Le affinità elettive tra Putin e Trump
di Andrey Babitskiy (Coda Story)
In Russia impariamo presto che il potere corrompe in modo assoluto, che gli uomini forti sfoggiano le peggiori intenzioni come una medaglia al valore e che le atrocità si sviluppano a partire da minacce in apparenza irrilevanti. Dove sono cresciuto io, queste verità sono considerate evidenti.
Avendo trascorso la maggior parte della mia vita a guardare la Russia di Putin prendere forma, scorgo schemi ricorrenti nella politica americana di oggi. Tra chi segue Donald Trump, gira una teoria solo in parte scherzosa, secondo cui il Presidente degli Stati Uniti sarebbe una pedina del Cremlino, dal momento che smantella le alleanze tradizionali e semina il caos nel governo federale.
Capisco cosa intende chi dice così. Trump ripete costantemente i discorsi di Putin e i media di Stato russi celebrano Trump con insolito entusiasmo. Poiché i presidenti americani, di destra o di sinistra, sono raramente acclamati in Russia, si potrebbe sospettare una sorta di collaborazione.
Ma c'è una spiegazione più semplice: Trump e Putin sono uomini straordinariamente simili che si capiscono naturalmente. Non è necessario un complotto: Trump si sentirebbe a casa sua a Mosca.
Non si tratta di suggerire un'equivalenza morale. Trump, dopo tutto, non ha condotto una guerra genocida che ha causato centinaia di migliaia di vittime. Aspira alla dittatura, ma non è ancora riuscito a realizzarla. Non ha ucciso i suoi avversari politici o nazionalizzato grandi aziende per arricchire i suoi amici. Date le solide istituzioni americane, è improbabile che abbia mai l'opportunità di fare queste cose. In ogni caso, è probabile che non nutra tali obiettivi: sembra molto più gioviale di Putin.
Tuttavia, i parallelismi tra i due sono inconfondibili.
Entrambi sono emersi nell'ambiguità morale che ha seguito il breve periodo di chiarezza morale sorto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Condividono una visione del mondo in cui solo i paesi grandi e temuti meritano rispetto. Trump ha detto al giornalista Bob Woodward che “il vero potere è... la paura”. Sia negli affari interni che in quelli esteri, nessuno dei due sembra credere che le promesse contino o che l'empatia debba guidare il processo decisionale. Sebbene molti politici si comportino in modo simile, pochi presidenti sminuiscono così apertamente i paesi vicini e i loro leader come fanno abitualmente Trump e Putin.
Entrambi considerano la fedeltà - anche solo simulata - l'unica vera virtù. La grazia concessa da Trump agli insurrezionisti del 6 gennaio dimostra la sua conformità a questo principio. A differenza del suo primo mandato, quando i collaboratori spesso disertavano o esprimevano insoddisfazione, Trump ora predilige nei collaboratori che sceglie la lealtà rispetto alla competenza, esattamente come fa Putin.
Basta osservare la trasformazione di JD Vance. Durante il primo mandato di Trump, era un intellettuale dalla barba pulita in tournée che paragonava Trump a Hitler. Ora assomiglia a un erede al trono dell'Asia centrale e la sua postura quasi comicamente mascolina imita lo stile del suo capo. Questa capacità di mutare forma non dovrebbe sorprendere chi ha letto il libro di memorie di Vance, Hillbilly elegy, in cui descrive il suo talento infantile nell'adattarsi a diverse figure paterne. “Con Steve, un uomo che soffriva di crisi di mezza età e che aveva un orecchino per dimostrarlo“, scrive Vance, “facevo finta che gli orecchini fossero fighi... Con Chip, un poliziotto alcolizzato che vedeva il mio orecchino come un segno di ’femminilità’, avevo la pelle dura e amavo le auto della polizia”. Per uomini come Trump e Putin, la lealtà non è facoltativa: è esistenziale, e Vance ha imparato l'arte di diventare ciò che il suo attuale patrono richiede.
