDF ha eseguito tre Lidice a Gaza ogni giorno per l’ultimo anno, prendendo di mira neonati, bambini e donne, oltre agli uomini.

Ufficialmente, più di 40.000 persone sono già cadute vittime della guerra di sterminio contro la popolazione civile di Gaza, la maggior parte delle quali donne e bambini. Secondo una stima della rinomata rivista medica The Lancet “il numero delle vittime a Gaza è superiore del 40% rispetto alle cifre del Ministero della Salute di Gaza”, mentre a luglio 2024, la stessa rivista affermava che ben 186.000 persone erano state uccise dalla guerra israeliana e dai suoi terribili effetti, tra cui fame e malattie.

Tutto questo apparentemente non è abbastanza per Bartsch. Nel suo tweet, attaccò da destra il governo tedesco, che gioca un ruolo centrale nell’escalation della guerra in Medio Oriente: “Una conclusione immediata da parte della Germania avrebbe dovuto essere un radicale allontanamento dalla precedente politica iraniana”.

L’esportazione di conoscenze e tecnologie all’Iran avrebbe dovuto essere fermata immediatamente, perché gli ingegneri dietro le bombe di #Hamas hanno preso il loro know-how dall’#Iran. Come è possibile che Israele sia stato inondato da centinaia di missili dall’Iran un anno dopo il massacro di Hamas alla vigilia del capodanno ebraico? L’Occidente sarà credibilmente solidale con Israele solo quando smetterà di usare gruppi e governi islamisti per i suoi interessi geopolitici quando è in dubbio.

In effetti, è Israele che “l’Occidente” usa per promuovere i suoi interessi imperialisti. Washington, Berlino e Bruxelles stanno cercando di stabilire un controllo imperialista sul Medio Oriente ricco di petrolio e geostrategicamente importante, in particolare per poter far progredire lo scontro con Russia e Cina. Dopo gli attacchi di rappresaglia iraniani contro Israele, Washington e Tel Aviv continuano a paventare venti di guerra su un eventuale conflitto contro l’Iran che farebbe precipitare l’intera regione in una guerra catastrofica.

La dichiarazione di Bartsch non lasciava dubbi sul fatto che anche lui sostenesse questa escalation.

In questo sembra essere in buona compagnia all’interno di Die Linke, in cui vi è una vera competizione tra i leader per vedere chi diffonde più abilmente la propaganda di guerra ufficiale ed esprimere solidarietà con gli obiettivi di guerra di Israele.

Il 7 ottobre 2024, il Primo Ministro dello Stato della Turingia, Bodo Ramelow, ha personalmente issato la bandiera israeliana di fronte alla cancelleria di stato a Erfurt. La cancelleria di stato della Turingia lo ha citato sul suo account Twitter ufficiale dicendo:

Il 7 ottobre 2023, ci è stato ricordato il pericolo mortale che l’antisemitismo continua a rappresentare per gli ebrei ancora oggi. Le persone sono state violentate, assassinate e rapite semplicemente perché erano ebree. Piangiamo con i parenti degli assassinati e temiamo per i rapiti: riportateli a casa ora!

Questa è la propaganda completamente non filtrata diffusa dai governi occidentali e dal regime di estrema destra di Netanyahu in Israele per giustificare il massacro genocida di massa. Innanzitutto, l’attacco palestinese del 7 ottobre non è stato un pogrom antisemita ma, come dichiarò anche la filosofa statunitense Judith Butler – è stata una rivolta armata palestinese contro decenni di oppressione israeliana.

Non è ancora chiaro cosa sia successo esattamente quel giorno, anche se la verità sta venendo a galla.

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che molte vittime israeliane hanno perso la vita a causa dell’intervento dell’esercito israeliano stesso. L’esercito israeliano ha lanciato un massiccio attacco agli insediamenti dove operavano i combattenti di Hamas. Secondo un’indagine ufficiale delle Nazioni Unite, le forze israeliane avevano “applicato la cosiddetta Direttiva Hannibal e… ucciso civili israeliani”.

