Salta al contenuto principale

Turchia

Turchia. L’arresto di Imamoglu

“Miei cari cittadini,oggi la Turchia si è svegliata e ha scoperto un grande tradimento.
Il procedimento giudiziario in corso non è un procedimento giudiziario. Si tratta di un’esecuzione extragiudiziale completa.

Invito la nostra nazione a lottare per i diritti con senso di responsabilità. Questa lotta per i diritti è una questione che riguarda il futuro della nostra nazione e dei nostri figli.
Assicuratevi di votare oggi per il futuro della Turchia. Poi, radunatevi nelle piazze della democrazia a Istanbul, Saraçhane e in altre province e fate sentire la vostra voce.

È il giorno in cui assumersi le proprie responsabilità e unirsi alla lotta per i diritti contro coloro che hanno rubato la volontà della nazione.
Tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno.”

Con questo messaggio, rilasciato tramite i suoi avvocati, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu si è rivolto alla cittadinanza turca domenica 23 marzo 2025.

Lo stesso giorno, il tribunale ha confermato il suo arresto e migliaia di cittadini si sono diretti alle urne per votare lo stesso İmamoğlu alle primarie del Partito Repubblicano del Popolo (CHP) per le presidenziali del 2028.

La battaglia appena intrapresa dal sindaco di Istanbul non è solamente una battaglia giudiziaria, ma riguarda il futuro della democrazia in Turchia. Una democrazia che negli ultimi ventitré anni è finita per essere ostaggio di un sistema sempre più autoritario, che mira all’accentramento del potere e all’esclusione di ogni possibile rivale politico.

Il fragile sistema democratico turco

Il politologo Robert Alan Dahl, all’interno della sua più famosa opera “On Democracy”, affermava che un Paese, per potersi definire democratico, necessiti di sei prerequisiti fondamentali: amministratori eletti, libere, eque e frequenti elezioni, libertà di espressione, accesso a fonti alternative d’informazione, autonomia associativa e cittadinanza allargata.

Qualche decennio dopo Georg Sørensen, professore di politica internazionale ed economia presso il Dipartimento di scienze politiche e governo dell’Università di Aarhus in Danimarca, ha raggruppato questi sei prerequisiti in tre grandi elementi fondamentali in un sistema democratico: concorrenza, partecipazione e libertà politiche e civili.

Se analizziamo il caso della Turchia possiamo affermare che da diversi anni questi elementi siano sotto attacco da parte del Governo.

L’eliminazione politica di figure di spicco di partiti opposti all’AKP di Erdoğan mette in evidenza come l’elemento della concorrenza politica sia un costante bersaglio delle autorità turche.

Basti pensare a Yüksekdağ e Demirtaş, entrambi leader del Partito Democratico dei Popoli (HDP), prima forza politica curda, condannati rispettivamente a 30 e 42 anni di prigione nel maggio 2024.

Le accuse? Incitamento alla rivolta e attentato all’unità del Paese per aver invitato la popolazione a scendere in piazza contro le scelte di Erdoğan sul contrasto a Daesh in Siria nelle zone a maggioranza curda.

L’attacco del presidente turco Erdoğan nei confronti di İmamoğlu non ha avuto inizio con la sua presa in custodia il 19 marzo 2025, ma è cominciato nel 2019, con la prima vittoria di quest’ultimo alle municipali di Istanbul.

In quell’occasione, dopo il suo trionfo, la Commissione elettorale suprema della Turchia (YSK) aveva annunciato la ripetizione delle elezioni per presunte irregolarità: una ripetizione inutile per i fini di Erdoğan, visto il nuovo trionfo di İmamoğlu.

Fin da allora, il primo cittadino di Istanbul è diventato l’uomo più temuto dal Rais turco, che ha sempre affermato “Chi perde Istanbul perde la Turchia”.

Oltre alla condanna per oltraggio a pubblico ufficiale, per cui İmamoğlu ha presentato ricorso, e all’accusa per dei presunti brogli su delle gare d’appalto avvenuti nel periodo in cui era a capo del distretto di Beylikdüzü, nelle scorse settimane İmamoğlu si è visto annullare la propria laurea da parte del rettore dell’Università di Istanbul, senza la quale gli sarebbe impossibile partecipare alle elezioni del 2028.

Indovinate da chi viene nominato il rettore? Esatto, direttamente dal governo: una situazione al limite del grottesco.

Perché la battaglia di İmamoğlu è così importante?

Al momento della stesura di questo articolo, le notizie che giungono parlano del trasferimento del sindaco di Istanbul nel carcere di massima sicurezza di Marmara.
Non sappiamo quale sarà l’evolversi degli eventi e se İmamoğlu nel 2028 riuscirà a candidarsi per le elezioni presidenziali, ma una cosa è certa: non deve essere lasciato solo nella sua battaglia.

Secondo il rapporto 2025 di Freedom House, la Turchia con un punteggio di 33/100 per quanto riguarda le libertà generali e di 31/100 per la libertà su internet non è assolutamente classificabile come un Paese libero.

Ovviamente questa situazione non è da ricondurre esclusivamente al recente arresto del sindaco di Istanbul, ma è una conseguenza di un processo che ha preso il via nel 2002, con l’ascesa al potere di Erdoğan. Gli arresti arbitrari, le condanne monstre per gli avversari politici e altri elementi di tal genere negli ultimi anni hanno reso la democrazia turca sempre più debole e fragile.

In un mondo che nell’ultimo periodo ha preso una deriva sempre più autoritaria, anche con il trionfo di personaggi loschi e ambigui che minacciano la deportazione di milioni di persone per la costruzione di resort per miliardari, è importante che figure come İmamoğlu restino salde al loro posto, pronte a vigilare e battagliare contro i sistemi più repressivi e autoritari.

Lo si deve al nostro futuro e a quello di tutti i turchi scesi nelle piazze per difendere quel che resta della loro democrazia.

East Journal

Turchia: garantire il diritto di riunione pacifica e alla libertà di espressione durante le proteste

Amnesty International si è unita ad altre 11 organizzazioni nel chiedere alle autorità turche di cessare immediatamente gli attacchi contro i manifestanti pacifici, di smettere di prendere di mira giornalisti e canali di informazione e di porre fine alla repressione della libertà di parola online.

La lettera 27 marzo 2025
Article 19 e altre 11 organizzazioni esprimono forte preoccupazione per la recente intensificazione della repressione da parte del governo nei confronti della libertà di espressione e del diritto di riunione pacifica, in seguito all’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu. Decine di migliaia di persone continuano a prendere parte alle manifestazioni di massa, perlopiù pacifiche, in tutta la Turchia, nel più grande movimento di protesta dell’ultimo decennio. Le proteste, iniziate nelle principali città, si sono diffuse in tutto il paese, mentre la polizia ha risposto con l’uso illegale e indiscriminato della forza per disperdere la folla. Anche i giornalisti sono soggetti a gravi restrizioni, tra cui arresti e aggressioni fisiche, e le piattaforme di social media sono state sottoposte a pressioni per censurare le informazioni sugli eventi in corso. Il governo deve porre immediatamente fine agli attacchi contro i manifestanti pacifici, smettere di prendere di mira giornalisti e testate giornalistiche e interrompere la repressione della libertà di espressione online. Chiediamo inoltre alle piattaforme social di adottare misure urgenti per ripristinare l’accesso agli account bloccati che contengono contenuti protetti e di garantire la piena accessibilità dei loro servizi.

Repressione delle proteste di massa

La Turchia sta attraversando una delle crisi socio-politiche più gravi degli ultimi anni. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, avvenuta il 19 marzo con l’accusa di “corruzione” e “favoreggiamento del terrorismo”, nell’ambito di un’operazione che ha portato all’emissione di ordini di arresto per oltre 100 persone. İmamoğlu è stato posto in detenzione preventiva il 23 marzo, lo stesso giorno in cui i membri del suo partito lo hanno nominato candidato principale dell’opposizione in una votazione simbolica per le elezioni presidenziali del 2028. È stato rimosso dall’incarico insieme ai sindaci dei distretti di Şişli e Beylikdüzü, anch’essi sotto accusa. Secondo il ministro dell’Interno, al 26 marzo, 1879 persone erano state arrestate durante le proteste. Le manifestazioni sono state represse con un uso ingiustificato e illegale della forza: i manifestanti sono stati picchiati con manganelli e presi a calci mentre erano a terra. Gli agenti delle forze di sicurezza hanno usato indiscriminatamente spray al peperoncino, gas lacrimogeni, proiettili di plastica e idranti, causando numerosi feriti. Il 27 marzo, il ministro ha inoltre riferito che 150 agenti di polizia sono rimasti feriti durante le proteste, ma non ha fornito alcuna informazione sul numero di manifestanti feriti. La repressione colpisce anche altre forme di protesta oltre alle manifestazioni di piazza. Il 26 marzo, i membri del direttivo del sindacato degli insegnanti Eğitim-Sen sono stati posti agli arresti domiciliari in attesa di giudizio con l’accusa di “istigazione a commettere reati” in seguito alla loro decisione di sospendere il lavoro il 25 marzo in solidarietà con gli studenti universitari, che sono stati tra i protagonisti delle proteste. Il rappresentante del sindacato presso l’Università di Istanbul è stato arrestato.

Dal 19 marzo, a Istanbul, è in vigore un divieto assoluto di manifestare, esteso a Smirne e Ankara dal 21 marzo. Il governatore di Istanbul ha inoltre emesso una disposizione che vieta l’ingresso e l’uscita dalla città a “individui, gruppi e veicoli potenzialmente coinvolti in attività illegali, individualmente o collettivamente”. Non è chiaro come questa misura venga applicata. Ricordiamo alle autorità turche che, in base al diritto internazionale dei diritti umani, hanno l’obbligo di rispettare e garantire il diritto di ogni persona alla libertà di riunione pacifica. Eventuali restrizioni a questo diritto devono essere definite con precisione dalla legge, perseguire un obiettivo legittimo e risultare necessarie e proporzionate a tale obiettivo. I divieti assoluti delle proteste sono sproporzionati e ingiustificabili. Inoltre, condanniamo fermamente l’uso della forza contro i manifestanti pacifici. L’uso della forza da parte della polizia deve essere strettamente necessario e proporzionato: deve essere impiegata solo la quantità minima di forza indispensabile, e, chi ne fa uso, deve essere sempre chiamato a risponderne. Chiediamo alle autorità di garantire che qualsiasi accusa di uso illegale della forza e di altre violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, comprese violenze di genere, torture e maltrattamenti inflitti ai manifestanti, sia oggetto di un’indagine efficace, imparziale e tempestiva.

Minacce e violenze contro giornalisti e organi di informazione

La repressione delle proteste di massa è stata accompagnata da un’intensificazione degli attacchi e delle pressioni nei confronti dei media indipendenti e dei giornalisti. Almeno 11 giornalisti locali sono stati arrestati a Istanbul e a İzmir per aver documentato le proteste; sette di loro sono stati posti in detenzione il 25 marzo con l’accusa di aver violato la Legge sulle riunioni e le manifestazioni, per poi essere scarcerati in appello il 27 marzo, in attesa di processo. Almeno 10 giornalisti locali sono stati aggrediti fisicamente dalla polizia mentre seguivano le proteste a Istanbul e, secondo quanto riferito, un giornalista è stato aggredito dai manifestanti. Anche i media internazionali sono stati colpiti dalla repressione. Il 27 marzo la Bbc ha riferito che il suo corrispondente Mark Lowen, presente a Istanbul per coprire le proteste, è stato arrestato nel suo hotel e successivamente espulso con la motivazione di essere una “minaccia all’ordine pubblico”.

La copertura degli eventi è ulteriormente limitata dal Consiglio supremo della radio e televisione della Turchia (Radyo ve Televizyon Üst Kurulu – RTÜK). Il presidente del RTÜK, Ebubekir Şahin, ha invitato i media televisivi, i conduttori e i commentatori a garantire che i loro resoconti “rimangano privi di pregiudizi politici”, avvertendo che il mancato rispetto di questa direttiva comporterà sanzioni massime, inclusa la revoca della licenza. Il 21 e 27 marzo, il RTÜK ha dato seguito a queste minacce emettendo sanzioni amministrative e sospensioni temporanee delle trasmissioni fino a 10 giorni nei confronti delle emittenti Halk Tv, Scz Tv, Tele 1 e Now TV. Esortiamo la Turchia, e in particolare il RTÜK, a porre immediatamente fine a queste violazioni della libertà di stampa e a creare un ambiente che consenta ai media di fornire al pubblico le informazioni necessarie e di riportare gli eventi senza pressioni da parte dello Stato. Intimidire i giornalisti affinché diffondano esclusivamente contenuti approvati dal governo mina i principi fondamentali del giornalismo indipendente. Ribadiamo inoltre che giornalisti e altri osservatori devono essere protetti e poter riferire liberamente su questioni di interesse pubblico, compreso il monitoraggio delle azioni delle forze dell’ordine, senza subire ritorsioni o forme di intimidazione.

