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12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli

12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader umanista dai sentimenti reali

Ieri, 5 marzo 2025, erano 12 anni dalla scomparsa del Comandante Hugo Chávez, un leader che ha segnato un prima e un dopo nella storia del Venezuela e dell’America Latina.

Il 4 febbraio 1992 è stato il punto di partenza del Venezuela Bolivariano quando, con l’Operazione Zamora, il comandante Hugo Chávez Frías e un gruppo di suoi compagni militari progressisti all’interno delle Forze Armate, costituirono il Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200.
“La ribellione militare venezuelana del 1992 – aveva commentato il comandante Chávez – era inevitabile così come l’eruzione dei vulcani; una ribellione di questo tipo non è decretata, e per questo voglio trasmettere un ricordo eterno dei giovani soldati e civili delle ribellioni del 4 febbraio 1992 e del 27 novembre di quell’anno che passeranno alla storia…”.

Il Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200, al quale fu impedito di usare il termine bolivariano poiché Bolívar è padre della patria e patrimonio di tutti i venezuelani, si dissolse quando Chavez fondò, il 21 ottobre 1997, il Movimiento Quinta República (MVR) che si definì come un “movimento umanista, socialista e patriottico” proprio come si definiva il suo leader. Alle elezioni del 1998 il MVR si presentò con la coalizione Polo Patriottico, composta insieme al Movimento al Socialismo (MAS), Movimento Elettorale del Popolo (MEP), Patria Per Tutti (PPT) e al Partito Comunista del Venezuela (PCV). La coalizione vinse le elezioni con il 56% dei voti e, alle elezioni presidenziali del 1999, Chávez fu eletto Presidente della Repubblica. Ebbe così inizio il lungo processo della Rivoluzione Bolivariana, che si consolidò quando nel 2008 il MVR confluì nel Partito Socialista Unito del Venezuela, il più grande partito della sinistra latinoamericana.

La morte di Chavez, conosciuto come il “Che Guevara del XXI secolo”, ha lasciato un vuoto profondo nei cuori di milioni di persone che lo avevano accompagnato nella sua lotta per la giustizia sociale, la sovranità e la dignità dei popoli.

Quel pomeriggio in ogni angolo del Venezuela non era presente solo un tipo di sentimento. Se qualcuno non era ancora convinto che il comandante Hugo Rafael Chávez Frías avesse raggiunto, in soli vent’anni, il rango di leader storico, lo tsunami emotivo provocato dalla sua scomparsa fisica deve aver cancellato ogni dubbio.

Tutti sapevano che la sua morte era imminente, ma ciò non ha diminuito l’impatto dell’annuncio fatto dall’allora vicepresidente Nicolás Maduro Moros il 5 marzo 2013. Come ha scritto Clodovaldo Hernández sul quotidiano Ciudad Ccs il 5 marzo 2020, ripreso in seguito da Laiguana.tv:

