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Scienza e Tecnologia

I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

BRELLxit: I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

L’8 febbraio il sistema energetico delle Repubbliche Baltiche si è sconnesso dalla rete russa collegandosi a quella europea.

In sé un atto strettamente tecnico e previsto da decenni ma che è finito per assumere un valore politico ben più profondo.

Immersi in una futuristica scenografia, i presidenti delle tre Repubbliche Baltiche, insieme al presidente polacco e della commissione europea Von der Leyen, celebrano la quasi simultanea sconnessione della rete energetica baltica dal sistema BRELL (condiviso con Russia e Bielorussia) per collegarsi all’Area Sincrona dell’Europa Continentale (CESA).

Un atto dovuto di integrazione europea e di sicurezza energetica che viene equiparato ad una seconda dichiarazione di indipendenza.

Il lungo cammino verso l’Europa elettrica

L’idea della sincronizzazione energetica fra Baltici ed Europea risale invece alla prima indipendenza, quando, in ottica europeista, ma anche e soprattutto per allontanarsi dalla Russia e dalle sue minacce in tema di sicurezza energetica, la questione fece il suo primo ingresso nel dibattito politico.

Fra il 1996 e il 1998 si realizzò quindi il primo studio di fattibilità, ‘Baltic ring’, dal quale emersero una lunga serie di sfide rispetto alla creazione di un mercato comune dell’elettricità con l’Europa, finendo per alimentare uno scetticismo che avrebbe congelato il dibattito fino al 2007.

Fu solo nel 2008, con la salita al potere in Lituania dei democristiani (TS-LKD), e Sekmokas ministro dell’Energia, che si riuscirono a rimuovere dal Ministero le vecchie autorità energetiche, principali oppositori alla sincronizzazione.

Ma ancor di più, sarà il coinvolgimento dell’Unione Europea a dare una prospettiva concreta a quella che fino a quel momento era rimasta solo un’idea.
In particolare attraverso la promozione e approvazione, nello stesso anno, del Piano di Interconnessione del Mercato Energetico del Baltico (BEMIP), ma che pure non fu sufficiente per superare gli ostacoli che il progetto portava con sé: l’opposizione della Polonia alla costruzione dell’interconnessione elettrica LitPol Link 2; della Russia, che avrebbe visto l’exclave di Kaliningrad isolata dalla propria rete, insieme a tutta una serie di questioni tecniche che portarono a dubitare anche la stessa Estonia.

I dubbi e le specifiche operative portarono a nuovi studi di fattibilità che rallentarono i lavori, tanto da portare le tre repubbliche a considerare anche progetti autonomi di sincronizzazione, e a non firmare il memorandum d’intesa del 2017.

A questo punto sarà, di nuovo, necessario il coinvolgimento dell’Unione Europea per mettere tutti d’accordo.
E succederà l’anno successivo, con Juncker ad oleare gli ingranaggi, quando finalmente le tre repubbliche e la Polonia sottoscrissero il piano d’azione per la sincronizzazione elettrica.

Uno dei più grandi risultati della diplomazia europea in tema di sicurezza energetica con destinazione 2025.

1,6 miliardi di euro dopo (di cui 1,23 dell’UE), l’8 febbraio di quest’anno, si sconnettono le interconnessioni fra il sistema delle Repubbliche dalla rete BRELL.

E dopo 24 ore di lavoro in autonomia, a garanzia di sicurezza del buon funzionamento del sistema baltico, si collega alla rete CESA, attraverso diverse interconnessioni fra Estonia e Finlandia e fra la Lituania con Polonia e Svezia.

Segnando ‘la fine di ogni residuo sovietico’ per i baltici, oltre che la completa integrazione europea della regione fino ad ora rimasta un’isola energetica.

Massima allerta

La posizione dei baltici e il loro passato hanno sicuramente contribuito a fare di questo atto ‘tecnico’ una necessità di sicurezza energetica a fronte di Mosca e della sua abitudine a ricattare chiunque sia ad essa legata energeticamente.

Eppure, al diminuire delle possibilità di ricatto energetico da parte di Mosca, aumenta parallelamente il rischio di sabotaggi e ripercussioni per l’altra abitudine russa di voler dimostrare che ogni tentativo di porre fine a una dipendenza da Mosca ha inevitabilmente delle conseguenze.

Conseguenze, di cui i danneggiamenti dei cavi nel mar Baltico sono chiari precedenti, che si sommano al rischio di altre forme di attacchi ibridi che Mosca è andata perfezionando negli anni, e che includono cyber attacchi e campagne di disinformazione che fanno sì che tutti rimangano in massimo stato di allerta nei baltici.

Ma non gira sempre tutto e solo intorno alla Russia

Tuttavia, non si può sempre e solo ridurre tutto in funzione della Russia, e farlo vorrebbe dire non solo sottostimare il lavoro (e il cospicuo finanziamento) delle Repubbliche e dell’UE.

Ma vorrebbe anche dire assegnare a Mosca un’importanza superiore a quella che già non si auto concede.

Una pratica che troviamo sia nelle parole di chi imputa le esitazioni e i ritardi a strumento di “mitigazione pragmatica” affine alla finlandizzazione della vicina scandinava.

Ma anche nelle dichiarazioni di media e politici che riducono la sincronizzazione come “risposta all’invasione dell’Ucraina della Russia”.

Quando, invece, l’annosa storia del progetto dovrebbe essere sufficiente per notare come sia ben precedente e indipendente dalle azioni russe più recenti, e confermato anche in un report dell’ICDS (International Centre for Defence and Security) in cui viene segnalato come, dopo il 2007, “rischi politici e preoccupazioni in tema di sicurezza sono stati completamente assenti nella discussione”, e i ritardi sono stati dovuti unicamente a considerazioni tecniche.

Provenienti, tra l’altro, da Estonia e Polonia, da sempre in prima linea nella militanza contro l’influenza di Mosca.

Una narrazione dannosa che si sostituisce al Cremlino nel costruire l’immagine di una Russia minacciosa e in funzione della cui forza gira il mondo, e che riduce a mera reazione anni di dialogo, sforzi e diplomazia europea per raggiungere questo risultato.

East Journal

Prodotti fitosanitari: gli effetti sulla biodiversità sono più dannosi del previsto

I prodotti fitosanitari sono utilizzati principalmente in agricoltura per controllare la diffusione dei parassiti. Tuttavia, tali prodotti possono anche danneggiare molte specie di animali, piante e funghi non bersaglio utili. Quanto siano dannosi e finora sconosciuti gli effetti reali dei diversi pesticidi su una varietà di gruppi di organismi è stato dimostrato da un meta-studio internazionale realizzato con la partecipazione del Leibniz Institute for the Analysis of Biodiversity Change (LIB). La sintesi dei 1.705 lavori di ricerca sul tema è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications.

