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rearm Europe

La sinistra che si oppone al riarmo rischia di condannarsi all’irrilevanza e di consegnare l’Unione Europea ai regimi autoritari

Il Parlamento europeo ha votato la settimana scorsa una risoluzione non vincolante che stabilisce la linea sulla difesa e il riarmo. Le critiche più aspre alla risoluzione della Commissione europea sulla difesa e il riarmo sono arrivate da esponenti del della Sinistra (GUE/NGL). “Si trovano soldi per i carri armati ma non per gli ospedali”, ha detto l'eurodeputata francese Manon Aubry (La France Insoumise), osservando sarcasticamente: “è come se, all'improvviso, non ci fossero più il riscaldamento globale o la povertà, e l'unica priorità fossero i veicoli blindati”. Analogamente, Benedetta Scuderi dei Verdi ha sostenuto che “per la corsa al riarmo si mette in discussione tutto” a partire dalla spesa sociale. Altre voci si sono unite al coro, tra cui il co-presidente della Sinistra Martin Schirdewan e Danilo Della Valle del Movimento 5 Stelle, partito che ha inscenato una protesta sventolando slogan come "basta armi" o "+ sanità - armi".

In definitiva, la posizione di questi politici si riduce a: lasciamo che il mondo intorno a noi crolli, che i paesi vengano invasi, tanto non sono affari nostri. Dichiarano di voler preservare il loro modello sociale aumentando il budget per il welfare e limitando la spesa per la sicurezza - un ideale che qualsiasi politico di sinistra condividerebbe. Ciò che comodamente ignorano è che lo stesso modello sociale che cercano di proteggere è stato reso possibile proprio perché la sicurezza è stata esternalizzata ad altri attori, ovvero gli Stati Uniti. Ma cosa succede quando la sicurezza non è più garantita da questi attori?

Questa è una domanda che non affrontano mai, proponendo invece semplici slogan. La realtà della competizione di potere internazionale - che oggi vive uno dei momenti più drammatici degli ultimi decenni - è semplicemente ignorata.

Mentre la Francia, la Spagna, l'Italia o la Germania non devono affrontare una minaccia militare immediata, per la Polonia, gli Stati Baltici e i Paesi Nordici il pericolo è diretto. Quando il tuo vicino è una delle maggiori potenze militari del mondo, un paese che nell'ultimo decennio ha violato tutti i principali accordi internazionali, bombarda quotidianamente le città ucraine e sorpassa l'Europa nella corsa agli armamenti, la capacità di difendersi non è una “corsa agli armamenti”, ma un prerequisito per la sopravvivenza.

Alla base di questo problema c'è il rifiuto di vedere l'Europa come un progetto condiviso. Ironicamente, questo tipo di opposizione di sinistra alla difesa europea è una forma di nazionalismo camuffato. L'Unione Europea non è mai stata solo un progetto economico, ma un progetto politico e di sicurezza volto a prevenire le guerre, una lezione appresa dalle ripetute catastrofi del passato.

Ciò che rende questa posizione particolarmente dannosa per la sinistra è che rispecchiano l'isolazionismo dei partiti sovranisti di destra. Ciò è chiaramente illustrato dal voto di Alternative für Deutschland a fianco della sinistra. Tuttavia, a differenza della sinistra, la destra è coerentemente isolazionista. La loro posizione è diretta: rifiutano gli impegni militari esterni e si oppongono ai migranti, rafforzando una visione del mondo in cui contano solo gli interessi della loro nazione e nulla al di fuori dei loro confini merita attenzione. Questa posizione ha almeno il vantaggio della coerenza, che la rende più attraente per gli elettori che credono nell'interesse personale assoluto.

Al contrario, l'isolazionismo selettivo della sinistra - in cui le minacce alla sicurezza vengono ignorate, mentre persistono gli appelli alla solidarietà internazionale su questioni sociali e ambientali - manca di coerenza e non riesce a entrare in sintonia con un pubblico più ampio. Suscitando sentimenti isolazionisti ed egoistici, la sinistra populista coltiva un terreno emotivo che in ultima analisi avvantaggia la destra. Dopo tutto, se lo stato d'animo politico dominante è quello dell'egocentrismo nazionale, è la destra - non la sinistra - a offrire una visione più chiara.

Tuttavia, bisogna ammettere che le voci critiche di sinistra ed ecologiste che denunciano i piani di riarmo dell'Europa hanno pienamente ragione nel sottolineare che né la crisi climatica né la disuguaglianza sistemica sono scomparse. Si tratta effettivamente di minacce esistenziali per l'umanità. Ma hanno ragione a presentare la capacità militare e il sostegno all'Ucraina come un ostacolo nell'affrontare queste sfide globali?

In realtà, la lotta per la sicurezza e quella contro il cambiamento climatico sono profondamente interconnesse. Prendiamo ad esempio il consumo di combustibili fossili. La dipendenza dell'Europa - e in particolare della Germania - dai combustibili fossili russi a basso costo non è stata solo un disastro ambientale, ma anche una grave responsabilità geopolitica. La dipendenza energetica dalla Russia ha dato al Cremlino uno dei suoi più efficaci strumenti di influenza politica sull'Europa. Ha finanziato la macchina bellica russa e allo stesso tempo ha reso le nazioni europee vulnerabili al ricatto energetico.

Pertanto, il rapido sviluppo di fonti energetiche alternative non è solo un imperativo ambientale: è una necessità geopolitica. È proprio quello che chiedono gli ucraini e gli altri Stati minacciati dall'espansionismo russo. Le democrazie che si affidano a regimi autoritari per una questione così cruciale come l'energia stanno sabotando la propria sovranità e sicurezza.

Come giustamente affermato dall'europarlamentare Li Andersson, anche lei membro del gruppo della Sinistra, l'UE dovrebbe porsi l'obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da attori esterni, compresi l'energia e la sfera digitale. Tuttavia, proprio in questo momento, secondo quanto riportato dal sito investigativo iStories le autorità tedesche, russe e statunitensi stanno discutendo la ripresa delle forniture di petrolio e gas russo alla Germania - una mossa che contraddice direttamente la sicurezza e l'indipendenza energetica a lungo termine dell'Europa.

Risolvere le sfide globali come cambiamento climatico e disuguaglianze sociali è senza dubbio una priorità, ma farlo in un quadro di isolamento e sovranismo è una contraddizione. In un mondo in cui il concetto di bene collettivo scompare e la politica è dettata unicamente dalla massimizzazione degli interessi nazionali, le forze che ne traggono vantaggio non sono quelle che sostengono la giustizia climatica o l'uguaglianza sociale.

Al contrario, un mondo del genere è proprio quello che Trump e Putin promuovono apertamente: un mondo in cui la natura e la vita umana sono risorse sacrificabili per il perseguimento del potere statale, al servizio degli autocrati che lo controllano. Questo non significa che le democrazie liberali diano automaticamente priorità alla natura e alla vita umana. La differenza, tuttavia, è che nei sistemi democratici c'è spazio per l'opposizione e la possibilità di imporre visioni alternative. Basta chiedere agli eco-attivisti e ai sindacalisti russi e cinesi quale sia la loro capacità di lottare per la giustizia sociale e climatica. Negli Stati Uniti, la presidenza Trump ha dimostrato quanto rapidamente i progetti ambientali e sociali possano essere smantellati e i loro valori messi a tacere e criminalizzati.

Né la vita umana né l'ambiente possono essere protetti in uno Stato che rientra nella “zona di interesse” di potenze imperiali autocratiche. L'ironia della sinistra isolazionista è che, rifiutando la cooperazione in materia di sicurezza, sta accelerando la propria irrilevanza politica. In un mondo dominato dalla politica incontrollata delle grandi potenze, loro e i loro valori saranno spinti ai margini, prima politicamente e poi fisicamente.

Il contratto sociale delle nostre società si basa sull'idea che lo Stato esista per proteggere i diritti e le libertà dei suoi cittadini, non per sacrificarli per ambizioni espansionistiche. I regimi autoritari considerano la vita umana come una risorsa sacrificabile da utilizzare per perseguire obiettivi geopolitici. Le democrazie sono vincolate da considerazioni etiche e politiche. Gli Stati autoritari possiedono un controllo centralizzato sui mezzi di comunicazione e una repressione efficace, che consente loro di condurre guerre con scarsa attenzione all'opinione pubblica. Mentre nelle democrazie i politici, concentrati sui cicli elettorali, danno priorità ai risultati a breve termine rispetto alle strategie a lungo termine.

Pertanto, le società democratiche hanno una vulnerabilità strategica intrinseca quando si confrontano con Stati autoritari aggressivi. Eppure, molte persone preferiscono aggrapparsi alla convinzione che la diplomazia, l'interdipendenza economica o la superiorità morale da sole ci impediranno un'eventuale aggressione militare. Questo pensiero velleitario porta all'inazione e a una vulnerabilità ancora maggiore che i regimi autoritari sfruttano efficacemente, dipingendo la resistenza ai poteri autocratici come inutile e non vincente.

Gli slogan astratti sulla “abolizione della guerra” rivelano non solo la mancanza di soluzioni pratiche, ma anche la mancanza di volontà di assumersi responsabilità. Permettono invece di sentirsi giusti senza impegnarsi nel difficile lavoro di governo e strategia. Rifiutando di confrontarsi con le realtà militari, questi movimenti diventano spettatori piuttosto che attori, commentando gli eventi piuttosto che plasmarli. Così facendo, in ultima analisi, cedono i compiti critici della sicurezza e della difesa a coloro cui si oppongono ideologicamente.

Invece di ritirarsi in una vuota retorica, la sinistra deve dare forma proattiva alle soluzioni. La sinistra deve unirsi per spingere una strategia di difesa in cui la sicurezza non sia finanziata tagliando i programmi sociali, ma aumentando le tasse sugli ultra ricchi. Come sostiene ancora Li Andersson, “sarebbe un errore storico finanziare tutto questo tagliando il welfare”, poiché una simile mossa non farebbe altro che alimentare l'ascesa dell'estrema destra. Il passo più immediato ed efficace sarebbe la confisca dei beni russi congelati e il loro rapido reinvestimento in aiuti militari per l'Ucraina. Tuttavia, La France Insoumise, il partito che Manon Aubry rappresenta al Parlamento Europeo, in questi giorni ha votato contro la confisca dei beni russi nel proprio parlamento nazionale. Mentre il Movimento 5 Stelle ha una storia di posizioni pro-Cremlino che includono il voto contrario alle sanzioni alla Russia prima dell'invasione su larga scala dell'Ucraina.

Se la sinistra non agisce concretamente di fronte all'aggressione, non solo perderà credibilità, ma perderà anche il suo ruolo nel plasmare il futuro dell'Europa.

Traduzione dall'originale in inglese a cura di Valigia Blu

(Immagine anteprima: frame via YouTube)


 

Left-wing isolationism: a path to political irrelevance in Europe’s defence debate

The European Parliament has voted on the resolution that sets the line on defence and rearmament. The harshest criticism of the European Commission’s resolution on defence and rearmament comes from the Left political group. Among them is Manon Aubry (France Insoumise), who denounces, “You find money for tanks but not for hospitals.” She sarcastically remarked, “It's as if, all of a sudden, there was no longer any global warming or poverty, and the only priority was armoured vehicles.” Similarly, Benedetta Scuderi of the Greens argues that “this arms race” undermines growth and public finances. Other voices have joined the chorus, including the Left co-chair Martin Schirdewan and Danilo Della Valle of the Five Star Movement. During Della Valle’s speech, a group of representatives of the Five Star Movement held a protest waving placards such as "No more guns" or "More jobs, less guns". 

