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Stati Uniti, decine di proteste contro le politiche di Trump e Musk

In seguito al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici predisposto dal nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk e voluto da Trump, in alcune zone degli Stati Uniti si sono registrate proteste contro le politiche del fondatore di Tesla e del presidente della Casa Bianca. In particolare, centinaia di persone si sono radunate davanti alle concessionarie Tesla a New York, Kansas City e in tutta la California per protestare contro i tagli del DOGE. Gli organizzatori hanno riferito di almeno 37 dimostrazioni in uno sforzo coordinato attraverso gli hashtag social TeslaTakedown e TeslaTakover, con i manifestanti che hanno agitato cartelli con le scritte “Detronizzate Musk”, “Nessuno ha votato Elon Musk” e “Fermate il colpo di Stato”. In alcuni Stati democratici, inoltre, sono partite le rivendicazioni contro le politiche riguardanti i diritti all’aborto e delle persone transgender.

Attraverso il DOGE, istituito per ridurre la burocrazia statunitense, Musk ha finora licenziato più di 9.500 dipendenti federali che si occupavano di tutto, dalla gestione dei terreni federali all’assistenza dei veterani militari. I licenziamenti si aggiungono ai circa 75.000 lavoratori che hanno accettato una buonuscita offerta da Musk e Trump. Il presidente statunitense ha affermato che il governo federale è saturo e che troppi soldi vengono persi a causa di sprechi e frodi. Il governo ha circa 36 trilioni di dollari di debito e ha avuto un deficit di 1,8 trilioni di dollari l’anno scorso: c’è un accordo bipartisan sulla necessità di riforme. Tuttavia, l’ondata di licenziamenti ha causato proteste sia tra i dipendenti licenziati che tra i cittadini: molti lavoratori pubblici hanno affermato di sentirsi traditi dallo Stato che hanno servito per anni.

Trump e Musk hanno chiuso quasi completamente alcune agenzie governative come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Quest’ultimo era uno dei pochi uffici rimasti dalla crisi del 2008 con lo scopo di aiutare finanziariamente i cittadini comuni, ma è accusato dai repubblicani di abuso di potere. In risposta alla chiusura di queste Agenzie, è nata una nuova rete di dipendenti federali organizzata per contrastare i tagli nel settore pubblico, chiamata Federal Unionists Network (FUN).

Chris Dols, uno dei membri fondatori, ritiene che l’attacco al CFPB abbia chiarito qual è il vero obiettivo di Musk e Trump. «[Il CFPB] è la protezione dei consumatori contro le frodi», ha affermato, aggiungendo che «I truffatori se la sono presa con l’agenzia anti-truffa». In altre parole, secondo Dols, se Trump e Musk si preoccupassero davvero di ridurre gli sprechi e le frodi e di migliorare la vita dei lavoratori rafforzerebbero ed espanderebbero la portata del CFPB, anziché tagliarla.

Alcuni manifestanti, soprattutto negli Stati di stampo più “progressista” come la California, hanno messo in dubbio la legittimità di Elon Musk, sostenendo che nessuno lo ha votato e radunandosi fuori dalle concessionarie Tesla per protesta. Più di una trentina di eventi contro l’oligarca sudafricano naturalizzato statunitense sono andati in scena in varie parti degli USA, come riportato sul sito Action Network, dove si invitano le persone che possiedono delle Tesla o azioni della società a disinvestire, vendere il proprio veicolo e unirsi alle proteste. Le dimostrazioni seguono le notizie di incendi dolosi e danneggiamenti dei saloni Tesla in Oregon e Colorado. Alcuni investitori temono che il sostegno di Musk a Trump possa influenzare le vendite e sottrarre tempo allo sviluppo del marchio automobilistico: a gennaio le azioni Tesla hanno intrapreso una rapida discesa e anche le vendite risultano in calo.

La Casa Bianca ha affermato che Musk opera come dipendente governativo speciale non retribuito. Tale qualifica è riservata ufficialmente a coloro che lavorano per il governo per 130 giorni o meno in un anno. Fino ad ora, il DOGE ha chiuso l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e sta cercando di chiudere il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Inoltre, come parte di una lotta alle politiche “woke“, Musk ha affermato che il suo team ha «risparmiato ai contribuenti oltre 1 miliardo di dollari in folli contratti DEI (diversità, equità e inclusione)».

L'Indipendente

Migliaia di persone protestano contro Trump e Musk in tutti e 50 gli Stati

Lunedì 17 febbraio 2025 migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutti gli Stati Uniti per protestare contro le misure di Donald Trump ed Elon Musk volte a smantellare radicalmente il governo federale in quello che molti hanno paragonato a un colpo di stato. Le proteste si sono svolte in tutte le capitali dei 50 Stati e in molte altre città. Molte delle proteste erano all’insegna dello slogan “Not My President’s Day”.

“Abbiamo Elon Musk e Donald Trump e i fratelli DOGE, i fratelli della tecnologia, che fanno a pezzi il nostro governo, fanno a pezzi la nostra Costituzione, ignorano lo stato di diritto. E il popolo americano deve opporsi” ha dichiarato Jay W. Walker di Rise and Resist durante una protesta a New York

A Washington, i manifestanti si sono riuniti davanti al Campidoglio e alla Casa Bianca. “Il fine non giustifica i mezzi. C’è un modo giusto e un modo sbagliato per realizzare un cambiamento e il Presidente Trump ha infranto ogni regola del cambiamento democratico appropriato nella nostra società” ha denunciato Daniel Fairholm.

Democracy Now!

