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USA

L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione

Le informazioni sono l’elemento chiave di ogni guerra e sono sempre informazioni di cui diffidare. Sia prima, sia durante ogni guerra bisogna motivare i giovani e l’opinione pubblica per convincerli che la guerra è giusta e necessaria. Inoltre le informazioni riservate servono a pianificare la guerra. Io non ho la verità in tasca, non ho accesso a informazioni riservate, non ho la pretesa di essere dalla parte giusta. Allora non so nemmeno per quale motivo dovrei schierarmi con una clava in mano per uccidere i presunti nemici, altri giovani che non sanno nulla, come me.

Non voglio indossare un elmetto. Ogni giovane che diserta preferisce il dubbio legittimo, e anche la galera alla guerra. Preferisce dire di no, piuttosto che ubbidire al comando di eliminare un altro giovane. Mi rendo conto che sto parlando di un’utopia, ma se tutti ragionassero nel modo che ho descritto, non ci sarebbe più nessuna guerra. L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione. Tutto il resto è propaganda.

Ci sono innumerevoli esempi nella storia di questo approccio nonviolento, che non è per “anime belle”, come si dice per schernirle. Ognuno di noi può trovare un esempio. Molti hanno perso la vita per dire di no. Pochi hanno scatenato un effetto domino che ha travolto gli oppressori. Cerca un Maestro, una grande anima, non cercare un padrone giusto, altrimenti sarai sempre uno schiavo.

Mettiti dalla parte del torto, quando vedi che tutti vogliono avere ragione. Non ho la verità in tasca, dubita sempre. Ogni scelta comporta un rischio, ma io non odio, perché l’odio sarebbe una prigione per l’anima.

Un amico ed io abbiamo provato a immaginare gli scenari in gioco nel riarmo europeo. Gli Stati non hanno amici, hanno interessi, come disse Kissinger, ma io mi chiedo se questi interessi coincidono con gli interessi di una persona comune.

Giustamente il mio amico osserva che “nelle parole di questi giorni in ambito europeo si sente vivo il carattere di tanti maschioni che si battono il petto, ma nei fatti si sta parlando di togliere soldi al welfare per darli agli USA in cambio di armi da stoccare nei depositi nazionali, che non si sa se verranno usate, quando verranno usate, contro chi verranno usate, e come usarle senza l’approvazione degli USA stessi, quindi altro che indipendenza dagli Usa.”

Questo è un punto centrale della nostra riflessione, articolata in base alle scarne informazioni, che riteniamo, a torto o a ragione, più attendibili. Comunque sia, sappiamo entrambi di non avere la capacità di comprendere fino in fondo la situazione in base ad un vago principio di realtà. Noi vediamo gli alberi in tempesta, ma non possiamo vedere le radici.

Ci resta il dubbio.

L’assalto alla ragione è cominciato molto tempo fa; ne parlò Al Gore in un saggio del 2007, mettendoci in guardia contro l’utilizzo strumentale di argomenti irrazionali nel discorso politico. Anche Voltaire scrisse in modo chiaro che nel momento in cui ti fanno credere alle assurdità, avranno anche il potere di farti commettere atrocità. Questo concetto sembra attualissimo, anche se allora era riferito al fanatismo religioso. Oggi siamo piombati in una logica amico/nemico anche a livello personale, in un clima sempre più bellicoso. I dati pubblici ci raccontano un’altra storia: non abbiamo bisogno di spendere di più in armi. E non si capisce nemmeno come saranno usate, visto che il nostro Ministro degli Esteri parla non solo di esigenze di sicurezza esterna, ma anche di sicurezza interna! Cosa vuol dire? Temo che lo scopriremo a nostre spese.

Rayman

L’opposizione si riorganizza: dai comizi di Sanders alle piazze contro l’amministrazione Trump

Dopo la vittoria alle presidenziali, Donald Trump dichiarò di aver ricevuto “un mandato inequivocabile per cambiare il paese”, nonostante avesse ottenuto all’incirca lo stesso numero di grandi elettori ricevuti da Biden quattro anni prima (312 contro i 306 dell’ex presidente) e rimanendo ben lontano dai 365 grandi elettori con cui Obama arrivò alla Casa Bianca nel 2008. Nelle sue prime settimane di governo, comunque, il suo tasso di approvazione si è mantenuto stabilmente sopra al 50%, fino a qualche giorno fa, quando si sono iniziate a intravedere le prime crepe: per vari sondaggisti, Trump ha cinque punti percentuali in meno. 

I motivi per cui il consenso generale stia iniziando a erodersi possono essere molteplici, ma due spiccano sugli altri. In primo luogo, Trump è stato eletto con la promessa di abbassare il costo della vita e ridare potere d’acquisto alla classe media; in questo mese, però, l’inflazione ha sforato nuovamente il tetto del 3% e le uova sono diventate un bene di lusso, complice l'influenza aviaria che ha costretto a un ritiro preventivo dal mercato di molti lotti. In secondo luogo, l’amministrazione sta portando avanti alcune decisioni che si stanno rivelando impopolari, come il taglio drastico dei dipendenti federali e i continui attacchi ai piani di sanità pubblica, Medicare e Medicaid.

Nel bilancio preliminare votato alla Camera sono stati evidenziati 880 miliardi di tagli di spesa per ridurre le inefficienze burocratiche in vari settori, tra cui quello della salute; seppure l’amministrazione continua ad asserire che la sanità non verrà toccata, e i cittadini manterranno i loro benefici, non tutti ci credono. La settimana scorsa, quando la Camera è andata in pausa e i deputati sono tornati nei loro collegi per fare attività di ascolto degli elettori, i repubblicani hanno scoperto che chi li ha votati non era contento. Molte persone hanno protestato per i possibili tagli alla salute e per i licenziamenti e le condizioni sempre più difficili dei dipendenti federali; Trump era stato votato per contenere l’immigrazione illegale e abbassare il costo della vita, non per tagliare posti di lavoro garantiti. 