At its core, the position of these politicians boils down to this: let the world around us crumble, let countries be invaded—it’s none of our business. They declare their desire to preserve their social model by increasing the budget for welfare while limiting spending on security – an ideal that any left-wing politician would share. What they conveniently ignore is that the very social model they seek to protect was made possible precisely because security was outsourced to other actors—namely, the United States. But what happens when security is no longer guaranteed by them? This is a question they never address, advancing simple slogans instead. The realities of international power competition—now at one of its most intense moments in decades—are simply dismissed.

While France, Spain, Italy or Germany may not face an immediate military threat, for Poland, the Baltic states, and the Nordic countries, the danger is direct. When your neighbour is one of the world’s largest military powers, a country that has violated every major international agreement in the last decade, bombs Ukrainian cities daily and surpasses all European countries in military expenditures, the ability to defend yourself is not an “arms race”—it is a prerequisite for survival. 

At the core of this issue is a refusal to see Europe as a common project. Ironically, this brand of left-wing opposition to European defence is a form of nationalism in disguise. But nationalism, in its historical form, is precisely what fueled centuries of war, destruction, and division on the European continent. The European Union was never just an economic project—it was a political and security project designed to prevent war, a lesson learned from the repeated catastrophes of the past.

What makes this stance particularly self-defeating for the left is that it mirrors the isolationism of sovereignist right-wing parties. This is clearly illustrated in how Alternative for Germany (AfD) voted alongside the Left. However, unlike the left, the right is consistently isolationist. Their position is straightforward: they reject external military engagements and oppose migrants, reinforcing a worldview in which only their nation’s interests matter, and nothing beyond their borders deserves attention. This stance at least has the advantage of consistency—which makes it more appealing to voters who believe in absolute self-interest.

In contrast, the left’s selective isolationism—where security threats are ignored, yet calls for international solidarity on social and environmental issues persist—lacks coherence and fails to resonate with the broader public. By stirring up isolationist and selfish sentiments, the populist left cultivates an emotional terrain that ultimately benefits the right. After all, if the dominant political mood is one of national egocentrism, it is the right—not the left—that offers a clearer vision.

However, it must be acknowledged that left-wing and ecological critics of Europe’s rearmament plans are right to emphasize that neither the ecological crisis nor systemic inequality has disappeared. These are indeed existential threats to humanity. But are they justified in portraying military preparedness and support for Ukraine as being in opposition to tackling these global challenges?

In reality, the fight for security and the fight against climate change are deeply interconnected.

Take fossil fuel consumption as an example. Europe’s—and especially Germany’s—dependence on cheap Russian fossil fuels has not only been an environmental disaster but also a severe geopolitical liability. Energy dependence on Russia gave the Kremlin one of its most effective tools of political leverage over Europe. It financed Russia’s war machine while simultaneously making European nations vulnerable to energy blackmail. Thus, the rapid development of alternative energy sources is not just an environmental imperative—it is a geopolitical necessity. It is precisely what Ukrainians and other states threatened by Russian expansionism are demanding. Democracies that make themselves reliant on authoritarian regimes for something as critical as energy are sabotaging their sovereignty and security. As Li Andersson, also a member of The Left group, rightly said, the EU should set a strategic goal of reducing our dependencies on external actors, including energy and the digital sphere. However, at this very moment, according to iStories German, Russian, and U.S. authorities are discussing the resumption of Russian oil and gas supplies to Germany—a move that directly contradicts Europe's long-term security and energy independence.

Solving global challenges such as climate change and inequality is undoubtedly a priority, but doing so within an isolationist, sovereignist framework is a contradiction. In a world where the concept of the common good disappears and politics is dictated solely by the maximization of national interests, the forces that benefit are not those advocating for climate justice or social equity. Instead, such a world is precisely what Trump and Putin openly promote—one in which nature and human life are expendable resources in the pursuit of state power, serving the autocrats in control. This is not to say that liberal democracies automatically prioritise nature and human life. The difference, however, is that within democratic systems, there is space for opposition and the possibility of imposing alternative visions. One only needs to ask Russian and Chinese eco-activists and trade unionists about their ability to fight for social and climate justice. And in the United States, the Trump presidency demonstrated how quickly environmental and social projects could be dismantled and their values silenced and criminalized.

Neither human life nor the environment can be protected in a state that falls within the “zone of interest” of autocratic imperial powers. The irony of the isolationist left is that by rejecting security cooperation, they are accelerating their own political irrelevance. In a world dominated by unchecked great-power politics, they and their values will be pushed to the margins—first politically, then physically.

The social contract in our societies is built upon the idea that the state exists to protect the rights and freedoms of its citizens, not to sacrifice them for expansionist ambitions. Authoritarian regimes view human life as an expendable resource to be used in pursuit of geopolitical goals. Democracies are constrained by ethical and political considerations. Authoritarian states possess centralized control over media and effective repression, allowing them to wage wars with little regard for public opinion. Politicians in democracies, focused on electoral cycles, prioritize short-term results over long-term strategies.

Thus, democratic societies face an inherent strategic vulnerability when confronted by aggressive authoritarian states. Still, many people prefer to cling to the belief that diplomacy, economic interdependence, or moral superiority alone will prevent us from eventual military aggression. This wishful thinking leads to inaction and even greater vulnerability that authoritarian regimes effectively exploit, by portraying a resistance to autocratic powers as unwinnable and unnecessary. 

Abstract slogans about “abolishing war” reveal not only a lack of practical solutions but also an unwillingness to take responsibility. Instead, they allow one to feel righteous without engaging in the difficult work of governance and strategy. By refusing to confront military realities, these movements become spectators rather than actors, commenting on events rather than shaping them. In doing so, they ultimately surrender the critical tasks of security and defence to those they ideologically oppose.

Instead of retreating into empty rhetoric, the left must proactively shape the solutions. The left must unite in pushing for a defence strategy where security is not funded by cutting social programs but by increasing taxes on the ultra-wealthy. As Li Andersson rightly argues, “It would be a historic mistake to finance this by cutting welfare,” as such a move would only fuel the rise of the far right. The most immediate and effective step would be the confiscation of frozen Russian assets and their swift reinvestment into military aid for Ukraine. Yet, La France Insoumise, the party Manon Aubry represents in the European Parliament, voted against confiscating Russian assets in their national parliament. Additionally, the 5 Star Movement has a history of pro-Kremlin positions, which include opposition to sanctions before the full-scale invasion of Ukraine.

If the left fails to take concrete action in the face of aggression, it will not only lose credibility but also forfeit its role in shaping Europe's future.

 

La sinistra che si oppone al riarmo rischia di condannarsi all’irrilevanza e di consegnare l’Unione Europea ai regimi autoritari

Il Parlamento europeo ha votato la settimana scorsa una risoluzione non vincolante che stabilisce la linea sulla difesa e il riarmo. Le critiche più aspre alla risoluzione della Commissione europea sulla difesa e il riarmo sono arrivate da esponenti del della Sinistra (GUE/NGL). “Si trovano soldi per i carri armati ma non per gli ospedali”, ha detto l'eurodeputata francese Manon Aubry (La France Insoumise), osservando sarcasticamente: “è come se, all'improvviso, non ci fossero più il riscaldamento globale o la povertà, e l'unica priorità fossero i veicoli blindati”. Analogamente, Benedetta Scuderi dei Verdi ha sostenuto che “per la corsa al riarmo si mette in discussione tutto” a partire dalla spesa sociale. Altre voci si sono unite al coro, tra cui il co-presidente della Sinistra Martin Schirdewan e Danilo Della Valle del Movimento 5 Stelle, partito che ha inscenato una protesta sventolando slogan come "basta armi" o "+ sanità - armi".

In definitiva, la posizione di questi politici si riduce a: lasciamo che il mondo intorno a noi crolli, che i paesi vengano invasi, tanto non sono affari nostri. Dichiarano di voler preservare il loro modello sociale aumentando il budget per il welfare e limitando la spesa per la sicurezza - un ideale che qualsiasi politico di sinistra condividerebbe. Ciò che comodamente ignorano è che lo stesso modello sociale che cercano di proteggere è stato reso possibile proprio perché la sicurezza è stata esternalizzata ad altri attori, ovvero gli Stati Uniti. Ma cosa succede quando la sicurezza non è più garantita da questi attori?

Questa è una domanda che non affrontano mai, proponendo invece semplici slogan. La realtà della competizione di potere internazionale - che oggi vive uno dei momenti più drammatici degli ultimi decenni - è semplicemente ignorata.

Mentre la Francia, la Spagna, l'Italia o la Germania non devono affrontare una minaccia militare immediata, per la Polonia, gli Stati Baltici e i Paesi Nordici il pericolo è diretto. Quando il tuo vicino è una delle maggiori potenze militari del mondo, un paese che nell'ultimo decennio ha violato tutti i principali accordi internazionali, bombarda quotidianamente le città ucraine e sorpassa l'Europa nella corsa agli armamenti, la capacità di difendersi non è una “corsa agli armamenti”, ma un prerequisito per la sopravvivenza.

Alla base di questo problema c'è il rifiuto di vedere l'Europa come un progetto condiviso. Ironicamente, questo tipo di opposizione di sinistra alla difesa europea è una forma di nazionalismo camuffato. L'Unione Europea non è mai stata solo un progetto economico, ma un progetto politico e di sicurezza volto a prevenire le guerre, una lezione appresa dalle ripetute catastrofi del passato.

Ciò che rende questa posizione particolarmente dannosa per la sinistra è che rispecchiano l'isolazionismo dei partiti sovranisti di destra. Ciò è chiaramente illustrato dal voto di Alternative für Deutschland a fianco della sinistra. Tuttavia, a differenza della sinistra, la destra è coerentemente isolazionista. La loro posizione è diretta: rifiutano gli impegni militari esterni e si oppongono ai migranti, rafforzando una visione del mondo in cui contano solo gli interessi della loro nazione e nulla al di fuori dei loro confini merita attenzione. Questa posizione ha almeno il vantaggio della coerenza, che la rende più attraente per gli elettori che credono nell'interesse personale assoluto.

Al contrario, l'isolazionismo selettivo della sinistra - in cui le minacce alla sicurezza vengono ignorate, mentre persistono gli appelli alla solidarietà internazionale su questioni sociali e ambientali - manca di coerenza e non riesce a entrare in sintonia con un pubblico più ampio. Suscitando sentimenti isolazionisti ed egoistici, la sinistra populista coltiva un terreno emotivo che in ultima analisi avvantaggia la destra. Dopo tutto, se lo stato d'animo politico dominante è quello dell'egocentrismo nazionale, è la destra - non la sinistra - a offrire una visione più chiara.

Tuttavia, bisogna ammettere che le voci critiche di sinistra ed ecologiste che denunciano i piani di riarmo dell'Europa hanno pienamente ragione nel sottolineare che né la crisi climatica né la disuguaglianza sistemica sono scomparse. Si tratta effettivamente di minacce esistenziali per l'umanità. Ma hanno ragione a presentare la capacità militare e il sostegno all'Ucraina come un ostacolo nell'affrontare queste sfide globali?