Censura online

I social media rappresentano uno degli ultimi canali attraverso i quali le persone in Turchia possono accedere a voci indipendenti e dove le persone attiviste e i giornalisti possono esprimere le proprie opinioni in modo relativamente libero. In risposta alle proteste di massa, le autorità hanno rapidamente imposto severe restrizioni ai social media e alle applicazioni di messaggistica, ordinando alle piattaforme di bloccare i contenuti relativi alle proteste. Le principali piattaforme di social media e le applicazioni di messaggistica hanno subito una limitazione della larghezza di banda a partire dalle 7 del mattino (ora locale) del 19 marzo, in concomitanza con gli arresti del sindaco e di altre persone. Le restrizioni sembrano essere state limitate a Istanbul e sono durate 42 ore, fino al 21 marzo. Non è stata fornita alcuna spiegazione riguardo ai motivi di tali restrizioni né sul perché siano state revocate. Ai sensi della legge sulle comunicazioni elettroniche (legge n. 5809), tali restrizioni possono essere attuate dall’ Autorità turca per le telecomunicazioni e le tecnologie informatiche (Btk) su ordine della Presidenza in caso di pericolo imminente o minaccia alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico.

Queste restrizioni amministrative hanno carattere temporaneo e devono essere esaminate dalla magistratura entro un massimo di 24 ore. La Btk ha emesso centinaia di ordini di blocco per gli account social di giornalisti, organi di stampa, organizzazioni della società civile e difensori dei diritti umani, sulla base dell’articolo 8/A della legge n. 5651. La mancata conformità a tali ordini può comportare sanzioni gravi per le piattaforme di social media. Sebbene risulti che molti account su X siano attualmente bloccati, la stessa piattaforma ha dichiarato di aver contestato “diversi ordini giudiziari […] per bloccare oltre 700 account”, tra cui quelli di testate giornalistiche, giornalisti e figure politiche.

Il 26 marzo, X ha annunciato di aver presentato un ricorso individuale alla Corte costituzionale per contestare un ordine della Btk che imponeva il blocco di 126 account. Le autorità devono astenersi dall’utilizzare mezzi legali ed extralegali per esercitare pressioni sulle piattaforme social affinché censurino contenuti online in violazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani, in particolare i contenuti di natura politica, che godono del massimo livello di protezione. La Turchia deve garantire un accesso libero e senza restrizioni a Internet e revocare tutti gli ordini illegali di blocco degli account social di chi esercita il diritto alla libertà di espressione per criticare le autorità.

Rinnoviamo il nostro appello alle piattaforme di social media affinché resistano alle pressioni politiche e si astengano dal limitare l’accesso a espressioni tutelate. Invece di accettare passivamente gli ordini di blocco, esortiamo le piattaforme a intraprendere tutte le azioni possibili per limitarne l’ambito e la durata, inclusa la contestazione della loro legittimità in sede giudiziaria. Le piattaforme dovrebbero inoltre garantire trasparenza nei confronti degli utenti coinvolti e del pubblico riguardo alle richieste governative di censura e alle misure adottate in risposta, nonché adottare tutte le misure necessarie per mantenere l’accesso alla piattaforma in caso di blocchi o limitazioni della larghezza di banda.

Firmatari:

ARTICLE 19 Amnesty International European Federation of Journalists (EFJ) Human Rights Watch IFEX International Federation of Journalists (IFJ) Norwegian Helsinki Committee (NHC)PEN America PEN Sweden South East Europe Media Organisation (SEEMO) PEN International Danish PEN

Amnesty International

Turchia: La rivolta sociale e politica onnicomprensiva. Un prezioso reportage da Istanbul 

Nel ricordare che nella giornata di domani 29 marzo è stata convocata dalle opposizioni turche una nuova manifestazione a sostegno di Ekrem Imamoglu, pubblichiamo l’importante reportage redatto da un docente dell’Università Jean Jaurès di Tolosa che vi vive da oltre 20 anni ad Istanbul_

Dal 19 marzo 2025, data dello spettacolare arresto di 100 persone legate alla Municipalità metropolitana di Istanbul – tra cui il carismatico sindaco Ekrem İmamoğlu – stiamo assistendo in Turchia a un movimento sociale totale la cui complessità impedisce qualsiasi lettura troppo rapida e parziale. Dinamiche e processi molto diversi si mescolano e interferiscono. È importante restare ragionarci: senza fare previsioni, per cercare di vedere le cose più chiaramente, può essere utile distinguere le diverse dimensioni di questa reazione popolare di portata eccezionale. Per non cadere in un’analisi troppo generalizzante, senza riprendere aspetti certamente molto importanti ma più ampiamente trattati (come lo scatenamento dell’arbitrio e della violenza da parte delle forze dell’ordine, la criminalizzazione degli oppositori, gli attacchi al diritto all’informazione, la disinformazione organizzata o l’infondatezza delle accuse mosse, ecc.), bisogna tenere conto di sei dimensioni per cercare di comprendere meglio cosa sta accadendo: temporale, sociologica, generazionale, economica, partitica/politica/ideologica e, infine, geografica.

 

1) Dimensione temporale

Questi eventi dovrebbero essere inseriti in cronologie internazionali, locali e nazionali, sia lunghe, medie e brevi. Sebbene le prime manifestazioni abbiano avuto luogo la sera del 19 marzo, l’arresto di İmamoğlu rientra in una serie di attacchi lanciati dal governo centrale contro i municipi dell’opposizione, siano essi nelle mani del DEM (curdo) o del CHP [Il Partito Popolare Repubblicano, in turco: Cumhuriyet Halk Partisi o CHP, è un partito repubblicano, socialdemocratico, nazionalista e laico, fondato nel 1923 da Mustafa Kemal Atatürk. È membro dell’Internazionale socialista e membro associato del Partito dei socialisti europei. Dal 2002 è il principale partito di opposizione al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo -AKP di Erdogan-. Il simbolo del CHP è composto da sei frecce, che richiamano i sei principi dell’ideologia kemalista, di cui il partito è il rappresentante storico].

La novità relativa è che ora le autorità prendono di mira direttamente anche i comuni del CHP: alla fine di ottobre 2024, il sindaco del CHP del distretto più grande di Istanbul, Esenyurt (oltre un milione di abitanti), è stato arrestato e sostituito da un amministratore provvisorio. Così, ben prima del 19 marzo, si erano verificati raduni di protesta davanti al municipio di Esenyurt: troppo marginali per attirare l’attenzione, ma non erano comunque trascurabili. L’Ordine degli avvocati di Istanbul, uno dei più grandi al mondo, è stato destituito! – e non bisogna dimenticare neanche il licenziamento dell’intero gruppo dirigente eletto, il Consiglio dell’Ordine, all’inizio di gennaio 2025. L’ondata di arresti di sostenitori del riavvicinamento turco-curdo (un elenco di 6.000 persone è stato reso pubblico da un procuratore) avvenuta nel febbraio 2025 fa parte dello stesso clima politico molto degradato che esisteva prima del 19 marzo. Allo stesso modo, nell’est del paese, dove dieci sindaci erano stati estromessi dal marzo 2024, in sfida al verdetto delle urne, ci sono state proteste. Ma è stato reso quasi invisibile perché è considerato “endemico” a causa del contesto repressivo permanente. Quindi, se l’Est del Paese è abituato (almeno dal 2015/2016) a questi colpi di Stato antidemocratici contro i funzionari comunali, per l’Ovest si tratta di un fenomeno più recente. Allo stesso tempo, da mesi si moltiplicano le azioni legali – principalmente per corruzione – intentate dal governo centrale contro i comuni del CHP (ricordiamo anche l’arresto, il 13 gennaio 2025, del sindaco di Beşiktaş, per anni distretto di punta del CHP). 

La strategia volta a screditare il principale partito di opposizione è stata in qualche modo rafforzata dopo le cocenti sconfitte dell’AKP (di Erdogan) alle elezioni comunali del marzo 2024. Un altro elemento relativo alla dimensione temporale: il precedente movimento di protesta sociale a Gezi (maggio/giugno 2013) continua a mobilitarsi (o addirittura a perseguitare) il potere che ha tenuto in prigione per anni figure chiave di questo movimento. Gezi è onnipresente anche nell’immaginario dell’opposizione, che ora vi fa esplicito riferimento – in diversi aspetti – a questo grande precedente, per alimentare il movimento attuale. Gezi appare oggi come un momento chiave da cui attingere per l’azione intrapresa ora. 

La dimensione temporale è anche quella, nel dettaglio, della sequenza, delle variazioni di intensità e della capacità di perdurare delle manifestazioni dal 19 marzo. Unita alla dimensione geografica, ci mostra, da un lato, terreni sporadici (caratterizzati da momentanei scatti di rabbia, rapidamente soffocati), e terreni più stabili, dall’altro, che ogni sera sono luoghi di espressione del malcontento. È proprio la questione della sostenibilità della rabbia a preoccupare le autorità e a spingerle a decretare ulteriori giorni di vacanza dopo la tradizionale festa di fine Ramadan (30/31 marzo e 1° aprile). Come per disinnescare la protesta e confondere la questione studentesca con la presunta consensuale noncuranza dei momenti familiari/nazionali/religiosi. 

 

2) Dimensione sociologica 

Se tralasciamo il dato generazionale (vedi punto seguente), la sociologia del movimento attuale è molto eterogenea. I quartieri con un profilo dominante di “classe media”, o addirittura le classi abbienti, sono attivi e scendono in piazza a Istanbul, e abbiamo visto università private (chiamate università “di fondazione”) con un pubblico molto chic (Bilkent, Koç, Bilgi, ecc.) partecipare al movimento; ciò include molti altri canali e reti nello spazio sociale. Molto sentita è anche la protesta contro l’alto costo della vita, l’aumento degli affitti e gli attacchi alle politiche sociali nei comuni del CHP. Sebbene i quartieri operai abbiano finora aderito al movimento solo attraverso alcuni partiti e organizzazioni di estrema sinistra, alcune organizzazioni che rappresentano le minoranze e alcuni sindacati, i più modesti sono presenti tra la folla che manifesta davanti ai municipi, minacciati dagli interventi arbitrari del governo centrale. Ma il costo dell’ingresso nel movimento nei quartieri operai – largamente dominanti a Istanbul, dove circa il 40% delle famiglie non ha ancora un reddito regolare – è ovviamente più alto. La repressione muscolare lontano dalle telecamere, stigmatizzazione a livello di quartiere, espulsione dai sistemi di assistenza sociale statali e parastatali… 

 

3) La dimensione generazionale 

Questa, solo fino a un certo punto, grazie Bourdieu, è transclassista. E’ evidente e sembra essere al centro dell’attenzione dei commentatori dal 19 marzo. Le folle che periodicamente riempiono le strade sono infatti uno spettacolo di giovani partecipanti. Ricordiamolo è un paese che resta, almeno rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, assai giovane. Le principali vittime della violenza sfrenata della polizia e degli arresti e della carcerazione, sono i giovani. Denunciano la mancanza generale di libertà in tutti gli ambiti, l’assenza di prospettive (politiche e professionali) e il funzionamento gerontocratico del sistema partitico e mediatico. Il discorso diffuso attraverso cartelli e slogan rivela immaginari ibridi propri di una fascia d’età socializzata nell’era dei social network e soprattutto una forte frustrazione di una generazione che in tutta la sua vita ha conosciuto solo il partito-stato-AKP. Richiedono un posto a pieno titolo nei giochi politici ed economici, spazi di espressione e riconoscimento, un rinnovamento dei quadri e delle forme di gestione a tutti i livelli. Denunciano il costo degli affitti nelle grandi città, le poche opportunità offerte dalle lauree universitarie per le quali sacrificano la loro giovinezza in un sistema scolastico stordente e il pesante arcaismo autoritario della vita politica. “Siamo figli rivoluzionari di genitori conservatori” è uno degli slogan più noti, anche nelle città di provincia che non si prevedeva avrebbero partecipato, nemmeno per un breve periodo, alla “festa (che si vuol fare del regime di Erdogan). L’esplosione di rabbia sembra addirittura spazzare via i confini partitici e ideologici e rivelare, al di là di essi, una comunità di preoccupazioni concrete e di aspirazioni frustrate. 

 

4) La dimensione economica 

E’ già stata accennata indirettamente. Si tratta ovviamente di un aspetto fondamentale e spesso giustamente sottolineato dagli osservatori. Tralascerò gli aspetti macroeconomici (inflazione galoppante, enorme svalutazione della moneta nazionale, ecc.). Ciò che emerge dalle attuali mobilitazioni è sia la denuncia di una situazione economica disastrosa quanto quella di un’economia politica scandalosa. Nel mirino ci sono le politiche agricole definite dagli importatori a spese dei produttori, la monopolizzazione delle rendite (minerarie, turistiche, immobiliari, ecc.) da parte di una frazione privilegiata e l’esternalizzazione sistematica dei costi sociali e ambientali. Ciò spiega una delle forme assunte dal movimento attuale, quella del boicottaggio. Boicottare i marchi, le aziende e i luoghi di consumo più palesemente legati alla cricca aggrappata al potere. Orchestrato dal principale partito di opposizione, questo movimento di boicottaggio, che sembra essere seguito a partire dai caffè aperti nelle università dai figli dei ministri e dei dirigenti del partito, ha scatenato la furia del governo, che accusa gli oppositori di sabotare l’economia nazionale. Di nuovo la criminalizzazione. 