È anche chiaro che il governo israeliano aveva una conoscenza dettagliata del piano di attacco di Hamas. Tuttavia, le forze di sicurezza di stanza lungo il confine di Gaza sono state ritirate e ridistribuite in altre località solo pochi giorni prima dell’attacco. Nella dichiarazione ” Un anno di genocidio a Gaza “, il WSWS ha sottolineato i parallelismi con l’11 settembre:

In effetti, c’è una profonda connessione tra i due eventi. Gli attacchi dell’11 settembre 2001 sono stati sfruttati dall’amministrazione Bush per lanciare le invasioni pianificate da tempo in Iraq e Afghanistan, insieme a vasti attacchi ai diritti democratici in patria. Allo stesso modo, gli attacchi del 7 ottobre sono stati usati come pretesto per attuare piani in fase di elaborazione da tempo.

È logico che in occasione dell’anniversario del 7 ottobre Die Linke abbia espresso il suo sostegno a Israele: fin dall’inizio, il Partito ha sostenuto l’offensiva della NATO contro la Russia e il genocidio di Israele a Gaza. Il 10 ottobre 2023, tutti i membri di Die Linke nel Bundestag hanno votato a favore di una mozione di risoluzione filo-israeliana che era stata presentata dai partiti di governo e dai cristiano-democratici ed era stata abbracciata anche dall’estrema destra dell’Afd.

I partiti di sinistra non prendono più voti perchè sono completamente staccati dal loro elettorato storico e dalla cultura politica da cui sono nati, oltre ad essere invasati dal “pensiero unico neoliberista”.

 

https://www.wsws.org/en/articles/2024/10/11/4be8-o11.html

Germania, Die Linke difende Israele

Lorenzo Poli

Il fallimento albanese: l’accordo Italia-Albania e la sospensione dei diritti

Il Protocollo Italia Albania è stato presentato dal Governo italiano come una misura innovativa ed efficace per il controllo dell’immigrazione, ma nella sostanza si configura come un ennesimo modello di detenzione generalizzata e allontanamento fisico della persona migrante”. È quanto si legge nel recente rapporto “Oltre la frontiera” del Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), la principale coalizioni nazionale di organizzazioni impegnate nel campo della protezione internazionale, del diritto dell’immigrazione e delle politiche migratorie, di cui fanno parte: A BUON DIRITTO, ACAT ITALIA, ACLI, ACTIONAID, AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA, ARCI, ASGI, AVVOCATO DI STRADA ONLUS, CARITAS ITALIANA, CENTRO ASTALLI, CGIL, CIES, CIR, CNCA, COMMISSIONE MIGRANTI E GPIC MISSIONARI COMBONIANI ITALIA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO, COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII, CONNGI, DANISH REFUGEE COUNCIL ITALIA, EMERGENCY, EUROPASILO, FCEI, FOCUS – CASA DEI DIRITTI SOCIALI, FONDAZIONE MIGRANTES, FORUM PER CAMBIARE L’ORDINE DELLE COSE, INTERNATIONAL RESCUE COMMETTEE ITALIA, INTERSOS, LEGAMBIENTE, MEDICI DEL MONDO ITALIA, MEDICI PER I DIRITTI UMANI, MOVIMENTO ITALIANI SENZA CITTADINANZA, MEDICI SENZA FRONTIERE ITALIA, OXFAM ITALIA, REFUGEES WELCOME ITALIA, SAVE THE CHILDREN, SENZA CONFINE, SOCIETÀ ITALIANA MEDICINA DELLE MIGRAZIONI, UIL, UNIRE.

Il protocollo è un modello che normalizza il trasferimento forzato e la detenzione sistematica come strumenti ordinari di governo della mobilità. Le implicazioni sono molteplici e preoccupanti: dalla riduzione dello spazio di protezione giuridica per le persone migranti alla creazione di una zona d’ombra in cui il diritto rischia di restare sospeso, fino alla costruzione di un precedente che potrebbe essere replicato su scala più ampia. Si tratta di una trasformazione che interroga chiunque abbia a cuore non solo i diritti delle persone direttamente coinvolte, ma anche la tenuta delle istituzioni democratiche. Dopo tre tentativi falliti di applicare il protocollo Italia Albania, il governo Meloni sembra intenzionato a usare le due cattedrali alla propaganda – costruite a Shengjin e Gjadër – per altri scopi, ancora non meglio precisati. Il TAI in collaborazione con il gruppo di contatto sull’immigrazione del nostro Parlamento, ha organizzato altrettante missioni di monitoraggio con l’obiettivo di denunciare le pesanti criticità del protocollo e renderne evidenti i profili di illegittimità e di arbitrio. E il quadro che emerge dalle visite di monitoraggio effettuate è indiscutibile: i centri in Albania sono illegittimi e sbagliati sul piano etico, giuridico ed economico.