La Serbia in rivolta tra mobilitazioni di massa locali e rilancio europeo

Il movimento studentesco in Serbia conquista finalmente l’agognato spazio su una parte dei mezzi di comunicazione al di fuori del circuito regionale balcanico, contesto nel quale ha rappresentato una forza propulsiva per numeri, costanza e rapidità di espansione geografica, senza trascurare la creatività e la forza dei messaggi che si intersecano con coerenza e determinazione. Sebbene la sua copertura resti ancora nettamente inferiore rispetto alle aspettative degli organizzatori e all’impatto numerico e alla propagazione della mobilitazione che, negli ultimi tre mesi, ha attraversato il rigidissimo inverno serbo e ha raggiunto anche le aree rurali, le manifestazioni si susseguono e continuano alternando blocchi stradali, sit-in per le strade e nelle piazze, soprattutto a Belgrado e Novi Sad,  oltre alle lunghe marce di protesta a piedi tra le due città, come quella promossa dagli studenti e dalle studentesse universitarie alla fine del mese di gennaio.

Il movimento, oltre alla forte connotazione studentesca, sta diventando sempre più trasversale e intergenerazionale e riuscendo a guadagnare terreno anche nelle aree rurali, tanto che una donna in piazza a Bruxelles mi rivela commossa quanto «questo sia un forte catalizzatore che spinge all’azione anche a distanza, per esprimere solidarietà e rafforzare le richiesta, mosse dalla speranza che tanta capacità di reazione generi il cambiamento sperato per molto tempo». Lo spostamento al di fuori dei circuiti urbani rappresenta spesso una sfida ancor più complessa rispetto alla risonanza internazionale della protesta, a causa delle numerose difficoltà logistiche, di spostamento, di comunicazione e soprattutto alle sproporzioni numeriche. Allo stesso tempo, il movimento antigovernativo si fa sempre più visibile e vocale nel cuore delle piazze di altri Paesi del resto del continente europeo, da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Lubiana.

Il ruolo della diaspora e delle mobilitazioni internazionali nel caso della Serbia

Come accaduto in altre proteste recenti provenienti dall’Est, ovvero da aree riconducibili a quei Paesi che spesso vengono definiti con il termine evocativo di “fringe countries”, riferito solitamente ai margini dell’Unione Europea o del continente europeo nel suo insieme in particolare ai Balcani occidentali o al Caucaso meridionale, anche la mobilitazione della diaspora serba e della popolazione studentesca si organizza in maniera sempre più strutturata e creativa nelle principali città europee. In particolare, Bruxelles è diventata in poco tempo un punto nevralgico della protesta, anche per l’inevitabile sinergia delle rivendicazioni che si intrecciano con le mobilitazioni contro l’apertura della più grande miniera di litio del continente europeo nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale.

Le pressioni estrattive esercitate da numerosi Paesi dell’Unione Europea, in particolare dalla Germania, hanno acceso ulteriormente il dibattito e le proteste in corso sin dall’autunno 2021, quando il malcontento della popolazione locale era già esploso in manifestazioni su larga scala in Serbia, culminando il 5 febbraio 2025 in una grande e corale azione di sensibilizzazione all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, in occasione della proiezione in anteprima, ma a porte chiuse (accesso solo su invito nominativo) del documentario “Not in My Country: Serbia’s Lithium Dilemma”, organizzata dall’Istituto per i Minerali e i Materiali Sostenibili dell’Università Cattolica di Lovanio (Institute for Sustainable Metals and Minerals at KU Leuven).

Il documentario è stato duramente criticato da numerosi esperti e attivisti per l’opera di narrazione selettiva, che avrebbe distorto le voci di coloro che si oppongono da anni al progetto estrattivo del gruppo multinazionale anglo-australiano “Rio Tinto Group” e agli interessi delle grandi aziende private nella Serbia occidentale. Nonostante le dichiarazioni altalenanti delle autorità politiche nazionali e sovranazionali, il monitoraggio dell’area da parte dei gruppi di cittadini prosegue costantemente, evidenziando l’impatto ambientale e sociale di quella che, secondo il progetto noto come “Rio Tinto” o “Jader”, sarebbe destinata a diventare la più grande miniera di litio in Europa. Numerosi esponenti politici e istituzionali arrivano a descriverla come una componente fondamentale della transizione ecologica del continente, anche in chiave di allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali. 

Le proteste organizzate dalla diaspora serba e dai movimenti civici, che hanno coinvolto membri dell’accademia e del Parlamento Europeo attenti ai rischi ambientali e sociali, si inseriscono, dunque, in un contesto più ampio di critica nei confronti di quello che viene individuato come un ricatto economico e politico imposto alla Serbia nel quadro del travagliato processo di adesione all’Unione Europea. A tredici anni dal riconoscimento dello status di Paese candidato e undici dall’inizio dei negoziati, tale processo rimane in ogni caso in stallo, mentre crescono le preoccupazioni per il silenziamento del dissenso e la legittimazione di pratiche di sfruttamento estremamente nocive per il territorio e per la popolazione residente, in un contesto, come quello che contraddistingue la Serbia e i Paesi limitrofi, già sotto pressione a livello di inquinamento e di uso delle risorse pubbliche, ambientali e non.

Le proteste attualmente in corso hanno anche acceso i riflettori sulle contraddizioni tra le pressioni economiche e le richieste di conformità agli standard europei, in particolare in materia ambientale, ambiti nei quali la Serbia resta gravemente carente sia nella tutela sia nella gestione e attuazione delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali. Gli esponenti dei movimenti di protesta hanno chiesto a più riprese un maggiore rigore nell’allineamento agli indicatori ESG (Environmental, Social Governance ovvero Ambientale, Sociale e di Governance) e soprattutto l’impegno nella dimostrazione di progressi concreti in relazione al capitolo 27 dell’acquis communautaire sull’azione ambientale e climatica, attualmente bloccato anche a causa della scarsa applicazione delle normative esistenti e dell’influenza eccessiva delle aziende nel processo decisionale.