 

5) La dimensione partigiana e ideologica 

Non mi dilungherò su questo argomento. Mi limiterò a menzionare due cartelli che hanno attirato l’attenzione e che esprimono chiaramente il rifiuto massiccio dell’attuale proposta partitica da parte dei giovani che manifestano. “Conquisteremo la religione senza l’AKP, Atatürk senza il CHP, la patria senza l’MHP, i curdi senza l’HDP, noi siamo il popolo”. 

Quanto all’altro: “Voglio il mio paese. Né Tayyip né Ekrem. Non mi aspetto un salvatore. Lasciamo che ognuno sia responsabile del proprio destino. E che la nostra resistenza sia eterna”. 

Si potrebbe dire molto su questi due slogan. Da notare la permanenza dei valori di riferimento della socializzazione politica a lungo termine in Turchia (patria, religione, Atatürk, ecc.), l’atteggiamento stufo nei confronti dei partiti esistenti e la chiara espressione del desiderio dei cittadini di prendere in mano il proprio destino. La presenza di partiti affermati varia a seconda del motivo della rabbia, nonché della sociologia e dell’età media dei partecipanti. 

Nei pressi dei municipi saccheggiati, il CHP è in prima linea e si muove in testa; nei cortei studenteschi c’è molto poco, se non addirittura per niente. Altrove, al di fuori delle coorti studentesche, la strada è divisa tra partiti di estrema sinistra (TKP, TİP, DİP, Emek, ecc.) e le loro organizzazioni giovanili. I sostenitori dei partiti di estrema destra anti-AKP non manifestano apertamente sotto lo striscione del partito: sono gruppi di giovani all’interno di marce studentesche, riconoscibili dai loro slogan e da alcuni segni di affiliazione. Il futuro del movimento dipenderà dalle possibilità di articolazione con movimenti sociali più profondi e stabili, come il movimento dei lavoratori, il movimento femminista, il movimento curdo e il movimento per i diritti ambientali e degli animali. Come detto prima ci sono alcuni legami con il movimento dei lavoratori (il sostegno degli studenti di un’università privata ai lavoratori che da mesi non vengono pagati in un cantiere edile nel loro campus) e con il movimento per i diritti degli animali (messi in pericolo da progetti di sterminio). 

 

6) La dimensione geografica

Essa riassume in un certo senso tutte le altre e permette di mettere in luce la singolarità di questo movimento sociale totale. Questo aspetto deve essere affrontato su più scale, evidenziando le innovazioni intervenute. In tutto il Paese, abbiamo una sorta di geografia inversa: mentre le regioni curde orientali sono rimaste calme, ad eccezione dei comuni rubati già menzionati, le città conservatrici sono state teatro di manifestazioni di piazza senza precedenti nella loro storia. Sebbene le dimostrazioni fossero occasionali, è senza precedenti assistere alle rivolte in città come Konya, Elazığ, Osmangazi, Sakarya (dove un manifestante ha mostrato un ritratto di Robespierre!) e Yozgat. Ciò può essere visto come una conseguenza della politica di sviluppo frenetico delle università su tutto il territorio nazionale a partire dalla metà degli anni 2000. Da notare anche l’ingresso degli agricoltori, in stile europeo, nel settore dei trattori. 

Sempre su scala nazionale, è importante sottolineare come questo movimento stia riproponendo a livello locale e dando nuova voce a lotte, a volte un po’ dimenticate, contro il potere centrale: luoghi di disastri minerari (e non mancano), luoghi di lotte ecologiche contro le dighe o l’estrazione incontrollata ed ecodistruttiva di minerali, luoghi di disastri sismici. Quanto a quest’ultimo, dal 19 marzo la voce delle popolazioni di alcuni dipartimenti colpiti dai terremoti del febbraio 2023 risuona in modo singolare. “Ci avete lasciato sotto le macerie. Ma non vi lasceremo il paese”. “Hatay#” recitava un cartello durante le proteste di piazza ad Antakya/Antiochia, devastata due anni fa. 

Su scala più fine, e limitatamente alla metropoli di Istanbul, è necessario sottolineare la grande differenza rispetto a Gezi: ciò è dovuto alla perdita di centralità di Taksim e del viale pedonale di İstiklâl, preventivamente bloccati dalle forze di sicurezza. 

Detto questo, è necessario distinguere tra le sedi fisse dell’opposizione costituita: in primo luogo, l’edificio centrale della municipalità metropolitana (Saraçhane) e i suoi dintorni (l’acquedotto di Valente e la moschea di Şeyzade), gli edifici delle municipalità distrettuali espropriate (Esenyurt e Şişli) e le università e i loro dintorni (l’Università di Istanbul e Piazza Beyazıt in primo luogo). L’altra originalità risiede nella natura mobile delle manifestazioni e nell’investimento spontaneo delle strade: gli studenti hanno inventato nuovi percorsi di protesta, collegando le università e sfidando le consuete misure di sicurezza statiche. Si tratta quindi di una nuova geografia dell’espressione pubblica del malcontento che sta emergendo con l’uscita forzata da Taksim e l’invenzione di nuovi percorsi.

Anche se è ovviamente troppo presto per prevederne l’evoluzione o trarne qualche insegnamento, possiamo comunque sottolineare che il “movimento del 19 marzo” – chiamiamolo così per il momento – unisce forze sociali e politiche molto diverse, tocca territori molto diversi (alcuni dei quali solitamente discreti o addirittura totalmente silenziosi). Si differenzia dal movimento Gezi del 2013 per il maggiore coinvolgimento dei giovani universitari, la partecipazione di città di provincia notoriamente conservatrici e sotto controllo, l’eterogeneità dei riferimenti ideologici o culturali invocati e il ruolo minore degli attori “istituzionalizzati” dell’opposizione (camere di commercio, partiti di sinistra e di estrema sinistra, sindacati).

Da un punto di vista politico, a questo punto, sorgono due domande. È possibile la strutturazione e la politicizzazione della rabbia plurale, data la scelta di repressione implacabile adottata dalle autorità? E poi, in questo processo di politicizzazione, quale ruolo può svolgere il CHP, il principale partito di opposizione? Non può pretendere il monopolio dell’energia della rabbia e dell’immaginazione politica attualmente dispiegate, nonostante l’immenso successo delle primarie organizzate nell’emozione del colpo di Stato, il 22 marzo 2025, per designare il suo candidato per le elezioni presidenziali del 2028 (partecipazione 10 volte superiore a quella prevista prima del 19 marzo e trionfo del candidato alla candidatura İmamoğlu, allora già in carcere).

 

Vedi Capitolo 4 “249 contro 301 ossessione sicuritaria e rassegnazione organizzata nell’affrontare i rischi ambientali e sanitari: il caso turco (di Jean François Pérouse e Sümbül Kaya), in Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici nel Mediterraneo, pp. 65-69 – scaricabile gratuitamente
E anche
Kaya S. 2017. “Anatomie de l’armée en Turquie après la tentative du coup d’État du 15 juillet 2016”, «Mouvements», 2 (90), 19-29.
Pérouse J.F. (in coll. con T. Coanus) 2006. Villes et risques. Regards croisés sur quelques cités “en danger” Parigi: Economica, Anthropos.
Pérouse J.F. 2014. “Le « mouvement de Gezi » ou le choc des systèmes de valeurs environ- nementales dans la Turquie en croissance”, «Méditerranée», 123, 2014, 49-56. 
Pérouse J.F. 2017. Istanbul-Planète. La ville monde du XXIe siècle, Parigi: La Découverte. 

 

 

Redazione Italia

Turchia. L’arresto di Imamoglu

“Miei cari cittadini,oggi la Turchia si è svegliata e ha scoperto un grande tradimento.
Il procedimento giudiziario in corso non è un procedimento giudiziario. Si tratta di un’esecuzione extragiudiziale completa.

Invito la nostra nazione a lottare per i diritti con senso di responsabilità. Questa lotta per i diritti è una questione che riguarda il futuro della nostra nazione e dei nostri figli.
Assicuratevi di votare oggi per il futuro della Turchia. Poi, radunatevi nelle piazze della democrazia a Istanbul, Saraçhane e in altre province e fate sentire la vostra voce.

È il giorno in cui assumersi le proprie responsabilità e unirsi alla lotta per i diritti contro coloro che hanno rubato la volontà della nazione.
Tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno.”

Con questo messaggio, rilasciato tramite i suoi avvocati, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu si è rivolto alla cittadinanza turca domenica 23 marzo 2025.

Lo stesso giorno, il tribunale ha confermato il suo arresto e migliaia di cittadini si sono diretti alle urne per votare lo stesso İmamoğlu alle primarie del Partito Repubblicano del Popolo (CHP) per le presidenziali del 2028.

La battaglia appena intrapresa dal sindaco di Istanbul non è solamente una battaglia giudiziaria, ma riguarda il futuro della democrazia in Turchia. Una democrazia che negli ultimi ventitré anni è finita per essere ostaggio di un sistema sempre più autoritario, che mira all’accentramento del potere e all’esclusione di ogni possibile rivale politico.

Il fragile sistema democratico turco

Il politologo Robert Alan Dahl, all’interno della sua più famosa opera “On Democracy”, affermava che un Paese, per potersi definire democratico, necessiti di sei prerequisiti fondamentali: amministratori eletti, libere, eque e frequenti elezioni, libertà di espressione, accesso a fonti alternative d’informazione, autonomia associativa e cittadinanza allargata.

Qualche decennio dopo Georg Sørensen, professore di politica internazionale ed economia presso il Dipartimento di scienze politiche e governo dell’Università di Aarhus in Danimarca, ha raggruppato questi sei prerequisiti in tre grandi elementi fondamentali in un sistema democratico: concorrenza, partecipazione e libertà politiche e civili.

Se analizziamo il caso della Turchia possiamo affermare che da diversi anni questi elementi siano sotto attacco da parte del Governo.

L’eliminazione politica di figure di spicco di partiti opposti all’AKP di Erdoğan mette in evidenza come l’elemento della concorrenza politica sia un costante bersaglio delle autorità turche.

Basti pensare a Yüksekdağ e Demirtaş, entrambi leader del Partito Democratico dei Popoli (HDP), prima forza politica curda, condannati rispettivamente a 30 e 42 anni di prigione nel maggio 2024.

Le accuse? Incitamento alla rivolta e attentato all’unità del Paese per aver invitato la popolazione a scendere in piazza contro le scelte di Erdoğan sul contrasto a Daesh in Siria nelle zone a maggioranza curda.

L’attacco del presidente turco Erdoğan nei confronti di İmamoğlu non ha avuto inizio con la sua presa in custodia il 19 marzo 2025, ma è cominciato nel 2019, con la prima vittoria di quest’ultimo alle municipali di Istanbul.

In quell’occasione, dopo il suo trionfo, la Commissione elettorale suprema della Turchia (YSK) aveva annunciato la ripetizione delle elezioni per presunte irregolarità: una ripetizione inutile per i fini di Erdoğan, visto il nuovo trionfo di İmamoğlu.

Fin da allora, il primo cittadino di Istanbul è diventato l’uomo più temuto dal Rais turco, che ha sempre affermato “Chi perde Istanbul perde la Turchia”.

Oltre alla condanna per oltraggio a pubblico ufficiale, per cui İmamoğlu ha presentato ricorso, e all’accusa per dei presunti brogli su delle gare d’appalto avvenuti nel periodo in cui era a capo del distretto di Beylikdüzü, nelle scorse settimane İmamoğlu si è visto annullare la propria laurea da parte del rettore dell’Università di Istanbul, senza la quale gli sarebbe impossibile partecipare alle elezioni del 2028.

Indovinate da chi viene nominato il rettore? Esatto, direttamente dal governo: una situazione al limite del grottesco.

Perché la battaglia di İmamoğlu è così importante?

Al momento della stesura di questo articolo, le notizie che giungono parlano del trasferimento del sindaco di Istanbul nel carcere di massima sicurezza di Marmara.
Non sappiamo quale sarà l’evolversi degli eventi e se İmamoğlu nel 2028 riuscirà a candidarsi per le elezioni presidenziali, ma una cosa è certa: non deve essere lasciato solo nella sua battaglia.

Secondo il rapporto 2025 di Freedom House, la Turchia con un punteggio di 33/100 per quanto riguarda le libertà generali e di 31/100 per la libertà su internet non è assolutamente classificabile come un Paese libero.

Ovviamente questa situazione non è da ricondurre esclusivamente al recente arresto del sindaco di Istanbul, ma è una conseguenza di un processo che ha preso il via nel 2002, con l’ascesa al potere di Erdoğan. Gli arresti arbitrari, le condanne monstre per gli avversari politici e altri elementi di tal genere negli ultimi anni hanno reso la democrazia turca sempre più debole e fragile.

In un mondo che nell’ultimo periodo ha preso una deriva sempre più autoritaria, anche con il trionfo di personaggi loschi e ambigui che minacciano la deportazione di milioni di persone per la costruzione di resort per miliardari, è importante che figure come İmamoğlu restino salde al loro posto, pronte a vigilare e battagliare contro i sistemi più repressivi e autoritari.

Lo si deve al nostro futuro e a quello di tutti i turchi scesi nelle piazze per difendere quel che resta della loro democrazia.

East Journal

Turchia: garantire il diritto di riunione pacifica e alla libertà di espressione durante le proteste

Amnesty International si è unita ad altre 11 organizzazioni nel chiedere alle autorità turche di cessare immediatamente gli attacchi contro i manifestanti pacifici, di smettere di prendere di mira giornalisti e canali di informazione e di porre fine alla repressione della libertà di parola online.