Gli autori dello studio precisano che, con la crescente domanda di cibo e l’aumentare della resistenza dei parassiti ai prodotti fitosanitari, è necessaria una migliore valutazione del rischio. I prodotti fitosanitari possono ora essere rilevati in quasi tutti gli ecosistemi in varie miscele e concentrazioni. Tuttavia, le conoscenze degli effetti sugli organismi non bersaglio non erano ancora disponibili in modo completo.

Per la realizzazione di questo meta-studio, ricercatori proveninenti da tutto il mondo hanno raccolto per oltre dieci anni 1.705 lavori scientifici basati su standard di raccolta e analisi dei dati trasversali. Lo studio fornisce un quadro completo sull’argomento ed è stato creato sotto la guida di scienziati cinesi dello Shanghai Key Laboratory of Chemical Biology, School of Pharmacy, East China University of Science and Technology, Shanghai, Cina. Infatti, gli autori sottolineano che le conoscenze, ottenibili dalla sintesi quantitativa dei lavori, sono indispensabili per creare un quadro nazionale e internazionale per la gestione critica dei prodotti fitosanitari.

I nuovi pesticidi sono più dannosi del previsto per tutti gli organismi

I ricercatori presentano una sintesi degli effetti di 471 diversi agenti pesticidi su 830 specie di organismi non bersaglio (piante, animali e microrganismi) a diversi livelli della catena alimentare. Di conseguenza, tutti gli organismi, compresi gli impollinatori, i pesci e gli anfibi, mostrano reazioni negative nella loro crescita, riproduzione, comportamento e sopravvivenza. Anche i funghi e le piante ne risentono.

Nelle analisi basate su esperimenti condotti in laboratorio e sul campo, l’effetto dei pesticidi di nuova generazione (quelli attualmente autorizzati nell’UE) era simile a quello dei pesticidi più vecchi. Secondo gli autori, sarebbe difficile trovare prove del fatto che lo sviluppo e l’approvazione di nuovi principi attivi ridurrebbero i rischi.

«La procedura di autorizzazione dei pesticidi è complessa e laboriosa, quindi è ancora più sorprendente che il nostro studio riconosca che gli effetti dei prodotti fitosanitari sono molto più ampi e profondi di quanto si pensasse in precedenza», afferma Christoph Scherber, vicedirettore del LIB e direttore del Centro per il monitoraggio della biodiversità e la ricerca sulla preservazione della natura. «Ad esempio, gli erbicidi usati per combattere alcune piante hanno un effetto negativo sugli insetti e gli insetticidi hanno a loro volta effetti negativi sulla crescita delle piante».

L’agroecologia come soluzione alla crisi

«È doveroso mettere in discussione l’uso standard dei prodotti fitosanitari, visti i numerosi effetti collaterali. Ormai sappiamo da molti studi che la biodiversità in agricoltura può anche ridurre le infestazioni parassitarie senza dover accettare effetti collaterali indesiderati. La co-coltura di colture e animali domestici, ma anche la diversificazione dei sistemi di coltivazione agricola, come nella coltivazione mista, supportano la biodiversità. Le strisce fiorite, le aree incolte e le siepi offrono agli antagonisti naturali basi vitali e possono anche essere efficaci contro l’erosione del vento e dell’acqua», afferma Scherber.

«In questo modo, un’agricoltura diversificata può portare a un controllo più efficiente delle specie di parassiti erbivori e contribuire alla stabilità del raccolto», conclude Christoph Scherber.

In altre parole, i metodi agroecologici, come quelli utilizzati nell’agricoltura rigenerativa e nell’agricoltura biologica, offrono una via percorribile per uscire dalla crisi della biodiversità causata dalla monocoltura e dall’agroindustria.

Link allo studio “Pesticides have negative effects on non-target organisms” pubblicato su Nature Communications

Traduzione dal tedesco di Filomena Santoro. Revisione di Maria Sartori.

Pressenza Muenchen

Motori spaziali tra scienza e fantascienza?

Da quando l’Essere Umano ha sviluppato la tecnologia della movimentazione assistita, trasferendo la potenza del cavallo a sistemi meccanici indipendenti, la vita ha preso a scorrere più velocemente e la tecnologia ha fatto passi da gigante in maniera esponenziale.

Era “solo” il 1769 quando, grazie all’applicazione della macchina a vapore alla mobilità, il carro di Cugnot percorreva i primi metri.

In poco più di 200 anni stiamo ora percorrendo Unità Astronomiche (1.0 ua = 149.597.870.707 m) grazie a sistemi mobili impensabili all’epoca.

Mentre la mobilità terrestre di superficie sembra essere arrivata ormai al suo limite, ciò che accade sia in bassa atmosfera che, soprattutto, nello Spazio sta iniziando viceversa a cambiare nuovamente le prospettive espansionistiche del Genere Umano.

Ho già parlato, in un precedente articolo, delle nuove capacità esplorative ad appannaggio delle “Vele Solari”, ma anche altri sistemi di trasporto, equipaggiati da particolari ed innovativi sistemi propulsivi, spesso preannunciati dalla Fantascienza, si stanno concretizzando.

Motori a propulsione nucleare, al Plasma, agli ioni, elettrostatici sono all’orizzonte, sistemi che possono arrivare a “muovere” vere e proprie astronavi con una discreta efficienza una volta a regime.

Certo al momento non come quelle di Star Trek, ma potranno comunque garantire il trasporto di piccoli team di Astronauti per medie distanze.

Tra i vari lati positivi, vi sono tempistiche di percorrenza molto basse, per esempio si stima che con un motore al plasma si potrebbe arrivare a raggiungere Marte in circa 30 giorni di viaggio.
Siamo consapevoli che questo ridurrebbe le tempistiche, ma anche, cosa più importante, ridurrebbe ovviamente l’esposizione degli astronauti all’ambiente Cosmico molto dannoso alla salute Umana. 

Quindi solo vantaggi?

Assolutamente no… il lancio iniziale in orbita avverrà con razzi che possiedono motori tradizionali a propellente solido, liquido o a gas metano (questi ultimi come i Raptor di che equipaggiano Starship di SpaceX), che possono sprigionare la potenza necessaria alla messa in orbita dei sistemi finali o di parti di essi.