In realtà, la lotta per la sicurezza e quella contro il cambiamento climatico sono profondamente interconnesse. Prendiamo ad esempio il consumo di combustibili fossili. La dipendenza dell'Europa - e in particolare della Germania - dai combustibili fossili russi a basso costo non è stata solo un disastro ambientale, ma anche una grave responsabilità geopolitica. La dipendenza energetica dalla Russia ha dato al Cremlino uno dei suoi più efficaci strumenti di influenza politica sull'Europa. Ha finanziato la macchina bellica russa e allo stesso tempo ha reso le nazioni europee vulnerabili al ricatto energetico.

Pertanto, il rapido sviluppo di fonti energetiche alternative non è solo un imperativo ambientale: è una necessità geopolitica. È proprio quello che chiedono gli ucraini e gli altri Stati minacciati dall'espansionismo russo. Le democrazie che si affidano a regimi autoritari per una questione così cruciale come l'energia stanno sabotando la propria sovranità e sicurezza.

Come giustamente affermato dall'europarlamentare Li Andersson, anche lei membro del gruppo della Sinistra, l'UE dovrebbe porsi l'obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da attori esterni, compresi l'energia e la sfera digitale. Tuttavia, proprio in questo momento, secondo quanto riportato dal sito investigativo iStories le autorità tedesche, russe e statunitensi stanno discutendo la ripresa delle forniture di petrolio e gas russo alla Germania - una mossa che contraddice direttamente la sicurezza e l'indipendenza energetica a lungo termine dell'Europa.

Risolvere le sfide globali come cambiamento climatico e disuguaglianze sociali è senza dubbio una priorità, ma farlo in un quadro di isolamento e sovranismo è una contraddizione. In un mondo in cui il concetto di bene collettivo scompare e la politica è dettata unicamente dalla massimizzazione degli interessi nazionali, le forze che ne traggono vantaggio non sono quelle che sostengono la giustizia climatica o l'uguaglianza sociale.

Al contrario, un mondo del genere è proprio quello che Trump e Putin promuovono apertamente: un mondo in cui la natura e la vita umana sono risorse sacrificabili per il perseguimento del potere statale, al servizio degli autocrati che lo controllano. Questo non significa che le democrazie liberali diano automaticamente priorità alla natura e alla vita umana. La differenza, tuttavia, è che nei sistemi democratici c'è spazio per l'opposizione e la possibilità di imporre visioni alternative. Basta chiedere agli eco-attivisti e ai sindacalisti russi e cinesi quale sia la loro capacità di lottare per la giustizia sociale e climatica. Negli Stati Uniti, la presidenza Trump ha dimostrato quanto rapidamente i progetti ambientali e sociali possano essere smantellati e i loro valori messi a tacere e criminalizzati.

Né la vita umana né l'ambiente possono essere protetti in uno Stato che rientra nella “zona di interesse” di potenze imperiali autocratiche. L'ironia della sinistra isolazionista è che, rifiutando la cooperazione in materia di sicurezza, sta accelerando la propria irrilevanza politica. In un mondo dominato dalla politica incontrollata delle grandi potenze, loro e i loro valori saranno spinti ai margini, prima politicamente e poi fisicamente.

Il contratto sociale delle nostre società si basa sull'idea che lo Stato esista per proteggere i diritti e le libertà dei suoi cittadini, non per sacrificarli per ambizioni espansionistiche. I regimi autoritari considerano la vita umana come una risorsa sacrificabile da utilizzare per perseguire obiettivi geopolitici. Le democrazie sono vincolate da considerazioni etiche e politiche. Gli Stati autoritari possiedono un controllo centralizzato sui mezzi di comunicazione e una repressione efficace, che consente loro di condurre guerre con scarsa attenzione all'opinione pubblica. Mentre nelle democrazie i politici, concentrati sui cicli elettorali, danno priorità ai risultati a breve termine rispetto alle strategie a lungo termine.

Pertanto, le società democratiche hanno una vulnerabilità strategica intrinseca quando si confrontano con Stati autoritari aggressivi. Eppure, molte persone preferiscono aggrapparsi alla convinzione che la diplomazia, l'interdipendenza economica o la superiorità morale da sole ci impediranno un'eventuale aggressione militare. Questo pensiero velleitario porta all'inazione e a una vulnerabilità ancora maggiore che i regimi autoritari sfruttano efficacemente, dipingendo la resistenza ai poteri autocratici come inutile e non vincente.

Gli slogan astratti sulla “abolizione della guerra” rivelano non solo la mancanza di soluzioni pratiche, ma anche la mancanza di volontà di assumersi responsabilità. Permettono invece di sentirsi giusti senza impegnarsi nel difficile lavoro di governo e strategia. Rifiutando di confrontarsi con le realtà militari, questi movimenti diventano spettatori piuttosto che attori, commentando gli eventi piuttosto che plasmarli. Così facendo, in ultima analisi, cedono i compiti critici della sicurezza e della difesa a coloro cui si oppongono ideologicamente.

Invece di ritirarsi in una vuota retorica, la sinistra deve dare forma proattiva alle soluzioni. La sinistra deve unirsi per spingere una strategia di difesa in cui la sicurezza non sia finanziata tagliando i programmi sociali, ma aumentando le tasse sugli ultra ricchi. Come sostiene ancora Li Andersson, “sarebbe un errore storico finanziare tutto questo tagliando il welfare”, poiché una simile mossa non farebbe altro che alimentare l'ascesa dell'estrema destra. Il passo più immediato ed efficace sarebbe la confisca dei beni russi congelati e il loro rapido reinvestimento in aiuti militari per l'Ucraina. Tuttavia, La France Insoumise, il partito che Manon Aubry rappresenta al Parlamento Europeo, in questi giorni ha votato contro la confisca dei beni russi nel proprio parlamento nazionale. Mentre il Movimento 5 Stelle ha una storia di posizioni pro-Cremlino che includono il voto contrario alle sanzioni alla Russia prima dell'invasione su larga scala dell'Ucraina.

Se la sinistra non agisce concretamente di fronte all'aggressione, non solo perderà credibilità, ma perderà anche il suo ruolo nel plasmare il futuro dell'Europa.

Traduzione dall'originale in inglese a cura di Valigia Blu

(Immagine anteprima: frame via YouTube)


 

Left-wing isolationism: a path to political irrelevance in Europe’s defence debate

The European Parliament has voted on the resolution that sets the line on defence and rearmament. The harshest criticism of the European Commission’s resolution on defence and rearmament comes from the Left political group. Among them is Manon Aubry (France Insoumise), who denounces, “You find money for tanks but not for hospitals.” She sarcastically remarked, “It's as if, all of a sudden, there was no longer any global warming or poverty, and the only priority was armoured vehicles.” Similarly, Benedetta Scuderi of the Greens argues that “this arms race” undermines growth and public finances. Other voices have joined the chorus, including the Left co-chair Martin Schirdewan and Danilo Della Valle of the Five Star Movement. During Della Valle’s speech, a group of representatives of the Five Star Movement held a protest waving placards such as "No more guns" or "More jobs, less guns". 

At its core, the position of these politicians boils down to this: let the world around us crumble, let countries be invaded—it’s none of our business. They declare their desire to preserve their social model by increasing the budget for welfare while limiting spending on security – an ideal that any left-wing politician would share. What they conveniently ignore is that the very social model they seek to protect was made possible precisely because security was outsourced to other actors—namely, the United States. But what happens when security is no longer guaranteed by them? This is a question they never address, advancing simple slogans instead. The realities of international power competition—now at one of its most intense moments in decades—are simply dismissed.

While France, Spain, Italy or Germany may not face an immediate military threat, for Poland, the Baltic states, and the Nordic countries, the danger is direct. When your neighbour is one of the world’s largest military powers, a country that has violated every major international agreement in the last decade, bombs Ukrainian cities daily and surpasses all European countries in military expenditures, the ability to defend yourself is not an “arms race”—it is a prerequisite for survival. 

At the core of this issue is a refusal to see Europe as a common project. Ironically, this brand of left-wing opposition to European defence is a form of nationalism in disguise. But nationalism, in its historical form, is precisely what fueled centuries of war, destruction, and division on the European continent. The European Union was never just an economic project—it was a political and security project designed to prevent war, a lesson learned from the repeated catastrophes of the past.

What makes this stance particularly self-defeating for the left is that it mirrors the isolationism of sovereignist right-wing parties. This is clearly illustrated in how Alternative for Germany (AfD) voted alongside the Left. However, unlike the left, the right is consistently isolationist. Their position is straightforward: they reject external military engagements and oppose migrants, reinforcing a worldview in which only their nation’s interests matter, and nothing beyond their borders deserves attention. This stance at least has the advantage of consistency—which makes it more appealing to voters who believe in absolute self-interest.

In contrast, the left’s selective isolationism—where security threats are ignored, yet calls for international solidarity on social and environmental issues persist—lacks coherence and fails to resonate with the broader public. By stirring up isolationist and selfish sentiments, the populist left cultivates an emotional terrain that ultimately benefits the right. After all, if the dominant political mood is one of national egocentrism, it is the right—not the left—that offers a clearer vision.

However, it must be acknowledged that left-wing and ecological critics of Europe’s rearmament plans are right to emphasize that neither the ecological crisis nor systemic inequality has disappeared. These are indeed existential threats to humanity. But are they justified in portraying military preparedness and support for Ukraine as being in opposition to tackling these global challenges?

In reality, the fight for security and the fight against climate change are deeply interconnected.

Take fossil fuel consumption as an example. Europe’s—and especially Germany’s—dependence on cheap Russian fossil fuels has not only been an environmental disaster but also a severe geopolitical liability. Energy dependence on Russia gave the Kremlin one of its most effective tools of political leverage over Europe. It financed Russia’s war machine while simultaneously making European nations vulnerable to energy blackmail. Thus, the rapid development of alternative energy sources is not just an environmental imperative—it is a geopolitical necessity. It is precisely what Ukrainians and other states threatened by Russian expansionism are demanding. Democracies that make themselves reliant on authoritarian regimes for something as critical as energy are sabotaging their sovereignty and security. As Li Andersson, also a member of The Left group, rightly said, the EU should set a strategic goal of reducing our dependencies on external actors, including energy and the digital sphere. However, at this very moment, according to iStories German, Russian, and U.S. authorities are discussing the resumption of Russian oil and gas supplies to Germany—a move that directly contradicts Europe's long-term security and energy independence.

Solving global challenges such as climate change and inequality is undoubtedly a priority, but doing so within an isolationist, sovereignist framework is a contradiction. In a world where the concept of the common good disappears and politics is dictated solely by the maximization of national interests, the forces that benefit are not those advocating for climate justice or social equity. Instead, such a world is precisely what Trump and Putin openly promote—one in which nature and human life are expendable resources in the pursuit of state power, serving the autocrats in control. This is not to say that liberal democracies automatically prioritise nature and human life. The difference, however, is that within democratic systems, there is space for opposition and the possibility of imposing alternative visions. One only needs to ask Russian and Chinese eco-activists and trade unionists about their ability to fight for social and climate justice. And in the United States, the Trump presidency demonstrated how quickly environmental and social projects could be dismantled and their values silenced and criminalized.