La lettera 27 marzo 2025
Article 19 e altre 11 organizzazioni esprimono forte preoccupazione per la recente intensificazione della repressione da parte del governo nei confronti della libertà di espressione e del diritto di riunione pacifica, in seguito all’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu. Decine di migliaia di persone continuano a prendere parte alle manifestazioni di massa, perlopiù pacifiche, in tutta la Turchia, nel più grande movimento di protesta dell’ultimo decennio. Le proteste, iniziate nelle principali città, si sono diffuse in tutto il paese, mentre la polizia ha risposto con l’uso illegale e indiscriminato della forza per disperdere la folla. Anche i giornalisti sono soggetti a gravi restrizioni, tra cui arresti e aggressioni fisiche, e le piattaforme di social media sono state sottoposte a pressioni per censurare le informazioni sugli eventi in corso. Il governo deve porre immediatamente fine agli attacchi contro i manifestanti pacifici, smettere di prendere di mira giornalisti e testate giornalistiche e interrompere la repressione della libertà di espressione online. Chiediamo inoltre alle piattaforme social di adottare misure urgenti per ripristinare l’accesso agli account bloccati che contengono contenuti protetti e di garantire la piena accessibilità dei loro servizi.

Repressione delle proteste di massa

La Turchia sta attraversando una delle crisi socio-politiche più gravi degli ultimi anni. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, avvenuta il 19 marzo con l’accusa di “corruzione” e “favoreggiamento del terrorismo”, nell’ambito di un’operazione che ha portato all’emissione di ordini di arresto per oltre 100 persone. İmamoğlu è stato posto in detenzione preventiva il 23 marzo, lo stesso giorno in cui i membri del suo partito lo hanno nominato candidato principale dell’opposizione in una votazione simbolica per le elezioni presidenziali del 2028. È stato rimosso dall’incarico insieme ai sindaci dei distretti di Şişli e Beylikdüzü, anch’essi sotto accusa. Secondo il ministro dell’Interno, al 26 marzo, 1879 persone erano state arrestate durante le proteste. Le manifestazioni sono state represse con un uso ingiustificato e illegale della forza: i manifestanti sono stati picchiati con manganelli e presi a calci mentre erano a terra. Gli agenti delle forze di sicurezza hanno usato indiscriminatamente spray al peperoncino, gas lacrimogeni, proiettili di plastica e idranti, causando numerosi feriti. Il 27 marzo, il ministro ha inoltre riferito che 150 agenti di polizia sono rimasti feriti durante le proteste, ma non ha fornito alcuna informazione sul numero di manifestanti feriti. La repressione colpisce anche altre forme di protesta oltre alle manifestazioni di piazza. Il 26 marzo, i membri del direttivo del sindacato degli insegnanti Eğitim-Sen sono stati posti agli arresti domiciliari in attesa di giudizio con l’accusa di “istigazione a commettere reati” in seguito alla loro decisione di sospendere il lavoro il 25 marzo in solidarietà con gli studenti universitari, che sono stati tra i protagonisti delle proteste. Il rappresentante del sindacato presso l’Università di Istanbul è stato arrestato.

Dal 19 marzo, a Istanbul, è in vigore un divieto assoluto di manifestare, esteso a Smirne e Ankara dal 21 marzo. Il governatore di Istanbul ha inoltre emesso una disposizione che vieta l’ingresso e l’uscita dalla città a “individui, gruppi e veicoli potenzialmente coinvolti in attività illegali, individualmente o collettivamente”. Non è chiaro come questa misura venga applicata. Ricordiamo alle autorità turche che, in base al diritto internazionale dei diritti umani, hanno l’obbligo di rispettare e garantire il diritto di ogni persona alla libertà di riunione pacifica. Eventuali restrizioni a questo diritto devono essere definite con precisione dalla legge, perseguire un obiettivo legittimo e risultare necessarie e proporzionate a tale obiettivo. I divieti assoluti delle proteste sono sproporzionati e ingiustificabili. Inoltre, condanniamo fermamente l’uso della forza contro i manifestanti pacifici. L’uso della forza da parte della polizia deve essere strettamente necessario e proporzionato: deve essere impiegata solo la quantità minima di forza indispensabile, e, chi ne fa uso, deve essere sempre chiamato a risponderne. Chiediamo alle autorità di garantire che qualsiasi accusa di uso illegale della forza e di altre violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, comprese violenze di genere, torture e maltrattamenti inflitti ai manifestanti, sia oggetto di un’indagine efficace, imparziale e tempestiva.

Minacce e violenze contro giornalisti e organi di informazione

La repressione delle proteste di massa è stata accompagnata da un’intensificazione degli attacchi e delle pressioni nei confronti dei media indipendenti e dei giornalisti. Almeno 11 giornalisti locali sono stati arrestati a Istanbul e a İzmir per aver documentato le proteste; sette di loro sono stati posti in detenzione il 25 marzo con l’accusa di aver violato la Legge sulle riunioni e le manifestazioni, per poi essere scarcerati in appello il 27 marzo, in attesa di processo. Almeno 10 giornalisti locali sono stati aggrediti fisicamente dalla polizia mentre seguivano le proteste a Istanbul e, secondo quanto riferito, un giornalista è stato aggredito dai manifestanti. Anche i media internazionali sono stati colpiti dalla repressione. Il 27 marzo la Bbc ha riferito che il suo corrispondente Mark Lowen, presente a Istanbul per coprire le proteste, è stato arrestato nel suo hotel e successivamente espulso con la motivazione di essere una “minaccia all’ordine pubblico”.

La copertura degli eventi è ulteriormente limitata dal Consiglio supremo della radio e televisione della Turchia (Radyo ve Televizyon Üst Kurulu – RTÜK). Il presidente del RTÜK, Ebubekir Şahin, ha invitato i media televisivi, i conduttori e i commentatori a garantire che i loro resoconti “rimangano privi di pregiudizi politici”, avvertendo che il mancato rispetto di questa direttiva comporterà sanzioni massime, inclusa la revoca della licenza. Il 21 e 27 marzo, il RTÜK ha dato seguito a queste minacce emettendo sanzioni amministrative e sospensioni temporanee delle trasmissioni fino a 10 giorni nei confronti delle emittenti Halk Tv, Scz Tv, Tele 1 e Now TV. Esortiamo la Turchia, e in particolare il RTÜK, a porre immediatamente fine a queste violazioni della libertà di stampa e a creare un ambiente che consenta ai media di fornire al pubblico le informazioni necessarie e di riportare gli eventi senza pressioni da parte dello Stato. Intimidire i giornalisti affinché diffondano esclusivamente contenuti approvati dal governo mina i principi fondamentali del giornalismo indipendente. Ribadiamo inoltre che giornalisti e altri osservatori devono essere protetti e poter riferire liberamente su questioni di interesse pubblico, compreso il monitoraggio delle azioni delle forze dell’ordine, senza subire ritorsioni o forme di intimidazione.

Censura online

I social media rappresentano uno degli ultimi canali attraverso i quali le persone in Turchia possono accedere a voci indipendenti e dove le persone attiviste e i giornalisti possono esprimere le proprie opinioni in modo relativamente libero. In risposta alle proteste di massa, le autorità hanno rapidamente imposto severe restrizioni ai social media e alle applicazioni di messaggistica, ordinando alle piattaforme di bloccare i contenuti relativi alle proteste. Le principali piattaforme di social media e le applicazioni di messaggistica hanno subito una limitazione della larghezza di banda a partire dalle 7 del mattino (ora locale) del 19 marzo, in concomitanza con gli arresti del sindaco e di altre persone. Le restrizioni sembrano essere state limitate a Istanbul e sono durate 42 ore, fino al 21 marzo. Non è stata fornita alcuna spiegazione riguardo ai motivi di tali restrizioni né sul perché siano state revocate. Ai sensi della legge sulle comunicazioni elettroniche (legge n. 5809), tali restrizioni possono essere attuate dall’ Autorità turca per le telecomunicazioni e le tecnologie informatiche (Btk) su ordine della Presidenza in caso di pericolo imminente o minaccia alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico.

Queste restrizioni amministrative hanno carattere temporaneo e devono essere esaminate dalla magistratura entro un massimo di 24 ore. La Btk ha emesso centinaia di ordini di blocco per gli account social di giornalisti, organi di stampa, organizzazioni della società civile e difensori dei diritti umani, sulla base dell’articolo 8/A della legge n. 5651. La mancata conformità a tali ordini può comportare sanzioni gravi per le piattaforme di social media. Sebbene risulti che molti account su X siano attualmente bloccati, la stessa piattaforma ha dichiarato di aver contestato “diversi ordini giudiziari […] per bloccare oltre 700 account”, tra cui quelli di testate giornalistiche, giornalisti e figure politiche.

Il 26 marzo, X ha annunciato di aver presentato un ricorso individuale alla Corte costituzionale per contestare un ordine della Btk che imponeva il blocco di 126 account. Le autorità devono astenersi dall’utilizzare mezzi legali ed extralegali per esercitare pressioni sulle piattaforme social affinché censurino contenuti online in violazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani, in particolare i contenuti di natura politica, che godono del massimo livello di protezione. La Turchia deve garantire un accesso libero e senza restrizioni a Internet e revocare tutti gli ordini illegali di blocco degli account social di chi esercita il diritto alla libertà di espressione per criticare le autorità.

Rinnoviamo il nostro appello alle piattaforme di social media affinché resistano alle pressioni politiche e si astengano dal limitare l’accesso a espressioni tutelate. Invece di accettare passivamente gli ordini di blocco, esortiamo le piattaforme a intraprendere tutte le azioni possibili per limitarne l’ambito e la durata, inclusa la contestazione della loro legittimità in sede giudiziaria. Le piattaforme dovrebbero inoltre garantire trasparenza nei confronti degli utenti coinvolti e del pubblico riguardo alle richieste governative di censura e alle misure adottate in risposta, nonché adottare tutte le misure necessarie per mantenere l’accesso alla piattaforma in caso di blocchi o limitazioni della larghezza di banda.

Firmatari:

ARTICLE 19 Amnesty International European Federation of Journalists (EFJ) Human Rights Watch IFEX International Federation of Journalists (IFJ) Norwegian Helsinki Committee (NHC)PEN America PEN Sweden South East Europe Media Organisation (SEEMO) PEN International Danish PEN

Amnesty International

Turchia: La rivolta sociale e politica onnicomprensiva. Un prezioso reportage da Istanbul 

Nel ricordare che nella giornata di domani 29 marzo è stata convocata dalle opposizioni turche una nuova manifestazione a sostegno di Ekrem Imamoglu, pubblichiamo l’importante reportage redatto da un docente dell’Università Jean Jaurès di Tolosa che vi vive da oltre 20 anni ad Istanbul_

Dal 19 marzo 2025, data dello spettacolare arresto di 100 persone legate alla Municipalità metropolitana di Istanbul – tra cui il carismatico sindaco Ekrem İmamoğlu – stiamo assistendo in Turchia a un movimento sociale totale la cui complessità impedisce qualsiasi lettura troppo rapida e parziale. Dinamiche e processi molto diversi si mescolano e interferiscono. È importante restare ragionarci: senza fare previsioni, per cercare di vedere le cose più chiaramente, può essere utile distinguere le diverse dimensioni di questa reazione popolare di portata eccezionale. Per non cadere in un’analisi troppo generalizzante, senza riprendere aspetti certamente molto importanti ma più ampiamente trattati (come lo scatenamento dell’arbitrio e della violenza da parte delle forze dell’ordine, la criminalizzazione degli oppositori, gli attacchi al diritto all’informazione, la disinformazione organizzata o l’infondatezza delle accuse mosse, ecc.), bisogna tenere conto di sei dimensioni per cercare di comprendere meglio cosa sta accadendo: temporale, sociologica, generazionale, economica, partitica/politica/ideologica e, infine, geografica.

 

1) Dimensione temporale

Questi eventi dovrebbero essere inseriti in cronologie internazionali, locali e nazionali, sia lunghe, medie e brevi. Sebbene le prime manifestazioni abbiano avuto luogo la sera del 19 marzo, l’arresto di İmamoğlu rientra in una serie di attacchi lanciati dal governo centrale contro i municipi dell’opposizione, siano essi nelle mani del DEM (curdo) o del CHP [Il Partito Popolare Repubblicano, in turco: Cumhuriyet Halk Partisi o CHP, è un partito repubblicano, socialdemocratico, nazionalista e laico, fondato nel 1923 da Mustafa Kemal Atatürk. È membro dell’Internazionale socialista e membro associato del Partito dei socialisti europei. Dal 2002 è il principale partito di opposizione al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo -AKP di Erdogan-. Il simbolo del CHP è composto da sei frecce, che richiamano i sei principi dell’ideologia kemalista, di cui il partito è il rappresentante storico].