“Odgovornost!”: il riverbero delle proteste tra lotta alla corruzione e difesa dell’ambiente 

Le proteste per l’estrazione del litio si intrecciano con altre delicate e drammatiche questioni esplose nelle ultime settimane, tra cui il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, ristrutturata con fondi cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. L’incidente, avvenuto il 1° novembre, ha provocato 14 morti e decine di feriti, scatenando manifestazioni di massa in tutto il Paese al grido degli slogan “Zločin, a ne tragedija” (Un crimine, non una tragedia) e “Korupcija ubija” (la corruzione uccide). Il grave episodio ha sollevato immediatamente proteste e numerosi interrogativi sulla trasparenza istituzionale e il livello di corruzione raggiunto dal governo in carica, in particolare nel settore delle infrastrutture pubbliche.

In questo contesto, la richiesta di “odgovornost” (responsabilità o “accountability” nella traduzione adottata in occasione delle manifestazioni internazionali), la lotta alla corruzione e l’opposizione al sistema di potere costruito attorno al presidente Aleksandar Vučić, in carica in tale ruolo dal 2017, sono diventati i pilastri delle rivendicazioni popolari. Il simbolo delle mani sporche di sangue e del colore rosso è stato nuovamente evocato questa mattina nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, quando, alle 11:52 in punto, da Place Jean Rey i manifestanti hanno rilasciato verso il cielo palloncini rossi in ricordo delle vittime di Novi Sad per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle rivendicazioni emerse nel corso delle proteste.

Negli ultimi giorni, tali proteste si sono intensificate in Serbia anche in concomitanza con la festa nazionale della Repubblica dello scorso 15 febbraio e con la contro-manifestazione organizzata dallo stesso Vučić a Sremska Mitrovica, sulle rive del fiume Sava. A Bruxelles, il movimento “Palac gore Brisel” ha dato vita alla seconda domenica consecutiva di mobilitazioni che ha visto una grande partecipazione da parte di attivisti e studenti provenienti da tutto il Belgio e da altre comunità sensibili alle cause espresse per lanciare un messaggio chiaro e intransigente contro la corruzione e l’omissione di responsabilità da parte del governo in carica in Serbia.

Anna Lodeserto

Stati Uniti, decine di proteste contro le politiche di Trump e Musk

In seguito al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici predisposto dal nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk e voluto da Trump, in alcune zone degli Stati Uniti si sono registrate proteste contro le politiche del fondatore di Tesla e del presidente della Casa Bianca. In particolare, centinaia di persone si sono radunate davanti alle concessionarie Tesla a New York, Kansas City e in tutta la California per protestare contro i tagli del DOGE. Gli organizzatori hanno riferito di almeno 37 dimostrazioni in uno sforzo coordinato attraverso gli hashtag social TeslaTakedown e TeslaTakover, con i manifestanti che hanno agitato cartelli con le scritte “Detronizzate Musk”, “Nessuno ha votato Elon Musk” e “Fermate il colpo di Stato”. In alcuni Stati democratici, inoltre, sono partite le rivendicazioni contro le politiche riguardanti i diritti all’aborto e delle persone transgender.

Attraverso il DOGE, istituito per ridurre la burocrazia statunitense, Musk ha finora licenziato più di 9.500 dipendenti federali che si occupavano di tutto, dalla gestione dei terreni federali all’assistenza dei veterani militari. I licenziamenti si aggiungono ai circa 75.000 lavoratori che hanno accettato una buonuscita offerta da Musk e Trump. Il presidente statunitense ha affermato che il governo federale è saturo e che troppi soldi vengono persi a causa di sprechi e frodi. Il governo ha circa 36 trilioni di dollari di debito e ha avuto un deficit di 1,8 trilioni di dollari l’anno scorso: c’è un accordo bipartisan sulla necessità di riforme. Tuttavia, l’ondata di licenziamenti ha causato proteste sia tra i dipendenti licenziati che tra i cittadini: molti lavoratori pubblici hanno affermato di sentirsi traditi dallo Stato che hanno servito per anni.

Trump e Musk hanno chiuso quasi completamente alcune agenzie governative come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Quest’ultimo era uno dei pochi uffici rimasti dalla crisi del 2008 con lo scopo di aiutare finanziariamente i cittadini comuni, ma è accusato dai repubblicani di abuso di potere. In risposta alla chiusura di queste Agenzie, è nata una nuova rete di dipendenti federali organizzata per contrastare i tagli nel settore pubblico, chiamata Federal Unionists Network (FUN).

Chris Dols, uno dei membri fondatori, ritiene che l’attacco al CFPB abbia chiarito qual è il vero obiettivo di Musk e Trump. «[Il CFPB] è la protezione dei consumatori contro le frodi», ha affermato, aggiungendo che «I truffatori se la sono presa con l’agenzia anti-truffa». In altre parole, secondo Dols, se Trump e Musk si preoccupassero davvero di ridurre gli sprechi e le frodi e di migliorare la vita dei lavoratori rafforzerebbero ed espanderebbero la portata del CFPB, anziché tagliarla.

Alcuni manifestanti, soprattutto negli Stati di stampo più “progressista” come la California, hanno messo in dubbio la legittimità di Elon Musk, sostenendo che nessuno lo ha votato e radunandosi fuori dalle concessionarie Tesla per protesta. Più di una trentina di eventi contro l’oligarca sudafricano naturalizzato statunitense sono andati in scena in varie parti degli USA, come riportato sul sito Action Network, dove si invitano le persone che possiedono delle Tesla o azioni della società a disinvestire, vendere il proprio veicolo e unirsi alle proteste. Le dimostrazioni seguono le notizie di incendi dolosi e danneggiamenti dei saloni Tesla in Oregon e Colorado. Alcuni investitori temono che il sostegno di Musk a Trump possa influenzare le vendite e sottrarre tempo allo sviluppo del marchio automobilistico: a gennaio le azioni Tesla hanno intrapreso una rapida discesa e anche le vendite risultano in calo.