Neither human life nor the environment can be protected in a state that falls within the “zone of interest” of autocratic imperial powers. The irony of the isolationist left is that by rejecting security cooperation, they are accelerating their own political irrelevance. In a world dominated by unchecked great-power politics, they and their values will be pushed to the margins—first politically, then physically.

The social contract in our societies is built upon the idea that the state exists to protect the rights and freedoms of its citizens, not to sacrifice them for expansionist ambitions. Authoritarian regimes view human life as an expendable resource to be used in pursuit of geopolitical goals. Democracies are constrained by ethical and political considerations. Authoritarian states possess centralized control over media and effective repression, allowing them to wage wars with little regard for public opinion. Politicians in democracies, focused on electoral cycles, prioritize short-term results over long-term strategies.

Thus, democratic societies face an inherent strategic vulnerability when confronted by aggressive authoritarian states. Still, many people prefer to cling to the belief that diplomacy, economic interdependence, or moral superiority alone will prevent us from eventual military aggression. This wishful thinking leads to inaction and even greater vulnerability that authoritarian regimes effectively exploit, by portraying a resistance to autocratic powers as unwinnable and unnecessary. 

Abstract slogans about “abolishing war” reveal not only a lack of practical solutions but also an unwillingness to take responsibility. Instead, they allow one to feel righteous without engaging in the difficult work of governance and strategy. By refusing to confront military realities, these movements become spectators rather than actors, commenting on events rather than shaping them. In doing so, they ultimately surrender the critical tasks of security and defence to those they ideologically oppose.

Instead of retreating into empty rhetoric, the left must proactively shape the solutions. The left must unite in pushing for a defence strategy where security is not funded by cutting social programs but by increasing taxes on the ultra-wealthy. As Li Andersson rightly argues, “It would be a historic mistake to finance this by cutting welfare,” as such a move would only fuel the rise of the far right. The most immediate and effective step would be the confiscation of frozen Russian assets and their swift reinvestment into military aid for Ukraine. Yet, La France Insoumise, the party Manon Aubry represents in the European Parliament, voted against confiscating Russian assets in their national parliament. Additionally, the 5 Star Movement has a history of pro-Kremlin positions, which include opposition to sanctions before the full-scale invasion of Ukraine.

If the left fails to take concrete action in the face of aggression, it will not only lose credibility but also forfeit its role in shaping Europe's future.

 

La sinistra che si oppone al riarmo rischia di condannarsi all’irrilevanza e di consegnare l’Unione Europea ai regimi autoritari

Il Parlamento europeo ha votato la settimana scorsa una risoluzione non vincolante che stabilisce la linea sulla difesa e il riarmo. Le critiche più aspre alla risoluzione della Commissione europea sulla difesa e il riarmo sono arrivate da esponenti del della Sinistra (GUE/NGL). “Si trovano soldi per i carri armati ma non per gli ospedali”, ha detto l'eurodeputata francese Manon Aubry (La France Insoumise), osservando sarcasticamente: “è come se, all'improvviso, non ci fossero più il riscaldamento globale o la povertà, e l'unica priorità fossero i veicoli blindati”. Analogamente, Benedetta Scuderi dei Verdi ha sostenuto che “per la corsa al riarmo si mette in discussione tutto” a partire dalla spesa sociale. Altre voci si sono unite al coro, tra cui il co-presidente della Sinistra Martin Schirdewan e Danilo Della Valle del Movimento 5 Stelle, partito che ha inscenato una protesta sventolando slogan come "basta armi" o "+ sanità - armi".

In definitiva, la posizione di questi politici si riduce a: lasciamo che il mondo intorno a noi crolli, che i paesi vengano invasi, tanto non sono affari nostri. Dichiarano di voler preservare il loro modello sociale aumentando il budget per il welfare e limitando la spesa per la sicurezza - un ideale che qualsiasi politico di sinistra condividerebbe. Ciò che comodamente ignorano è che lo stesso modello sociale che cercano di proteggere è stato reso possibile proprio perché la sicurezza è stata esternalizzata ad altri attori, ovvero gli Stati Uniti. Ma cosa succede quando la sicurezza non è più garantita da questi attori?

Questa è una domanda che non affrontano mai, proponendo invece semplici slogan. La realtà della competizione di potere internazionale - che oggi vive uno dei momenti più drammatici degli ultimi decenni - è semplicemente ignorata.

Mentre la Francia, la Spagna, l'Italia o la Germania non devono affrontare una minaccia militare immediata, per la Polonia, gli Stati Baltici e i Paesi Nordici il pericolo è diretto. Quando il tuo vicino è una delle maggiori potenze militari del mondo, un paese che nell'ultimo decennio ha violato tutti i principali accordi internazionali, bombarda quotidianamente le città ucraine e sorpassa l'Europa nella corsa agli armamenti, la capacità di difendersi non è una “corsa agli armamenti”, ma un prerequisito per la sopravvivenza.

Alla base di questo problema c'è il rifiuto di vedere l'Europa come un progetto condiviso. Ironicamente, questo tipo di opposizione di sinistra alla difesa europea è una forma di nazionalismo camuffato. L'Unione Europea non è mai stata solo un progetto economico, ma un progetto politico e di sicurezza volto a prevenire le guerre, una lezione appresa dalle ripetute catastrofi del passato.

Ciò che rende questa posizione particolarmente dannosa per la sinistra è che rispecchiano l'isolazionismo dei partiti sovranisti di destra. Ciò è chiaramente illustrato dal voto di Alternative für Deutschland a fianco della sinistra. Tuttavia, a differenza della sinistra, la destra è coerentemente isolazionista. La loro posizione è diretta: rifiutano gli impegni militari esterni e si oppongono ai migranti, rafforzando una visione del mondo in cui contano solo gli interessi della loro nazione e nulla al di fuori dei loro confini merita attenzione. Questa posizione ha almeno il vantaggio della coerenza, che la rende più attraente per gli elettori che credono nell'interesse personale assoluto.

Al contrario, l'isolazionismo selettivo della sinistra - in cui le minacce alla sicurezza vengono ignorate, mentre persistono gli appelli alla solidarietà internazionale su questioni sociali e ambientali - manca di coerenza e non riesce a entrare in sintonia con un pubblico più ampio. Suscitando sentimenti isolazionisti ed egoistici, la sinistra populista coltiva un terreno emotivo che in ultima analisi avvantaggia la destra. Dopo tutto, se lo stato d'animo politico dominante è quello dell'egocentrismo nazionale, è la destra - non la sinistra - a offrire una visione più chiara.

Tuttavia, bisogna ammettere che le voci critiche di sinistra ed ecologiste che denunciano i piani di riarmo dell'Europa hanno pienamente ragione nel sottolineare che né la crisi climatica né la disuguaglianza sistemica sono scomparse. Si tratta effettivamente di minacce esistenziali per l'umanità. Ma hanno ragione a presentare la capacità militare e il sostegno all'Ucraina come un ostacolo nell'affrontare queste sfide globali?

In realtà, la lotta per la sicurezza e quella contro il cambiamento climatico sono profondamente interconnesse. Prendiamo ad esempio il consumo di combustibili fossili. La dipendenza dell'Europa - e in particolare della Germania - dai combustibili fossili russi a basso costo non è stata solo un disastro ambientale, ma anche una grave responsabilità geopolitica. La dipendenza energetica dalla Russia ha dato al Cremlino uno dei suoi più efficaci strumenti di influenza politica sull'Europa. Ha finanziato la macchina bellica russa e allo stesso tempo ha reso le nazioni europee vulnerabili al ricatto energetico.

Pertanto, il rapido sviluppo di fonti energetiche alternative non è solo un imperativo ambientale: è una necessità geopolitica. È proprio quello che chiedono gli ucraini e gli altri Stati minacciati dall'espansionismo russo. Le democrazie che si affidano a regimi autoritari per una questione così cruciale come l'energia stanno sabotando la propria sovranità e sicurezza.

Come giustamente affermato dall'europarlamentare Li Andersson, anche lei membro del gruppo della Sinistra, l'UE dovrebbe porsi l'obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da attori esterni, compresi l'energia e la sfera digitale. Tuttavia, proprio in questo momento, secondo quanto riportato dal sito investigativo iStories le autorità tedesche, russe e statunitensi stanno discutendo la ripresa delle forniture di petrolio e gas russo alla Germania - una mossa che contraddice direttamente la sicurezza e l'indipendenza energetica a lungo termine dell'Europa.

Risolvere le sfide globali come cambiamento climatico e disuguaglianze sociali è senza dubbio una priorità, ma farlo in un quadro di isolamento e sovranismo è una contraddizione. In un mondo in cui il concetto di bene collettivo scompare e la politica è dettata unicamente dalla massimizzazione degli interessi nazionali, le forze che ne traggono vantaggio non sono quelle che sostengono la giustizia climatica o l'uguaglianza sociale.

Al contrario, un mondo del genere è proprio quello che Trump e Putin promuovono apertamente: un mondo in cui la natura e la vita umana sono risorse sacrificabili per il perseguimento del potere statale, al servizio degli autocrati che lo controllano. Questo non significa che le democrazie liberali diano automaticamente priorità alla natura e alla vita umana. La differenza, tuttavia, è che nei sistemi democratici c'è spazio per l'opposizione e la possibilità di imporre visioni alternative. Basta chiedere agli eco-attivisti e ai sindacalisti russi e cinesi quale sia la loro capacità di lottare per la giustizia sociale e climatica. Negli Stati Uniti, la presidenza Trump ha dimostrato quanto rapidamente i progetti ambientali e sociali possano essere smantellati e i loro valori messi a tacere e criminalizzati.

Né la vita umana né l'ambiente possono essere protetti in uno Stato che rientra nella “zona di interesse” di potenze imperiali autocratiche. L'ironia della sinistra isolazionista è che, rifiutando la cooperazione in materia di sicurezza, sta accelerando la propria irrilevanza politica. In un mondo dominato dalla politica incontrollata delle grandi potenze, loro e i loro valori saranno spinti ai margini, prima politicamente e poi fisicamente.

Il contratto sociale delle nostre società si basa sull'idea che lo Stato esista per proteggere i diritti e le libertà dei suoi cittadini, non per sacrificarli per ambizioni espansionistiche. I regimi autoritari considerano la vita umana come una risorsa sacrificabile da utilizzare per perseguire obiettivi geopolitici. Le democrazie sono vincolate da considerazioni etiche e politiche. Gli Stati autoritari possiedono un controllo centralizzato sui mezzi di comunicazione e una repressione efficace, che consente loro di condurre guerre con scarsa attenzione all'opinione pubblica. Mentre nelle democrazie i politici, concentrati sui cicli elettorali, danno priorità ai risultati a breve termine rispetto alle strategie a lungo termine.

Pertanto, le società democratiche hanno una vulnerabilità strategica intrinseca quando si confrontano con Stati autoritari aggressivi. Eppure, molte persone preferiscono aggrapparsi alla convinzione che la diplomazia, l'interdipendenza economica o la superiorità morale da sole ci impediranno un'eventuale aggressione militare. Questo pensiero velleitario porta all'inazione e a una vulnerabilità ancora maggiore che i regimi autoritari sfruttano efficacemente, dipingendo la resistenza ai poteri autocratici come inutile e non vincente.