La novità relativa è che ora le autorità prendono di mira direttamente anche i comuni del CHP: alla fine di ottobre 2024, il sindaco del CHP del distretto più grande di Istanbul, Esenyurt (oltre un milione di abitanti), è stato arrestato e sostituito da un amministratore provvisorio. Così, ben prima del 19 marzo, si erano verificati raduni di protesta davanti al municipio di Esenyurt: troppo marginali per attirare l’attenzione, ma non erano comunque trascurabili. L’Ordine degli avvocati di Istanbul, uno dei più grandi al mondo, è stato destituito! – e non bisogna dimenticare neanche il licenziamento dell’intero gruppo dirigente eletto, il Consiglio dell’Ordine, all’inizio di gennaio 2025. L’ondata di arresti di sostenitori del riavvicinamento turco-curdo (un elenco di 6.000 persone è stato reso pubblico da un procuratore) avvenuta nel febbraio 2025 fa parte dello stesso clima politico molto degradato che esisteva prima del 19 marzo. Allo stesso modo, nell’est del paese, dove dieci sindaci erano stati estromessi dal marzo 2024, in sfida al verdetto delle urne, ci sono state proteste. Ma è stato reso quasi invisibile perché è considerato “endemico” a causa del contesto repressivo permanente. Quindi, se l’Est del Paese è abituato (almeno dal 2015/2016) a questi colpi di Stato antidemocratici contro i funzionari comunali, per l’Ovest si tratta di un fenomeno più recente. Allo stesso tempo, da mesi si moltiplicano le azioni legali – principalmente per corruzione – intentate dal governo centrale contro i comuni del CHP (ricordiamo anche l’arresto, il 13 gennaio 2025, del sindaco di Beşiktaş, per anni distretto di punta del CHP). 

La strategia volta a screditare il principale partito di opposizione è stata in qualche modo rafforzata dopo le cocenti sconfitte dell’AKP (di Erdogan) alle elezioni comunali del marzo 2024. Un altro elemento relativo alla dimensione temporale: il precedente movimento di protesta sociale a Gezi (maggio/giugno 2013) continua a mobilitarsi (o addirittura a perseguitare) il potere che ha tenuto in prigione per anni figure chiave di questo movimento. Gezi è onnipresente anche nell’immaginario dell’opposizione, che ora vi fa esplicito riferimento – in diversi aspetti – a questo grande precedente, per alimentare il movimento attuale. Gezi appare oggi come un momento chiave da cui attingere per l’azione intrapresa ora. 

La dimensione temporale è anche quella, nel dettaglio, della sequenza, delle variazioni di intensità e della capacità di perdurare delle manifestazioni dal 19 marzo. Unita alla dimensione geografica, ci mostra, da un lato, terreni sporadici (caratterizzati da momentanei scatti di rabbia, rapidamente soffocati), e terreni più stabili, dall’altro, che ogni sera sono luoghi di espressione del malcontento. È proprio la questione della sostenibilità della rabbia a preoccupare le autorità e a spingerle a decretare ulteriori giorni di vacanza dopo la tradizionale festa di fine Ramadan (30/31 marzo e 1° aprile). Come per disinnescare la protesta e confondere la questione studentesca con la presunta consensuale noncuranza dei momenti familiari/nazionali/religiosi. 

 

2) Dimensione sociologica 

Se tralasciamo il dato generazionale (vedi punto seguente), la sociologia del movimento attuale è molto eterogenea. I quartieri con un profilo dominante di “classe media”, o addirittura le classi abbienti, sono attivi e scendono in piazza a Istanbul, e abbiamo visto università private (chiamate università “di fondazione”) con un pubblico molto chic (Bilkent, Koç, Bilgi, ecc.) partecipare al movimento; ciò include molti altri canali e reti nello spazio sociale. Molto sentita è anche la protesta contro l’alto costo della vita, l’aumento degli affitti e gli attacchi alle politiche sociali nei comuni del CHP. Sebbene i quartieri operai abbiano finora aderito al movimento solo attraverso alcuni partiti e organizzazioni di estrema sinistra, alcune organizzazioni che rappresentano le minoranze e alcuni sindacati, i più modesti sono presenti tra la folla che manifesta davanti ai municipi, minacciati dagli interventi arbitrari del governo centrale. Ma il costo dell’ingresso nel movimento nei quartieri operai – largamente dominanti a Istanbul, dove circa il 40% delle famiglie non ha ancora un reddito regolare – è ovviamente più alto. La repressione muscolare lontano dalle telecamere, stigmatizzazione a livello di quartiere, espulsione dai sistemi di assistenza sociale statali e parastatali… 

 

3) La dimensione generazionale 

Questa, solo fino a un certo punto, grazie Bourdieu, è transclassista. E’ evidente e sembra essere al centro dell’attenzione dei commentatori dal 19 marzo. Le folle che periodicamente riempiono le strade sono infatti uno spettacolo di giovani partecipanti. Ricordiamolo è un paese che resta, almeno rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, assai giovane. Le principali vittime della violenza sfrenata della polizia e degli arresti e della carcerazione, sono i giovani. Denunciano la mancanza generale di libertà in tutti gli ambiti, l’assenza di prospettive (politiche e professionali) e il funzionamento gerontocratico del sistema partitico e mediatico. Il discorso diffuso attraverso cartelli e slogan rivela immaginari ibridi propri di una fascia d’età socializzata nell’era dei social network e soprattutto una forte frustrazione di una generazione che in tutta la sua vita ha conosciuto solo il partito-stato-AKP. Richiedono un posto a pieno titolo nei giochi politici ed economici, spazi di espressione e riconoscimento, un rinnovamento dei quadri e delle forme di gestione a tutti i livelli. Denunciano il costo degli affitti nelle grandi città, le poche opportunità offerte dalle lauree universitarie per le quali sacrificano la loro giovinezza in un sistema scolastico stordente e il pesante arcaismo autoritario della vita politica. “Siamo figli rivoluzionari di genitori conservatori” è uno degli slogan più noti, anche nelle città di provincia che non si prevedeva avrebbero partecipato, nemmeno per un breve periodo, alla “festa (che si vuol fare del regime di Erdogan). L’esplosione di rabbia sembra addirittura spazzare via i confini partitici e ideologici e rivelare, al di là di essi, una comunità di preoccupazioni concrete e di aspirazioni frustrate. 

 

4) La dimensione economica 

E’ già stata accennata indirettamente. Si tratta ovviamente di un aspetto fondamentale e spesso giustamente sottolineato dagli osservatori. Tralascerò gli aspetti macroeconomici (inflazione galoppante, enorme svalutazione della moneta nazionale, ecc.). Ciò che emerge dalle attuali mobilitazioni è sia la denuncia di una situazione economica disastrosa quanto quella di un’economia politica scandalosa. Nel mirino ci sono le politiche agricole definite dagli importatori a spese dei produttori, la monopolizzazione delle rendite (minerarie, turistiche, immobiliari, ecc.) da parte di una frazione privilegiata e l’esternalizzazione sistematica dei costi sociali e ambientali. Ciò spiega una delle forme assunte dal movimento attuale, quella del boicottaggio. Boicottare i marchi, le aziende e i luoghi di consumo più palesemente legati alla cricca aggrappata al potere. Orchestrato dal principale partito di opposizione, questo movimento di boicottaggio, che sembra essere seguito a partire dai caffè aperti nelle università dai figli dei ministri e dei dirigenti del partito, ha scatenato la furia del governo, che accusa gli oppositori di sabotare l’economia nazionale. Di nuovo la criminalizzazione. 

 

5) La dimensione partigiana e ideologica 

Non mi dilungherò su questo argomento. Mi limiterò a menzionare due cartelli che hanno attirato l’attenzione e che esprimono chiaramente il rifiuto massiccio dell’attuale proposta partitica da parte dei giovani che manifestano. “Conquisteremo la religione senza l’AKP, Atatürk senza il CHP, la patria senza l’MHP, i curdi senza l’HDP, noi siamo il popolo”. 

Quanto all’altro: “Voglio il mio paese. Né Tayyip né Ekrem. Non mi aspetto un salvatore. Lasciamo che ognuno sia responsabile del proprio destino. E che la nostra resistenza sia eterna”. 

Si potrebbe dire molto su questi due slogan. Da notare la permanenza dei valori di riferimento della socializzazione politica a lungo termine in Turchia (patria, religione, Atatürk, ecc.), l’atteggiamento stufo nei confronti dei partiti esistenti e la chiara espressione del desiderio dei cittadini di prendere in mano il proprio destino. La presenza di partiti affermati varia a seconda del motivo della rabbia, nonché della sociologia e dell’età media dei partecipanti. 

Nei pressi dei municipi saccheggiati, il CHP è in prima linea e si muove in testa; nei cortei studenteschi c’è molto poco, se non addirittura per niente. Altrove, al di fuori delle coorti studentesche, la strada è divisa tra partiti di estrema sinistra (TKP, TİP, DİP, Emek, ecc.) e le loro organizzazioni giovanili. I sostenitori dei partiti di estrema destra anti-AKP non manifestano apertamente sotto lo striscione del partito: sono gruppi di giovani all’interno di marce studentesche, riconoscibili dai loro slogan e da alcuni segni di affiliazione. Il futuro del movimento dipenderà dalle possibilità di articolazione con movimenti sociali più profondi e stabili, come il movimento dei lavoratori, il movimento femminista, il movimento curdo e il movimento per i diritti ambientali e degli animali. Come detto prima ci sono alcuni legami con il movimento dei lavoratori (il sostegno degli studenti di un’università privata ai lavoratori che da mesi non vengono pagati in un cantiere edile nel loro campus) e con il movimento per i diritti degli animali (messi in pericolo da progetti di sterminio). 

 

6) La dimensione geografica

Essa riassume in un certo senso tutte le altre e permette di mettere in luce la singolarità di questo movimento sociale totale. Questo aspetto deve essere affrontato su più scale, evidenziando le innovazioni intervenute. In tutto il Paese, abbiamo una sorta di geografia inversa: mentre le regioni curde orientali sono rimaste calme, ad eccezione dei comuni rubati già menzionati, le città conservatrici sono state teatro di manifestazioni di piazza senza precedenti nella loro storia. Sebbene le dimostrazioni fossero occasionali, è senza precedenti assistere alle rivolte in città come Konya, Elazığ, Osmangazi, Sakarya (dove un manifestante ha mostrato un ritratto di Robespierre!) e Yozgat. Ciò può essere visto come una conseguenza della politica di sviluppo frenetico delle università su tutto il territorio nazionale a partire dalla metà degli anni 2000. Da notare anche l’ingresso degli agricoltori, in stile europeo, nel settore dei trattori. 

Sempre su scala nazionale, è importante sottolineare come questo movimento stia riproponendo a livello locale e dando nuova voce a lotte, a volte un po’ dimenticate, contro il potere centrale: luoghi di disastri minerari (e non mancano), luoghi di lotte ecologiche contro le dighe o l’estrazione incontrollata ed ecodistruttiva di minerali, luoghi di disastri sismici. Quanto a quest’ultimo, dal 19 marzo la voce delle popolazioni di alcuni dipartimenti colpiti dai terremoti del febbraio 2023 risuona in modo singolare. “Ci avete lasciato sotto le macerie. Ma non vi lasceremo il paese”. “Hatay#” recitava un cartello durante le proteste di piazza ad Antakya/Antiochia, devastata due anni fa. 

Su scala più fine, e limitatamente alla metropoli di Istanbul, è necessario sottolineare la grande differenza rispetto a Gezi: ciò è dovuto alla perdita di centralità di Taksim e del viale pedonale di İstiklâl, preventivamente bloccati dalle forze di sicurezza. 

Detto questo, è necessario distinguere tra le sedi fisse dell’opposizione costituita: in primo luogo, l’edificio centrale della municipalità metropolitana (Saraçhane) e i suoi dintorni (l’acquedotto di Valente e la moschea di Şeyzade), gli edifici delle municipalità distrettuali espropriate (Esenyurt e Şişli) e le università e i loro dintorni (l’Università di Istanbul e Piazza Beyazıt in primo luogo). L’altra originalità risiede nella natura mobile delle manifestazioni e nell’investimento spontaneo delle strade: gli studenti hanno inventato nuovi percorsi di protesta, collegando le università e sfidando le consuete misure di sicurezza statiche. Si tratta quindi di una nuova geografia dell’espressione pubblica del malcontento che sta emergendo con l’uscita forzata da Taksim e l’invenzione di nuovi percorsi.

Anche se è ovviamente troppo presto per prevederne l’evoluzione o trarne qualche insegnamento, possiamo comunque sottolineare che il “movimento del 19 marzo” – chiamiamolo così per il momento – unisce forze sociali e politiche molto diverse, tocca territori molto diversi (alcuni dei quali solitamente discreti o addirittura totalmente silenziosi). Si differenzia dal movimento Gezi del 2013 per il maggiore coinvolgimento dei giovani universitari, la partecipazione di città di provincia notoriamente conservatrici e sotto controllo, l’eterogeneità dei riferimenti ideologici o culturali invocati e il ruolo minore degli attori “istituzionalizzati” dell’opposizione (camere di commercio, partiti di sinistra e di estrema sinistra, sindacati).

Da un punto di vista politico, a questo punto, sorgono due domande. È possibile la strutturazione e la politicizzazione della rabbia plurale, data la scelta di repressione implacabile adottata dalle autorità? E poi, in questo processo di politicizzazione, quale ruolo può svolgere il CHP, il principale partito di opposizione? Non può pretendere il monopolio dell’energia della rabbia e dell’immaginazione politica attualmente dispiegate, nonostante l’immenso successo delle primarie organizzate nell’emozione del colpo di Stato, il 22 marzo 2025, per designare il suo candidato per le elezioni presidenziali del 2028 (partecipazione 10 volte superiore a quella prevista prima del 19 marzo e trionfo del candidato alla candidatura İmamoğlu, allora già in carcere).