Le procedure di rilevazione delle vulnerabilità, si legge nelle conclusioni del Reportsono portate avanti in  condizioni del tutto inidonee, come evidenziato dalle evacuazioni successive alle prime attività di screening ma, anche, dalle evidenze riscontrate dalle delegazioni che si sono recate all’interno dei centri ed hanno parlato con le persone migranti. Il modello adottato si è rivelato incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali. Le violazioni riscontrate sono numerose e sistematiche: valutazione delle vulnerabilità assolutamente inadeguata, con l’esclusione dal trasferimento effettuata in condizioni non idonee e senza un esame approfondito dei singoli casi; applicazione generalizzata delle procedure accelerate in frontiera, che comporta una torsione inaccettabile del diritto d’asilo e un indebolimento delle garanzie per i richiedenti protezione; trattenimento prolungato fin dalla “selezione” in mare, con le persone sottoposte a privazione della libertà personale già a bordo delle navi, senza alcun provvedimento formale e con tempi indefiniti; impossibilità per le persone di esercitare il diritto alla difesa in condizioni adeguate, a causa dell’isolamento, della difficoltà di accesso a un’assistenza legale effettiva e della rapidità delle procedure che impediscono una consapevolezza del quadro giuridico entro il quale va collocata la domanda di protezione Questa modalità di selezione arbitraria e superficiale, e le successive ulteriori mancanze, espongono tutte le persone coinvolte nell’attività di “salvataggio e soccorso” a rischi, conseguenti anche alle tensioni che potranno nascere dalle attività di profilazione, divisione e indirizzo delle persone tra l’Italia e l’Albania.

Anche il dibattito sulla trasformazione di questi centri non rappresenta, sottolinea il TAI, un’opzione accettabile: significherebbe introdurre nuove violazioni eclatanti dei diritti fondamentali, rafforzando ulteriormente un sistema di detenzione arbitraria e ingiustificata. Nessun tentativo di riconfigurazione di questo modello può essere accettato: lo smantellamento delle strutture è l’unica prospettiva possibile.

Qui il Report: https://static.acli.it/wp-content/uploads/2025/02/Rapporto-Albania_def.pdf

Giovanni Caprio

CANDE, Rigenerazione urbana in Puglia: una proposta pilota per il benessere dei cittadini e il futuro del territorio

 “Abbiamo accolto con entusiasmo la proposta di percorso partecipativo scelto dalla Regione Puglia per definire le linee strategiche del Nuovo Piano Urbanistico Regionale, fondato sulla rigenerazione urbana e territoriale, un tema di fondamentale importanza per il rilancio economico e sociale del territorio pugliese. Un modello innovativo di gestione, un’esperienza pilota in Italia, che ci ha consentito di partecipare a tutti gli incontri e ai quattro tavoli tematici previsti dalla Regione, mettendo a disposizione le nostre competenze tecniche e professionali e le nostre esperienze in materia di riqualificazione e rigenerazione in edilizia, nel segno del benessere dei cittadini e delle imprese, del rispetto dell’ambiente e di uno sviluppo ecosostenibile”, ha detto Angela Lorusso, coordinatrice per la Puglia della associazione CANDE, Class Action Nazionale dell’Edilizia, attiva su tutto il territorio nazionale con oltre 250 imprese.