La Casa Bianca ha affermato che Musk opera come dipendente governativo speciale non retribuito. Tale qualifica è riservata ufficialmente a coloro che lavorano per il governo per 130 giorni o meno in un anno. Fino ad ora, il DOGE ha chiuso l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e sta cercando di chiudere il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Inoltre, come parte di una lotta alle politiche “woke“, Musk ha affermato che il suo team ha «risparmiato ai contribuenti oltre 1 miliardo di dollari in folli contratti DEI (diversità, equità e inclusione)».

L'Indipendente

Migliaia di persone protestano contro Trump e Musk in tutti e 50 gli Stati

Lunedì 17 febbraio 2025 migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutti gli Stati Uniti per protestare contro le misure di Donald Trump ed Elon Musk volte a smantellare radicalmente il governo federale in quello che molti hanno paragonato a un colpo di stato. Le proteste si sono svolte in tutte le capitali dei 50 Stati e in molte altre città. Molte delle proteste erano all’insegna dello slogan “Not My President’s Day”.

“Abbiamo Elon Musk e Donald Trump e i fratelli DOGE, i fratelli della tecnologia, che fanno a pezzi il nostro governo, fanno a pezzi la nostra Costituzione, ignorano lo stato di diritto. E il popolo americano deve opporsi” ha dichiarato Jay W. Walker di Rise and Resist durante una protesta a New York

A Washington, i manifestanti si sono riuniti davanti al Campidoglio e alla Casa Bianca. “Il fine non giustifica i mezzi. C’è un modo giusto e un modo sbagliato per realizzare un cambiamento e il Presidente Trump ha infranto ogni regola del cambiamento democratico appropriato nella nostra società” ha denunciato Daniel Fairholm.

Democracy Now!

La Serbia in rivolta tra mobilitazioni di massa locali e rilancio europeo

Il movimento studentesco in Serbia conquista finalmente l’agognato spazio su una parte dei mezzi di comunicazione al di fuori del circuito regionale balcanico, contesto nel quale ha rappresentato una forza propulsiva per numeri, costanza e rapidità di espansione geografica, senza trascurare la creatività e la forza dei messaggi che si intersecano con coerenza e determinazione. Sebbene la sua copertura resti ancora nettamente inferiore rispetto alle aspettative degli organizzatori e all’impatto numerico e alla propagazione della mobilitazione che, negli ultimi tre mesi, ha attraversato il rigidissimo inverno serbo e ha raggiunto anche le aree rurali, le manifestazioni si susseguono e continuano alternando blocchi stradali, sit-in per le strade e nelle piazze, soprattutto a Belgrado e Novi Sad,  oltre alle lunghe marce di protesta a piedi tra le due città, come quella promossa dagli studenti e dalle studentesse universitarie alla fine del mese di gennaio.

Il movimento, oltre alla forte connotazione studentesca, sta diventando sempre più trasversale e intergenerazionale e riuscendo a guadagnare terreno anche nelle aree rurali, tanto che una donna in piazza a Bruxelles mi rivela commossa quanto «questo sia un forte catalizzatore che spinge all’azione anche a distanza, per esprimere solidarietà e rafforzare le richiesta, mosse dalla speranza che tanta capacità di reazione generi il cambiamento sperato per molto tempo». Lo spostamento al di fuori dei circuiti urbani rappresenta spesso una sfida ancor più complessa rispetto alla risonanza internazionale della protesta, a causa delle numerose difficoltà logistiche, di spostamento, di comunicazione e soprattutto alle sproporzioni numeriche. Allo stesso tempo, il movimento antigovernativo si fa sempre più visibile e vocale nel cuore delle piazze di altri Paesi del resto del continente europeo, da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Lubiana.

Il ruolo della diaspora e delle mobilitazioni internazionali nel caso della Serbia

Come accaduto in altre proteste recenti provenienti dall’Est, ovvero da aree riconducibili a quei Paesi che spesso vengono definiti con il termine evocativo di “fringe countries”, riferito solitamente ai margini dell’Unione Europea o del continente europeo nel suo insieme in particolare ai Balcani occidentali o al Caucaso meridionale, anche la mobilitazione della diaspora serba e della popolazione studentesca si organizza in maniera sempre più strutturata e creativa nelle principali città europee. In particolare, Bruxelles è diventata in poco tempo un punto nevralgico della protesta, anche per l’inevitabile sinergia delle rivendicazioni che si intrecciano con le mobilitazioni contro l’apertura della più grande miniera di litio del continente europeo nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale.

Le pressioni estrattive esercitate da numerosi Paesi dell’Unione Europea, in particolare dalla Germania, hanno acceso ulteriormente il dibattito e le proteste in corso sin dall’autunno 2021, quando il malcontento della popolazione locale era già esploso in manifestazioni su larga scala in Serbia, culminando il 5 febbraio 2025 in una grande e corale azione di sensibilizzazione all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, in occasione della proiezione in anteprima, ma a porte chiuse (accesso solo su invito nominativo) del documentario “Not in My Country: Serbia’s Lithium Dilemma”, organizzata dall’Istituto per i Minerali e i Materiali Sostenibili dell’Università Cattolica di Lovanio (Institute for Sustainable Metals and Minerals at KU Leuven).