Successivamente, dopo il necessario assemblaggio, dispiegamento (in caso di Vele Spaziali) o messa in orbita iniziale, il o i propulsori, di nuova generazione, verranno attivati.

Le motivazioni di questa scelta sono diverse:

  • i nuovi motori al momento non sono così efficienti, da fornire la spinta necessaria a vincere la forza di Gravità ed a permettere la messa in orbita diretta, del Sistema Spaziale o di parti di esso, dalla base di lancio;
  • a causa del precedente punto, i motori di nuova generazione, in base al tipo di veicolo da muovere, potrebbero richiedere “array” (serie) composte di diverse unità propulsive per raggiungere la necessaria efficienza propulsiva. Questo si tradurrebbe in dimensioni e massa, del mezzo, rilevanti risultando troppo pesanti per essere lanciati dalla superficie terrestre direttamente venendo per esempio assemblati un orbita;
  • alcuni motori, quali quelli ad energia Nucleare ad esempio, potrebbero essere dannosi per gli esseri umani se utilizzati in atmosfera.

 

Questi sono solo alcuni degli esempi in attesa che il Motore a Curvatura, vagheggiato nella già menzionata saga Star Trek, possa in qualche modo vedere la luce.

Per quanto riguarda quest’ultimo, la sua caratteristica fantascientifica è quella di consentire, al possibile sistema spaziale, di viaggiare alla velocità della luce comprimendo lo spazio-tempo davanti alla nave e espandendolo sul retro della stessa (creando la cosiddetta “bolla di curvatura”).

Da una approfondita analisi eseguita da alcuni ricercatori in questi ultimi anni, non sembrerebbe essere comunque relegato alle pubblicazioni del genere letterario chiamato Sci-Fi (Fantascienza).

Un team, infatti, ha recentemente avanzato l’ipotesi che il salto alla velocità di curvatura possa essere effettuabile e senza dover violare le attuali leggi della fisica utilizzando, oltretutto, fonti energetiche conosciute e non “esoteriche”.  

Questo rappresenterebbe una svolta significativa rispetto a qualsiasi degli attuali motori tradizionali o di nuova generazione visti in precedenza.

E quindi non resta che dire:

“All right Scotty! Get our warp power up to full capacity!” 

(cit. capt. James T. Kirk – ‘Star Trek, The Original Series’).

    

Paolo Navone

I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

BRELLxit: I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

L’8 febbraio il sistema energetico delle Repubbliche Baltiche si è sconnesso dalla rete russa collegandosi a quella europea.

In sé un atto strettamente tecnico e previsto da decenni ma che è finito per assumere un valore politico ben più profondo.

Immersi in una futuristica scenografia, i presidenti delle tre Repubbliche Baltiche, insieme al presidente polacco e della commissione europea Von der Leyen, celebrano la quasi simultanea sconnessione della rete energetica baltica dal sistema BRELL (condiviso con Russia e Bielorussia) per collegarsi all’Area Sincrona dell’Europa Continentale (CESA).

Un atto dovuto di integrazione europea e di sicurezza energetica che viene equiparato ad una seconda dichiarazione di indipendenza.

Il lungo cammino verso l’Europa elettrica

L’idea della sincronizzazione energetica fra Baltici ed Europea risale invece alla prima indipendenza, quando, in ottica europeista, ma anche e soprattutto per allontanarsi dalla Russia e dalle sue minacce in tema di sicurezza energetica, la questione fece il suo primo ingresso nel dibattito politico.

Fra il 1996 e il 1998 si realizzò quindi il primo studio di fattibilità, ‘Baltic ring’, dal quale emersero una lunga serie di sfide rispetto alla creazione di un mercato comune dell’elettricità con l’Europa, finendo per alimentare uno scetticismo che avrebbe congelato il dibattito fino al 2007.

Fu solo nel 2008, con la salita al potere in Lituania dei democristiani (TS-LKD), e Sekmokas ministro dell’Energia, che si riuscirono a rimuovere dal Ministero le vecchie autorità energetiche, principali oppositori alla sincronizzazione.

Ma ancor di più, sarà il coinvolgimento dell’Unione Europea a dare una prospettiva concreta a quella che fino a quel momento era rimasta solo un’idea.
In particolare attraverso la promozione e approvazione, nello stesso anno, del Piano di Interconnessione del Mercato Energetico del Baltico (BEMIP), ma che pure non fu sufficiente per superare gli ostacoli che il progetto portava con sé: l’opposizione della Polonia alla costruzione dell’interconnessione elettrica LitPol Link 2; della Russia, che avrebbe visto l’exclave di Kaliningrad isolata dalla propria rete, insieme a tutta una serie di questioni tecniche che portarono a dubitare anche la stessa Estonia.

I dubbi e le specifiche operative portarono a nuovi studi di fattibilità che rallentarono i lavori, tanto da portare le tre repubbliche a considerare anche progetti autonomi di sincronizzazione, e a non firmare il memorandum d’intesa del 2017.

A questo punto sarà, di nuovo, necessario il coinvolgimento dell’Unione Europea per mettere tutti d’accordo.
E succederà l’anno successivo, con Juncker ad oleare gli ingranaggi, quando finalmente le tre repubbliche e la Polonia sottoscrissero il piano d’azione per la sincronizzazione elettrica.

Uno dei più grandi risultati della diplomazia europea in tema di sicurezza energetica con destinazione 2025.

1,6 miliardi di euro dopo (di cui 1,23 dell’UE), l’8 febbraio di quest’anno, si sconnettono le interconnessioni fra il sistema delle Repubbliche dalla rete BRELL.

E dopo 24 ore di lavoro in autonomia, a garanzia di sicurezza del buon funzionamento del sistema baltico, si collega alla rete CESA, attraverso diverse interconnessioni fra Estonia e Finlandia e fra la Lituania con Polonia e Svezia.

Segnando ‘la fine di ogni residuo sovietico’ per i baltici, oltre che la completa integrazione europea della regione fino ad ora rimasta un’isola energetica.

Massima allerta

La posizione dei baltici e il loro passato hanno sicuramente contribuito a fare di questo atto ‘tecnico’ una necessità di sicurezza energetica a fronte di Mosca e della sua abitudine a ricattare chiunque sia ad essa legata energeticamente.

Eppure, al diminuire delle possibilità di ricatto energetico da parte di Mosca, aumenta parallelamente il rischio di sabotaggi e ripercussioni per l’altra abitudine russa di voler dimostrare che ogni tentativo di porre fine a una dipendenza da Mosca ha inevitabilmente delle conseguenze.