“Ciò che è successo è ciò che ci succede sempre con le persone che amiamo: ci rifiutiamo per molto tempo di accettare il peggio, ci aggrappiamo al minimo barlume di speranza e quando l’esito si verifica, tutta l’angoscia e la tristezza represse esplodono. Cercando di districare il groviglio dei sentimenti, troviamo innanzitutto, ovviamente, il dolore più autentico per la morte di una persona cara. Una delle caratteristiche della formidabile leadership di Chávez era la sua capacità di diventare parte della famiglia di ciascuno dei suoi sostenitori e simpatizzanti. Questa vicinanza non era solo una questione ideologica. Al contrario, ruppe con una vecchia tradizione di leader di sinistra socialmente incompetenti, studiosi di Marx, Lenin e Mao, ma incapaci di entrare in empatia con il popolo. Il caso di Chavez era più una questione di umanità. Alcuni politologi lo chiamano carisma, ma questa categoria ha sempre qualcosa di artificiale o di marketing, e in questo caso non si trattava di questo, bensì di una genuina identificazione con i sentimenti delle persone. Lo hanno confermato le monumentali mobilitazioni in occasione del suo funerale. Naturalmente, nel groviglio dei sentimenti, non tutto era amore e sofferenza per la scomparsa prematura di un leader che era, allo stesso tempo, padre, fratello, compagno o figlio (in senso figurato) dei suoi seguaci. Ci furono anche ondate di odio, disprezzo e gioia per la tragedia. Perché negarlo? È noto che in tutte le enclave borghesi e in certi quartieri medi regnava l’euforia. Ringraziarono il cancro, come aveva fatto in precedenza l’estrema destra argentina quando la stessa malattia si era portata via Eva Perón. Naturalmente fu una gioia molto amara, perché non si trattò di una vittoria leale su un avversario politico, ma di un trionfo discutibile, ottenuto per forza di un destino perverso. Inoltre, l’euforia degli oppositori doveva essere moderata per pura autoconservazione. Non sarebbe stato razionale ignorare il dolore di milioni di persone in lutto. Il terzo sentimento che si può identificare in quel groviglio di inizio marzo 2013 è la rabbia. Per illustrare questa terribile emozione potremmo facilmente usare quella canzone di Silvio Rodríguez, Días y flores, in cui dice in alcuni versi: «Potrebbe essere che alla gioia più profonda sia seguita la rabbia quel giorno / La semplice rabbia dell’uomo selvaggio / La rabbia bomba, la rabbia della morte / La rabbia, impero che uccide bambini / La rabbia ha fatto marcire il mio amore / La rabbia madre, per l’amor di Dio, ho freddo / La rabbia figlio, scarpa di terra / La rabbia dammi o ti farò la guerra / La rabbia ogni cosa ha il suo momento / La rabbia l’urlo se lo porta via il vento / La rabbia l’oro sulla coscienza / La rabbia accidenti!, pazienza, pazienza». C’era molta di quella rabbia tra le migliaia di persone che accompagnarono il corteo funebre del comandante; tra coloro che facevano lunghe file per vederlo per l’ultima volta; tra coloro che lanciavano qualche umile fiore dai loro balconi. Era la furia di una parte del popolo che si sentiva privata di un vero leader e che, per questo motivo, malediceva le vicissitudini della storia e metteva in discussione perfino la giustizia divina. Per alcuni chavisti, la cosa predominante era la disperazione. La certezza che i potenti avversari avessero finalmente raggiunto il loro obiettivo si radicava nei loro cuori. Come una violenta tempesta, la depressione collettiva ha devastato una parte significativa della base, come è stato poi dimostrato dal calo della forza elettorale nelle elezioni presidenziali vinte da Nicolás Maduro. Fortunatamente per l’eredità di Chavez, questo stato di paralizzante sconforto non era diffuso. Dall’amalgama di dolore e rabbia nacque un sentimento diverso da entrambi: l’impegno per le lotte che ancora si stavano sviluppando (…)”.

L’8 dicembre 2012, nel salutare il suo popolo, Chavez disse: “In qualsiasi circostanza dobbiamo garantire il progresso della Rivoluzione Bolivariana, il progresso vittorioso di questa Rivoluzione, costruendo la nuova democrazia, che qui è ordinata dal popolo nell’Assemblea Costituente (…) Nel quadro di questo messaggio, che ovviamente non avrei mai voluto trasmettervi, perché mi addolora veramente che questa situazione causi dolore, causi angoscia a milioni di voi, da quando abbiamo formato un solido… un’unica entità, perché come abbiamo detto e diciamo, in verità Chavez non è solo questo essere umano, Chavez è un grande collettivo, come diceva lo slogan della campagna: Chavez, cuore del popolo!”.

Solo quell’impegno collettivo ha permesso che, dodici anni dopo quel tragico pomeriggio, il Paese continui a resistere a ogni tipo di manovra golpista dell’estrema destra venezuelana, ad ogni tentativo di regime-change e ad ogni fattore di potere del mondo, permettendo ai veri familiari di quel leader di continuare a gridare a squarciagola: “Chavez è vivo e la lotta continua!”

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) ha convocato, proprio ieri, una mobilitazione in vari quartieri della città di Caracas per commemorare i 12 anni dalla scomparsa fisica, durante i quali è stato reso omaggio alla figura di Chávez in presenza delle autorità bolivariane e dei rappresentanti del Grande Polo Patriottico oltre che decine di migliaia di persone. Dallo storico quartiere 23 de Enero a Piazza O’Leary, a Paguita, a Piazza Miranda, al Parco Alí Primera, a Piazza Bolívar e al Calvario: centinaia di migliaia di persone in vari cortei a Caracas di motorizzati, studenti, persone della terza età, strutture organizzate, organizzazioni di base, movimenti sociali e semplici cittadini sia venezuelani che giunti dall’estero hanno portato un fiore nel punto dove è custodito il corpo del Comandate nel Cuartel de la Montaña, alla caserma del 4F (4 Febbraio).

 

Fonti da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana e Comitato Italia-Venezuela Bolivariano

Foto dai canali Telegram @Mazo4f e https://t.me/OrlenysOV

Lorenzo Poli