Il documentario è stato duramente criticato da numerosi esperti e attivisti per l’opera di narrazione selettiva, che avrebbe distorto le voci di coloro che si oppongono da anni al progetto estrattivo del gruppo multinazionale anglo-australiano “Rio Tinto Group” e agli interessi delle grandi aziende private nella Serbia occidentale. Nonostante le dichiarazioni altalenanti delle autorità politiche nazionali e sovranazionali, il monitoraggio dell’area da parte dei gruppi di cittadini prosegue costantemente, evidenziando l’impatto ambientale e sociale di quella che, secondo il progetto noto come “Rio Tinto” o “Jader”, sarebbe destinata a diventare la più grande miniera di litio in Europa. Numerosi esponenti politici e istituzionali arrivano a descriverla come una componente fondamentale della transizione ecologica del continente, anche in chiave di allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali. 

Le proteste organizzate dalla diaspora serba e dai movimenti civici, che hanno coinvolto membri dell’accademia e del Parlamento Europeo attenti ai rischi ambientali e sociali, si inseriscono, dunque, in un contesto più ampio di critica nei confronti di quello che viene individuato come un ricatto economico e politico imposto alla Serbia nel quadro del travagliato processo di adesione all’Unione Europea. A tredici anni dal riconoscimento dello status di Paese candidato e undici dall’inizio dei negoziati, tale processo rimane in ogni caso in stallo, mentre crescono le preoccupazioni per il silenziamento del dissenso e la legittimazione di pratiche di sfruttamento estremamente nocive per il territorio e per la popolazione residente, in un contesto, come quello che contraddistingue la Serbia e i Paesi limitrofi, già sotto pressione a livello di inquinamento e di uso delle risorse pubbliche, ambientali e non.

Le proteste attualmente in corso hanno anche acceso i riflettori sulle contraddizioni tra le pressioni economiche e le richieste di conformità agli standard europei, in particolare in materia ambientale, ambiti nei quali la Serbia resta gravemente carente sia nella tutela sia nella gestione e attuazione delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali. Gli esponenti dei movimenti di protesta hanno chiesto a più riprese un maggiore rigore nell’allineamento agli indicatori ESG (Environmental, Social Governance ovvero Ambientale, Sociale e di Governance) e soprattutto l’impegno nella dimostrazione di progressi concreti in relazione al capitolo 27 dell’acquis communautaire sull’azione ambientale e climatica, attualmente bloccato anche a causa della scarsa applicazione delle normative esistenti e dell’influenza eccessiva delle aziende nel processo decisionale.

“Odgovornost!”: il riverbero delle proteste tra lotta alla corruzione e difesa dell’ambiente 

Le proteste per l’estrazione del litio si intrecciano con altre delicate e drammatiche questioni esplose nelle ultime settimane, tra cui il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, ristrutturata con fondi cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. L’incidente, avvenuto il 1° novembre, ha provocato 14 morti e decine di feriti, scatenando manifestazioni di massa in tutto il Paese al grido degli slogan “Zločin, a ne tragedija” (Un crimine, non una tragedia) e “Korupcija ubija” (la corruzione uccide). Il grave episodio ha sollevato immediatamente proteste e numerosi interrogativi sulla trasparenza istituzionale e il livello di corruzione raggiunto dal governo in carica, in particolare nel settore delle infrastrutture pubbliche.

In questo contesto, la richiesta di “odgovornost” (responsabilità o “accountability” nella traduzione adottata in occasione delle manifestazioni internazionali), la lotta alla corruzione e l’opposizione al sistema di potere costruito attorno al presidente Aleksandar Vučić, in carica in tale ruolo dal 2017, sono diventati i pilastri delle rivendicazioni popolari. Il simbolo delle mani sporche di sangue e del colore rosso è stato nuovamente evocato questa mattina nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, quando, alle 11:52 in punto, da Place Jean Rey i manifestanti hanno rilasciato verso il cielo palloncini rossi in ricordo delle vittime di Novi Sad per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle rivendicazioni emerse nel corso delle proteste.

Negli ultimi giorni, tali proteste si sono intensificate in Serbia anche in concomitanza con la festa nazionale della Repubblica dello scorso 15 febbraio e con la contro-manifestazione organizzata dallo stesso Vučić a Sremska Mitrovica, sulle rive del fiume Sava. A Bruxelles, il movimento “Palac gore Brisel” ha dato vita alla seconda domenica consecutiva di mobilitazioni che ha visto una grande partecipazione da parte di attivisti e studenti provenienti da tutto il Belgio e da altre comunità sensibili alle cause espresse per lanciare un messaggio chiaro e intransigente contro la corruzione e l’omissione di responsabilità da parte del governo in carica in Serbia.

Anna Lodeserto

Stati Uniti, decine di proteste contro le politiche di Trump e Musk

In seguito al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici predisposto dal nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk e voluto da Trump, in alcune zone degli Stati Uniti si sono registrate proteste contro le politiche del fondatore di Tesla e del presidente della Casa Bianca. In particolare, centinaia di persone si sono radunate davanti alle concessionarie Tesla a New York, Kansas City e in tutta la California per protestare contro i tagli del DOGE. Gli organizzatori hanno riferito di almeno 37 dimostrazioni in uno sforzo coordinato attraverso gli hashtag social TeslaTakedown e TeslaTakover, con i manifestanti che hanno agitato cartelli con le scritte “Detronizzate Musk”, “Nessuno ha votato Elon Musk” e “Fermate il colpo di Stato”. In alcuni Stati democratici, inoltre, sono partite le rivendicazioni contro le politiche riguardanti i diritti all’aborto e delle persone transgender.