Conseguenze, di cui i danneggiamenti dei cavi nel mar Baltico sono chiari precedenti, che si sommano al rischio di altre forme di attacchi ibridi che Mosca è andata perfezionando negli anni, e che includono cyber attacchi e campagne di disinformazione che fanno sì che tutti rimangano in massimo stato di allerta nei baltici.

Ma non gira sempre tutto e solo intorno alla Russia

Tuttavia, non si può sempre e solo ridurre tutto in funzione della Russia, e farlo vorrebbe dire non solo sottostimare il lavoro (e il cospicuo finanziamento) delle Repubbliche e dell’UE.

Ma vorrebbe anche dire assegnare a Mosca un’importanza superiore a quella che già non si auto concede.

Una pratica che troviamo sia nelle parole di chi imputa le esitazioni e i ritardi a strumento di “mitigazione pragmatica” affine alla finlandizzazione della vicina scandinava.

Ma anche nelle dichiarazioni di media e politici che riducono la sincronizzazione come “risposta all’invasione dell’Ucraina della Russia”.

Quando, invece, l’annosa storia del progetto dovrebbe essere sufficiente per notare come sia ben precedente e indipendente dalle azioni russe più recenti, e confermato anche in un report dell’ICDS (International Centre for Defence and Security) in cui viene segnalato come, dopo il 2007, “rischi politici e preoccupazioni in tema di sicurezza sono stati completamente assenti nella discussione”, e i ritardi sono stati dovuti unicamente a considerazioni tecniche.

Provenienti, tra l’altro, da Estonia e Polonia, da sempre in prima linea nella militanza contro l’influenza di Mosca.

Una narrazione dannosa che si sostituisce al Cremlino nel costruire l’immagine di una Russia minacciosa e in funzione della cui forza gira il mondo, e che riduce a mera reazione anni di dialogo, sforzi e diplomazia europea per raggiungere questo risultato.

East Journal

Prodotti fitosanitari: gli effetti sulla biodiversità sono più dannosi del previsto

I prodotti fitosanitari sono utilizzati principalmente in agricoltura per controllare la diffusione dei parassiti. Tuttavia, tali prodotti possono anche danneggiare molte specie di animali, piante e funghi non bersaglio utili. Quanto siano dannosi e finora sconosciuti gli effetti reali dei diversi pesticidi su una varietà di gruppi di organismi è stato dimostrato da un meta-studio internazionale realizzato con la partecipazione del Leibniz Institute for the Analysis of Biodiversity Change (LIB). La sintesi dei 1.705 lavori di ricerca sul tema è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications.

Gli autori dello studio precisano che, con la crescente domanda di cibo e l’aumentare della resistenza dei parassiti ai prodotti fitosanitari, è necessaria una migliore valutazione del rischio. I prodotti fitosanitari possono ora essere rilevati in quasi tutti gli ecosistemi in varie miscele e concentrazioni. Tuttavia, le conoscenze degli effetti sugli organismi non bersaglio non erano ancora disponibili in modo completo.

Per la realizzazione di questo meta-studio, ricercatori proveninenti da tutto il mondo hanno raccolto per oltre dieci anni 1.705 lavori scientifici basati su standard di raccolta e analisi dei dati trasversali. Lo studio fornisce un quadro completo sull’argomento ed è stato creato sotto la guida di scienziati cinesi dello Shanghai Key Laboratory of Chemical Biology, School of Pharmacy, East China University of Science and Technology, Shanghai, Cina. Infatti, gli autori sottolineano che le conoscenze, ottenibili dalla sintesi quantitativa dei lavori, sono indispensabili per creare un quadro nazionale e internazionale per la gestione critica dei prodotti fitosanitari.

I nuovi pesticidi sono più dannosi del previsto per tutti gli organismi

I ricercatori presentano una sintesi degli effetti di 471 diversi agenti pesticidi su 830 specie di organismi non bersaglio (piante, animali e microrganismi) a diversi livelli della catena alimentare. Di conseguenza, tutti gli organismi, compresi gli impollinatori, i pesci e gli anfibi, mostrano reazioni negative nella loro crescita, riproduzione, comportamento e sopravvivenza. Anche i funghi e le piante ne risentono.

Nelle analisi basate su esperimenti condotti in laboratorio e sul campo, l’effetto dei pesticidi di nuova generazione (quelli attualmente autorizzati nell’UE) era simile a quello dei pesticidi più vecchi. Secondo gli autori, sarebbe difficile trovare prove del fatto che lo sviluppo e l’approvazione di nuovi principi attivi ridurrebbero i rischi.

«La procedura di autorizzazione dei pesticidi è complessa e laboriosa, quindi è ancora più sorprendente che il nostro studio riconosca che gli effetti dei prodotti fitosanitari sono molto più ampi e profondi di quanto si pensasse in precedenza», afferma Christoph Scherber, vicedirettore del LIB e direttore del Centro per il monitoraggio della biodiversità e la ricerca sulla preservazione della natura. «Ad esempio, gli erbicidi usati per combattere alcune piante hanno un effetto negativo sugli insetti e gli insetticidi hanno a loro volta effetti negativi sulla crescita delle piante».

L’agroecologia come soluzione alla crisi

«È doveroso mettere in discussione l’uso standard dei prodotti fitosanitari, visti i numerosi effetti collaterali. Ormai sappiamo da molti studi che la biodiversità in agricoltura può anche ridurre le infestazioni parassitarie senza dover accettare effetti collaterali indesiderati. La co-coltura di colture e animali domestici, ma anche la diversificazione dei sistemi di coltivazione agricola, come nella coltivazione mista, supportano la biodiversità. Le strisce fiorite, le aree incolte e le siepi offrono agli antagonisti naturali basi vitali e possono anche essere efficaci contro l’erosione del vento e dell’acqua», afferma Scherber.

«In questo modo, un’agricoltura diversificata può portare a un controllo più efficiente delle specie di parassiti erbivori e contribuire alla stabilità del raccolto», conclude Christoph Scherber.

In altre parole, i metodi agroecologici, come quelli utilizzati nell’agricoltura rigenerativa e nell’agricoltura biologica, offrono una via percorribile per uscire dalla crisi della biodiversità causata dalla monocoltura e dall’agroindustria.

Link allo studio “Pesticides have negative effects on non-target organisms” pubblicato su Nature Communications

Traduzione dal tedesco di Filomena Santoro. Revisione di Maria Sartori.

Pressenza Muenchen

Motori spaziali tra scienza e fantascienza?