Allo stesso modo, gli incontri dei cittadini con i deputati democratici sono stati molto partecipati, con la richiesta di tenere duro sul punto. Il partito di opposizione, fino a questo momento piuttosto spento nella critica all’amministrazione, è uscito rinvigorito dal ritorno nei collegi: ciò che ha galvanizzato i democratici è stato come il dissenso provenisse non tanto da luoghi di tendenza progressista, ma dai distretti solidamente repubblicani. Per questo, la strategia è sembrata chiarificarsi: attaccare il nuovo bilancio provvisorio, evidenziando i possibili tagli in cui potrebbero incorrere gli americani, gli svantaggi verso il cittadino che si generano con il congelamento dei fondi alle agenzie federali e il licenziamento dei dipendenti. D’altronde, non è la prima volta che i repubblicani hanno grossi problemi con le loro politiche di tagli lineari alla sanità: già nel 2017, il Congresso andò a un passo dall’abolire l’Affordable Care Act, la riforma sanitaria voluta da Barack Obama che garantì un’assicurazione sanitaria a più di 20 milioni di persone allora scoperte. L’abolizione non passò anche per il voto contrario del senatore repubblicano John McCain, e i democratici ottennero una grande vittoria alla Camera nelle elezioni di mid-term a novembre dello stesso anno.

Le critiche ai tagli alla sanità sono portate avanti in modo vigoroso da Bernie Sanders, che ha deciso di fare comizi negli Stati Uniti rurali, principalmente in distretti solidamente repubblicani, per evidenziare ai cittadini cosa perderanno con i tagli votati in Parlamento. L’economista Paul Krugman ha infatti sottolineato che depotenziare Medicaid, l’assicurazione sanitaria per gli indigenti, vorrebbe dire mettere in pericolo 69 milioni di americani che ne fanno uso. Il 45% dei bambini del West Virginia, Stato a basso reddito fortemente repubblicano, è coperto dal piano statale, che è visto come valido dal 71% degli elettori repubblicani. Lo stesso Steve Bannon, in una puntata del suo podcast War Room, ha evidenziato come “molte persone di fede MAGA aderiscono a Medicaid”. Sanders nel weekend è stato a Omaha, in Nebraska, dove si sono presentate più di 4.000 persone per ascoltarlo: nel comizio ha evidenziato tutte le problematiche costituzionali del duopolio Trump-Musk che sta governando la Casa Bianca e ha più volte ripetuto che “l’oligarchia va fermata”. L’obiettivo che si sta prefiggendo in questo tour di distretti solidamente repubblicani è duplice: da un lato, aprire la strada a un possibile riavvicinamento dei progressisti in luoghi da molti anni non contendibili per il Partito democratico, dall’altro, mettere estrema pressione sui deputati repubblicani del collegio, inducendoli a far saltare il banco e non votare i tagli.

Questo perché, dopo un mese in cui il Congresso ha aderito senza battere un colpo allo svuotamento di potere impostogli da Trump, sulla sanità si sono evidenziate alcune voci critiche all’interno del Partito. Uno dei repubblicani che più si è imposto nel dibattito pubblico sulla sanità è David Valadao, deputato di un distretto della California centrale dove circa il 20% delle famiglie riceve sussidi legati a Medicaid. Valadao ha affermato che tagli di questo tipo andrebbero a minare le capacità di potersi curare delle persone che abitano nel suo collegio e insieme ad altri sette colleghi ha firmato un documento contro i possibili tagli. Si tratta, poi, anche di una questione tattica: quando nel 2018 la sanità venne messa in discussione i repubblicani persero 28 seggi alle elezioni, e sarebbero proprio quei deputati, eletti in collegi poveri e non a stretta maggioranza repubblicana, i primi a subire le conseguenze. 

Si è quindi evidenziata una netta distanza tra due ali del Partito, che non rispecchia in modo congruo la divisione tra repubblicani centristi e movimento MAGA: infatti, i conservatori fiscali, che vorrebbero tagliare la spesa in sanità per ridurre il deficit, anche se afferiscono al Freedom Caucus, una corrente da anni più vicina a Trump, parlano come i repubblicani liberisti classici. Allo stesso modo, i critici dei tagli hanno l’appoggio, pur se indiretto, di figure del mondo alt-right come Steve Bannon, che hanno contribuito a costruire un nuovo Partito repubblicano con un bacino di voti non indifferente nella classe operaia bianca e sanno che tagliare queste voci di spesa vuol dire inimicarsi i propri elettori.

Un’altra linea d’attacco che i democratici cercano di perseguire più apertamente è quella della “crisi costituzionale”, soprattutto grazie al lavoro in Parlamento del senatore del Connecticut Chris Murphy, che ha iniziato a reagire apertamente allo svuotamento del potere legislativo operato dall’amministrazione utilizzando termini forti, sia in aula sia sui social, dove la sua presenza è sempre più massiccia. Per farlo, ha principalmente studiato i testi di riferimento della nuova destra, come quelli del filosofo Curtis Yarvin di cui abbiamo estesamente parlato su Valigia Blu. Le sue letture lo hanno convinto sin da subito della sostanziale illegalità delle mosse dell’esecutivo e per questo non ha esitato a definire il primo mese della presidenza Trump “un tentativo ostile di presa del potere”. L’attacco alle politiche di Elon Musk, che stanno decidendo in modo arbitrario la sorte di milioni di dipendenti federali, ha scioccato anche una gran parte di cittadini: l’associazione 50501, recentemente costituita per protestare contro l’amministrazione, è scesa in piazza alla stessa ora in tutti gli Stati e promette di farlo ancora. Si tratta della prima protesta organica su base nazionale che mobilita migliaia di persone.