 

Vedi Capitolo 4 “249 contro 301 ossessione sicuritaria e rassegnazione organizzata nell’affrontare i rischi ambientali e sanitari: il caso turco (di Jean François Pérouse e Sümbül Kaya), in Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici nel Mediterraneo, pp. 65-69 – scaricabile gratuitamente
E anche
Kaya S. 2017. “Anatomie de l’armée en Turquie après la tentative du coup d’État du 15 juillet 2016”, «Mouvements», 2 (90), 19-29.
Pérouse J.F. (in coll. con T. Coanus) 2006. Villes et risques. Regards croisés sur quelques cités “en danger” Parigi: Economica, Anthropos.
Pérouse J.F. 2014. “Le « mouvement de Gezi » ou le choc des systèmes de valeurs environ- nementales dans la Turquie en croissance”, «Méditerranée», 123, 2014, 49-56. 
Pérouse J.F. 2017. Istanbul-Planète. La ville monde du XXIe siècle, Parigi: La Découverte. 

 

 

Redazione Italia

Turchia. L’arresto di Imamoglu

“Miei cari cittadini,oggi la Turchia si è svegliata e ha scoperto un grande tradimento.
Il procedimento giudiziario in corso non è un procedimento giudiziario. Si tratta di un’esecuzione extragiudiziale completa.

Invito la nostra nazione a lottare per i diritti con senso di responsabilità. Questa lotta per i diritti è una questione che riguarda il futuro della nostra nazione e dei nostri figli.
Assicuratevi di votare oggi per il futuro della Turchia. Poi, radunatevi nelle piazze della democrazia a Istanbul, Saraçhane e in altre province e fate sentire la vostra voce.

È il giorno in cui assumersi le proprie responsabilità e unirsi alla lotta per i diritti contro coloro che hanno rubato la volontà della nazione.
Tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno.”

Con questo messaggio, rilasciato tramite i suoi avvocati, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu si è rivolto alla cittadinanza turca domenica 23 marzo 2025.

Lo stesso giorno, il tribunale ha confermato il suo arresto e migliaia di cittadini si sono diretti alle urne per votare lo stesso İmamoğlu alle primarie del Partito Repubblicano del Popolo (CHP) per le presidenziali del 2028.

La battaglia appena intrapresa dal sindaco di Istanbul non è solamente una battaglia giudiziaria, ma riguarda il futuro della democrazia in Turchia. Una democrazia che negli ultimi ventitré anni è finita per essere ostaggio di un sistema sempre più autoritario, che mira all’accentramento del potere e all’esclusione di ogni possibile rivale politico.

Il fragile sistema democratico turco

Il politologo Robert Alan Dahl, all’interno della sua più famosa opera “On Democracy”, affermava che un Paese, per potersi definire democratico, necessiti di sei prerequisiti fondamentali: amministratori eletti, libere, eque e frequenti elezioni, libertà di espressione, accesso a fonti alternative d’informazione, autonomia associativa e cittadinanza allargata.

Qualche decennio dopo Georg Sørensen, professore di politica internazionale ed economia presso il Dipartimento di scienze politiche e governo dell’Università di Aarhus in Danimarca, ha raggruppato questi sei prerequisiti in tre grandi elementi fondamentali in un sistema democratico: concorrenza, partecipazione e libertà politiche e civili.

Se analizziamo il caso della Turchia possiamo affermare che da diversi anni questi elementi siano sotto attacco da parte del Governo.

L’eliminazione politica di figure di spicco di partiti opposti all’AKP di Erdoğan mette in evidenza come l’elemento della concorrenza politica sia un costante bersaglio delle autorità turche.

Basti pensare a Yüksekdağ e Demirtaş, entrambi leader del Partito Democratico dei Popoli (HDP), prima forza politica curda, condannati rispettivamente a 30 e 42 anni di prigione nel maggio 2024.

Le accuse? Incitamento alla rivolta e attentato all’unità del Paese per aver invitato la popolazione a scendere in piazza contro le scelte di Erdoğan sul contrasto a Daesh in Siria nelle zone a maggioranza curda.

L’attacco del presidente turco Erdoğan nei confronti di İmamoğlu non ha avuto inizio con la sua presa in custodia il 19 marzo 2025, ma è cominciato nel 2019, con la prima vittoria di quest’ultimo alle municipali di Istanbul.

In quell’occasione, dopo il suo trionfo, la Commissione elettorale suprema della Turchia (YSK) aveva annunciato la ripetizione delle elezioni per presunte irregolarità: una ripetizione inutile per i fini di Erdoğan, visto il nuovo trionfo di İmamoğlu.

Fin da allora, il primo cittadino di Istanbul è diventato l’uomo più temuto dal Rais turco, che ha sempre affermato “Chi perde Istanbul perde la Turchia”.

Oltre alla condanna per oltraggio a pubblico ufficiale, per cui İmamoğlu ha presentato ricorso, e all’accusa per dei presunti brogli su delle gare d’appalto avvenuti nel periodo in cui era a capo del distretto di Beylikdüzü, nelle scorse settimane İmamoğlu si è visto annullare la propria laurea da parte del rettore dell’Università di Istanbul, senza la quale gli sarebbe impossibile partecipare alle elezioni del 2028.

Indovinate da chi viene nominato il rettore? Esatto, direttamente dal governo: una situazione al limite del grottesco.

Perché la battaglia di İmamoğlu è così importante?

Al momento della stesura di questo articolo, le notizie che giungono parlano del trasferimento del sindaco di Istanbul nel carcere di massima sicurezza di Marmara.
Non sappiamo quale sarà l’evolversi degli eventi e se İmamoğlu nel 2028 riuscirà a candidarsi per le elezioni presidenziali, ma una cosa è certa: non deve essere lasciato solo nella sua battaglia.

Secondo il rapporto 2025 di Freedom House, la Turchia con un punteggio di 33/100 per quanto riguarda le libertà generali e di 31/100 per la libertà su internet non è assolutamente classificabile come un Paese libero.

Ovviamente questa situazione non è da ricondurre esclusivamente al recente arresto del sindaco di Istanbul, ma è una conseguenza di un processo che ha preso il via nel 2002, con l’ascesa al potere di Erdoğan. Gli arresti arbitrari, le condanne monstre per gli avversari politici e altri elementi di tal genere negli ultimi anni hanno reso la democrazia turca sempre più debole e fragile.

In un mondo che nell’ultimo periodo ha preso una deriva sempre più autoritaria, anche con il trionfo di personaggi loschi e ambigui che minacciano la deportazione di milioni di persone per la costruzione di resort per miliardari, è importante che figure come İmamoğlu restino salde al loro posto, pronte a vigilare e battagliare contro i sistemi più repressivi e autoritari.

Lo si deve al nostro futuro e a quello di tutti i turchi scesi nelle piazze per difendere quel che resta della loro democrazia.

East Journal

Turchia: garantire il diritto di riunione pacifica e alla libertà di espressione durante le proteste

Amnesty International si è unita ad altre 11 organizzazioni nel chiedere alle autorità turche di cessare immediatamente gli attacchi contro i manifestanti pacifici, di smettere di prendere di mira giornalisti e canali di informazione e di porre fine alla repressione della libertà di parola online.

La lettera 27 marzo 2025
Article 19 e altre 11 organizzazioni esprimono forte preoccupazione per la recente intensificazione della repressione da parte del governo nei confronti della libertà di espressione e del diritto di riunione pacifica, in seguito all’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu. Decine di migliaia di persone continuano a prendere parte alle manifestazioni di massa, perlopiù pacifiche, in tutta la Turchia, nel più grande movimento di protesta dell’ultimo decennio. Le proteste, iniziate nelle principali città, si sono diffuse in tutto il paese, mentre la polizia ha risposto con l’uso illegale e indiscriminato della forza per disperdere la folla. Anche i giornalisti sono soggetti a gravi restrizioni, tra cui arresti e aggressioni fisiche, e le piattaforme di social media sono state sottoposte a pressioni per censurare le informazioni sugli eventi in corso. Il governo deve porre immediatamente fine agli attacchi contro i manifestanti pacifici, smettere di prendere di mira giornalisti e testate giornalistiche e interrompere la repressione della libertà di espressione online. Chiediamo inoltre alle piattaforme social di adottare misure urgenti per ripristinare l’accesso agli account bloccati che contengono contenuti protetti e di garantire la piena accessibilità dei loro servizi.

Repressione delle proteste di massa

La Turchia sta attraversando una delle crisi socio-politiche più gravi degli ultimi anni. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, avvenuta il 19 marzo con l’accusa di “corruzione” e “favoreggiamento del terrorismo”, nell’ambito di un’operazione che ha portato all’emissione di ordini di arresto per oltre 100 persone. İmamoğlu è stato posto in detenzione preventiva il 23 marzo, lo stesso giorno in cui i membri del suo partito lo hanno nominato candidato principale dell’opposizione in una votazione simbolica per le elezioni presidenziali del 2028. È stato rimosso dall’incarico insieme ai sindaci dei distretti di Şişli e Beylikdüzü, anch’essi sotto accusa. Secondo il ministro dell’Interno, al 26 marzo, 1879 persone erano state arrestate durante le proteste. Le manifestazioni sono state represse con un uso ingiustificato e illegale della forza: i manifestanti sono stati picchiati con manganelli e presi a calci mentre erano a terra. Gli agenti delle forze di sicurezza hanno usato indiscriminatamente spray al peperoncino, gas lacrimogeni, proiettili di plastica e idranti, causando numerosi feriti. Il 27 marzo, il ministro ha inoltre riferito che 150 agenti di polizia sono rimasti feriti durante le proteste, ma non ha fornito alcuna informazione sul numero di manifestanti feriti. La repressione colpisce anche altre forme di protesta oltre alle manifestazioni di piazza. Il 26 marzo, i membri del direttivo del sindacato degli insegnanti Eğitim-Sen sono stati posti agli arresti domiciliari in attesa di giudizio con l’accusa di “istigazione a commettere reati” in seguito alla loro decisione di sospendere il lavoro il 25 marzo in solidarietà con gli studenti universitari, che sono stati tra i protagonisti delle proteste. Il rappresentante del sindacato presso l’Università di Istanbul è stato arrestato.

Dal 19 marzo, a Istanbul, è in vigore un divieto assoluto di manifestare, esteso a Smirne e Ankara dal 21 marzo. Il governatore di Istanbul ha inoltre emesso una disposizione che vieta l’ingresso e l’uscita dalla città a “individui, gruppi e veicoli potenzialmente coinvolti in attività illegali, individualmente o collettivamente”. Non è chiaro come questa misura venga applicata. Ricordiamo alle autorità turche che, in base al diritto internazionale dei diritti umani, hanno l’obbligo di rispettare e garantire il diritto di ogni persona alla libertà di riunione pacifica. Eventuali restrizioni a questo diritto devono essere definite con precisione dalla legge, perseguire un obiettivo legittimo e risultare necessarie e proporzionate a tale obiettivo. I divieti assoluti delle proteste sono sproporzionati e ingiustificabili. Inoltre, condanniamo fermamente l’uso della forza contro i manifestanti pacifici. L’uso della forza da parte della polizia deve essere strettamente necessario e proporzionato: deve essere impiegata solo la quantità minima di forza indispensabile, e, chi ne fa uso, deve essere sempre chiamato a risponderne. Chiediamo alle autorità di garantire che qualsiasi accusa di uso illegale della forza e di altre violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, comprese violenze di genere, torture e maltrattamenti inflitti ai manifestanti, sia oggetto di un’indagine efficace, imparziale e tempestiva.

Minacce e violenze contro giornalisti e organi di informazione

La repressione delle proteste di massa è stata accompagnata da un’intensificazione degli attacchi e delle pressioni nei confronti dei media indipendenti e dei giornalisti. Almeno 11 giornalisti locali sono stati arrestati a Istanbul e a İzmir per aver documentato le proteste; sette di loro sono stati posti in detenzione il 25 marzo con l’accusa di aver violato la Legge sulle riunioni e le manifestazioni, per poi essere scarcerati in appello il 27 marzo, in attesa di processo. Almeno 10 giornalisti locali sono stati aggrediti fisicamente dalla polizia mentre seguivano le proteste a Istanbul e, secondo quanto riferito, un giornalista è stato aggredito dai manifestanti. Anche i media internazionali sono stati colpiti dalla repressione. Il 27 marzo la Bbc ha riferito che il suo corrispondente Mark Lowen, presente a Istanbul per coprire le proteste, è stato arrestato nel suo hotel e successivamente espulso con la motivazione di essere una “minaccia all’ordine pubblico”.