Attraverso il DOGE, istituito per ridurre la burocrazia statunitense, Musk ha finora licenziato più di 9.500 dipendenti federali che si occupavano di tutto, dalla gestione dei terreni federali all’assistenza dei veterani militari. I licenziamenti si aggiungono ai circa 75.000 lavoratori che hanno accettato una buonuscita offerta da Musk e Trump. Il presidente statunitense ha affermato che il governo federale è saturo e che troppi soldi vengono persi a causa di sprechi e frodi. Il governo ha circa 36 trilioni di dollari di debito e ha avuto un deficit di 1,8 trilioni di dollari l’anno scorso: c’è un accordo bipartisan sulla necessità di riforme. Tuttavia, l’ondata di licenziamenti ha causato proteste sia tra i dipendenti licenziati che tra i cittadini: molti lavoratori pubblici hanno affermato di sentirsi traditi dallo Stato che hanno servito per anni.

Trump e Musk hanno chiuso quasi completamente alcune agenzie governative come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Quest’ultimo era uno dei pochi uffici rimasti dalla crisi del 2008 con lo scopo di aiutare finanziariamente i cittadini comuni, ma è accusato dai repubblicani di abuso di potere. In risposta alla chiusura di queste Agenzie, è nata una nuova rete di dipendenti federali organizzata per contrastare i tagli nel settore pubblico, chiamata Federal Unionists Network (FUN).

Chris Dols, uno dei membri fondatori, ritiene che l’attacco al CFPB abbia chiarito qual è il vero obiettivo di Musk e Trump. «[Il CFPB] è la protezione dei consumatori contro le frodi», ha affermato, aggiungendo che «I truffatori se la sono presa con l’agenzia anti-truffa». In altre parole, secondo Dols, se Trump e Musk si preoccupassero davvero di ridurre gli sprechi e le frodi e di migliorare la vita dei lavoratori rafforzerebbero ed espanderebbero la portata del CFPB, anziché tagliarla.

Alcuni manifestanti, soprattutto negli Stati di stampo più “progressista” come la California, hanno messo in dubbio la legittimità di Elon Musk, sostenendo che nessuno lo ha votato e radunandosi fuori dalle concessionarie Tesla per protesta. Più di una trentina di eventi contro l’oligarca sudafricano naturalizzato statunitense sono andati in scena in varie parti degli USA, come riportato sul sito Action Network, dove si invitano le persone che possiedono delle Tesla o azioni della società a disinvestire, vendere il proprio veicolo e unirsi alle proteste. Le dimostrazioni seguono le notizie di incendi dolosi e danneggiamenti dei saloni Tesla in Oregon e Colorado. Alcuni investitori temono che il sostegno di Musk a Trump possa influenzare le vendite e sottrarre tempo allo sviluppo del marchio automobilistico: a gennaio le azioni Tesla hanno intrapreso una rapida discesa e anche le vendite risultano in calo.

La Casa Bianca ha affermato che Musk opera come dipendente governativo speciale non retribuito. Tale qualifica è riservata ufficialmente a coloro che lavorano per il governo per 130 giorni o meno in un anno. Fino ad ora, il DOGE ha chiuso l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e sta cercando di chiudere il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Inoltre, come parte di una lotta alle politiche “woke“, Musk ha affermato che il suo team ha «risparmiato ai contribuenti oltre 1 miliardo di dollari in folli contratti DEI (diversità, equità e inclusione)».

L'Indipendente

Migliaia di persone protestano contro Trump e Musk in tutti e 50 gli Stati

Lunedì 17 febbraio 2025 migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutti gli Stati Uniti per protestare contro le misure di Donald Trump ed Elon Musk volte a smantellare radicalmente il governo federale in quello che molti hanno paragonato a un colpo di stato. Le proteste si sono svolte in tutte le capitali dei 50 Stati e in molte altre città. Molte delle proteste erano all’insegna dello slogan “Not My President’s Day”.

“Abbiamo Elon Musk e Donald Trump e i fratelli DOGE, i fratelli della tecnologia, che fanno a pezzi il nostro governo, fanno a pezzi la nostra Costituzione, ignorano lo stato di diritto. E il popolo americano deve opporsi” ha dichiarato Jay W. Walker di Rise and Resist durante una protesta a New York

A Washington, i manifestanti si sono riuniti davanti al Campidoglio e alla Casa Bianca. “Il fine non giustifica i mezzi. C’è un modo giusto e un modo sbagliato per realizzare un cambiamento e il Presidente Trump ha infranto ogni regola del cambiamento democratico appropriato nella nostra società” ha denunciato Daniel Fairholm.

Democracy Now!

La Serbia in rivolta tra mobilitazioni di massa locali e rilancio europeo

Il movimento studentesco in Serbia conquista finalmente l’agognato spazio su una parte dei mezzi di comunicazione al di fuori del circuito regionale balcanico, contesto nel quale ha rappresentato una forza propulsiva per numeri, costanza e rapidità di espansione geografica, senza trascurare la creatività e la forza dei messaggi che si intersecano con coerenza e determinazione. Sebbene la sua copertura resti ancora nettamente inferiore rispetto alle aspettative degli organizzatori e all’impatto numerico e alla propagazione della mobilitazione che, negli ultimi tre mesi, ha attraversato il rigidissimo inverno serbo e ha raggiunto anche le aree rurali, le manifestazioni si susseguono e continuano alternando blocchi stradali, sit-in per le strade e nelle piazze, soprattutto a Belgrado e Novi Sad,  oltre alle lunghe marce di protesta a piedi tra le due città, come quella promossa dagli studenti e dalle studentesse universitarie alla fine del mese di gennaio.