Gli slogan astratti sulla “abolizione della guerra” rivelano non solo la mancanza di soluzioni pratiche, ma anche la mancanza di volontà di assumersi responsabilità. Permettono invece di sentirsi giusti senza impegnarsi nel difficile lavoro di governo e strategia. Rifiutando di confrontarsi con le realtà militari, questi movimenti diventano spettatori piuttosto che attori, commentando gli eventi piuttosto che plasmarli. Così facendo, in ultima analisi, cedono i compiti critici della sicurezza e della difesa a coloro cui si oppongono ideologicamente.

Invece di ritirarsi in una vuota retorica, la sinistra deve dare forma proattiva alle soluzioni. La sinistra deve unirsi per spingere una strategia di difesa in cui la sicurezza non sia finanziata tagliando i programmi sociali, ma aumentando le tasse sugli ultra ricchi. Come sostiene ancora Li Andersson, “sarebbe un errore storico finanziare tutto questo tagliando il welfare”, poiché una simile mossa non farebbe altro che alimentare l'ascesa dell'estrema destra. Il passo più immediato ed efficace sarebbe la confisca dei beni russi congelati e il loro rapido reinvestimento in aiuti militari per l'Ucraina. Tuttavia, La France Insoumise, il partito che Manon Aubry rappresenta al Parlamento Europeo, in questi giorni ha votato contro la confisca dei beni russi nel proprio parlamento nazionale. Mentre il Movimento 5 Stelle ha una storia di posizioni pro-Cremlino che includono il voto contrario alle sanzioni alla Russia prima dell'invasione su larga scala dell'Ucraina.

Se la sinistra non agisce concretamente di fronte all'aggressione, non solo perderà credibilità, ma perderà anche il suo ruolo nel plasmare il futuro dell'Europa.

Traduzione dall'originale in inglese a cura di Valigia Blu

(Immagine anteprima: frame via YouTube)


 

Left-wing isolationism: a path to political irrelevance in Europe’s defence debate

The European Parliament has voted on the resolution that sets the line on defence and rearmament. The harshest criticism of the European Commission’s resolution on defence and rearmament comes from the Left political group. Among them is Manon Aubry (France Insoumise), who denounces, “You find money for tanks but not for hospitals.” She sarcastically remarked, “It's as if, all of a sudden, there was no longer any global warming or poverty, and the only priority was armoured vehicles.” Similarly, Benedetta Scuderi of the Greens argues that “this arms race” undermines growth and public finances. Other voices have joined the chorus, including the Left co-chair Martin Schirdewan and Danilo Della Valle of the Five Star Movement. During Della Valle’s speech, a group of representatives of the Five Star Movement held a protest waving placards such as "No more guns" or "More jobs, less guns". 

At its core, the position of these politicians boils down to this: let the world around us crumble, let countries be invaded—it’s none of our business. They declare their desire to preserve their social model by increasing the budget for welfare while limiting spending on security – an ideal that any left-wing politician would share. What they conveniently ignore is that the very social model they seek to protect was made possible precisely because security was outsourced to other actors—namely, the United States. But what happens when security is no longer guaranteed by them? This is a question they never address, advancing simple slogans instead. The realities of international power competition—now at one of its most intense moments in decades—are simply dismissed.

While France, Spain, Italy or Germany may not face an immediate military threat, for Poland, the Baltic states, and the Nordic countries, the danger is direct. When your neighbour is one of the world’s largest military powers, a country that has violated every major international agreement in the last decade, bombs Ukrainian cities daily and surpasses all European countries in military expenditures, the ability to defend yourself is not an “arms race”—it is a prerequisite for survival. 

At the core of this issue is a refusal to see Europe as a common project. Ironically, this brand of left-wing opposition to European defence is a form of nationalism in disguise. But nationalism, in its historical form, is precisely what fueled centuries of war, destruction, and division on the European continent. The European Union was never just an economic project—it was a political and security project designed to prevent war, a lesson learned from the repeated catastrophes of the past.

What makes this stance particularly self-defeating for the left is that it mirrors the isolationism of sovereignist right-wing parties. This is clearly illustrated in how Alternative for Germany (AfD) voted alongside the Left. However, unlike the left, the right is consistently isolationist. Their position is straightforward: they reject external military engagements and oppose migrants, reinforcing a worldview in which only their nation’s interests matter, and nothing beyond their borders deserves attention. This stance at least has the advantage of consistency—which makes it more appealing to voters who believe in absolute self-interest.

In contrast, the left’s selective isolationism—where security threats are ignored, yet calls for international solidarity on social and environmental issues persist—lacks coherence and fails to resonate with the broader public. By stirring up isolationist and selfish sentiments, the populist left cultivates an emotional terrain that ultimately benefits the right. After all, if the dominant political mood is one of national egocentrism, it is the right—not the left—that offers a clearer vision.

However, it must be acknowledged that left-wing and ecological critics of Europe’s rearmament plans are right to emphasize that neither the ecological crisis nor systemic inequality has disappeared. These are indeed existential threats to humanity. But are they justified in portraying military preparedness and support for Ukraine as being in opposition to tackling these global challenges?

In reality, the fight for security and the fight against climate change are deeply interconnected.

Take fossil fuel consumption as an example. Europe’s—and especially Germany’s—dependence on cheap Russian fossil fuels has not only been an environmental disaster but also a severe geopolitical liability. Energy dependence on Russia gave the Kremlin one of its most effective tools of political leverage over Europe. It financed Russia’s war machine while simultaneously making European nations vulnerable to energy blackmail. Thus, the rapid development of alternative energy sources is not just an environmental imperative—it is a geopolitical necessity. It is precisely what Ukrainians and other states threatened by Russian expansionism are demanding. Democracies that make themselves reliant on authoritarian regimes for something as critical as energy are sabotaging their sovereignty and security. As Li Andersson, also a member of The Left group, rightly said, the EU should set a strategic goal of reducing our dependencies on external actors, including energy and the digital sphere. However, at this very moment, according to iStories German, Russian, and U.S. authorities are discussing the resumption of Russian oil and gas supplies to Germany—a move that directly contradicts Europe's long-term security and energy independence.

Solving global challenges such as climate change and inequality is undoubtedly a priority, but doing so within an isolationist, sovereignist framework is a contradiction. In a world where the concept of the common good disappears and politics is dictated solely by the maximization of national interests, the forces that benefit are not those advocating for climate justice or social equity. Instead, such a world is precisely what Trump and Putin openly promote—one in which nature and human life are expendable resources in the pursuit of state power, serving the autocrats in control. This is not to say that liberal democracies automatically prioritise nature and human life. The difference, however, is that within democratic systems, there is space for opposition and the possibility of imposing alternative visions. One only needs to ask Russian and Chinese eco-activists and trade unionists about their ability to fight for social and climate justice. And in the United States, the Trump presidency demonstrated how quickly environmental and social projects could be dismantled and their values silenced and criminalized.

Neither human life nor the environment can be protected in a state that falls within the “zone of interest” of autocratic imperial powers. The irony of the isolationist left is that by rejecting security cooperation, they are accelerating their own political irrelevance. In a world dominated by unchecked great-power politics, they and their values will be pushed to the margins—first politically, then physically.

The social contract in our societies is built upon the idea that the state exists to protect the rights and freedoms of its citizens, not to sacrifice them for expansionist ambitions. Authoritarian regimes view human life as an expendable resource to be used in pursuit of geopolitical goals. Democracies are constrained by ethical and political considerations. Authoritarian states possess centralized control over media and effective repression, allowing them to wage wars with little regard for public opinion. Politicians in democracies, focused on electoral cycles, prioritize short-term results over long-term strategies.

Thus, democratic societies face an inherent strategic vulnerability when confronted by aggressive authoritarian states. Still, many people prefer to cling to the belief that diplomacy, economic interdependence, or moral superiority alone will prevent us from eventual military aggression. This wishful thinking leads to inaction and even greater vulnerability that authoritarian regimes effectively exploit, by portraying a resistance to autocratic powers as unwinnable and unnecessary. 

Abstract slogans about “abolishing war” reveal not only a lack of practical solutions but also an unwillingness to take responsibility. Instead, they allow one to feel righteous without engaging in the difficult work of governance and strategy. By refusing to confront military realities, these movements become spectators rather than actors, commenting on events rather than shaping them. In doing so, they ultimately surrender the critical tasks of security and defence to those they ideologically oppose.

Instead of retreating into empty rhetoric, the left must proactively shape the solutions. The left must unite in pushing for a defence strategy where security is not funded by cutting social programs but by increasing taxes on the ultra-wealthy. As Li Andersson rightly argues, “It would be a historic mistake to finance this by cutting welfare,” as such a move would only fuel the rise of the far right. The most immediate and effective step would be the confiscation of frozen Russian assets and their swift reinvestment into military aid for Ukraine. Yet, La France Insoumise, the party Manon Aubry represents in the European Parliament, voted against confiscating Russian assets in their national parliament. Additionally, the 5 Star Movement has a history of pro-Kremlin positions, which include opposition to sanctions before the full-scale invasion of Ukraine.

If the left fails to take concrete action in the face of aggression, it will not only lose credibility but also forfeit its role in shaping Europe's future.

 

La sinistra che si oppone al riarmo rischia di condannarsi all’irrilevanza e di consegnare l’Unione Europea ai regimi autoritari

Il Parlamento europeo ha votato la settimana scorsa una risoluzione non vincolante che stabilisce la linea sulla difesa e il riarmo. Le critiche più aspre alla risoluzione della Commissione europea sulla difesa e il riarmo sono arrivate da esponenti del della Sinistra (GUE/NGL). “Si trovano soldi per i carri armati ma non per gli ospedali”, ha detto l'eurodeputata francese Manon Aubry (La France Insoumise), osservando sarcasticamente: “è come se, all'improvviso, non ci fossero più il riscaldamento globale o la povertà, e l'unica priorità fossero i veicoli blindati”. Analogamente, Benedetta Scuderi dei Verdi ha sostenuto che “per la corsa al riarmo si mette in discussione tutto” a partire dalla spesa sociale. Altre voci si sono unite al coro, tra cui il co-presidente della Sinistra Martin Schirdewan e Danilo Della Valle del Movimento 5 Stelle, partito che ha inscenato una protesta sventolando slogan come "basta armi" o "+ sanità - armi".

In definitiva, la posizione di questi politici si riduce a: lasciamo che il mondo intorno a noi crolli, che i paesi vengano invasi, tanto non sono affari nostri. Dichiarano di voler preservare il loro modello sociale aumentando il budget per il welfare e limitando la spesa per la sicurezza - un ideale che qualsiasi politico di sinistra condividerebbe. Ciò che comodamente ignorano è che lo stesso modello sociale che cercano di proteggere è stato reso possibile proprio perché la sicurezza è stata esternalizzata ad altri attori, ovvero gli Stati Uniti. Ma cosa succede quando la sicurezza non è più garantita da questi attori?

Questa è una domanda che non affrontano mai, proponendo invece semplici slogan. La realtà della competizione di potere internazionale - che oggi vive uno dei momenti più drammatici degli ultimi decenni - è semplicemente ignorata.

Mentre la Francia, la Spagna, l'Italia o la Germania non devono affrontare una minaccia militare immediata, per la Polonia, gli Stati Baltici e i Paesi Nordici il pericolo è diretto. Quando il tuo vicino è una delle maggiori potenze militari del mondo, un paese che nell'ultimo decennio ha violato tutti i principali accordi internazionali, bombarda quotidianamente le città ucraine e sorpassa l'Europa nella corsa agli armamenti, la capacità di difendersi non è una “corsa agli armamenti”, ma un prerequisito per la sopravvivenza.