Sia Putin che Trump nutrono una profonda sfiducia nelle istituzioni democratiche. La fissazione di Trump per le “elezioni rubate” del 2020 rispecchia il trauma di Putin per il suo tentativo fallito di manipolare a suo vantaggio le elezioni ucraine del 2005. Per entrambi le sconfitte politiche personali sono stati momenti trasformativi. Nel caso di Putin, ogni sfida alla sua autorità lo ha trasformato in una persona diversa, di solito peggiore.
Può sembrare paradossale che un uomo che non affronta mai una vera competizione elettorale cambi di mandato in mandato, eppure è così - e ogni versione è più pericolosa della precedente. Anche Trump è cambiato dal suo ultimo mandato. Può essere ancora imprevedibile, può essere ancora un venditore bugiardo, megalomane e troppo sicuro di sé. Ma chi di noi ha visto da vicino l'evoluzione autoritaria scorge in lui una trasformazione fondamentale. La rabbia di Trump per il tradimento istituzionale si è solidificata in convinzione, in una dottrina fondata sulla sfiducia.
Il trauma della sconfitta nel 2020 non ha solo ferito l'ego di Trump, ma lo ha convinto a considerare illegittimo l'intero apparato democratico. Questo cambiamento, questo indurimento della sua posizione non deve essere sottovalutato.
Un'altra cosa che Trump e Putin hanno in comune è che entrambi credono che la corruzione sia universale. In Trump ravviso una mentalità comune in Russia, persino fondamentale per il funzionamento del potere a Mosca. Trump non si limita a chiamare gli avversari “disonesti” per scherzo, ma sembra credere davvero che la corruzione, e solo la corruzione, motivi tutti. Per Trump, la corruzione non è solo un arricchimento personale, ma è l'unico mezzo efficace per governare, per esercitare il controllo. Questo approccio rende conveniente trattare con Putin: le trattative sono più semplici quando si crede che tutti abbiano un prezzo. Ma ho visto nel mio paese come questo transazionalismo alla fine si ritorca contro, creando nuove vie di corruzione istituzionale che coinvolgono ordini di grandezza maggiori di quanto potrebbe mai fare il semplice arricchimento personale.
Oltre a una comprensione intrinseca della corruzione, sia Trump che Putin comprendono, desiderano e creano deliberatamente il caos. Che si tratti di guerre, minacce nucleari, smantellamento di trattati o sconvolgimenti burocratici, il disordine offre una leva. Quando Elon Musk viene incaricato di distruggere la pubblica amministrazione, l'obiettivo è quello di rendere i dipendenti pubblici più malleabili per qualsiasi cosa venga dopo. Il danno, ovviamente, si estenderà oltre il mandato di Trump: dopo che avrà lasciato l'incarico, i dipendenti pubblici americani avranno perso la fiducia nell'intero sistema americano, nell'intera architettura del potere esecutivo, e non sarà facile ristabilire tale fiducia.
Molti osservatori americani ora sperano che le barriere costituzionali e le istituzioni democratiche facciano il loro lavoro. Questi osservatori credono che i pesi e contrappesi democratici possano contenere gli eccessi di Trump fino a quando le elezioni di metà mandato o le prossime elezioni arriveranno in soccorso. Non hanno tutti i torti: l'America è certamente meglio posizionata per resistere alla deriva autoritaria di quanto lo fosse la Russia nei primi anni di Putin.
La magistratura indipendente, la stampa libera, la struttura di potere federata e la lunga tradizione democratica dell'America forniscono veri e propri strati protettivi che mancano alla Russia. Ma ho anche visto come le istituzioni si sgretolino non attraverso un assalto frontale, ma attraverso una lenta erosione, quando burocrati, giudici e legislatori diventano complici per paura, ambizione o semplice stanchezza.
Quando leggo opinionisti come Ezra Klein sostenere che non dovremmo credere alle minacce di Trump perché il suo potere è più limitato di quanto lui stesso non voglia far credere, riconosco un modello familiare di wishful thinking. Klein suggerisce che, poiché Trump non ha il controllo del Congresso e un ampio sostegno pubblico, il suo potere esiste principalmente nella nostra immaginazione collettiva. Questa analisi presuppone che Trump operi entro i confini tradizionali della politica americana. Ma è proprio questo che i leader autoritari non fanno mai. Coloro che respingono la capacità di Trump di trasformare l'America commettono un fondamentale errore di prospettiva. Giudicano le sue capacità in base alle regole del sistema, mentre lui ha successo proprio perché smantella quelle regole.