Se, da un lato, abbiamo la protesta di molti cittadini su temi legati alle loro limitate capacità economiche, sempre più ridotte da questo primo mese di presidenza Trump, l’altro grande tema su cui alcuni democratici si muovono è la difesa dei diritti dei cittadini immigrati. Su questo ha ottenuto tantissima rilevanza, anche sui social network, la deputata di New York Alexandria Ocasio Cortez, che ha girato vari video in cui spiega alle persone quali siano i loro diritti durante i possibili raid dell’ICE, l’agenzia federale che si occupa di immigrazione. Per questo ha avuto un confronto diretto molto duro con Tom Homan, il cosiddetto “zar dei confini”, la figura dell’amministrazione Trump che si occupa di velocizzare i rimpatri. Homan ha minacciato azioni legali contro la deputata democratica in quanto “i membri del Congresso non dovrebbero spiegare alle persone come scappare dalle forze dell’ordine”, ma Ocasio Cortez ha ribadito sul punto, asserendo che rendere edotti gli individui dei loro diritti garantiti dalla Costituzione non è illegale.

Come analizzato, esistono personalità democratiche che si oppongono all’amministrazione, ma a livello mediatico la posizione comune è che il Partito sia spaesato. In parte è sicuramente così, dato che l’azione dei democratici continua ad avere bassi livelli di coordinamento ed è portata avanti da figure popolari che stanno trainando il Partito grazie al loro appeal. Nonostante questo, però, i democratici stanno cercando anche un nuovo modo di apparire a livello mediatico. Con l’arretramento sempre più visibile dei quotidiani, che dimostrano, come nei casi di testate come Washington Post e Los Angeles Times, di non voler attaccare Trump come venne fatto durante il suo primo mandato, e l’impossibilità di sfondare sui social media tradizionali al di fuori della propria bolla, come ha dimostrato l’attesa generata dalla campagna Harris che poi si è rapidamente sgonfiata, è tornata in auge l’idea di portare la propria voce all’interno del mondo dei podcast. Gavin Newsom, governatore della California e uno dei papabili candidati dei democratici tra quattro anni, sta lanciando un podcast di sua produzione in cui dialogherà con esponenti del mondo MAGA. L’idea è cercare di abbattere un ambiente mediatico costruito a compartimenti stagni, in cui democratici e repubblicani guardano e ascoltano cose diverse, facendo sì che aumenti la polarizzazione. È un’idea, quella di Newsom, che il governatore porta avanti sin dal 2022, quando chiedeva al Partito di confrontarsi coi repubblicani sul tema delle “culture wars”, prima che esplodesse la battaglia al “woke” che ha contraddistinto la campagna Trump l’anno scorso.

Infine, i democratici vogliono andare all’attacco già quest’anno in un’elezione che si preannuncia molto interessante: quella per la carica di governatore della Virginia. Nello Stato, entro i cui territori si trova il distretto di Columbia, e quindi la capitale Washington, risiedono circa 150.000 dipendenti federali e l’obiettivo è attaccare frontalmente i repubblicani sul caos che hanno generato nella burocrazia. Candidata dei dem è Abigail Spanberger, eletta deputata proprio con la grande vittoria democratica del 2018, che vuole combattere Trump dalla poltrona di governatrice. Si è notato, nel primo mese di presidenza, che per contrattaccare a ordini esecutivi incostituzionali è importante amministrare più Stati possibile, per rendere più solide le cause intentate: l’obiettivo è proprio quello di ottenere una vittoria in un anno in cui, non essendoci elezioni a livello federale, sulla Virginia si concentreranno le attenzioni della politica nazionale.

Un tour di distretti repubblicani, una manifestazione che coinvolge tutti gli Stati, un senatore che chiama in aula le cose col proprio nome, un’elezione fondamentale: tutti momenti importanti per costruire un’opposizione seria e coerente all’amministrazione Trump. I democratici sono ancora lontani da una linea comune, ma rispetto alle prime due settimane, quando il partito sembrava impotente rispetto a quello che stava avvenendo, oggi sembra aver ricostituito una combattività che lo aveva contraddistinto nel primo mandato: se questo basterà per fermare il piano di Trump e Musk di accrescere sproporzionatamente i poteri dell’esecutivo ai danni degli altri, però, è ancora presto per dirlo.

Immagine in anteprima: frame video KETV News Watch 7 via YouTube

La lobby israeliana in Europa, una realtà presente da anni

Mentre prosegue il massacro di palestinesi nella striscia di Gaza, l’Europa continua ad assumere una posizione di aperto appoggio a Israele.

A fare il punto della situazione è stato il servizio di Report intitolato Questione di lobby in cui non solo si è mostrato l’effetto dei bombardamenti indiscriminati israeliani e delle conseguenze dell’assedio sanitario israeliano su Gaza (oggi Israele impedisce l’evacuazione medica di bambini), ma si è svelato anche il fiume di milioni spesi dalle lobby israeliane per ammorbidire il Parlamento Europeo: decine di milioni di euro, viaggi, pranzi e hotel di lusso offerti a destra e sinistra dalle 20 lobby filo-israeliane presenti a Bruxelles dal 2000.