Il movimento, oltre alla forte connotazione studentesca, sta diventando sempre più trasversale e intergenerazionale e riuscendo a guadagnare terreno anche nelle aree rurali, tanto che una donna in piazza a Bruxelles mi rivela commossa quanto «questo sia un forte catalizzatore che spinge all’azione anche a distanza, per esprimere solidarietà e rafforzare le richiesta, mosse dalla speranza che tanta capacità di reazione generi il cambiamento sperato per molto tempo». Lo spostamento al di fuori dei circuiti urbani rappresenta spesso una sfida ancor più complessa rispetto alla risonanza internazionale della protesta, a causa delle numerose difficoltà logistiche, di spostamento, di comunicazione e soprattutto alle sproporzioni numeriche. Allo stesso tempo, il movimento antigovernativo si fa sempre più visibile e vocale nel cuore delle piazze di altri Paesi del resto del continente europeo, da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Lubiana.

Il ruolo della diaspora e delle mobilitazioni internazionali nel caso della Serbia

Come accaduto in altre proteste recenti provenienti dall’Est, ovvero da aree riconducibili a quei Paesi che spesso vengono definiti con il termine evocativo di “fringe countries”, riferito solitamente ai margini dell’Unione Europea o del continente europeo nel suo insieme in particolare ai Balcani occidentali o al Caucaso meridionale, anche la mobilitazione della diaspora serba e della popolazione studentesca si organizza in maniera sempre più strutturata e creativa nelle principali città europee. In particolare, Bruxelles è diventata in poco tempo un punto nevralgico della protesta, anche per l’inevitabile sinergia delle rivendicazioni che si intrecciano con le mobilitazioni contro l’apertura della più grande miniera di litio del continente europeo nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale.

Le pressioni estrattive esercitate da numerosi Paesi dell’Unione Europea, in particolare dalla Germania, hanno acceso ulteriormente il dibattito e le proteste in corso sin dall’autunno 2021, quando il malcontento della popolazione locale era già esploso in manifestazioni su larga scala in Serbia, culminando il 5 febbraio 2025 in una grande e corale azione di sensibilizzazione all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, in occasione della proiezione in anteprima, ma a porte chiuse (accesso solo su invito nominativo) del documentario “Not in My Country: Serbia’s Lithium Dilemma”, organizzata dall’Istituto per i Minerali e i Materiali Sostenibili dell’Università Cattolica di Lovanio (Institute for Sustainable Metals and Minerals at KU Leuven).

Il documentario è stato duramente criticato da numerosi esperti e attivisti per l’opera di narrazione selettiva, che avrebbe distorto le voci di coloro che si oppongono da anni al progetto estrattivo del gruppo multinazionale anglo-australiano “Rio Tinto Group” e agli interessi delle grandi aziende private nella Serbia occidentale. Nonostante le dichiarazioni altalenanti delle autorità politiche nazionali e sovranazionali, il monitoraggio dell’area da parte dei gruppi di cittadini prosegue costantemente, evidenziando l’impatto ambientale e sociale di quella che, secondo il progetto noto come “Rio Tinto” o “Jader”, sarebbe destinata a diventare la più grande miniera di litio in Europa. Numerosi esponenti politici e istituzionali arrivano a descriverla come una componente fondamentale della transizione ecologica del continente, anche in chiave di allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali. 

Le proteste organizzate dalla diaspora serba e dai movimenti civici, che hanno coinvolto membri dell’accademia e del Parlamento Europeo attenti ai rischi ambientali e sociali, si inseriscono, dunque, in un contesto più ampio di critica nei confronti di quello che viene individuato come un ricatto economico e politico imposto alla Serbia nel quadro del travagliato processo di adesione all’Unione Europea. A tredici anni dal riconoscimento dello status di Paese candidato e undici dall’inizio dei negoziati, tale processo rimane in ogni caso in stallo, mentre crescono le preoccupazioni per il silenziamento del dissenso e la legittimazione di pratiche di sfruttamento estremamente nocive per il territorio e per la popolazione residente, in un contesto, come quello che contraddistingue la Serbia e i Paesi limitrofi, già sotto pressione a livello di inquinamento e di uso delle risorse pubbliche, ambientali e non.

Le proteste attualmente in corso hanno anche acceso i riflettori sulle contraddizioni tra le pressioni economiche e le richieste di conformità agli standard europei, in particolare in materia ambientale, ambiti nei quali la Serbia resta gravemente carente sia nella tutela sia nella gestione e attuazione delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali. Gli esponenti dei movimenti di protesta hanno chiesto a più riprese un maggiore rigore nell’allineamento agli indicatori ESG (Environmental, Social Governance ovvero Ambientale, Sociale e di Governance) e soprattutto l’impegno nella dimostrazione di progressi concreti in relazione al capitolo 27 dell’acquis communautaire sull’azione ambientale e climatica, attualmente bloccato anche a causa della scarsa applicazione delle normative esistenti e dell’influenza eccessiva delle aziende nel processo decisionale.

“Odgovornost!”: il riverbero delle proteste tra lotta alla corruzione e difesa dell’ambiente 

Le proteste per l’estrazione del litio si intrecciano con altre delicate e drammatiche questioni esplose nelle ultime settimane, tra cui il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, ristrutturata con fondi cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. L’incidente, avvenuto il 1° novembre, ha provocato 14 morti e decine di feriti, scatenando manifestazioni di massa in tutto il Paese al grido degli slogan “Zločin, a ne tragedija” (Un crimine, non una tragedia) e “Korupcija ubija” (la corruzione uccide). Il grave episodio ha sollevato immediatamente proteste e numerosi interrogativi sulla trasparenza istituzionale e il livello di corruzione raggiunto dal governo in carica, in particolare nel settore delle infrastrutture pubbliche.