Trump ha pochi poteri costituzionali, è vero. Ma raramente gli autocrati acquisiscono il potere per via costituzionale, ed è proprio per questo che vogliono diventare autocrati: per evitare certe seccature. Trovano crepe nel sistema: un giudice corrotto qui, un legislatore servile là, un paio di burocrati oberati di lavoro disposti a guardare dall'altra parte.
Come se non bastasse, coloro che possono prevenire più efficacemente la cattura dello Stato sono i meno attrezzati per riconoscerla. Trump non sta cercando di sottomettere i liberal e gli attivisti, ma sta colpendo i funzionari pubblici non eletti, gli ufficiali militari e gli azionisti delle compagnie private. A prescindere dalle loro qualifiche, non si tratta di persone preparate alla disobbedienza civile: non è nelle loro mansioni. Fanno carriera eseguendo gli ordini senza pensarci troppo, non mettendo in discussione l'autorità. La resistenza che potrebbero opporre è stata ulteriormente ridotta dalla crociata di Musk contro il “deep State”.
Nel frattempo, i funzionari eletti che possono resistere spesso si arrendono volontariamente. Molti repubblicani che siedono al Congresso, a prescindere dai reali sentimenti e opinioni, si sono prostrati docilmente davanti al trono di Trump. I sistemi autocratici selezionano attivamente le persone obbedienti e senza principi. Se si confronta la seconda amministrazione di Trump con la prima, il criterio di selezione è già evidente.
E ora, se Trump e i suoi alleati fin troppo fedeli sembrano distaccati dalla realtà, allora la realtà diventa uno scherzo.
Finora, Trump ha vinto due volte le elezioni più competitive del pianeta e Musk è ufficialmente l'uomo più ricco del mondo, avendo costruito imprese che pochi pensavano possibili. JD Vance, oltre a essere diventato vicepresidente a 40 anni, ha scritto un bestseller a 31 anni. Tutti loro hanno alle spalle una storia di idee trasformate in realtà. Se pensate che il mondo non sia abbastanza pazzo da seguirli nell'abisso, dovreste riconsiderare le vostre ipotesi. Nella mia parte del mondo, almeno, è sempre stato abbastanza pazzo.
Anche se quasi tutte le affermazioni di Trump sono false, lui aderisce fedelmente a queste falsità. Le sue finzioni hanno molto in comune con quelle di Putin, e hanno dato a entrambi il controllo delle narrazioni nei rispettivi paesi - vere o meno non ha importanza. Quindi, nel valutare la minaccia di Trump, considerate la scommessa di Pascal: se passiamo quattro anni in stato di massima allerta per pericoli che non si materializzano mai, abbiamo sopportato uno stress inutile. Se ci rilassiamo e lasciamo che le sue peggiori ambizioni si realizzino, ci troviamo di fronte a una potenziale catastrofe. Il primo scenario è chiaramente preferibile.
Gli americani si chiedono spesso come possano i russi comuni sostenere il regime di Putin. Forse ora avete un quadro più chiaro. Il percorso dalla democrazia all'autocrazia non è segnato dai carri armati nelle strade, ma dalla lenta erosione delle norme, dalla sostituzione della competenza con la lealtà e dal metodico sfruttamento delle vulnerabilità istituzionali.
Trump ci ha avvertito in anticipo. Gli autoritari annunciano i loro crimini molto prima di commetterli. Anche gli uomini più spregiudicati hanno convinzioni profonde e manifestano tratti caratteriali che raramente cambiano. Non è teoria politica avanzata, è storia russa di base. Ora che lo sappiamo, però, la domanda è: cosa faremo?
Articolo originale pubblicato su Coda Story e tradotto con il permesso della redazione.
(Immagine anteprima via WikiMedia Commons)