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scuola pubblica

Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

E.U.

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Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

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Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

E.U.

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Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

E.U.

L'articolo Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica proviene da .

Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

E.U.

L'articolo Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica proviene da .

Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

E.U.

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Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

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Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

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Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

E.U.

L'articolo Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica proviene da .

Respingere i tagli. Assistenza educativa scolastica

Da quattro mesi in alcune della città della Toscana è in corso una lotta contro i tagli all’assistenza educativa per gli studenti disabili. Unicobas ha seguito da vicino la situazione di Livorno, una delle più gravi, in cui la riduzione delle risorse si è fatta sentire con maggiore drammaticità.

L’assistenza educativa è un servizio che affianca gli insegnanti di sostegno e di materia curricolare nei casi di studenti con particolari gravità, che necessitano di supporto nella sfera dell’autonomia personale e della comunicazione. L’attività è affidata a educatori professionali, personale fornito da cooperative sociali a cui le scuole appaltano il servizio utilizzando fondi regionali e statali che vengono erogati sul territorio tramite gli enti locali.

Il servizio, previsto dalla legge 104 del 1992 per casi di particolare gravità, ha avuto nel tempo una diffusione notevole, per vari fattori. Innanzitutto, va considerato l’inserimento sempre più massiccio degli studenti disabili nella scuola pubblica, anche nelle superiori. Una delle poche pratiche virtuose di questo paese è infatti quella di avere intrapreso fino dal 1977 un processo serio di integrazione scolastica della disabilità, chiudendo la fase delle scuole differenziali per inserire, prima nella fascia dell’obbligo, poi anche nelle superiori, i ragazzi con qualsiasi tipo di disabilità nelle classi comuni. Non è una cosa da poco, se si considera il panorama europeo. In Italia il 93% degli alunni disabili frequenta la scuola in classi comuni, mentre in Europa il modello “separatista” è largamente diffuso, con in testa Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda, Svizzera, Germania, Austria, Ungheria, Regno Unito. Vero che il modello italiano richiede di investire sul personale (insegnanti di sostegno e numero contenuto di alunni per classe), mentre invece, come ben sappiamo, da anni i tagli sono la normale modalità di gestione della scuola, come pure della sanità e di vari settori della spesa sociale. Nel tempo quindi l’organico dei docenti di sostegno ha subito tagli consistenti. Attualmente, a livello nazionale, il 50% dei docenti di sostegno è formato da personale precario; i posti in deroga sono circa 120.000, il che vuol dire che 120.000 posti corrispondenti a reali necessità fanno parte di un organico oscillante, di un “fuori sacco” che da un anno all’altro può sparire per esigenze di riduzione di spesa, e trattandosi di organico non stabilizzato non c’è nemmeno da far la fatica di licenziare. In questa situazione, nel corso degli anni, per tagliare gli insegnanti di sostegno, personale statale, si è fatto un impiego sempre più largo degli educatori, personale esternalizzato il cui costo è notevolmente più basso.

Ora si taglia anche sull’assistenza educativa. Nella provincia di Livorno, rispetto alle necessità ufficialmente certificate, manca all’appello 1 milione e 200mila euro. Il servizio ha subito una riduzione drastica in termini di ore settimanali e dal mese di marzo le risorse saranno esaurite. Lo scenario che si è aperto è quello di un’emergenza di ordine sociale ed occupazionale.

Si colpiscono gli studenti disabili, privati di supporti indispensabili, con conseguenze non solo sulla qualità dell’inserimento scolastico, ma anche sulla stessa possibilità di frequenza. Si colpiscono educatori ed educatrici, che si vedono tagliare gli stipendi per la decurtazione di ore, che sono sottoposti a condizioni di lavoro di sfruttamento, spesso fuori dalla regolamentazione del contratto nazionale, che lavorano in condizione di estrema precarietà giornaliera, che non hanno una prospettiva di prosecuzione di lavoro, ma lo spettro sempre più concreto del licenziamento.

Per questo motivo, dalla fine di ottobre si sono susseguite azioni di protesta che hanno visto in piazza, insieme ai sindacati di base, educatori, docenti, studenti disabili, familiari, associazioni, collettivi studenteschi. Le risposte istituzionali locali di Regione, Provincia e Dirigenze scolastiche sono state ridicole, perse nel palleggiamento delle competenze e nei tanti tecnicismi burocratici che non fanno che evidenziare mancanza di volontà politica e inadeguatezza ad affrontare e governare il piano dei bisogni collettivi. Perché istruzione e retribuzione del lavoro sono bisogni collettivi.

Nel mirino della protesta ovviamente anche il governo centrale, responsabile di aver tagliato del 55% le risorse stanziate lo scorso anno, non adeguandole all’incremento del numero di studenti che necessitano di assistenza educativa. Una dimostrazione di quanto la tutela delle persone più fragili non stia minimamente a cuore a chi governa, più interessato a finanziare guerre, grandi opere, grandi imprese e grandi capitali. La scuola e il sociale sono tra i settori più penalizzati, insieme alla sanità, dalle scelte scellerate di chi parla di inclusione per poi procedere sistematicamente all’esclusione. Questo è stato messo bene a fuoco nelle proteste e nelle rivendicazioni di piazza portate avanti dagli educatori delle cooperative.

Il settore delle cooperative sociali è uno dei più esposti a precarietà, bassa retribuzione, condizioni di lavoro prive di effettive tutele. Le amministrazioni pubbliche (e non solo) utilizzano questo settore per gestire al ribasso quei servizi che sono tenute a erogare, secondo il sistema delle esternalizzazioni che significa pagare meno chi lavora, tenendo i lavoratori ad un livello dequalificato anche nei casi in cui le competenze professionali individuali sono molto elevate, come nel caso degli educatori professionali. Con tutta probabilità il costo della gestione delle gare di appalto, dei bandi, delle rendicontazioni e delle relative istruttorie, affidato a personale amministrativo e funzionari, è più elevato di quanto non si ricavi dai tagli, ma l’importante è mantenere il sistema esternalizzato, i lavoratori sottopagati e precari, mantenere insomma la gerarchia e lo sfruttamento. Ed è invece contro questo sistema di gerarchia e di sfruttamento che queste lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e levato la voce, coinvolgendo la cittadinanza e facendo della questione dei tagli all’assistenza educativa una vertenza cittadina che ha oltrepassato i limiti locali, obbligando a un confronto lo stesso ministero delle disabilità. E indipendentemente dall’esito di questa lotta, ancora in corso, il meccanismo del ricatto, secondo il quale chi è più debole, precario e sfruttato non deve alzare la testa, quel meccanismo si è inceppato

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