Alla base di questo problema c'è il rifiuto di vedere l'Europa come un progetto condiviso. Ironicamente, questo tipo di opposizione di sinistra alla difesa europea è una forma di nazionalismo camuffato. L'Unione Europea non è mai stata solo un progetto economico, ma un progetto politico e di sicurezza volto a prevenire le guerre, una lezione appresa dalle ripetute catastrofi del passato.

Ciò che rende questa posizione particolarmente dannosa per la sinistra è che rispecchiano l'isolazionismo dei partiti sovranisti di destra. Ciò è chiaramente illustrato dal voto di Alternative für Deutschland a fianco della sinistra. Tuttavia, a differenza della sinistra, la destra è coerentemente isolazionista. La loro posizione è diretta: rifiutano gli impegni militari esterni e si oppongono ai migranti, rafforzando una visione del mondo in cui contano solo gli interessi della loro nazione e nulla al di fuori dei loro confini merita attenzione. Questa posizione ha almeno il vantaggio della coerenza, che la rende più attraente per gli elettori che credono nell'interesse personale assoluto.

Al contrario, l'isolazionismo selettivo della sinistra - in cui le minacce alla sicurezza vengono ignorate, mentre persistono gli appelli alla solidarietà internazionale su questioni sociali e ambientali - manca di coerenza e non riesce a entrare in sintonia con un pubblico più ampio. Suscitando sentimenti isolazionisti ed egoistici, la sinistra populista coltiva un terreno emotivo che in ultima analisi avvantaggia la destra. Dopo tutto, se lo stato d'animo politico dominante è quello dell'egocentrismo nazionale, è la destra - non la sinistra - a offrire una visione più chiara.

Tuttavia, bisogna ammettere che le voci critiche di sinistra ed ecologiste che denunciano i piani di riarmo dell'Europa hanno pienamente ragione nel sottolineare che né la crisi climatica né la disuguaglianza sistemica sono scomparse. Si tratta effettivamente di minacce esistenziali per l'umanità. Ma hanno ragione a presentare la capacità militare e il sostegno all'Ucraina come un ostacolo nell'affrontare queste sfide globali?

In realtà, la lotta per la sicurezza e quella contro il cambiamento climatico sono profondamente interconnesse. Prendiamo ad esempio il consumo di combustibili fossili. La dipendenza dell'Europa - e in particolare della Germania - dai combustibili fossili russi a basso costo non è stata solo un disastro ambientale, ma anche una grave responsabilità geopolitica. La dipendenza energetica dalla Russia ha dato al Cremlino uno dei suoi più efficaci strumenti di influenza politica sull'Europa. Ha finanziato la macchina bellica russa e allo stesso tempo ha reso le nazioni europee vulnerabili al ricatto energetico.

Pertanto, il rapido sviluppo di fonti energetiche alternative non è solo un imperativo ambientale: è una necessità geopolitica. È proprio quello che chiedono gli ucraini e gli altri Stati minacciati dall'espansionismo russo. Le democrazie che si affidano a regimi autoritari per una questione così cruciale come l'energia stanno sabotando la propria sovranità e sicurezza.

Come giustamente affermato dall'europarlamentare Li Andersson, anche lei membro del gruppo della Sinistra, l'UE dovrebbe porsi l'obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da attori esterni, compresi l'energia e la sfera digitale. Tuttavia, proprio in questo momento, secondo quanto riportato dal sito investigativo iStories le autorità tedesche, russe e statunitensi stanno discutendo la ripresa delle forniture di petrolio e gas russo alla Germania - una mossa che contraddice direttamente la sicurezza e l'indipendenza energetica a lungo termine dell'Europa.

Risolvere le sfide globali come cambiamento climatico e disuguaglianze sociali è senza dubbio una priorità, ma farlo in un quadro di isolamento e sovranismo è una contraddizione. In un mondo in cui il concetto di bene collettivo scompare e la politica è dettata unicamente dalla massimizzazione degli interessi nazionali, le forze che ne traggono vantaggio non sono quelle che sostengono la giustizia climatica o l'uguaglianza sociale.

Al contrario, un mondo del genere è proprio quello che Trump e Putin promuovono apertamente: un mondo in cui la natura e la vita umana sono risorse sacrificabili per il perseguimento del potere statale, al servizio degli autocrati che lo controllano. Questo non significa che le democrazie liberali diano automaticamente priorità alla natura e alla vita umana. La differenza, tuttavia, è che nei sistemi democratici c'è spazio per l'opposizione e la possibilità di imporre visioni alternative. Basta chiedere agli eco-attivisti e ai sindacalisti russi e cinesi quale sia la loro capacità di lottare per la giustizia sociale e climatica. Negli Stati Uniti, la presidenza Trump ha dimostrato quanto rapidamente i progetti ambientali e sociali possano essere smantellati e i loro valori messi a tacere e criminalizzati.

Né la vita umana né l'ambiente possono essere protetti in uno Stato che rientra nella “zona di interesse” di potenze imperiali autocratiche. L'ironia della sinistra isolazionista è che, rifiutando la cooperazione in materia di sicurezza, sta accelerando la propria irrilevanza politica. In un mondo dominato dalla politica incontrollata delle grandi potenze, loro e i loro valori saranno spinti ai margini, prima politicamente e poi fisicamente.

Il contratto sociale delle nostre società si basa sull'idea che lo Stato esista per proteggere i diritti e le libertà dei suoi cittadini, non per sacrificarli per ambizioni espansionistiche. I regimi autoritari considerano la vita umana come una risorsa sacrificabile da utilizzare per perseguire obiettivi geopolitici. Le democrazie sono vincolate da considerazioni etiche e politiche. Gli Stati autoritari possiedono un controllo centralizzato sui mezzi di comunicazione e una repressione efficace, che consente loro di condurre guerre con scarsa attenzione all'opinione pubblica. Mentre nelle democrazie i politici, concentrati sui cicli elettorali, danno priorità ai risultati a breve termine rispetto alle strategie a lungo termine.

Pertanto, le società democratiche hanno una vulnerabilità strategica intrinseca quando si confrontano con Stati autoritari aggressivi. Eppure, molte persone preferiscono aggrapparsi alla convinzione che la diplomazia, l'interdipendenza economica o la superiorità morale da sole ci impediranno un'eventuale aggressione militare. Questo pensiero velleitario porta all'inazione e a una vulnerabilità ancora maggiore che i regimi autoritari sfruttano efficacemente, dipingendo la resistenza ai poteri autocratici come inutile e non vincente.

Gli slogan astratti sulla “abolizione della guerra” rivelano non solo la mancanza di soluzioni pratiche, ma anche la mancanza di volontà di assumersi responsabilità. Permettono invece di sentirsi giusti senza impegnarsi nel difficile lavoro di governo e strategia. Rifiutando di confrontarsi con le realtà militari, questi movimenti diventano spettatori piuttosto che attori, commentando gli eventi piuttosto che plasmarli. Così facendo, in ultima analisi, cedono i compiti critici della sicurezza e della difesa a coloro cui si oppongono ideologicamente.

Invece di ritirarsi in una vuota retorica, la sinistra deve dare forma proattiva alle soluzioni. La sinistra deve unirsi per spingere una strategia di difesa in cui la sicurezza non sia finanziata tagliando i programmi sociali, ma aumentando le tasse sugli ultra ricchi. Come sostiene ancora Li Andersson, “sarebbe un errore storico finanziare tutto questo tagliando il welfare”, poiché una simile mossa non farebbe altro che alimentare l'ascesa dell'estrema destra. Il passo più immediato ed efficace sarebbe la confisca dei beni russi congelati e il loro rapido reinvestimento in aiuti militari per l'Ucraina. Tuttavia, La France Insoumise, il partito che Manon Aubry rappresenta al Parlamento Europeo, in questi giorni ha votato contro la confisca dei beni russi nel proprio parlamento nazionale. Mentre il Movimento 5 Stelle ha una storia di posizioni pro-Cremlino che includono il voto contrario alle sanzioni alla Russia prima dell'invasione su larga scala dell'Ucraina.

Se la sinistra non agisce concretamente di fronte all'aggressione, non solo perderà credibilità, ma perderà anche il suo ruolo nel plasmare il futuro dell'Europa.

Traduzione dall'originale in inglese a cura di Valigia Blu

(Immagine anteprima: frame via YouTube)


 

Left-wing isolationism: a path to political irrelevance in Europe’s defence debate

The European Parliament has voted on the resolution that sets the line on defence and rearmament. The harshest criticism of the European Commission’s resolution on defence and rearmament comes from the Left political group. Among them is Manon Aubry (France Insoumise), who denounces, “You find money for tanks but not for hospitals.” She sarcastically remarked, “It's as if, all of a sudden, there was no longer any global warming or poverty, and the only priority was armoured vehicles.” Similarly, Benedetta Scuderi of the Greens argues that “this arms race” undermines growth and public finances. Other voices have joined the chorus, including the Left co-chair Martin Schirdewan and Danilo Della Valle of the Five Star Movement. During Della Valle’s speech, a group of representatives of the Five Star Movement held a protest waving placards such as "No more guns" or "More jobs, less guns". 

At its core, the position of these politicians boils down to this: let the world around us crumble, let countries be invaded—it’s none of our business. They declare their desire to preserve their social model by increasing the budget for welfare while limiting spending on security – an ideal that any left-wing politician would share. What they conveniently ignore is that the very social model they seek to protect was made possible precisely because security was outsourced to other actors—namely, the United States. But what happens when security is no longer guaranteed by them? This is a question they never address, advancing simple slogans instead. The realities of international power competition—now at one of its most intense moments in decades—are simply dismissed.

While France, Spain, Italy or Germany may not face an immediate military threat, for Poland, the Baltic states, and the Nordic countries, the danger is direct. When your neighbour is one of the world’s largest military powers, a country that has violated every major international agreement in the last decade, bombs Ukrainian cities daily and surpasses all European countries in military expenditures, the ability to defend yourself is not an “arms race”—it is a prerequisite for survival. 

At the core of this issue is a refusal to see Europe as a common project. Ironically, this brand of left-wing opposition to European defence is a form of nationalism in disguise. But nationalism, in its historical form, is precisely what fueled centuries of war, destruction, and division on the European continent. The European Union was never just an economic project—it was a political and security project designed to prevent war, a lesson learned from the repeated catastrophes of the past.

What makes this stance particularly self-defeating for the left is that it mirrors the isolationism of sovereignist right-wing parties. This is clearly illustrated in how Alternative for Germany (AfD) voted alongside the Left. However, unlike the left, the right is consistently isolationist. Their position is straightforward: they reject external military engagements and oppose migrants, reinforcing a worldview in which only their nation’s interests matter, and nothing beyond their borders deserves attention. This stance at least has the advantage of consistency—which makes it more appealing to voters who believe in absolute self-interest.

In contrast, the left’s selective isolationism—where security threats are ignored, yet calls for international solidarity on social and environmental issues persist—lacks coherence and fails to resonate with the broader public. By stirring up isolationist and selfish sentiments, the populist left cultivates an emotional terrain that ultimately benefits the right. After all, if the dominant political mood is one of national egocentrism, it is the right—not the left—that offers a clearer vision.