Anche alla luce delle problematiche emerse e delle interlocuzioni con Stefano Lacatena, consigliere regionale con delega al paesaggio e urbanistica, CANDE ha predisposto un documento in 24 pagine, consegnato il 13 febbraio scorso alla Regione, per le vie ufficiali: “Sono 6 i pilastri strategici a fondamento della nostra proposta – ha detto Bartolomeo Murgese, consigliere nazionale di CANDE – organizzabili in altrettanti dipartimenti quali: 1) green e transizione ecologica; 2) sicurezza sismica; 3) bonifica e trasformazione dell’Amianto; 4) abbattimento delle barriere architettoniche; 5) Sicurezza e formazione sui luoghi di lavoro; 6) Urbanistica e riqualificazione urbana. In un contesto in cui il patrimonio edilizio risulta ormai obsoleto, occorre un piano strutturato di interventi integrati, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica, la sicurezza degli edifici e la sostenibilità ambientale, ridurre le emissioni di CO₂ e favorire l’indipendenza energetica, promuovendo l’utilizzo di energie rinnovabili, la modernizzazione delle infrastrutture e la creazione di comunità energetiche. Avevamo fatto le stesse proposte anche al ministro dei trasporti Matteo Salvini, nell’incontro del 2 maggio scorso ad Altamura, in cui, intervenendo in collegamento, si era impegnato a inserire nel suo ministero la E di Edilizia, ma che al momento non risulta ancora posta in essere. Confidiamo, invece, nella attenzione e sensibilità della regione Puglia in materia e alle proposte da noi elaborate.”

Grazie alla collaborazione tra enti pubblici, professionisti e imprese, la Puglia può diventare un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo, rispondendo alle sfide ambientali e sociali con una visione innovativa e concreta dello sviluppo del territorio . “Si tratta di una occasione straordinaria – ha inoltre sottolineato Roberto Cervellini, Presidente CANDE- per l’attuazione della filosofia alla base delle nostre strategie operative, che vede nella rigenerazione edilizia e urbana lo strumento fondamentale per il benessere dei cittadini e delle comunità: può partire da qui, ad esempio, una vasta opera di risanamento e riqualificazione di vaste aree devastate dall’amianto, da Taranto a Brindisi, nell’interesse primario della salute dei cittadini, pesantemente compromessa. Così come, per esemplificare, la nostra proposta introduce indicazioni e soluzioni concrete per la mobilità sostenibile e l’abbattimento delle barriere architettoniche, quali l’ individuazione del disability manager, che ha la funzione di progettare la rimozione delle barriere architettoniche delle parti comuni nelle civili abitazioni”.

Redazione Italia

Salute, De Palma (Nursing Up): «I recenti dati Anac sulla spesa di infermieri e medici gettonisti delineano ancora una volta l’allarmante quadro di un sistema sanitario in totale corto circuito!»

Uscire dalla porta, dimettendosi come dipendenti, per poi rientrare dalla finestra come gettonisti: accade sempre più spesso a discapito della qualità dell’assistenza.

ROMA 28 FEB 2025 – «La realtà della sanità pubblica italiana è davvero giunta ad un punto critico! 

Siamo di fronte ad un vero e proprio corto circuito in atto». 

Esordisce così il Presidente del sindacato Nursing Up, Antonio De Palma, nel denunciare con fermezza il paradosso allarmante legato alle cifre abnormi della spesa, da parte delle nostre regioni, relativa all’impiego di professionisti sanitari gettonisti, confermata dal recente autorevole report dell’ANAC, l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

«Le aziende sanitarie di casa nostra, in questo momento storico, sembrano un’auto che viaggia contromano sull’autostrada! Invece di valorizzare i professionisti che hanno già in casa, stanno mandando in pezzi il sistema, costringendo sempre più infermieri, ostetriche e altri professionisti dell’assistenza, a causa di stipendi molto bassi, a lasciare i loro posti come dipendenti a tempo indeterminato, sacrificando i diritti e le tutele contrattuali e previdenziali collegati, per decidere di lavorare come gettonisti. 

È inaccettabile! E non è più un’eccezione: riceviamo incredibilmente sempre più segnalazioni di casi in cui le stesse aziende ingaggiano come gettonisti quei colleghi che poco prima erano assunti presso di loro.

Tanti, tantissimi colleghi, si dimettono volontariamente (oltre 20mila sono le dimissioni di infermieri solo nei primi 9 mesi del 2024), la maggior parte di loro per scegliere la libera professione. 

Le stesse aziende sanitarie che se li sono lasciati scappare, e sono tante, per coprire le falle delle carenze di personale ed evitare la chiusura di interi reparti, sono “costretti” a riassumerli pro tempore, pagandoli ovviamente con cifre nettamente diverse», afferma De Palma.

«Un infermiere a gettone oggi può arrivare a guadagnare il doppio, con le recenti restrizioni volute dal Ministro Schillaci, prima arrivava a guadagnare addirittura il quadruplo rispetto a chi lavora in ospedale come dipendente! 