In questo contesto, la richiesta di “odgovornost” (responsabilità o “accountability” nella traduzione adottata in occasione delle manifestazioni internazionali), la lotta alla corruzione e l’opposizione al sistema di potere costruito attorno al presidente Aleksandar Vučić, in carica in tale ruolo dal 2017, sono diventati i pilastri delle rivendicazioni popolari. Il simbolo delle mani sporche di sangue e del colore rosso è stato nuovamente evocato questa mattina nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, quando, alle 11:52 in punto, da Place Jean Rey i manifestanti hanno rilasciato verso il cielo palloncini rossi in ricordo delle vittime di Novi Sad per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle rivendicazioni emerse nel corso delle proteste.

Negli ultimi giorni, tali proteste si sono intensificate in Serbia anche in concomitanza con la festa nazionale della Repubblica dello scorso 15 febbraio e con la contro-manifestazione organizzata dallo stesso Vučić a Sremska Mitrovica, sulle rive del fiume Sava. A Bruxelles, il movimento “Palac gore Brisel” ha dato vita alla seconda domenica consecutiva di mobilitazioni che ha visto una grande partecipazione da parte di attivisti e studenti provenienti da tutto il Belgio e da altre comunità sensibili alle cause espresse per lanciare un messaggio chiaro e intransigente contro la corruzione e l’omissione di responsabilità da parte del governo in carica in Serbia.

Anna Lodeserto

Stati Uniti, decine di proteste contro le politiche di Trump e Musk

In seguito al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici predisposto dal nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk e voluto da Trump, in alcune zone degli Stati Uniti si sono registrate proteste contro le politiche del fondatore di Tesla e del presidente della Casa Bianca. In particolare, centinaia di persone si sono radunate davanti alle concessionarie Tesla a New York, Kansas City e in tutta la California per protestare contro i tagli del DOGE. Gli organizzatori hanno riferito di almeno 37 dimostrazioni in uno sforzo coordinato attraverso gli hashtag social TeslaTakedown e TeslaTakover, con i manifestanti che hanno agitato cartelli con le scritte “Detronizzate Musk”, “Nessuno ha votato Elon Musk” e “Fermate il colpo di Stato”. In alcuni Stati democratici, inoltre, sono partite le rivendicazioni contro le politiche riguardanti i diritti all’aborto e delle persone transgender.

Attraverso il DOGE, istituito per ridurre la burocrazia statunitense, Musk ha finora licenziato più di 9.500 dipendenti federali che si occupavano di tutto, dalla gestione dei terreni federali all’assistenza dei veterani militari. I licenziamenti si aggiungono ai circa 75.000 lavoratori che hanno accettato una buonuscita offerta da Musk e Trump. Il presidente statunitense ha affermato che il governo federale è saturo e che troppi soldi vengono persi a causa di sprechi e frodi. Il governo ha circa 36 trilioni di dollari di debito e ha avuto un deficit di 1,8 trilioni di dollari l’anno scorso: c’è un accordo bipartisan sulla necessità di riforme. Tuttavia, l’ondata di licenziamenti ha causato proteste sia tra i dipendenti licenziati che tra i cittadini: molti lavoratori pubblici hanno affermato di sentirsi traditi dallo Stato che hanno servito per anni.

Trump e Musk hanno chiuso quasi completamente alcune agenzie governative come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Quest’ultimo era uno dei pochi uffici rimasti dalla crisi del 2008 con lo scopo di aiutare finanziariamente i cittadini comuni, ma è accusato dai repubblicani di abuso di potere. In risposta alla chiusura di queste Agenzie, è nata una nuova rete di dipendenti federali organizzata per contrastare i tagli nel settore pubblico, chiamata Federal Unionists Network (FUN).

Chris Dols, uno dei membri fondatori, ritiene che l’attacco al CFPB abbia chiarito qual è il vero obiettivo di Musk e Trump. «[Il CFPB] è la protezione dei consumatori contro le frodi», ha affermato, aggiungendo che «I truffatori se la sono presa con l’agenzia anti-truffa». In altre parole, secondo Dols, se Trump e Musk si preoccupassero davvero di ridurre gli sprechi e le frodi e di migliorare la vita dei lavoratori rafforzerebbero ed espanderebbero la portata del CFPB, anziché tagliarla.

Alcuni manifestanti, soprattutto negli Stati di stampo più “progressista” come la California, hanno messo in dubbio la legittimità di Elon Musk, sostenendo che nessuno lo ha votato e radunandosi fuori dalle concessionarie Tesla per protesta. Più di una trentina di eventi contro l’oligarca sudafricano naturalizzato statunitense sono andati in scena in varie parti degli USA, come riportato sul sito Action Network, dove si invitano le persone che possiedono delle Tesla o azioni della società a disinvestire, vendere il proprio veicolo e unirsi alle proteste. Le dimostrazioni seguono le notizie di incendi dolosi e danneggiamenti dei saloni Tesla in Oregon e Colorado. Alcuni investitori temono che il sostegno di Musk a Trump possa influenzare le vendite e sottrarre tempo allo sviluppo del marchio automobilistico: a gennaio le azioni Tesla hanno intrapreso una rapida discesa e anche le vendite risultano in calo.

La Casa Bianca ha affermato che Musk opera come dipendente governativo speciale non retribuito. Tale qualifica è riservata ufficialmente a coloro che lavorano per il governo per 130 giorni o meno in un anno. Fino ad ora, il DOGE ha chiuso l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e sta cercando di chiudere il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Inoltre, come parte di una lotta alle politiche “woke“, Musk ha affermato che il suo team ha «risparmiato ai contribuenti oltre 1 miliardo di dollari in folli contratti DEI (diversità, equità e inclusione)».

L'Indipendente