However, it must be acknowledged that left-wing and ecological critics of Europe’s rearmament plans are right to emphasize that neither the ecological crisis nor systemic inequality has disappeared. These are indeed existential threats to humanity. But are they justified in portraying military preparedness and support for Ukraine as being in opposition to tackling these global challenges?

In reality, the fight for security and the fight against climate change are deeply interconnected.

Take fossil fuel consumption as an example. Europe’s—and especially Germany’s—dependence on cheap Russian fossil fuels has not only been an environmental disaster but also a severe geopolitical liability. Energy dependence on Russia gave the Kremlin one of its most effective tools of political leverage over Europe. It financed Russia’s war machine while simultaneously making European nations vulnerable to energy blackmail. Thus, the rapid development of alternative energy sources is not just an environmental imperative—it is a geopolitical necessity. It is precisely what Ukrainians and other states threatened by Russian expansionism are demanding. Democracies that make themselves reliant on authoritarian regimes for something as critical as energy are sabotaging their sovereignty and security. As Li Andersson, also a member of The Left group, rightly said, the EU should set a strategic goal of reducing our dependencies on external actors, including energy and the digital sphere. However, at this very moment, according to iStories German, Russian, and U.S. authorities are discussing the resumption of Russian oil and gas supplies to Germany—a move that directly contradicts Europe's long-term security and energy independence.

Solving global challenges such as climate change and inequality is undoubtedly a priority, but doing so within an isolationist, sovereignist framework is a contradiction. In a world where the concept of the common good disappears and politics is dictated solely by the maximization of national interests, the forces that benefit are not those advocating for climate justice or social equity. Instead, such a world is precisely what Trump and Putin openly promote—one in which nature and human life are expendable resources in the pursuit of state power, serving the autocrats in control. This is not to say that liberal democracies automatically prioritise nature and human life. The difference, however, is that within democratic systems, there is space for opposition and the possibility of imposing alternative visions. One only needs to ask Russian and Chinese eco-activists and trade unionists about their ability to fight for social and climate justice. And in the United States, the Trump presidency demonstrated how quickly environmental and social projects could be dismantled and their values silenced and criminalized.

Neither human life nor the environment can be protected in a state that falls within the “zone of interest” of autocratic imperial powers. The irony of the isolationist left is that by rejecting security cooperation, they are accelerating their own political irrelevance. In a world dominated by unchecked great-power politics, they and their values will be pushed to the margins—first politically, then physically.

The social contract in our societies is built upon the idea that the state exists to protect the rights and freedoms of its citizens, not to sacrifice them for expansionist ambitions. Authoritarian regimes view human life as an expendable resource to be used in pursuit of geopolitical goals. Democracies are constrained by ethical and political considerations. Authoritarian states possess centralized control over media and effective repression, allowing them to wage wars with little regard for public opinion. Politicians in democracies, focused on electoral cycles, prioritize short-term results over long-term strategies.

Thus, democratic societies face an inherent strategic vulnerability when confronted by aggressive authoritarian states. Still, many people prefer to cling to the belief that diplomacy, economic interdependence, or moral superiority alone will prevent us from eventual military aggression. This wishful thinking leads to inaction and even greater vulnerability that authoritarian regimes effectively exploit, by portraying a resistance to autocratic powers as unwinnable and unnecessary. 

Abstract slogans about “abolishing war” reveal not only a lack of practical solutions but also an unwillingness to take responsibility. Instead, they allow one to feel righteous without engaging in the difficult work of governance and strategy. By refusing to confront military realities, these movements become spectators rather than actors, commenting on events rather than shaping them. In doing so, they ultimately surrender the critical tasks of security and defence to those they ideologically oppose.

Instead of retreating into empty rhetoric, the left must proactively shape the solutions. The left must unite in pushing for a defence strategy where security is not funded by cutting social programs but by increasing taxes on the ultra-wealthy. As Li Andersson rightly argues, “It would be a historic mistake to finance this by cutting welfare,” as such a move would only fuel the rise of the far right. The most immediate and effective step would be the confiscation of frozen Russian assets and their swift reinvestment into military aid for Ukraine. Yet, La France Insoumise, the party Manon Aubry represents in the European Parliament, voted against confiscating Russian assets in their national parliament. Additionally, the 5 Star Movement has a history of pro-Kremlin positions, which include opposition to sanctions before the full-scale invasion of Ukraine.

If the left fails to take concrete action in the face of aggression, it will not only lose credibility but also forfeit its role in shaping Europe's future.

 

La sinistra che si oppone al riarmo rischia di condannarsi all’irrilevanza e di consegnare l’Unione Europea ai regimi autoritari

Il Parlamento europeo ha votato la settimana scorsa una risoluzione non vincolante che stabilisce la linea sulla difesa e il riarmo. Le critiche più aspre alla risoluzione della Commissione europea sulla difesa e il riarmo sono arrivate da esponenti del della Sinistra (GUE/NGL). “Si trovano soldi per i carri armati ma non per gli ospedali”, ha detto l'eurodeputata francese Manon Aubry (La France Insoumise), osservando sarcasticamente: “è come se, all'improvviso, non ci fossero più il riscaldamento globale o la povertà, e l'unica priorità fossero i veicoli blindati”. Analogamente, Benedetta Scuderi dei Verdi ha sostenuto che “per la corsa al riarmo si mette in discussione tutto” a partire dalla spesa sociale. Altre voci si sono unite al coro, tra cui il co-presidente della Sinistra Martin Schirdewan e Danilo Della Valle del Movimento 5 Stelle, partito che ha inscenato una protesta sventolando slogan come "basta armi" o "+ sanità - armi".

In definitiva, la posizione di questi politici si riduce a: lasciamo che il mondo intorno a noi crolli, che i paesi vengano invasi, tanto non sono affari nostri. Dichiarano di voler preservare il loro modello sociale aumentando il budget per il welfare e limitando la spesa per la sicurezza - un ideale che qualsiasi politico di sinistra condividerebbe. Ciò che comodamente ignorano è che lo stesso modello sociale che cercano di proteggere è stato reso possibile proprio perché la sicurezza è stata esternalizzata ad altri attori, ovvero gli Stati Uniti. Ma cosa succede quando la sicurezza non è più garantita da questi attori?

Questa è una domanda che non affrontano mai, proponendo invece semplici slogan. La realtà della competizione di potere internazionale - che oggi vive uno dei momenti più drammatici degli ultimi decenni - è semplicemente ignorata.

Mentre la Francia, la Spagna, l'Italia o la Germania non devono affrontare una minaccia militare immediata, per la Polonia, gli Stati Baltici e i Paesi Nordici il pericolo è diretto. Quando il tuo vicino è una delle maggiori potenze militari del mondo, un paese che nell'ultimo decennio ha violato tutti i principali accordi internazionali, bombarda quotidianamente le città ucraine e sorpassa l'Europa nella corsa agli armamenti, la capacità di difendersi non è una “corsa agli armamenti”, ma un prerequisito per la sopravvivenza.

Alla base di questo problema c'è il rifiuto di vedere l'Europa come un progetto condiviso. Ironicamente, questo tipo di opposizione di sinistra alla difesa europea è una forma di nazionalismo camuffato. L'Unione Europea non è mai stata solo un progetto economico, ma un progetto politico e di sicurezza volto a prevenire le guerre, una lezione appresa dalle ripetute catastrofi del passato.

Ciò che rende questa posizione particolarmente dannosa per la sinistra è che rispecchiano l'isolazionismo dei partiti sovranisti di destra. Ciò è chiaramente illustrato dal voto di Alternative für Deutschland a fianco della sinistra. Tuttavia, a differenza della sinistra, la destra è coerentemente isolazionista. La loro posizione è diretta: rifiutano gli impegni militari esterni e si oppongono ai migranti, rafforzando una visione del mondo in cui contano solo gli interessi della loro nazione e nulla al di fuori dei loro confini merita attenzione. Questa posizione ha almeno il vantaggio della coerenza, che la rende più attraente per gli elettori che credono nell'interesse personale assoluto.

Al contrario, l'isolazionismo selettivo della sinistra - in cui le minacce alla sicurezza vengono ignorate, mentre persistono gli appelli alla solidarietà internazionale su questioni sociali e ambientali - manca di coerenza e non riesce a entrare in sintonia con un pubblico più ampio. Suscitando sentimenti isolazionisti ed egoistici, la sinistra populista coltiva un terreno emotivo che in ultima analisi avvantaggia la destra. Dopo tutto, se lo stato d'animo politico dominante è quello dell'egocentrismo nazionale, è la destra - non la sinistra - a offrire una visione più chiara.

Tuttavia, bisogna ammettere che le voci critiche di sinistra ed ecologiste che denunciano i piani di riarmo dell'Europa hanno pienamente ragione nel sottolineare che né la crisi climatica né la disuguaglianza sistemica sono scomparse. Si tratta effettivamente di minacce esistenziali per l'umanità. Ma hanno ragione a presentare la capacità militare e il sostegno all'Ucraina come un ostacolo nell'affrontare queste sfide globali?

In realtà, la lotta per la sicurezza e quella contro il cambiamento climatico sono profondamente interconnesse. Prendiamo ad esempio il consumo di combustibili fossili. La dipendenza dell'Europa - e in particolare della Germania - dai combustibili fossili russi a basso costo non è stata solo un disastro ambientale, ma anche una grave responsabilità geopolitica. La dipendenza energetica dalla Russia ha dato al Cremlino uno dei suoi più efficaci strumenti di influenza politica sull'Europa. Ha finanziato la macchina bellica russa e allo stesso tempo ha reso le nazioni europee vulnerabili al ricatto energetico.

Pertanto, il rapido sviluppo di fonti energetiche alternative non è solo un imperativo ambientale: è una necessità geopolitica. È proprio quello che chiedono gli ucraini e gli altri Stati minacciati dall'espansionismo russo. Le democrazie che si affidano a regimi autoritari per una questione così cruciale come l'energia stanno sabotando la propria sovranità e sicurezza.

Come giustamente affermato dall'europarlamentare Li Andersson, anche lei membro del gruppo della Sinistra, l'UE dovrebbe porsi l'obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da attori esterni, compresi l'energia e la sfera digitale. Tuttavia, proprio in questo momento, secondo quanto riportato dal sito investigativo iStories le autorità tedesche, russe e statunitensi stanno discutendo la ripresa delle forniture di petrolio e gas russo alla Germania - una mossa che contraddice direttamente la sicurezza e l'indipendenza energetica a lungo termine dell'Europa.

Risolvere le sfide globali come cambiamento climatico e disuguaglianze sociali è senza dubbio una priorità, ma farlo in un quadro di isolamento e sovranismo è una contraddizione. In un mondo in cui il concetto di bene collettivo scompare e la politica è dettata unicamente dalla massimizzazione degli interessi nazionali, le forze che ne traggono vantaggio non sono quelle che sostengono la giustizia climatica o l'uguaglianza sociale.