Da quando l’Essere Umano ha sviluppato la tecnologia della movimentazione assistita, trasferendo la potenza del cavallo a sistemi meccanici indipendenti, la vita ha preso a scorrere più velocemente e la tecnologia ha fatto passi da gigante in maniera esponenziale.

Era “solo” il 1769 quando, grazie all’applicazione della macchina a vapore alla mobilità, il carro di Cugnot percorreva i primi metri.

In poco più di 200 anni stiamo ora percorrendo Unità Astronomiche (1.0 ua = 149.597.870.707 m) grazie a sistemi mobili impensabili all’epoca.

Mentre la mobilità terrestre di superficie sembra essere arrivata ormai al suo limite, ciò che accade sia in bassa atmosfera che, soprattutto, nello Spazio sta iniziando viceversa a cambiare nuovamente le prospettive espansionistiche del Genere Umano.

Ho già parlato, in un precedente articolo, delle nuove capacità esplorative ad appannaggio delle “Vele Solari”, ma anche altri sistemi di trasporto, equipaggiati da particolari ed innovativi sistemi propulsivi, spesso preannunciati dalla Fantascienza, si stanno concretizzando.

Motori a propulsione nucleare, al Plasma, agli ioni, elettrostatici sono all’orizzonte, sistemi che possono arrivare a “muovere” vere e proprie astronavi con una discreta efficienza una volta a regime.

Certo al momento non come quelle di Star Trek, ma potranno comunque garantire il trasporto di piccoli team di Astronauti per medie distanze.

Tra i vari lati positivi, vi sono tempistiche di percorrenza molto basse, per esempio si stima che con un motore al plasma si potrebbe arrivare a raggiungere Marte in circa 30 giorni di viaggio.
Siamo consapevoli che questo ridurrebbe le tempistiche, ma anche, cosa più importante, ridurrebbe ovviamente l’esposizione degli astronauti all’ambiente Cosmico molto dannoso alla salute Umana. 

Quindi solo vantaggi?

Assolutamente no… il lancio iniziale in orbita avverrà con razzi che possiedono motori tradizionali a propellente solido, liquido o a gas metano (questi ultimi come i Raptor di che equipaggiano Starship di SpaceX), che possono sprigionare la potenza necessaria alla messa in orbita dei sistemi finali o di parti di essi.

Successivamente, dopo il necessario assemblaggio, dispiegamento (in caso di Vele Spaziali) o messa in orbita iniziale, il o i propulsori, di nuova generazione, verranno attivati.

Le motivazioni di questa scelta sono diverse:

  • i nuovi motori al momento non sono così efficienti, da fornire la spinta necessaria a vincere la forza di Gravità ed a permettere la messa in orbita diretta, del Sistema Spaziale o di parti di esso, dalla base di lancio;
  • a causa del precedente punto, i motori di nuova generazione, in base al tipo di veicolo da muovere, potrebbero richiedere “array” (serie) composte di diverse unità propulsive per raggiungere la necessaria efficienza propulsiva. Questo si tradurrebbe in dimensioni e massa, del mezzo, rilevanti risultando troppo pesanti per essere lanciati dalla superficie terrestre direttamente venendo per esempio assemblati un orbita;
  • alcuni motori, quali quelli ad energia Nucleare ad esempio, potrebbero essere dannosi per gli esseri umani se utilizzati in atmosfera.

 

Questi sono solo alcuni degli esempi in attesa che il Motore a Curvatura, vagheggiato nella già menzionata saga Star Trek, possa in qualche modo vedere la luce.

Per quanto riguarda quest’ultimo, la sua caratteristica fantascientifica è quella di consentire, al possibile sistema spaziale, di viaggiare alla velocità della luce comprimendo lo spazio-tempo davanti alla nave e espandendolo sul retro della stessa (creando la cosiddetta “bolla di curvatura”).

Da una approfondita analisi eseguita da alcuni ricercatori in questi ultimi anni, non sembrerebbe essere comunque relegato alle pubblicazioni del genere letterario chiamato Sci-Fi (Fantascienza).

Un team, infatti, ha recentemente avanzato l’ipotesi che il salto alla velocità di curvatura possa essere effettuabile e senza dover violare le attuali leggi della fisica utilizzando, oltretutto, fonti energetiche conosciute e non “esoteriche”.  

Questo rappresenterebbe una svolta significativa rispetto a qualsiasi degli attuali motori tradizionali o di nuova generazione visti in precedenza.

E quindi non resta che dire:

“All right Scotty! Get our warp power up to full capacity!” 

(cit. capt. James T. Kirk – ‘Star Trek, The Original Series’).

    

Paolo Navone

I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

BRELLxit: I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

L’8 febbraio il sistema energetico delle Repubbliche Baltiche si è sconnesso dalla rete russa collegandosi a quella europea.

In sé un atto strettamente tecnico e previsto da decenni ma che è finito per assumere un valore politico ben più profondo.

Immersi in una futuristica scenografia, i presidenti delle tre Repubbliche Baltiche, insieme al presidente polacco e della commissione europea Von der Leyen, celebrano la quasi simultanea sconnessione della rete energetica baltica dal sistema BRELL (condiviso con Russia e Bielorussia) per collegarsi all’Area Sincrona dell’Europa Continentale (CESA).

Un atto dovuto di integrazione europea e di sicurezza energetica che viene equiparato ad una seconda dichiarazione di indipendenza.

Il lungo cammino verso l’Europa elettrica

L’idea della sincronizzazione energetica fra Baltici ed Europea risale invece alla prima indipendenza, quando, in ottica europeista, ma anche e soprattutto per allontanarsi dalla Russia e dalle sue minacce in tema di sicurezza energetica, la questione fece il suo primo ingresso nel dibattito politico.

Fra il 1996 e il 1998 si realizzò quindi il primo studio di fattibilità, ‘Baltic ring’, dal quale emersero una lunga serie di sfide rispetto alla creazione di un mercato comune dell’elettricità con l’Europa, finendo per alimentare uno scetticismo che avrebbe congelato il dibattito fino al 2007.

Fu solo nel 2008, con la salita al potere in Lituania dei democristiani (TS-LKD), e Sekmokas ministro dell’Energia, che si riuscirono a rimuovere dal Ministero le vecchie autorità energetiche, principali oppositori alla sincronizzazione.