La copertura degli eventi è ulteriormente limitata dal Consiglio supremo della radio e televisione della Turchia (Radyo ve Televizyon Üst Kurulu – RTÜK). Il presidente del RTÜK, Ebubekir Şahin, ha invitato i media televisivi, i conduttori e i commentatori a garantire che i loro resoconti “rimangano privi di pregiudizi politici”, avvertendo che il mancato rispetto di questa direttiva comporterà sanzioni massime, inclusa la revoca della licenza. Il 21 e 27 marzo, il RTÜK ha dato seguito a queste minacce emettendo sanzioni amministrative e sospensioni temporanee delle trasmissioni fino a 10 giorni nei confronti delle emittenti Halk Tv, Scz Tv, Tele 1 e Now TV. Esortiamo la Turchia, e in particolare il RTÜK, a porre immediatamente fine a queste violazioni della libertà di stampa e a creare un ambiente che consenta ai media di fornire al pubblico le informazioni necessarie e di riportare gli eventi senza pressioni da parte dello Stato. Intimidire i giornalisti affinché diffondano esclusivamente contenuti approvati dal governo mina i principi fondamentali del giornalismo indipendente. Ribadiamo inoltre che giornalisti e altri osservatori devono essere protetti e poter riferire liberamente su questioni di interesse pubblico, compreso il monitoraggio delle azioni delle forze dell’ordine, senza subire ritorsioni o forme di intimidazione.

Censura online

I social media rappresentano uno degli ultimi canali attraverso i quali le persone in Turchia possono accedere a voci indipendenti e dove le persone attiviste e i giornalisti possono esprimere le proprie opinioni in modo relativamente libero. In risposta alle proteste di massa, le autorità hanno rapidamente imposto severe restrizioni ai social media e alle applicazioni di messaggistica, ordinando alle piattaforme di bloccare i contenuti relativi alle proteste. Le principali piattaforme di social media e le applicazioni di messaggistica hanno subito una limitazione della larghezza di banda a partire dalle 7 del mattino (ora locale) del 19 marzo, in concomitanza con gli arresti del sindaco e di altre persone. Le restrizioni sembrano essere state limitate a Istanbul e sono durate 42 ore, fino al 21 marzo. Non è stata fornita alcuna spiegazione riguardo ai motivi di tali restrizioni né sul perché siano state revocate. Ai sensi della legge sulle comunicazioni elettroniche (legge n. 5809), tali restrizioni possono essere attuate dall’ Autorità turca per le telecomunicazioni e le tecnologie informatiche (Btk) su ordine della Presidenza in caso di pericolo imminente o minaccia alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico.

Queste restrizioni amministrative hanno carattere temporaneo e devono essere esaminate dalla magistratura entro un massimo di 24 ore. La Btk ha emesso centinaia di ordini di blocco per gli account social di giornalisti, organi di stampa, organizzazioni della società civile e difensori dei diritti umani, sulla base dell’articolo 8/A della legge n. 5651. La mancata conformità a tali ordini può comportare sanzioni gravi per le piattaforme di social media. Sebbene risulti che molti account su X siano attualmente bloccati, la stessa piattaforma ha dichiarato di aver contestato “diversi ordini giudiziari […] per bloccare oltre 700 account”, tra cui quelli di testate giornalistiche, giornalisti e figure politiche.

Il 26 marzo, X ha annunciato di aver presentato un ricorso individuale alla Corte costituzionale per contestare un ordine della Btk che imponeva il blocco di 126 account. Le autorità devono astenersi dall’utilizzare mezzi legali ed extralegali per esercitare pressioni sulle piattaforme social affinché censurino contenuti online in violazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani, in particolare i contenuti di natura politica, che godono del massimo livello di protezione. La Turchia deve garantire un accesso libero e senza restrizioni a Internet e revocare tutti gli ordini illegali di blocco degli account social di chi esercita il diritto alla libertà di espressione per criticare le autorità.

Rinnoviamo il nostro appello alle piattaforme di social media affinché resistano alle pressioni politiche e si astengano dal limitare l’accesso a espressioni tutelate. Invece di accettare passivamente gli ordini di blocco, esortiamo le piattaforme a intraprendere tutte le azioni possibili per limitarne l’ambito e la durata, inclusa la contestazione della loro legittimità in sede giudiziaria. Le piattaforme dovrebbero inoltre garantire trasparenza nei confronti degli utenti coinvolti e del pubblico riguardo alle richieste governative di censura e alle misure adottate in risposta, nonché adottare tutte le misure necessarie per mantenere l’accesso alla piattaforma in caso di blocchi o limitazioni della larghezza di banda.

Firmatari:

ARTICLE 19 Amnesty International European Federation of Journalists (EFJ) Human Rights Watch IFEX International Federation of Journalists (IFJ) Norwegian Helsinki Committee (NHC)PEN America PEN Sweden South East Europe Media Organisation (SEEMO) PEN International Danish PEN

Amnesty International

Turchia: La rivolta sociale e politica onnicomprensiva. Un prezioso reportage da Istanbul 

Nel ricordare che nella giornata di domani 29 marzo è stata convocata dalle opposizioni turche una nuova manifestazione a sostegno di Ekrem Imamoglu, pubblichiamo l’importante reportage redatto da un docente dell’Università Jean Jaurès di Tolosa che vi vive da oltre 20 anni ad Istanbul_

Dal 19 marzo 2025, data dello spettacolare arresto di 100 persone legate alla Municipalità metropolitana di Istanbul – tra cui il carismatico sindaco Ekrem İmamoğlu – stiamo assistendo in Turchia a un movimento sociale totale la cui complessità impedisce qualsiasi lettura troppo rapida e parziale. Dinamiche e processi molto diversi si mescolano e interferiscono. È importante restare ragionarci: senza fare previsioni, per cercare di vedere le cose più chiaramente, può essere utile distinguere le diverse dimensioni di questa reazione popolare di portata eccezionale. Per non cadere in un’analisi troppo generalizzante, senza riprendere aspetti certamente molto importanti ma più ampiamente trattati (come lo scatenamento dell’arbitrio e della violenza da parte delle forze dell’ordine, la criminalizzazione degli oppositori, gli attacchi al diritto all’informazione, la disinformazione organizzata o l’infondatezza delle accuse mosse, ecc.), bisogna tenere conto di sei dimensioni per cercare di comprendere meglio cosa sta accadendo: temporale, sociologica, generazionale, economica, partitica/politica/ideologica e, infine, geografica.

 

1) Dimensione temporale

Questi eventi dovrebbero essere inseriti in cronologie internazionali, locali e nazionali, sia lunghe, medie e brevi. Sebbene le prime manifestazioni abbiano avuto luogo la sera del 19 marzo, l’arresto di İmamoğlu rientra in una serie di attacchi lanciati dal governo centrale contro i municipi dell’opposizione, siano essi nelle mani del DEM (curdo) o del CHP [Il Partito Popolare Repubblicano, in turco: Cumhuriyet Halk Partisi o CHP, è un partito repubblicano, socialdemocratico, nazionalista e laico, fondato nel 1923 da Mustafa Kemal Atatürk. È membro dell’Internazionale socialista e membro associato del Partito dei socialisti europei. Dal 2002 è il principale partito di opposizione al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo -AKP di Erdogan-. Il simbolo del CHP è composto da sei frecce, che richiamano i sei principi dell’ideologia kemalista, di cui il partito è il rappresentante storico].

La novità relativa è che ora le autorità prendono di mira direttamente anche i comuni del CHP: alla fine di ottobre 2024, il sindaco del CHP del distretto più grande di Istanbul, Esenyurt (oltre un milione di abitanti), è stato arrestato e sostituito da un amministratore provvisorio. Così, ben prima del 19 marzo, si erano verificati raduni di protesta davanti al municipio di Esenyurt: troppo marginali per attirare l’attenzione, ma non erano comunque trascurabili. L’Ordine degli avvocati di Istanbul, uno dei più grandi al mondo, è stato destituito! – e non bisogna dimenticare neanche il licenziamento dell’intero gruppo dirigente eletto, il Consiglio dell’Ordine, all’inizio di gennaio 2025. L’ondata di arresti di sostenitori del riavvicinamento turco-curdo (un elenco di 6.000 persone è stato reso pubblico da un procuratore) avvenuta nel febbraio 2025 fa parte dello stesso clima politico molto degradato che esisteva prima del 19 marzo. Allo stesso modo, nell’est del paese, dove dieci sindaci erano stati estromessi dal marzo 2024, in sfida al verdetto delle urne, ci sono state proteste. Ma è stato reso quasi invisibile perché è considerato “endemico” a causa del contesto repressivo permanente. Quindi, se l’Est del Paese è abituato (almeno dal 2015/2016) a questi colpi di Stato antidemocratici contro i funzionari comunali, per l’Ovest si tratta di un fenomeno più recente. Allo stesso tempo, da mesi si moltiplicano le azioni legali – principalmente per corruzione – intentate dal governo centrale contro i comuni del CHP (ricordiamo anche l’arresto, il 13 gennaio 2025, del sindaco di Beşiktaş, per anni distretto di punta del CHP). 

La strategia volta a screditare il principale partito di opposizione è stata in qualche modo rafforzata dopo le cocenti sconfitte dell’AKP (di Erdogan) alle elezioni comunali del marzo 2024. Un altro elemento relativo alla dimensione temporale: il precedente movimento di protesta sociale a Gezi (maggio/giugno 2013) continua a mobilitarsi (o addirittura a perseguitare) il potere che ha tenuto in prigione per anni figure chiave di questo movimento. Gezi è onnipresente anche nell’immaginario dell’opposizione, che ora vi fa esplicito riferimento – in diversi aspetti – a questo grande precedente, per alimentare il movimento attuale. Gezi appare oggi come un momento chiave da cui attingere per l’azione intrapresa ora. 

La dimensione temporale è anche quella, nel dettaglio, della sequenza, delle variazioni di intensità e della capacità di perdurare delle manifestazioni dal 19 marzo. Unita alla dimensione geografica, ci mostra, da un lato, terreni sporadici (caratterizzati da momentanei scatti di rabbia, rapidamente soffocati), e terreni più stabili, dall’altro, che ogni sera sono luoghi di espressione del malcontento. È proprio la questione della sostenibilità della rabbia a preoccupare le autorità e a spingerle a decretare ulteriori giorni di vacanza dopo la tradizionale festa di fine Ramadan (30/31 marzo e 1° aprile). Come per disinnescare la protesta e confondere la questione studentesca con la presunta consensuale noncuranza dei momenti familiari/nazionali/religiosi. 

 

2) Dimensione sociologica 

Se tralasciamo il dato generazionale (vedi punto seguente), la sociologia del movimento attuale è molto eterogenea. I quartieri con un profilo dominante di “classe media”, o addirittura le classi abbienti, sono attivi e scendono in piazza a Istanbul, e abbiamo visto università private (chiamate università “di fondazione”) con un pubblico molto chic (Bilkent, Koç, Bilgi, ecc.) partecipare al movimento; ciò include molti altri canali e reti nello spazio sociale. Molto sentita è anche la protesta contro l’alto costo della vita, l’aumento degli affitti e gli attacchi alle politiche sociali nei comuni del CHP. Sebbene i quartieri operai abbiano finora aderito al movimento solo attraverso alcuni partiti e organizzazioni di estrema sinistra, alcune organizzazioni che rappresentano le minoranze e alcuni sindacati, i più modesti sono presenti tra la folla che manifesta davanti ai municipi, minacciati dagli interventi arbitrari del governo centrale. Ma il costo dell’ingresso nel movimento nei quartieri operai – largamente dominanti a Istanbul, dove circa il 40% delle famiglie non ha ancora un reddito regolare – è ovviamente più alto. La repressione muscolare lontano dalle telecamere, stigmatizzazione a livello di quartiere, espulsione dai sistemi di assistenza sociale statali e parastatali… 

 

3) La dimensione generazionale 

Questa, solo fino a un certo punto, grazie Bourdieu, è transclassista. E’ evidente e sembra essere al centro dell’attenzione dei commentatori dal 19 marzo. Le folle che periodicamente riempiono le strade sono infatti uno spettacolo di giovani partecipanti. Ricordiamolo è un paese che resta, almeno rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, assai giovane. Le principali vittime della violenza sfrenata della polizia e degli arresti e della carcerazione, sono i giovani. Denunciano la mancanza generale di libertà in tutti gli ambiti, l’assenza di prospettive (politiche e professionali) e il funzionamento gerontocratico del sistema partitico e mediatico. Il discorso diffuso attraverso cartelli e slogan rivela immaginari ibridi propri di una fascia d’età socializzata nell’era dei social network e soprattutto una forte frustrazione di una generazione che in tutta la sua vita ha conosciuto solo il partito-stato-AKP. Richiedono un posto a pieno titolo nei giochi politici ed economici, spazi di espressione e riconoscimento, un rinnovamento dei quadri e delle forme di gestione a tutti i livelli. Denunciano il costo degli affitti nelle grandi città, le poche opportunità offerte dalle lauree universitarie per le quali sacrificano la loro giovinezza in un sistema scolastico stordente e il pesante arcaismo autoritario della vita politica. “Siamo figli rivoluzionari di genitori conservatori” è uno degli slogan più noti, anche nelle città di provincia che non si prevedeva avrebbero partecipato, nemmeno per un breve periodo, alla “festa (che si vuol fare del regime di Erdogan). L’esplosione di rabbia sembra addirittura spazzare via i confini partitici e ideologici e rivelare, al di là di essi, una comunità di preoccupazioni concrete e di aspirazioni frustrate. 