Se queste lobby, negli USA, sono presenti dagli anni Sessanta; in Europa sono presenti dagli anni 2000 quando a Bruxelles hanno aperto la propria sede ed in breve tempo sono riusciti a mettere radici nel Parlamento e nella Commissione Europea. Non è un caso che il rapporto tra le istituzioni europee e il governo dello Stato ebraico sia molto cambiato a partire proprio dagli anni 2000, quando queste lobby hanno iniziato ad agire. Tra questi la European Coalition for Israel, diretta da Thomas Sandel, che negli anni ha continuato ad organizzare incontri e conferenze per dialogare con tutti gli europarlamentari; e l’European Leadership Network (ELNET) che si presenta come “la più influente lobby pro-Israele in Europa”, più dedita a visite politiche e militari.

Altra lobby di riferimento è la Transatlantic Institute, costola della statunitense American Jewish Committee, e formalmente inserito nell’elenco delle lobby di Bruxelles. Al Transatlantic Institute è legato il Transatlantic Friends of Israel (TFI), di cui fanno parte 230 europarlamentari, parlamentari nazionali europei e membri del Congresso Americano: una lobby che è riuscita ad inglobare al suo interno i singoli parlamentari. Particolarmente folta è la delegazione italiana aderente al TFI: fanno parte 33 europarlamentari italiani, di ogni schieramento politico: Pina Picierno e Piero Fassino (membro anche di “Sinistra per Israele”) per il PD; Ettore Rosato ed Elena Bonetti per Azione; Simonetta Matone per la Lega; Deborah Bergamini per Forza Italia; e una nutrita schiera di parlamentari di Fratelli d’Italia guidata da Marco Scuria, presidente della sezione italiana del TFI. Anche la vicedirettrice del TFI è italiana: Benedetta Buttiglione, figlia dell’ex-Ministro d’estrazione democristiana Rocco Buttiglione.

Le lobby filo israeliane organizzano copiose missioni in Israele per europarlamentari e parlamentari italiani: tutto spesato al fine di promuovere il sostegno all’entità coloniale israeliana. E gli effetti sono sotto gli occhi del mondo intero. Da commissario con delega all’industria e all’imprenditoria dal 2010, Antonio Tajani, nel direttivo di una di queste lobby, ha intensificato gli scambi con Israele.
Dal 2005 ad oggi, l’AJC ha speso 47 milioni di dollari per le sue attività nelle istituzioni UE: cifre destinate a salire.

Ecco perché hanno sabotato sistematicamente qualsiasi proposta anche solo di discutere del “rischio di genocidio” a Gaza almeno una volta in plenaria ignorando completamente le decisioni della Corte Penale Internazionale (finita, di recente, sotto l’attacco incrociato degli USA e di Israele), della Corte Internazionale di Giustizia oltre che tutte le risoluzioni dell’ONU.

Ma qual è il loro scopo?

1) Difesa della sicurezza di Israele e il suo diritto a difendersi tout court.

2) Rafforzare la hasbara, ovvero gli sforzi di pubbliche relazioni compiuti per diffondere all’estero informazioni positive sullo Stato di Israele e le sue azioni. Il governo israeliano e i suoi sostenitori usano questo termine per descrivere gli sforzi per spiegare le politiche del governo, per promuovere Israele di fronte all’opinione pubblica internazionale e per contrastare quelli che giudicano “tentativi di delegittimazione di Israele”. Ecco dunque da dove sono nate tutte le retoriche e leggende su “Israele, il Paese che ha cresciuto un giardino nel deserto”, “Tel Aviv, la città più gay del mondo”,  “Tel Aviv la città più vegana del mondo”, “Tel Aviv, la città più dog-friendly del mondo”, “Israele, la più grande democrazia del Medioriente”, “Israele, il Paese con l’esercito più etico al mondo”(1) per il solo fatto di avere più “soldati vegani” al suo interno (un ossimoro in termini linguistici, un paradosso in termini logici). Da qui tutte le propagande sul greenwashing, sul veganwashing, sul pinkwashing, il purplewashing e sull’animalwashing.

3) Fare pressioni sulle classi politiche dei Paesi europei e americane affinchè non passi l’idea che Israele sia uno Stato aggressore, pur essendo considerato Stato occupante in occupazione belligerante dall’ONU

4) Consolidare i propri sostenitori nei partiti europei di destra e infiltrare i propri sostenitori nei partiti di sinistra cercando aderente all’interno della cosiddetta “sinistra neoliberale” per dividerli ancora di più.

Questi sono i venti di guerra oggi ed è in questi luoghi che si gioca il futuro delle relazioni internazionali. Un fatto che sottolinea un problema di cui avere coscienza ed impone una domanda: che sia un problema per le democrazie occidentali?