Ma ancor di più, sarà il coinvolgimento dell’Unione Europea a dare una prospettiva concreta a quella che fino a quel momento era rimasta solo un’idea.
In particolare attraverso la promozione e approvazione, nello stesso anno, del Piano di Interconnessione del Mercato Energetico del Baltico (BEMIP), ma che pure non fu sufficiente per superare gli ostacoli che il progetto portava con sé: l’opposizione della Polonia alla costruzione dell’interconnessione elettrica LitPol Link 2; della Russia, che avrebbe visto l’exclave di Kaliningrad isolata dalla propria rete, insieme a tutta una serie di questioni tecniche che portarono a dubitare anche la stessa Estonia.

I dubbi e le specifiche operative portarono a nuovi studi di fattibilità che rallentarono i lavori, tanto da portare le tre repubbliche a considerare anche progetti autonomi di sincronizzazione, e a non firmare il memorandum d’intesa del 2017.

A questo punto sarà, di nuovo, necessario il coinvolgimento dell’Unione Europea per mettere tutti d’accordo.
E succederà l’anno successivo, con Juncker ad oleare gli ingranaggi, quando finalmente le tre repubbliche e la Polonia sottoscrissero il piano d’azione per la sincronizzazione elettrica.

Uno dei più grandi risultati della diplomazia europea in tema di sicurezza energetica con destinazione 2025.

1,6 miliardi di euro dopo (di cui 1,23 dell’UE), l’8 febbraio di quest’anno, si sconnettono le interconnessioni fra il sistema delle Repubbliche dalla rete BRELL.

E dopo 24 ore di lavoro in autonomia, a garanzia di sicurezza del buon funzionamento del sistema baltico, si collega alla rete CESA, attraverso diverse interconnessioni fra Estonia e Finlandia e fra la Lituania con Polonia e Svezia.

Segnando ‘la fine di ogni residuo sovietico’ per i baltici, oltre che la completa integrazione europea della regione fino ad ora rimasta un’isola energetica.

Massima allerta

La posizione dei baltici e il loro passato hanno sicuramente contribuito a fare di questo atto ‘tecnico’ una necessità di sicurezza energetica a fronte di Mosca e della sua abitudine a ricattare chiunque sia ad essa legata energeticamente.

Eppure, al diminuire delle possibilità di ricatto energetico da parte di Mosca, aumenta parallelamente il rischio di sabotaggi e ripercussioni per l’altra abitudine russa di voler dimostrare che ogni tentativo di porre fine a una dipendenza da Mosca ha inevitabilmente delle conseguenze.

Conseguenze, di cui i danneggiamenti dei cavi nel mar Baltico sono chiari precedenti, che si sommano al rischio di altre forme di attacchi ibridi che Mosca è andata perfezionando negli anni, e che includono cyber attacchi e campagne di disinformazione che fanno sì che tutti rimangano in massimo stato di allerta nei baltici.

Ma non gira sempre tutto e solo intorno alla Russia

Tuttavia, non si può sempre e solo ridurre tutto in funzione della Russia, e farlo vorrebbe dire non solo sottostimare il lavoro (e il cospicuo finanziamento) delle Repubbliche e dell’UE.

Ma vorrebbe anche dire assegnare a Mosca un’importanza superiore a quella che già non si auto concede.

Una pratica che troviamo sia nelle parole di chi imputa le esitazioni e i ritardi a strumento di “mitigazione pragmatica” affine alla finlandizzazione della vicina scandinava.

Ma anche nelle dichiarazioni di media e politici che riducono la sincronizzazione come “risposta all’invasione dell’Ucraina della Russia”.

Quando, invece, l’annosa storia del progetto dovrebbe essere sufficiente per notare come sia ben precedente e indipendente dalle azioni russe più recenti, e confermato anche in un report dell’ICDS (International Centre for Defence and Security) in cui viene segnalato come, dopo il 2007, “rischi politici e preoccupazioni in tema di sicurezza sono stati completamente assenti nella discussione”, e i ritardi sono stati dovuti unicamente a considerazioni tecniche.

Provenienti, tra l’altro, da Estonia e Polonia, da sempre in prima linea nella militanza contro l’influenza di Mosca.

Una narrazione dannosa che si sostituisce al Cremlino nel costruire l’immagine di una Russia minacciosa e in funzione della cui forza gira il mondo, e che riduce a mera reazione anni di dialogo, sforzi e diplomazia europea per raggiungere questo risultato.

East Journal

Prodotti fitosanitari: gli effetti sulla biodiversità sono più dannosi del previsto

I prodotti fitosanitari sono utilizzati principalmente in agricoltura per controllare la diffusione dei parassiti. Tuttavia, tali prodotti possono anche danneggiare molte specie di animali, piante e funghi non bersaglio utili. Quanto siano dannosi e finora sconosciuti gli effetti reali dei diversi pesticidi su una varietà di gruppi di organismi è stato dimostrato da un meta-studio internazionale realizzato con la partecipazione del Leibniz Institute for the Analysis of Biodiversity Change (LIB). La sintesi dei 1.705 lavori di ricerca sul tema è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications.

Gli autori dello studio precisano che, con la crescente domanda di cibo e l’aumentare della resistenza dei parassiti ai prodotti fitosanitari, è necessaria una migliore valutazione del rischio. I prodotti fitosanitari possono ora essere rilevati in quasi tutti gli ecosistemi in varie miscele e concentrazioni. Tuttavia, le conoscenze degli effetti sugli organismi non bersaglio non erano ancora disponibili in modo completo.

Per la realizzazione di questo meta-studio, ricercatori proveninenti da tutto il mondo hanno raccolto per oltre dieci anni 1.705 lavori scientifici basati su standard di raccolta e analisi dei dati trasversali. Lo studio fornisce un quadro completo sull’argomento ed è stato creato sotto la guida di scienziati cinesi dello Shanghai Key Laboratory of Chemical Biology, School of Pharmacy, East China University of Science and Technology, Shanghai, Cina. Infatti, gli autori sottolineano che le conoscenze, ottenibili dalla sintesi quantitativa dei lavori, sono indispensabili per creare un quadro nazionale e internazionale per la gestione critica dei prodotti fitosanitari.

I nuovi pesticidi sono più dannosi del previsto per tutti gli organismi

I ricercatori presentano una sintesi degli effetti di 471 diversi agenti pesticidi su 830 specie di organismi non bersaglio (piante, animali e microrganismi) a diversi livelli della catena alimentare. Di conseguenza, tutti gli organismi, compresi gli impollinatori, i pesci e gli anfibi, mostrano reazioni negative nella loro crescita, riproduzione, comportamento e sopravvivenza. Anche i funghi e le piante ne risentono.