 

4) La dimensione economica 

E’ già stata accennata indirettamente. Si tratta ovviamente di un aspetto fondamentale e spesso giustamente sottolineato dagli osservatori. Tralascerò gli aspetti macroeconomici (inflazione galoppante, enorme svalutazione della moneta nazionale, ecc.). Ciò che emerge dalle attuali mobilitazioni è sia la denuncia di una situazione economica disastrosa quanto quella di un’economia politica scandalosa. Nel mirino ci sono le politiche agricole definite dagli importatori a spese dei produttori, la monopolizzazione delle rendite (minerarie, turistiche, immobiliari, ecc.) da parte di una frazione privilegiata e l’esternalizzazione sistematica dei costi sociali e ambientali. Ciò spiega una delle forme assunte dal movimento attuale, quella del boicottaggio. Boicottare i marchi, le aziende e i luoghi di consumo più palesemente legati alla cricca aggrappata al potere. Orchestrato dal principale partito di opposizione, questo movimento di boicottaggio, che sembra essere seguito a partire dai caffè aperti nelle università dai figli dei ministri e dei dirigenti del partito, ha scatenato la furia del governo, che accusa gli oppositori di sabotare l’economia nazionale. Di nuovo la criminalizzazione. 

 

5) La dimensione partigiana e ideologica 

Non mi dilungherò su questo argomento. Mi limiterò a menzionare due cartelli che hanno attirato l’attenzione e che esprimono chiaramente il rifiuto massiccio dell’attuale proposta partitica da parte dei giovani che manifestano. “Conquisteremo la religione senza l’AKP, Atatürk senza il CHP, la patria senza l’MHP, i curdi senza l’HDP, noi siamo il popolo”. 

Quanto all’altro: “Voglio il mio paese. Né Tayyip né Ekrem. Non mi aspetto un salvatore. Lasciamo che ognuno sia responsabile del proprio destino. E che la nostra resistenza sia eterna”. 

Si potrebbe dire molto su questi due slogan. Da notare la permanenza dei valori di riferimento della socializzazione politica a lungo termine in Turchia (patria, religione, Atatürk, ecc.), l’atteggiamento stufo nei confronti dei partiti esistenti e la chiara espressione del desiderio dei cittadini di prendere in mano il proprio destino. La presenza di partiti affermati varia a seconda del motivo della rabbia, nonché della sociologia e dell’età media dei partecipanti. 

Nei pressi dei municipi saccheggiati, il CHP è in prima linea e si muove in testa; nei cortei studenteschi c’è molto poco, se non addirittura per niente. Altrove, al di fuori delle coorti studentesche, la strada è divisa tra partiti di estrema sinistra (TKP, TİP, DİP, Emek, ecc.) e le loro organizzazioni giovanili. I sostenitori dei partiti di estrema destra anti-AKP non manifestano apertamente sotto lo striscione del partito: sono gruppi di giovani all’interno di marce studentesche, riconoscibili dai loro slogan e da alcuni segni di affiliazione. Il futuro del movimento dipenderà dalle possibilità di articolazione con movimenti sociali più profondi e stabili, come il movimento dei lavoratori, il movimento femminista, il movimento curdo e il movimento per i diritti ambientali e degli animali. Come detto prima ci sono alcuni legami con il movimento dei lavoratori (il sostegno degli studenti di un’università privata ai lavoratori che da mesi non vengono pagati in un cantiere edile nel loro campus) e con il movimento per i diritti degli animali (messi in pericolo da progetti di sterminio). 

 

6) La dimensione geografica

Essa riassume in un certo senso tutte le altre e permette di mettere in luce la singolarità di questo movimento sociale totale. Questo aspetto deve essere affrontato su più scale, evidenziando le innovazioni intervenute. In tutto il Paese, abbiamo una sorta di geografia inversa: mentre le regioni curde orientali sono rimaste calme, ad eccezione dei comuni rubati già menzionati, le città conservatrici sono state teatro di manifestazioni di piazza senza precedenti nella loro storia. Sebbene le dimostrazioni fossero occasionali, è senza precedenti assistere alle rivolte in città come Konya, Elazığ, Osmangazi, Sakarya (dove un manifestante ha mostrato un ritratto di Robespierre!) e Yozgat. Ciò può essere visto come una conseguenza della politica di sviluppo frenetico delle università su tutto il territorio nazionale a partire dalla metà degli anni 2000. Da notare anche l’ingresso degli agricoltori, in stile europeo, nel settore dei trattori. 

Sempre su scala nazionale, è importante sottolineare come questo movimento stia riproponendo a livello locale e dando nuova voce a lotte, a volte un po’ dimenticate, contro il potere centrale: luoghi di disastri minerari (e non mancano), luoghi di lotte ecologiche contro le dighe o l’estrazione incontrollata ed ecodistruttiva di minerali, luoghi di disastri sismici. Quanto a quest’ultimo, dal 19 marzo la voce delle popolazioni di alcuni dipartimenti colpiti dai terremoti del febbraio 2023 risuona in modo singolare. “Ci avete lasciato sotto le macerie. Ma non vi lasceremo il paese”. “Hatay#” recitava un cartello durante le proteste di piazza ad Antakya/Antiochia, devastata due anni fa. 

Su scala più fine, e limitatamente alla metropoli di Istanbul, è necessario sottolineare la grande differenza rispetto a Gezi: ciò è dovuto alla perdita di centralità di Taksim e del viale pedonale di İstiklâl, preventivamente bloccati dalle forze di sicurezza. 

Detto questo, è necessario distinguere tra le sedi fisse dell’opposizione costituita: in primo luogo, l’edificio centrale della municipalità metropolitana (Saraçhane) e i suoi dintorni (l’acquedotto di Valente e la moschea di Şeyzade), gli edifici delle municipalità distrettuali espropriate (Esenyurt e Şişli) e le università e i loro dintorni (l’Università di Istanbul e Piazza Beyazıt in primo luogo). L’altra originalità risiede nella natura mobile delle manifestazioni e nell’investimento spontaneo delle strade: gli studenti hanno inventato nuovi percorsi di protesta, collegando le università e sfidando le consuete misure di sicurezza statiche. Si tratta quindi di una nuova geografia dell’espressione pubblica del malcontento che sta emergendo con l’uscita forzata da Taksim e l’invenzione di nuovi percorsi.

Anche se è ovviamente troppo presto per prevederne l’evoluzione o trarne qualche insegnamento, possiamo comunque sottolineare che il “movimento del 19 marzo” – chiamiamolo così per il momento – unisce forze sociali e politiche molto diverse, tocca territori molto diversi (alcuni dei quali solitamente discreti o addirittura totalmente silenziosi). Si differenzia dal movimento Gezi del 2013 per il maggiore coinvolgimento dei giovani universitari, la partecipazione di città di provincia notoriamente conservatrici e sotto controllo, l’eterogeneità dei riferimenti ideologici o culturali invocati e il ruolo minore degli attori “istituzionalizzati” dell’opposizione (camere di commercio, partiti di sinistra e di estrema sinistra, sindacati).

Da un punto di vista politico, a questo punto, sorgono due domande. È possibile la strutturazione e la politicizzazione della rabbia plurale, data la scelta di repressione implacabile adottata dalle autorità? E poi, in questo processo di politicizzazione, quale ruolo può svolgere il CHP, il principale partito di opposizione? Non può pretendere il monopolio dell’energia della rabbia e dell’immaginazione politica attualmente dispiegate, nonostante l’immenso successo delle primarie organizzate nell’emozione del colpo di Stato, il 22 marzo 2025, per designare il suo candidato per le elezioni presidenziali del 2028 (partecipazione 10 volte superiore a quella prevista prima del 19 marzo e trionfo del candidato alla candidatura İmamoğlu, allora già in carcere).

 

Vedi Capitolo 4 “249 contro 301 ossessione sicuritaria e rassegnazione organizzata nell’affrontare i rischi ambientali e sanitari: il caso turco (di Jean François Pérouse e Sümbül Kaya), in Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici nel Mediterraneo, pp. 65-69 – scaricabile gratuitamente
E anche
Kaya S. 2017. “Anatomie de l’armée en Turquie après la tentative du coup d’État du 15 juillet 2016”, «Mouvements», 2 (90), 19-29.
Pérouse J.F. (in coll. con T. Coanus) 2006. Villes et risques. Regards croisés sur quelques cités “en danger” Parigi: Economica, Anthropos.
Pérouse J.F. 2014. “Le « mouvement de Gezi » ou le choc des systèmes de valeurs environ- nementales dans la Turquie en croissance”, «Méditerranée», 123, 2014, 49-56. 
Pérouse J.F. 2017. Istanbul-Planète. La ville monde du XXIe siècle, Parigi: La Découverte. 

 

 

Redazione Italia

Notizie dal Medio Oriente

Genocidio a Gaza

Un gruppo di soccorso sanitario della Mezzaluna rossa è assediato a Rafah dall’esercito israeliano e non si conosce da oltre 24 ore la sorte dei suoi membri.
A Khan Younis è stato bombardato l’ospedale Nasser, provocando l’uccisione di 5 persone.
L’offensiva generalizzata israeliana in corso, per terra, aria e mare, ha portato il numero totale delle vittime dell’aggressione contro la popolazione di Gaza a superare i 50 mila uccisi e 113 mila feriti.

Situazione umanitaria

Il commissario dell’Unrwa, Philippe Lazzarini ha denunciato la situazione drammatica nella quale si trovano gli abitanti di Gaza:
“Sono trascorse tre settimane da quando le autorità israeliane hanno vietato l’ingresso di rifornimenti a Gaza.
Niente cibo, niente medicine, niente acqua, niente carburante.
Un assedio serrato, più lungo di quello attuato nella prima fase della guerra.
La popolazione di Gaza dipende per la propria sopravvivenza dagli aiuti internazionali che arrivano tramite il territorio israeliano.
Ogni giorno che passa senza l’arrivo degli aiuti significa che più bambini vanno a letto affamati, le malattie si diffondono e la privazione aumenta.
Ogni giorno senza cibo avvicina Gaza a una grave crisi alimentare.
Vietare gli aiuti è una punizione collettiva contro la popolazione civile”.

Cisgiordania: pulizia etnica e deportazione

Inasprimento dell’offensiva su Jenin e Tulkarem con l’arrivo di nuovi rinforzi militari, distruzione di interi quartieri e la deportazione degli abitanti nativi.
A Jenin ieri sono stati demoliti con bulldozer e dinamite 66 difici residenziali con 300 appartamenti.
A Tulkarem, gli abitanti di 12 case sono stati costretti ad abbandonarle, con un preavviso di 4 ore. Irruzioni e rastrellamenti hanno riguardato ieri Nablus, Betlemme, Qalqilia e Ramallah.

Il numero totale degli arrestati ieri è stato di 54 attivisti.
Sono stati rinnovati gli arresti amministrativi di altri 65 detenuti senza accuse e senza processi, alcuni dei quali si trovavano in carcere da 3 anni.
Il governo israeliano ha approvato il riconoscimento di 13 colonie selvagge.
Un’azione illegale dal punto di vista delle leggi internazionali.

Prigionieri

Un minorenne palestinese di 17 anni è morto nel carcere israeliano di Megiddo.
Era stato arrestato all’età di 16 anni, nell’agosto 2024, senza accuse e senza processo sulla base dell’arresto amministrativo.
Waleed Khaled Ahmad era di Selwad, vicino a Ramallah.
Il suo corpo è rimasto in ostaggio all’esercito israeliano, per non far conoscere le cause del decesso. È il 63esimo prigioniero palestinese morto in carcere israeliano sotto le torture degli aguzzini nazisti, dall’inizio della guerra contro la popolazione di Gaza.

Israele

Il governo israeliano ha approvato la formazione di una commissione militare per l’applicazione del “piano Trump” per Gaza.
La commissione ha il compito di creare le condizioni per la deportazione della popolazione di Gaza.
Per addolcire l’immagine brutale del crimine di guerra e contro l’umanità, si parla di trasferimento volontario verso altri paesi.
La stampa di Tel Aviv afferma che l’organismo che il governo israeliano ha votato per sfollare i palestinesi ha come obiettivo il trasferimento di cinquantamila abitanti di Gaza al mese, indicando che l’esercito avrebbe facilitato l’uscita di tutti i residenti di Gaza che lo desiderano per congiungersi con i parenti all’estero il prima possibile.

Turchia

Manifestazioni oceaniche ad Istanbul in molte altre città turche in seguito al pronunciamento della Corte penale per il trasferimento in carcere di Ekerim Imamoglu, sindaco di Istanbul e futuro sfidante di Erdogan nelle prossime elezioni anticipate.
Il neo sultano vuole vincere facile, togliendo di scena tutti i possibili sfidanti capaci di sconfiggerlo.
Imamoglu ha respinto tutte le accuse di corruzione rivoltegli.
Prima della sua incarcerazione ha rivolto un appello alla gente del suo partito di scendere in piazza per difendere la democrazia. “è un’onta nella storia della nostra democrazia, ma insieme cancelleremo questa vergogna”.

Hussam Abu Safiya

L’avvocata Geed Qassem ha visitato il dott. Abu Safiya nel carcere israeliano il giorno 19 marzo.
“La visita è durata soltanto 17 minuti. Ho notato che ci sono evidenti segni di torture sul corpo.
Un occhio nero e diverse rotture non curate alle costole ed alle dita”.

ANBAMED