 

(1) https://www.linkiesta.it/2012/01/siamo-lesercito-piu-morale-del-mondo-e-la-democrazia-israeliana-si-int/

https://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=7567:il-mito-dell-esercito-piu-morale-quello-di-israele&catid=23&Itemid=43

 

Ulteriori informazioni:

https://contropiano.org/news/politica-news/2025/01/14/le-ingerenze-della-lobby-israeliana-nel-parlamento-europeo-e-italiano-0179331
https://www.farodiroma.it/linfluenza-della-lobby-israeliana-negli-stati-uniti-il-caso-di-aipac-lee-morgan/
https://www.lafionda.org/2024/02/16/john-mearsheimer-la-lobby-israeliana-e-potente-come-sempre/
https://zeitun.info/2024/07/08/perche-bisogna-leggere-lobbing-for-zionism-on-both-sides-of-the-atlantic-lobbing-a-favore-del-sionismo-su-entrambe-le-sponde-dellatlantico-il-nuovo-libro-di-ilan-pappe-sulla-lobby-israelia/
https://www.laluce.news/2021/10/21/elnet-la-potente-lobby-israeliana-che-mira-a-influenzare-la-ue-travestita-da-ong/
https://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/235-politica/102201-elena-basile-le-lobby-di-israele-condizionano-la-politica-di-europa-e-stati-uniti.html

Lorenzo Poli

Nord Stream, le trattative segrete in corso tra Russia e Usa

Una truffa per l’Europa? Intermediari di Trump hanno manifestato l’intenzione di acquistare il Nord Stream 2 per dare a Washington “un’opportunità unica”

Parallelemente ai colloqui per normalizzare i rapporti e per la pace in Ucraina, Mosca e Washington starebbero conducendo trattative segrete in Svizzera per riavviare il gasdotto Nord Stream 2. Gli Stati Uniti sarebbero interessati all’acquisto dell’infrastruttura indebolita con un sabotaggio nell’autunno 2022.

Secondo indiscrezioni della rivista tedesca Bild, la Casa Bianca avrebbe affidato i colloqui ad un uomo di stretta fiducia del presidente: Richard Grennell, suo attuale consigliere ed ex ambasciatore statunitense in Germania. Si sarebbe recato più volte presso la sede centrale della società operativa Nord Stream AG, nel Canton Zugo.

L’acquisto del gasdotto a prezzi stracciati da parte di imprenditori statunitensi sarebbe sul tavolo delle trattative  tra Stati Uniti e Russia, come parte della risoluzione della guerra in Ucraina. Un accordo del genere segnerebbe una vera e propria alleanza tra le due superpotenze, stravolgendo gli equilibri geostrategici mondiali. La pace verrebbe così saldata e garantita sulla base di un comune interesse strategico, il ripristino delle forniture di gas russo in Europa tramite un’infrastruttura americana.

Le offerte di acquisto

In base a quanto riferito nei giorni scorsi dal Financial Times, a condurre le trattative per la controparte russa sarebbe il CEO di Nord Stream AG, Matthias Warnig un ex ufficiale della STASI, amico di Putin. Warnig fu anche presidente del consiglio di amministrazione della Dresdner Bank ZAO, la sussidiaria russa della Dresdner Bank e attualmente fa parte del consiglio di amministrazione della Banca Rossiya , spesso definita il “portafoglio di Putin”.

Secondo il FT, sarebbe suo il piano di contattare lo staff di Trump tramite imprenditori statunitensi, come parte di iniziative secondarie per mediare la fine della guerra in Ucraina e, al contempo, approfondire i legami economici tra Stati Uniti e Russia.

Ci sarebbero già delle offerte. A novembre il Wall Street Journal riportava che un donatore della campagna di Trump, l’uomo d’affari della Florida Stephen P. Lynch, aveva espresso l’intenzione di acquistare Nord Stream 2, per dare a Washington “un’opportunità unica per il controllo americano ed europeo dell’approvvigionamento energetico nel vecchio continente fino alla fine dell’era dei combustibili fossili”, riportava il WSJ. Già a febbraio del 2024, il businessman aveva chiesto al governo federale l’autorizzazione a formulare un’ offerta per acquistare il gasdotto Nord Stream 2, dopo che l’operatore dell’infrastruttura aveva dichiarato bancarotta. La licenza gli consentirà di condurre trattative con entità attualmente soggette a sanzioni statunitensi.

Lynch ha lavorato a Mosca per quasi 20 anni e sa bene come fare affari con i russi. Nel 2022 ha ottenuto una licenza dal tesoro americano per acquistare la filiale svizzera di Sberbank, colpita da sanzioni. Ma il suo colpo da maestro fu la partecipazione alla svendita degli assett di Yukos, la compagnia energetica russa dell’oligarca russo Mikhail Khodorkovsky. Il 15 agosto 2007 una società da lui controllata si aggiudicò all’asta il 100% di Yukos Finance, una sussidiaria di Yukos Oil Company. Fu proprio la banca di Warnig a prestare consulenza sulla controversa vendita forzata della compagnia petrolifera di Khodorkovsky.

La garanzia ideale per la Russia

Sia Mosca che Grennell hanno smentito l’esistenza del piano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che le informazioni non corrispondono alla realtà. Non ci si poteva non aspettare una smentita, considerando il livello di delicatezza delle trattative. Ma sembra verosimile (ed in linea con la diplomazia di Trump) che alla base di un solido accordo di pace per l’Ucraina ci sia un buon affare su Nord Stream 2.

Le forniture di gas russo attraverso il gasdotto statunitense renderebbero necessaria la normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. L’inedita fiducia tra i due nemici di sempre poggerebbe su una base inossidabile: il mutuo interesse nel business e nei profitti. La cooperazione energetica farebbe da contrappeso alla rivalità strategica. Ciò condurrebbe al superamento delle vere cause della guerra, condizione richiesta dal Cremlino per un accordo di pace duratura. Il riavvio di Nord Stream fornirebbe quella garanzia di sicurezza che Mosca chiede per fermare le sue truppe in Ucraina.

Entrambi i Paesi ne riceverebbero vantaggi. L’abbraccio americano stringerebbe Europa e Russia, garanzia per  ricominciare a pompare il suo gas in Germania e per la revoca delle sanzioni. L’acquisto di Nord Stream, oltre ad essere una ghiotta occasione di profitto, consentirebbe agli Stati Uniti ottenere un’influenza senza pari sulle forniture energetiche europee.