Questo non è certo un segnale di equità ed è qualcosa che non fa bene al nostro sistema salute, nonostante, ricordiamolo, le cifre dei gettonisti sono state per così dire regolarizzate e non possono oggi superare i 28 euro l’ora nel caso degli infermieri gettonisti di quei pronto soccorsi da cui si registra un fuggi fuggi generale. 

Mentre i nostri colleghi si trovano a vivere con stipendi da fame di 1.500 euro al mese, cifra che in una città come Milano equivale ad uno status di povertà vera e propria, le aziende sanitarie preferiscono pagare di più chi, alla fine, suo malgrado, non ha garanzie e tutele. 

Questo crea un circolo vizioso che danneggia non solo i professionisti che scelgono la strada della libera professione, ma anche i pazienti, che si ritrovano a fare i conti con un’assistenza sempre più precaria e instabile, che il più delle volte caratterizza l’impossibilità, per i singoli liberi professionisti, di garantire continuità assistenziale, ed ottimali processi di presa in carico».

Secondo i dati allarmanti dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), il fenomeno dei medici e degli infermieri “a gettone” nella sanità italiana, esploso durante l’emergenza sanitaria di Covid-19 per riuscire a farvi fronte con personale aggiuntivo, si conferma in crescita anche nel 2024 ed ha comportato una spesa complessiva di 457 milioni di euro messi a bilancio dalle varie Asl, in aumento rispetto ai 314 milioni previsti. 

La ripartizione per regioni dei “gettonisti” nel 2024 vede il Piemonte fare la parte del leone, con un quarto dei medici e infermieri gettonisti di tutt’Italia; seguito dalla Lombardia con 105 milioni e il 22,95% del totale, seguita a ruota da Toscana e Sardegna. Se guardiamo ai soli infermieri “a gettone” invece in testa c’è la Lombardia, seguita da Abruzzo e Piemonte.

«Non è finita qui: l’introduzione dell’assistente infermiere, una figura surrogata e controversa, che non è certo un professionista sanitario, rappresenta un ulteriore pericoloso rischio, verso il quale le aziende sanitarie si lanceranno a braccia aperte. 

Se le aziende puntano a risparmiare scegliendo personale non qualificato, si stanno scavando la fossa da sole!», avverte De Palma. 

«Questa scelta è pericolosa e compromette gravemente la qualità dell’assistenza. Non possiamo permettere che la salute diventi un affare in cui si risparmia sulla pelle dei cittadini».

Il sindacato Nursing Up lancia un appello forte e chiaro: è tempo di agire! È fondamentale valorizzare i professionisti già in servizio, garantire stipendi adeguati e condizioni di lavoro dignitose. 

Non possiamo continuare a chiudere gli occhi davanti a questo disastro! Per chi sceglie la libera professione occorre riflettere: è comprensibile che si decida di lavorare con meno stress e con un guadagno più alto, ma le tutele ed i diritti non sono gli stessi, sia chiaro, rispetto a chi opera in virtù di un contratto a tempo indeterminato. 

Governo e Regioni non dovrebbero mettere nella condizione i nostri professionisti, dipendenti pubblici, di valutare scelte del genere. 

Occorre un cambiamento radicale. La sanità pubblica è un diritto, non un affare da smantellare!».

 

UFFICIO STAMPA SINDACATO NURSING UP

Redazione Italia

L’inclusione finanziaria in Italia: tra segnali di ripresa e perduranti differenze sociali e territoriali

Circa il 3% dei nuclei familiari in Italia, stando all’elaborazione di Banca Etica sui dati dell’ultima indagine di Banca d’Italia (2022), non possiede alcuno strumento bancario (conto corrente; conto deposito; conto postale). Si tratta di quasi 600 mila famiglie, per un totale stimabile di circa 1,3 milioni di cittadini non bancarizzati. Il dato appare in sensibile miglioramento rispetto al 2020: in due anni, circa 500 mila famiglie (il 46% di quelle in condizione di esclusione) si sono dotate di strumenti bancari. L’analisi conferma la perdurante debolezza delle aree meno sviluppate del Paese (il 72% delle famiglie non bancarizzate vive al Sud e nelle Isole) e delle persone in maggior difficoltà: il 77% delle famiglie escluse appartiene infatti al quintile di reddito più basso (max. 17 mila euro annui) e vede come maggior percettore di reddito persone non lavoratrici (77%) ma anche persone con reddito da lavoro dipendente (22%). Sono alcuni dei dati sull’inclusione finanziaria dell’“Analisi e scenari” a cura del Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e Rete Italiana di Microfinanza e Inclusione Finanziaria.