Nelle analisi basate su esperimenti condotti in laboratorio e sul campo, l’effetto dei pesticidi di nuova generazione (quelli attualmente autorizzati nell’UE) era simile a quello dei pesticidi più vecchi. Secondo gli autori, sarebbe difficile trovare prove del fatto che lo sviluppo e l’approvazione di nuovi principi attivi ridurrebbero i rischi.

«La procedura di autorizzazione dei pesticidi è complessa e laboriosa, quindi è ancora più sorprendente che il nostro studio riconosca che gli effetti dei prodotti fitosanitari sono molto più ampi e profondi di quanto si pensasse in precedenza», afferma Christoph Scherber, vicedirettore del LIB e direttore del Centro per il monitoraggio della biodiversità e la ricerca sulla preservazione della natura. «Ad esempio, gli erbicidi usati per combattere alcune piante hanno un effetto negativo sugli insetti e gli insetticidi hanno a loro volta effetti negativi sulla crescita delle piante».

L’agroecologia come soluzione alla crisi

«È doveroso mettere in discussione l’uso standard dei prodotti fitosanitari, visti i numerosi effetti collaterali. Ormai sappiamo da molti studi che la biodiversità in agricoltura può anche ridurre le infestazioni parassitarie senza dover accettare effetti collaterali indesiderati. La co-coltura di colture e animali domestici, ma anche la diversificazione dei sistemi di coltivazione agricola, come nella coltivazione mista, supportano la biodiversità. Le strisce fiorite, le aree incolte e le siepi offrono agli antagonisti naturali basi vitali e possono anche essere efficaci contro l’erosione del vento e dell’acqua», afferma Scherber.

«In questo modo, un’agricoltura diversificata può portare a un controllo più efficiente delle specie di parassiti erbivori e contribuire alla stabilità del raccolto», conclude Christoph Scherber.

In altre parole, i metodi agroecologici, come quelli utilizzati nell’agricoltura rigenerativa e nell’agricoltura biologica, offrono una via percorribile per uscire dalla crisi della biodiversità causata dalla monocoltura e dall’agroindustria.

Link allo studio “Pesticides have negative effects on non-target organisms” pubblicato su Nature Communications

Traduzione dal tedesco di Filomena Santoro. Revisione di Maria Sartori.

Pressenza Muenchen

Motori spaziali tra scienza e fantascienza?

Da quando l’Essere Umano ha sviluppato la tecnologia della movimentazione assistita, trasferendo la potenza del cavallo a sistemi meccanici indipendenti, la vita ha preso a scorrere più velocemente e la tecnologia ha fatto passi da gigante in maniera esponenziale.

Era “solo” il 1769 quando, grazie all’applicazione della macchina a vapore alla mobilità, il carro di Cugnot percorreva i primi metri.

In poco più di 200 anni stiamo ora percorrendo Unità Astronomiche (1.0 ua = 149.597.870.707 m) grazie a sistemi mobili impensabili all’epoca.

Mentre la mobilità terrestre di superficie sembra essere arrivata ormai al suo limite, ciò che accade sia in bassa atmosfera che, soprattutto, nello Spazio sta iniziando viceversa a cambiare nuovamente le prospettive espansionistiche del Genere Umano.

Ho già parlato, in un precedente articolo, delle nuove capacità esplorative ad appannaggio delle “Vele Solari”, ma anche altri sistemi di trasporto, equipaggiati da particolari ed innovativi sistemi propulsivi, spesso preannunciati dalla Fantascienza, si stanno concretizzando.

Motori a propulsione nucleare, al Plasma, agli ioni, elettrostatici sono all’orizzonte, sistemi che possono arrivare a “muovere” vere e proprie astronavi con una discreta efficienza una volta a regime.

Certo al momento non come quelle di Star Trek, ma potranno comunque garantire il trasporto di piccoli team di Astronauti per medie distanze.

Tra i vari lati positivi, vi sono tempistiche di percorrenza molto basse, per esempio si stima che con un motore al plasma si potrebbe arrivare a raggiungere Marte in circa 30 giorni di viaggio.
Siamo consapevoli che questo ridurrebbe le tempistiche, ma anche, cosa più importante, ridurrebbe ovviamente l’esposizione degli astronauti all’ambiente Cosmico molto dannoso alla salute Umana. 

Quindi solo vantaggi?

Assolutamente no… il lancio iniziale in orbita avverrà con razzi che possiedono motori tradizionali a propellente solido, liquido o a gas metano (questi ultimi come i Raptor di che equipaggiano Starship di SpaceX), che possono sprigionare la potenza necessaria alla messa in orbita dei sistemi finali o di parti di essi.

Successivamente, dopo il necessario assemblaggio, dispiegamento (in caso di Vele Spaziali) o messa in orbita iniziale, il o i propulsori, di nuova generazione, verranno attivati.

Le motivazioni di questa scelta sono diverse:

  • i nuovi motori al momento non sono così efficienti, da fornire la spinta necessaria a vincere la forza di Gravità ed a permettere la messa in orbita diretta, del Sistema Spaziale o di parti di esso, dalla base di lancio;
  • a causa del precedente punto, i motori di nuova generazione, in base al tipo di veicolo da muovere, potrebbero richiedere “array” (serie) composte di diverse unità propulsive per raggiungere la necessaria efficienza propulsiva. Questo si tradurrebbe in dimensioni e massa, del mezzo, rilevanti risultando troppo pesanti per essere lanciati dalla superficie terrestre direttamente venendo per esempio assemblati un orbita;
  • alcuni motori, quali quelli ad energia Nucleare ad esempio, potrebbero essere dannosi per gli esseri umani se utilizzati in atmosfera.

 

Questi sono solo alcuni degli esempi in attesa che il Motore a Curvatura, vagheggiato nella già menzionata saga Star Trek, possa in qualche modo vedere la luce.

Per quanto riguarda quest’ultimo, la sua caratteristica fantascientifica è quella di consentire, al possibile sistema spaziale, di viaggiare alla velocità della luce comprimendo lo spazio-tempo davanti alla nave e espandendolo sul retro della stessa (creando la cosiddetta “bolla di curvatura”).

Da una approfondita analisi eseguita da alcuni ricercatori in questi ultimi anni, non sembrerebbe essere comunque relegato alle pubblicazioni del genere letterario chiamato Sci-Fi (Fantascienza).

Un team, infatti, ha recentemente avanzato l’ipotesi che il salto alla velocità di curvatura possa essere effettuabile e senza dover violare le attuali leggi della fisica utilizzando, oltretutto, fonti energetiche conosciute e non “esoteriche”.  