Una truffa per l’Europa

L’Europa invece è giustamente preoccupata da un’eventuale conferma dell’interesse americano. Subirebbe un vero e proprio scherno: dopo tre anni di duri tentativi per emanciparsi dalla dipendenza di gas russo, si troverebbe costretta a importarlo (di nuovo ma a costi maggiori) proprio dall’alleato atlantico, che per giunta potrebbe essere coinvolto nell’attentato contro i gasdotti russo-tedeschi. Una vera e propria truffa. La Germania  ha escluso qualsiasi possibilità di riprendere le forniture di gas russo attraverso il  gasdotto Nord Stream 2 sottolineando il proprio impegno per l’indipendenza energetica dalla Russia.

Un’eventuale partnership energetica darebbe vita ad un inedito asse Washington e Mosca. L’Europa subirebbe l’accordo, esclusa dai giochi, relegata all’irrilevanza e ad un vincolo di maggiore subalternità agli Stati Uniti. Non solo i Paesi europei sarebbero di nuovo dipendenti da Mosca, ma gli Stati Uniti sarebbero i garanti di questa dipendenza, da cui trarrebbero anche una cospicua parte di guadagni.

 

E’ possibile il ripristino di Nord Stream?

Nonostante l’esplosione dei gasdotti Nord Stream fece ribollire  il Mar Baltico per giorni, il progetto geopolitico non ha ancora perso il suo slancio. Pur essendo sull’orlo del fallimento, la società “Nord Stream  AG” intende realizzare già nel secondo e terzo trimestre del 2025 dei lavori di conservazione del gasdotto Nord Stream 2. A fine gennaio il governo danese ha dato il via libera. Si stima che il gasdotto danneggiato Nord Stream 2 A contenga circa 9-10 milioni di Sm3 di gas naturale rimanente, mentre il gasdotto Nord Stream 2 B è intatto e riempito di gas a circa 54 bar, ridotti da 103 bar. Per il momento i lavori dovrebbero riguardare la riparazione delle falle, ma potrebbero essere il primo passo per il ripristino dell’infrastruttura.

Una cessione del gasdotto a investitori americani per il riavvio delle forniture di gas russo, dovrebbe ricevere un’autorizzazione speciale sia dal governo federale tedesco che da quello statunitense. Berlino mostra la totale contrarietà alla riattivazione, ribadendo la volontà di proseguire sulla strada dell’indipendenza dall’energia di Mosca. Tuttavia all’interno dei partiti che potrebbero formare la prossima coalizione di governo, ci sarebbero settori più sensibili alle forniture di gas naturale a basso costo dalla Russia.

La giustizia svizzera, che si sta occupando delle procedure fallimentari di Nordstream AG, sta prendendo tempo. In teoria la società avrebbe dovuto essere liquidata a gennaio, ma il tribunale cantonale di Zugo ha rinviato la questione a maggio. La decisione è motivata dalla necessità di dare più tempo agli interessati diretti e potenziali. Nella sua valutazione, infatti, il giudice responsabile fa riferimento alle elezioni statunitensi e a quelle federali. Le prossime settimane saranno decisive per l’Europa.

Clara Statello

L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione

Le informazioni sono l’elemento chiave di ogni guerra e sono sempre informazioni di cui diffidare. Sia prima, sia durante ogni guerra bisogna motivare i giovani e l’opinione pubblica per convincerli che la guerra è giusta e necessaria. Inoltre le informazioni riservate servono a pianificare la guerra. Io non ho la verità in tasca, non ho accesso a informazioni riservate, non ho la pretesa di essere dalla parte giusta. Allora non so nemmeno per quale motivo dovrei schierarmi con una clava in mano per uccidere i presunti nemici, altri giovani che non sanno nulla, come me.

Non voglio indossare un elmetto. Ogni giovane che diserta preferisce il dubbio legittimo, e anche la galera alla guerra. Preferisce dire di no, piuttosto che ubbidire al comando di eliminare un altro giovane. Mi rendo conto che sto parlando di un’utopia, ma se tutti ragionassero nel modo che ho descritto, non ci sarebbe più nessuna guerra. L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione. Tutto il resto è propaganda.

Ci sono innumerevoli esempi nella storia di questo approccio nonviolento, che non è per “anime belle”, come si dice per schernirle. Ognuno di noi può trovare un esempio. Molti hanno perso la vita per dire di no. Pochi hanno scatenato un effetto domino che ha travolto gli oppressori. Cerca un Maestro, una grande anima, non cercare un padrone giusto, altrimenti sarai sempre uno schiavo.

Mettiti dalla parte del torto, quando vedi che tutti vogliono avere ragione. Non ho la verità in tasca, dubita sempre. Ogni scelta comporta un rischio, ma io non odio, perché l’odio sarebbe una prigione per l’anima.

Un amico ed io abbiamo provato a immaginare gli scenari in gioco nel riarmo europeo. Gli Stati non hanno amici, hanno interessi, come disse Kissinger, ma io mi chiedo se questi interessi coincidono con gli interessi di una persona comune.

Giustamente il mio amico osserva che “nelle parole di questi giorni in ambito europeo si sente vivo il carattere di tanti maschioni che si battono il petto, ma nei fatti si sta parlando di togliere soldi al welfare per darli agli USA in cambio di armi da stoccare nei depositi nazionali, che non si sa se verranno usate, quando verranno usate, contro chi verranno usate, e come usarle senza l’approvazione degli USA stessi, quindi altro che indipendenza dagli Usa.”