Al contrario, un mondo del genere è proprio quello che Trump e Putin promuovono apertamente: un mondo in cui la natura e la vita umana sono risorse sacrificabili per il perseguimento del potere statale, al servizio degli autocrati che lo controllano. Questo non significa che le democrazie liberali diano automaticamente priorità alla natura e alla vita umana. La differenza, tuttavia, è che nei sistemi democratici c'è spazio per l'opposizione e la possibilità di imporre visioni alternative. Basta chiedere agli eco-attivisti e ai sindacalisti russi e cinesi quale sia la loro capacità di lottare per la giustizia sociale e climatica. Negli Stati Uniti, la presidenza Trump ha dimostrato quanto rapidamente i progetti ambientali e sociali possano essere smantellati e i loro valori messi a tacere e criminalizzati.

Né la vita umana né l'ambiente possono essere protetti in uno Stato che rientra nella “zona di interesse” di potenze imperiali autocratiche. L'ironia della sinistra isolazionista è che, rifiutando la cooperazione in materia di sicurezza, sta accelerando la propria irrilevanza politica. In un mondo dominato dalla politica incontrollata delle grandi potenze, loro e i loro valori saranno spinti ai margini, prima politicamente e poi fisicamente.

Il contratto sociale delle nostre società si basa sull'idea che lo Stato esista per proteggere i diritti e le libertà dei suoi cittadini, non per sacrificarli per ambizioni espansionistiche. I regimi autoritari considerano la vita umana come una risorsa sacrificabile da utilizzare per perseguire obiettivi geopolitici. Le democrazie sono vincolate da considerazioni etiche e politiche. Gli Stati autoritari possiedono un controllo centralizzato sui mezzi di comunicazione e una repressione efficace, che consente loro di condurre guerre con scarsa attenzione all'opinione pubblica. Mentre nelle democrazie i politici, concentrati sui cicli elettorali, danno priorità ai risultati a breve termine rispetto alle strategie a lungo termine.

Pertanto, le società democratiche hanno una vulnerabilità strategica intrinseca quando si confrontano con Stati autoritari aggressivi. Eppure, molte persone preferiscono aggrapparsi alla convinzione che la diplomazia, l'interdipendenza economica o la superiorità morale da sole ci impediranno un'eventuale aggressione militare. Questo pensiero velleitario porta all'inazione e a una vulnerabilità ancora maggiore che i regimi autoritari sfruttano efficacemente, dipingendo la resistenza ai poteri autocratici come inutile e non vincente.

Gli slogan astratti sulla “abolizione della guerra” rivelano non solo la mancanza di soluzioni pratiche, ma anche la mancanza di volontà di assumersi responsabilità. Permettono invece di sentirsi giusti senza impegnarsi nel difficile lavoro di governo e strategia. Rifiutando di confrontarsi con le realtà militari, questi movimenti diventano spettatori piuttosto che attori, commentando gli eventi piuttosto che plasmarli. Così facendo, in ultima analisi, cedono i compiti critici della sicurezza e della difesa a coloro cui si oppongono ideologicamente.

Invece di ritirarsi in una vuota retorica, la sinistra deve dare forma proattiva alle soluzioni. La sinistra deve unirsi per spingere una strategia di difesa in cui la sicurezza non sia finanziata tagliando i programmi sociali, ma aumentando le tasse sugli ultra ricchi. Come sostiene ancora Li Andersson, “sarebbe un errore storico finanziare tutto questo tagliando il welfare”, poiché una simile mossa non farebbe altro che alimentare l'ascesa dell'estrema destra. Il passo più immediato ed efficace sarebbe la confisca dei beni russi congelati e il loro rapido reinvestimento in aiuti militari per l'Ucraina. Tuttavia, La France Insoumise, il partito che Manon Aubry rappresenta al Parlamento Europeo, in questi giorni ha votato contro la confisca dei beni russi nel proprio parlamento nazionale. Mentre il Movimento 5 Stelle ha una storia di posizioni pro-Cremlino che includono il voto contrario alle sanzioni alla Russia prima dell'invasione su larga scala dell'Ucraina.

Se la sinistra non agisce concretamente di fronte all'aggressione, non solo perderà credibilità, ma perderà anche il suo ruolo nel plasmare il futuro dell'Europa.

Traduzione dall'originale in inglese a cura di Valigia Blu

(Immagine anteprima: frame via YouTube)


 

Left-wing isolationism: a path to political irrelevance in Europe’s defence debate

The European Parliament has voted on the resolution that sets the line on defence and rearmament. The harshest criticism of the European Commission’s resolution on defence and rearmament comes from the Left political group. Among them is Manon Aubry (France Insoumise), who denounces, “You find money for tanks but not for hospitals.” She sarcastically remarked, “It's as if, all of a sudden, there was no longer any global warming or poverty, and the only priority was armoured vehicles.” Similarly, Benedetta Scuderi of the Greens argues that “this arms race” undermines growth and public finances. Other voices have joined the chorus, including the Left co-chair Martin Schirdewan and Danilo Della Valle of the Five Star Movement. During Della Valle’s speech, a group of representatives of the Five Star Movement held a protest waving placards such as "No more guns" or "More jobs, less guns". 

At its core, the position of these politicians boils down to this: let the world around us crumble, let countries be invaded—it’s none of our business. They declare their desire to preserve their social model by increasing the budget for welfare while limiting spending on security – an ideal that any left-wing politician would share. What they conveniently ignore is that the very social model they seek to protect was made possible precisely because security was outsourced to other actors—namely, the United States. But what happens when security is no longer guaranteed by them? This is a question they never address, advancing simple slogans instead. The realities of international power competition—now at one of its most intense moments in decades—are simply dismissed.

While France, Spain, Italy or Germany may not face an immediate military threat, for Poland, the Baltic states, and the Nordic countries, the danger is direct. When your neighbour is one of the world’s largest military powers, a country that has violated every major international agreement in the last decade, bombs Ukrainian cities daily and surpasses all European countries in military expenditures, the ability to defend yourself is not an “arms race”—it is a prerequisite for survival. 

At the core of this issue is a refusal to see Europe as a common project. Ironically, this brand of left-wing opposition to European defence is a form of nationalism in disguise. But nationalism, in its historical form, is precisely what fueled centuries of war, destruction, and division on the European continent. The European Union was never just an economic project—it was a political and security project designed to prevent war, a lesson learned from the repeated catastrophes of the past.

What makes this stance particularly self-defeating for the left is that it mirrors the isolationism of sovereignist right-wing parties. This is clearly illustrated in how Alternative for Germany (AfD) voted alongside the Left. However, unlike the left, the right is consistently isolationist. Their position is straightforward: they reject external military engagements and oppose migrants, reinforcing a worldview in which only their nation’s interests matter, and nothing beyond their borders deserves attention. This stance at least has the advantage of consistency—which makes it more appealing to voters who believe in absolute self-interest.

In contrast, the left’s selective isolationism—where security threats are ignored, yet calls for international solidarity on social and environmental issues persist—lacks coherence and fails to resonate with the broader public. By stirring up isolationist and selfish sentiments, the populist left cultivates an emotional terrain that ultimately benefits the right. After all, if the dominant political mood is one of national egocentrism, it is the right—not the left—that offers a clearer vision.

However, it must be acknowledged that left-wing and ecological critics of Europe’s rearmament plans are right to emphasize that neither the ecological crisis nor systemic inequality has disappeared. These are indeed existential threats to humanity. But are they justified in portraying military preparedness and support for Ukraine as being in opposition to tackling these global challenges?

In reality, the fight for security and the fight against climate change are deeply interconnected.

Take fossil fuel consumption as an example. Europe’s—and especially Germany’s—dependence on cheap Russian fossil fuels has not only been an environmental disaster but also a severe geopolitical liability. Energy dependence on Russia gave the Kremlin one of its most effective tools of political leverage over Europe. It financed Russia’s war machine while simultaneously making European nations vulnerable to energy blackmail. Thus, the rapid development of alternative energy sources is not just an environmental imperative—it is a geopolitical necessity. It is precisely what Ukrainians and other states threatened by Russian expansionism are demanding. Democracies that make themselves reliant on authoritarian regimes for something as critical as energy are sabotaging their sovereignty and security. As Li Andersson, also a member of The Left group, rightly said, the EU should set a strategic goal of reducing our dependencies on external actors, including energy and the digital sphere. However, at this very moment, according to iStories German, Russian, and U.S. authorities are discussing the resumption of Russian oil and gas supplies to Germany—a move that directly contradicts Europe's long-term security and energy independence.

Solving global challenges such as climate change and inequality is undoubtedly a priority, but doing so within an isolationist, sovereignist framework is a contradiction. In a world where the concept of the common good disappears and politics is dictated solely by the maximization of national interests, the forces that benefit are not those advocating for climate justice or social equity. Instead, such a world is precisely what Trump and Putin openly promote—one in which nature and human life are expendable resources in the pursuit of state power, serving the autocrats in control. This is not to say that liberal democracies automatically prioritise nature and human life. The difference, however, is that within democratic systems, there is space for opposition and the possibility of imposing alternative visions. One only needs to ask Russian and Chinese eco-activists and trade unionists about their ability to fight for social and climate justice. And in the United States, the Trump presidency demonstrated how quickly environmental and social projects could be dismantled and their values silenced and criminalized.

Neither human life nor the environment can be protected in a state that falls within the “zone of interest” of autocratic imperial powers. The irony of the isolationist left is that by rejecting security cooperation, they are accelerating their own political irrelevance. In a world dominated by unchecked great-power politics, they and their values will be pushed to the margins—first politically, then physically.

The social contract in our societies is built upon the idea that the state exists to protect the rights and freedoms of its citizens, not to sacrifice them for expansionist ambitions. Authoritarian regimes view human life as an expendable resource to be used in pursuit of geopolitical goals. Democracies are constrained by ethical and political considerations. Authoritarian states possess centralized control over media and effective repression, allowing them to wage wars with little regard for public opinion. Politicians in democracies, focused on electoral cycles, prioritize short-term results over long-term strategies.

Thus, democratic societies face an inherent strategic vulnerability when confronted by aggressive authoritarian states. Still, many people prefer to cling to the belief that diplomacy, economic interdependence, or moral superiority alone will prevent us from eventual military aggression. This wishful thinking leads to inaction and even greater vulnerability that authoritarian regimes effectively exploit, by portraying a resistance to autocratic powers as unwinnable and unnecessary. 

Abstract slogans about “abolishing war” reveal not only a lack of practical solutions but also an unwillingness to take responsibility. Instead, they allow one to feel righteous without engaging in the difficult work of governance and strategy. By refusing to confront military realities, these movements become spectators rather than actors, commenting on events rather than shaping them. In doing so, they ultimately surrender the critical tasks of security and defence to those they ideologically oppose.

Instead of retreating into empty rhetoric, the left must proactively shape the solutions. The left must unite in pushing for a defence strategy where security is not funded by cutting social programs but by increasing taxes on the ultra-wealthy. As Li Andersson rightly argues, “It would be a historic mistake to finance this by cutting welfare,” as such a move would only fuel the rise of the far right. The most immediate and effective step would be the confiscation of frozen Russian assets and their swift reinvestment into military aid for Ukraine. Yet, La France Insoumise, the party Manon Aubry represents in the European Parliament, voted against confiscating Russian assets in their national parliament. Additionally, the 5 Star Movement has a history of pro-Kremlin positions, which include opposition to sanctions before the full-scale invasion of Ukraine.

If the left fails to take concrete action in the face of aggression, it will not only lose credibility but also forfeit its role in shaping Europe's future.