Questo rappresenterebbe una svolta significativa rispetto a qualsiasi degli attuali motori tradizionali o di nuova generazione visti in precedenza.

E quindi non resta che dire:

“All right Scotty! Get our warp power up to full capacity!” 

(cit. capt. James T. Kirk – ‘Star Trek, The Original Series’).

    

Paolo Navone

I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

BRELLxit: I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

L’8 febbraio il sistema energetico delle Repubbliche Baltiche si è sconnesso dalla rete russa collegandosi a quella europea.

In sé un atto strettamente tecnico e previsto da decenni ma che è finito per assumere un valore politico ben più profondo.

Immersi in una futuristica scenografia, i presidenti delle tre Repubbliche Baltiche, insieme al presidente polacco e della commissione europea Von der Leyen, celebrano la quasi simultanea sconnessione della rete energetica baltica dal sistema BRELL (condiviso con Russia e Bielorussia) per collegarsi all’Area Sincrona dell’Europa Continentale (CESA).

Un atto dovuto di integrazione europea e di sicurezza energetica che viene equiparato ad una seconda dichiarazione di indipendenza.

Il lungo cammino verso l’Europa elettrica

L’idea della sincronizzazione energetica fra Baltici ed Europea risale invece alla prima indipendenza, quando, in ottica europeista, ma anche e soprattutto per allontanarsi dalla Russia e dalle sue minacce in tema di sicurezza energetica, la questione fece il suo primo ingresso nel dibattito politico.

Fra il 1996 e il 1998 si realizzò quindi il primo studio di fattibilità, ‘Baltic ring’, dal quale emersero una lunga serie di sfide rispetto alla creazione di un mercato comune dell’elettricità con l’Europa, finendo per alimentare uno scetticismo che avrebbe congelato il dibattito fino al 2007.

Fu solo nel 2008, con la salita al potere in Lituania dei democristiani (TS-LKD), e Sekmokas ministro dell’Energia, che si riuscirono a rimuovere dal Ministero le vecchie autorità energetiche, principali oppositori alla sincronizzazione.

Ma ancor di più, sarà il coinvolgimento dell’Unione Europea a dare una prospettiva concreta a quella che fino a quel momento era rimasta solo un’idea.
In particolare attraverso la promozione e approvazione, nello stesso anno, del Piano di Interconnessione del Mercato Energetico del Baltico (BEMIP), ma che pure non fu sufficiente per superare gli ostacoli che il progetto portava con sé: l’opposizione della Polonia alla costruzione dell’interconnessione elettrica LitPol Link 2; della Russia, che avrebbe visto l’exclave di Kaliningrad isolata dalla propria rete, insieme a tutta una serie di questioni tecniche che portarono a dubitare anche la stessa Estonia.

I dubbi e le specifiche operative portarono a nuovi studi di fattibilità che rallentarono i lavori, tanto da portare le tre repubbliche a considerare anche progetti autonomi di sincronizzazione, e a non firmare il memorandum d’intesa del 2017.

A questo punto sarà, di nuovo, necessario il coinvolgimento dell’Unione Europea per mettere tutti d’accordo.
E succederà l’anno successivo, con Juncker ad oleare gli ingranaggi, quando finalmente le tre repubbliche e la Polonia sottoscrissero il piano d’azione per la sincronizzazione elettrica.

Uno dei più grandi risultati della diplomazia europea in tema di sicurezza energetica con destinazione 2025.

1,6 miliardi di euro dopo (di cui 1,23 dell’UE), l’8 febbraio di quest’anno, si sconnettono le interconnessioni fra il sistema delle Repubbliche dalla rete BRELL.

E dopo 24 ore di lavoro in autonomia, a garanzia di sicurezza del buon funzionamento del sistema baltico, si collega alla rete CESA, attraverso diverse interconnessioni fra Estonia e Finlandia e fra la Lituania con Polonia e Svezia.

Segnando ‘la fine di ogni residuo sovietico’ per i baltici, oltre che la completa integrazione europea della regione fino ad ora rimasta un’isola energetica.

Massima allerta

La posizione dei baltici e il loro passato hanno sicuramente contribuito a fare di questo atto ‘tecnico’ una necessità di sicurezza energetica a fronte di Mosca e della sua abitudine a ricattare chiunque sia ad essa legata energeticamente.

Eppure, al diminuire delle possibilità di ricatto energetico da parte di Mosca, aumenta parallelamente il rischio di sabotaggi e ripercussioni per l’altra abitudine russa di voler dimostrare che ogni tentativo di porre fine a una dipendenza da Mosca ha inevitabilmente delle conseguenze.

Conseguenze, di cui i danneggiamenti dei cavi nel mar Baltico sono chiari precedenti, che si sommano al rischio di altre forme di attacchi ibridi che Mosca è andata perfezionando negli anni, e che includono cyber attacchi e campagne di disinformazione che fanno sì che tutti rimangano in massimo stato di allerta nei baltici.

Ma non gira sempre tutto e solo intorno alla Russia

Tuttavia, non si può sempre e solo ridurre tutto in funzione della Russia, e farlo vorrebbe dire non solo sottostimare il lavoro (e il cospicuo finanziamento) delle Repubbliche e dell’UE.

Ma vorrebbe anche dire assegnare a Mosca un’importanza superiore a quella che già non si auto concede.

Una pratica che troviamo sia nelle parole di chi imputa le esitazioni e i ritardi a strumento di “mitigazione pragmatica” affine alla finlandizzazione della vicina scandinava.

Ma anche nelle dichiarazioni di media e politici che riducono la sincronizzazione come “risposta all’invasione dell’Ucraina della Russia”.

Quando, invece, l’annosa storia del progetto dovrebbe essere sufficiente per notare come sia ben precedente e indipendente dalle azioni russe più recenti, e confermato anche in un report dell’ICDS (International Centre for Defence and Security) in cui viene segnalato come, dopo il 2007, “rischi politici e preoccupazioni in tema di sicurezza sono stati completamente assenti nella discussione”, e i ritardi sono stati dovuti unicamente a considerazioni tecniche.

Provenienti, tra l’altro, da Estonia e Polonia, da sempre in prima linea nella militanza contro l’influenza di Mosca.

Una narrazione dannosa che si sostituisce al Cremlino nel costruire l’immagine di una Russia minacciosa e in funzione della cui forza gira il mondo, e che riduce a mera reazione anni di dialogo, sforzi e diplomazia europea per raggiungere questo risultato.

East Journal