Questo è un punto centrale della nostra riflessione, articolata in base alle scarne informazioni, che riteniamo, a torto o a ragione, più attendibili. Comunque sia, sappiamo entrambi di non avere la capacità di comprendere fino in fondo la situazione in base ad un vago principio di realtà. Noi vediamo gli alberi in tempesta, ma non possiamo vedere le radici.

Ci resta il dubbio.

L’assalto alla ragione è cominciato molto tempo fa; ne parlò Al Gore in un saggio del 2007, mettendoci in guardia contro l’utilizzo strumentale di argomenti irrazionali nel discorso politico. Anche Voltaire scrisse in modo chiaro che nel momento in cui ti fanno credere alle assurdità, avranno anche il potere di farti commettere atrocità. Questo concetto sembra attualissimo, anche se allora era riferito al fanatismo religioso. Oggi siamo piombati in una logica amico/nemico anche a livello personale, in un clima sempre più bellicoso. I dati pubblici ci raccontano un’altra storia: non abbiamo bisogno di spendere di più in armi. E non si capisce nemmeno come saranno usate, visto che il nostro Ministro degli Esteri parla non solo di esigenze di sicurezza esterna, ma anche di sicurezza interna! Cosa vuol dire? Temo che lo scopriremo a nostre spese.

Rayman

L’opposizione si riorganizza: dai comizi di Sanders alle piazze contro l’amministrazione Trump

Dopo la vittoria alle presidenziali, Donald Trump dichiarò di aver ricevuto “un mandato inequivocabile per cambiare il paese”, nonostante avesse ottenuto all’incirca lo stesso numero di grandi elettori ricevuti da Biden quattro anni prima (312 contro i 306 dell’ex presidente) e rimanendo ben lontano dai 365 grandi elettori con cui Obama arrivò alla Casa Bianca nel 2008. Nelle sue prime settimane di governo, comunque, il suo tasso di approvazione si è mantenuto stabilmente sopra al 50%, fino a qualche giorno fa, quando si sono iniziate a intravedere le prime crepe: per vari sondaggisti, Trump ha cinque punti percentuali in meno. 

I motivi per cui il consenso generale stia iniziando a erodersi possono essere molteplici, ma due spiccano sugli altri. In primo luogo, Trump è stato eletto con la promessa di abbassare il costo della vita e ridare potere d’acquisto alla classe media; in questo mese, però, l’inflazione ha sforato nuovamente il tetto del 3% e le uova sono diventate un bene di lusso, complice l'influenza aviaria che ha costretto a un ritiro preventivo dal mercato di molti lotti. In secondo luogo, l’amministrazione sta portando avanti alcune decisioni che si stanno rivelando impopolari, come il taglio drastico dei dipendenti federali e i continui attacchi ai piani di sanità pubblica, Medicare e Medicaid.

Nel bilancio preliminare votato alla Camera sono stati evidenziati 880 miliardi di tagli di spesa per ridurre le inefficienze burocratiche in vari settori, tra cui quello della salute; seppure l’amministrazione continua ad asserire che la sanità non verrà toccata, e i cittadini manterranno i loro benefici, non tutti ci credono. La settimana scorsa, quando la Camera è andata in pausa e i deputati sono tornati nei loro collegi per fare attività di ascolto degli elettori, i repubblicani hanno scoperto che chi li ha votati non era contento. Molte persone hanno protestato per i possibili tagli alla salute e per i licenziamenti e le condizioni sempre più difficili dei dipendenti federali; Trump era stato votato per contenere l’immigrazione illegale e abbassare il costo della vita, non per tagliare posti di lavoro garantiti. 

Allo stesso modo, gli incontri dei cittadini con i deputati democratici sono stati molto partecipati, con la richiesta di tenere duro sul punto. Il partito di opposizione, fino a questo momento piuttosto spento nella critica all’amministrazione, è uscito rinvigorito dal ritorno nei collegi: ciò che ha galvanizzato i democratici è stato come il dissenso provenisse non tanto da luoghi di tendenza progressista, ma dai distretti solidamente repubblicani. Per questo, la strategia è sembrata chiarificarsi: attaccare il nuovo bilancio provvisorio, evidenziando i possibili tagli in cui potrebbero incorrere gli americani, gli svantaggi verso il cittadino che si generano con il congelamento dei fondi alle agenzie federali e il licenziamento dei dipendenti. D’altronde, non è la prima volta che i repubblicani hanno grossi problemi con le loro politiche di tagli lineari alla sanità: già nel 2017, il Congresso andò a un passo dall’abolire l’Affordable Care Act, la riforma sanitaria voluta da Barack Obama che garantì un’assicurazione sanitaria a più di 20 milioni di persone allora scoperte. L’abolizione non passò anche per il voto contrario del senatore repubblicano John McCain, e i democratici ottennero una grande vittoria alla Camera nelle elezioni di mid-term a novembre dello stesso anno.