“Di fronte a questa situazione, si legge nel Report, le famiglie in maggior difficoltà non vedono nell’accesso al credito una reale occasione di supporto: su quasi 3 milioni di richieste di finanziamento, presentate tra il 2019 e il 2021, le famiglie nel quintile di reddito più basso hanno presentato solo il 10% delle richieste, di cui il 30% sono state rifiutate; una situazione marcatamente peggiore anche rispetto al secondo quintile (che ha presentato il 18% delle richieste ma ha raccolto il 13% dei rifiuti).” Le ataviche differenze tra le diverse aree del Paese si confermano anche sul piano dell’accesso al credito: il 53% delle richieste di finanziamento proviene dal Nord, mentre solo il 28% da Sud e Isole. Inoltre, anche se i tassi di accoglimento al Sud sono più alti, questi tendono a premiare soprattutto gli appartenenti ai quintili di reddito più alti. Peggior performance al Centro, con meno richieste rispetto al Nord, ma una più alta probabilità che vengano rifiutate. Si tratta di una dinamica che “rischia di degenerare ulteriormente – sottolinea il Report – se si considera la continua crescita della “desertificazione bancaria”: nel 2023, secondo le sigle sindacali del credito, gli sportelli si sono ridotti di un ulteriore 4%, mentre ormai 4,4 milioni di italiani vivono in Comuni totalmente desertificati, per i quali non sempre l’internet banking rappresenta un’alternativa (in Italia è diffuso solo tra il 51,5% degli utenti contro il 63,9% delle media UE)”. In questo scenario, l’indice elaborato da Banca Etica, che si concentra su intensità creditizia (rapporto tra finanzia menti e PIL) e condizioni di offerta di credito nelle aree territoriali, (che valuta la propensione a erogare nuovi finanziamenti, oltre che la presenza territoriale e virtuale del sistema bancario) segna per il 2022 un ulteriore declino: -8,4 punti rispetto al valore di riferimento (fissato a 100) per il 2012, il peggior risultato dall’inizio delle rilevazioni, che porta a una restrizione quantitativa di disponibilità dei finanziamenti, ad una maggior riluttanza del sistema a concedere quei finanziamenti e una riduzione dei punti di accesso per avanzare domande di credito.

Il Report individua due target a forte rischio di esclusione finanziaria: donne e migranti. Da un lato, l’inclusione economica di genere appare frenata anzitutto dalla limitata partecipazione delle donne al mercato del lavoro (56,2% in Italia vs. 70,2% di media UE), resa ancor più complessa dal limitato accesso alle posizioni di vertice e dai gap retributivi che troppo spesso favoriscono l’abbandono del lavoro e la totale dedizione al lavoro di cura (i dati INPS elaborati da OpenPolis segnala no che nel 96% dei casi sono le donne a lasciare il lavoro per occuparsi della cura dei figli). Le difficoltà professionali limitano l’inclusione finanziaria delle donne, come evidenziato dai dati: il 37% delle donne italiane non ha un conto in banca, mentre su 474 miliardi di euro erogati in finanziamenti dalle banche italiane alle persone fisiche nel 2023, solo 95 sono andati a donne (FABI). Una beffa anche per le banche, se si considera come le donne si dimostrano mutuatarie a minor rischio. Accesso al lavoro e alla finanza restano strumenti essenziali alla prevenzione e al contrasto della violenza economica di genere. Per analizzare invece la dinamica dell’inclusione finanziaria dei cittadini stranieri, questa edizione della ricerca ha beneficiato di un contributo curato dall’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti in Italia (iniziativa del CeSPI, Centro Studi di Politica Internazionale, realizzata in collaborazione con Associazione Bancaria Italiana e il sostegno del Ministero dell’Interno). L’inclusione dei cittadini stranieri ha vissuto tre fasi: da una prima timidezza del sistema, si è presto passati a un maggior interesse da parte delle banche, le quali hanno adottato approcci universalistici o specialistici, sebbene nella maggior parte dei casi si sia assistito a una formula di offerta intermedia, tesa ad affiancare all’offerta di prodotti tradizionali altri strumenti o servizi dedicati. Grazie a questo insieme di iniziative, l’indice di bancarizzazione dei cittadini stranieri (non OCSE) in Italia, ossia la percentuale di adulti titolari di conto corrente, è cresciuto vertiginosamente negli anni (dal 61% del 2010 al 90% del 2020), per poi contrarsi all’83% nel 2022. “Le perduranti difficoltà linguistiche; le carenza di garanzie e storico creditizio, si sottolinea nella Ricerca, hanno infatti creato le condizioni per un peggioramento della bancarizzazione negli anni della pandemia e degli effetti economici della guerra in Ucraina. In questo contesto più difficile, si stima che il 66% dei cittadini stranieri abbia dovuto intaccare il proprio patrimonio accumulato per far fronte alle spese ordinarie (di questi, il 42% lo ha fatto impiegando per molta parte o totalmente le proprie disponibilità). L’analisi del CeSPI sollecita quindi la ripresa di percorsi di bancarizzazione, puntando su educazione finanziaria (ad oggi l’alfabetizzazione finanziaria dei cittadini stranieri è 3,8 contro il 5,9 su 10 degli italiani); lo sviluppo della digitalizzazione e dei servizi di microcredito e credito dedicato.”

Ed è proprio al microcredito che l’Analisi del Gruppo Banca Etica si rivolge per tentare di superare le tante sfide aperte dell’inclusione finanziaria di persone e comunità fragili. Nel 2023, secondo i dati elaborati da borgomeo&co., grazie al lavoro di promozione di 127 soggetti, sono stati concessi microprestiti (quasi sempre senza bisogno di garanzie personali) a 17.785 beneficiari, per un ammontare complessivo di oltre 298 milioni di euro. Rispetto al 2022, si registra una discreta crescita del numero di prestiti (+2.106, pari al 13,4%) e un forte incremento dell’ammontare prestato (+84 milioni, pari a +39,2%) così come del prestito medio (+54% sul 2022). Un microcredito che ha ancora limiti evidenti (a partire dalla sua disciplina), che hanno spinto gli autori della Ricerca a proporre interventi sia alle istituzioni pubbliche che al mondo del credito.

Qui per scaricare il Rapporto: https://finanzaetica.info/landing/inclusione-finanziaria-e-microcredito-per-un-nuovo-dialogo-con-i-territori/.

 

Giovanni Caprio

 A Chioggia ieri un altro morto in un cantiere

Spezziamo l’infernale catena degli omicidi sul lavoro
La mattina del 21 febbraio a Chioggia un altro giovane è morto sul lavoro: un giovane di 25 anni, in un cantiere edile. Impossibile non ricordare Mattia Battistetti. Anche ieri eravamo in tante e tanti al tribunale di Treviso per chiudere verità e giustizia per Mattia, per fermare questa catena insopportabile di morti sul lavoro.

Morire sul lavoro non è mai una fatalità, le cause sono note, sono la mancanza di controlli, in numero risibile rispetto alle necessità reali, la corsa al profitto, la precarietà e il sistema degli appalti e dei subappalti sempre improntati al ribasso dei costi.

Anche per questo, come abbiamo ribadito ieri davanti al tribunale di Treviso, noi sosteniamo con il massimo impegno i referendum promossi dalla CGIL perché si voti SI’ all’abrogazione delle norme che rendono il lavoro, precario, sottopagato, insicuro. Torniamo a chiedere l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro perché è inaccettabile l’impunità che protegge chi mette a rischio la vita di lavoratori.

Mentre rivolgiamo alla famiglia del giovane che ha perso la vita sul lavoro a Chioggia tutto il nostro cordoglio e vicinanza, pronti a sostenere ogni mobilitazione necessaria per avere verità e giustizia, non possiamo non ribadire il nostro impegno di sempre nella battaglia contro la strage nei luoghi di lavoro.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Paolo Benvegnù, segretario regionale Veneto del Partito della Rifondazione Comunista

Rifondazione Comunista - Sinistra Europea