Le critiche ai tagli alla sanità sono portate avanti in modo vigoroso da Bernie Sanders, che ha deciso di fare comizi negli Stati Uniti rurali, principalmente in distretti solidamente repubblicani, per evidenziare ai cittadini cosa perderanno con i tagli votati in Parlamento. L’economista Paul Krugman ha infatti sottolineato che depotenziare Medicaid, l’assicurazione sanitaria per gli indigenti, vorrebbe dire mettere in pericolo 69 milioni di americani che ne fanno uso. Il 45% dei bambini del West Virginia, Stato a basso reddito fortemente repubblicano, è coperto dal piano statale, che è visto come valido dal 71% degli elettori repubblicani. Lo stesso Steve Bannon, in una puntata del suo podcast War Room, ha evidenziato come “molte persone di fede MAGA aderiscono a Medicaid”. Sanders nel weekend è stato a Omaha, in Nebraska, dove si sono presentate più di 4.000 persone per ascoltarlo: nel comizio ha evidenziato tutte le problematiche costituzionali del duopolio Trump-Musk che sta governando la Casa Bianca e ha più volte ripetuto che “l’oligarchia va fermata”. L’obiettivo che si sta prefiggendo in questo tour di distretti solidamente repubblicani è duplice: da un lato, aprire la strada a un possibile riavvicinamento dei progressisti in luoghi da molti anni non contendibili per il Partito democratico, dall’altro, mettere estrema pressione sui deputati repubblicani del collegio, inducendoli a far saltare il banco e non votare i tagli.

Questo perché, dopo un mese in cui il Congresso ha aderito senza battere un colpo allo svuotamento di potere impostogli da Trump, sulla sanità si sono evidenziate alcune voci critiche all’interno del Partito. Uno dei repubblicani che più si è imposto nel dibattito pubblico sulla sanità è David Valadao, deputato di un distretto della California centrale dove circa il 20% delle famiglie riceve sussidi legati a Medicaid. Valadao ha affermato che tagli di questo tipo andrebbero a minare le capacità di potersi curare delle persone che abitano nel suo collegio e insieme ad altri sette colleghi ha firmato un documento contro i possibili tagli. Si tratta, poi, anche di una questione tattica: quando nel 2018 la sanità venne messa in discussione i repubblicani persero 28 seggi alle elezioni, e sarebbero proprio quei deputati, eletti in collegi poveri e non a stretta maggioranza repubblicana, i primi a subire le conseguenze. 

Si è quindi evidenziata una netta distanza tra due ali del Partito, che non rispecchia in modo congruo la divisione tra repubblicani centristi e movimento MAGA: infatti, i conservatori fiscali, che vorrebbero tagliare la spesa in sanità per ridurre il deficit, anche se afferiscono al Freedom Caucus, una corrente da anni più vicina a Trump, parlano come i repubblicani liberisti classici. Allo stesso modo, i critici dei tagli hanno l’appoggio, pur se indiretto, di figure del mondo alt-right come Steve Bannon, che hanno contribuito a costruire un nuovo Partito repubblicano con un bacino di voti non indifferente nella classe operaia bianca e sanno che tagliare queste voci di spesa vuol dire inimicarsi i propri elettori.

Un’altra linea d’attacco che i democratici cercano di perseguire più apertamente è quella della “crisi costituzionale”, soprattutto grazie al lavoro in Parlamento del senatore del Connecticut Chris Murphy, che ha iniziato a reagire apertamente allo svuotamento del potere legislativo operato dall’amministrazione utilizzando termini forti, sia in aula sia sui social, dove la sua presenza è sempre più massiccia. Per farlo, ha principalmente studiato i testi di riferimento della nuova destra, come quelli del filosofo Curtis Yarvin di cui abbiamo estesamente parlato su Valigia Blu. Le sue letture lo hanno convinto sin da subito della sostanziale illegalità delle mosse dell’esecutivo e per questo non ha esitato a definire il primo mese della presidenza Trump “un tentativo ostile di presa del potere”. L’attacco alle politiche di Elon Musk, che stanno decidendo in modo arbitrario la sorte di milioni di dipendenti federali, ha scioccato anche una gran parte di cittadini: l’associazione 50501, recentemente costituita per protestare contro l’amministrazione, è scesa in piazza alla stessa ora in tutti gli Stati e promette di farlo ancora. Si tratta della prima protesta organica su base nazionale che mobilita migliaia di persone.

Se, da un lato, abbiamo la protesta di molti cittadini su temi legati alle loro limitate capacità economiche, sempre più ridotte da questo primo mese di presidenza Trump, l’altro grande tema su cui alcuni democratici si muovono è la difesa dei diritti dei cittadini immigrati. Su questo ha ottenuto tantissima rilevanza, anche sui social network, la deputata di New York Alexandria Ocasio Cortez, che ha girato vari video in cui spiega alle persone quali siano i loro diritti durante i possibili raid dell’ICE, l’agenzia federale che si occupa di immigrazione. Per questo ha avuto un confronto diretto molto duro con Tom Homan, il cosiddetto “zar dei confini”, la figura dell’amministrazione Trump che si occupa di velocizzare i rimpatri. Homan ha minacciato azioni legali contro la deputata democratica in quanto “i membri del Congresso non dovrebbero spiegare alle persone come scappare dalle forze dell’ordine”, ma Ocasio Cortez ha ribadito sul punto, asserendo che rendere edotti gli individui dei loro diritti garantiti dalla Costituzione non è illegale.

Come analizzato, esistono personalità democratiche che si oppongono all’amministrazione, ma a livello mediatico la posizione comune è che il Partito sia spaesato. In parte è sicuramente così, dato che l’azione dei democratici continua ad avere bassi livelli di coordinamento ed è portata avanti da figure popolari che stanno trainando il Partito grazie al loro appeal. Nonostante questo, però, i democratici stanno cercando anche un nuovo modo di apparire a livello mediatico. Con l’arretramento sempre più visibile dei quotidiani, che dimostrano, come nei casi di testate come Washington Post e Los Angeles Times, di non voler attaccare Trump come venne fatto durante il suo primo mandato, e l’impossibilità di sfondare sui social media tradizionali al di fuori della propria bolla, come ha dimostrato l’attesa generata dalla campagna Harris che poi si è rapidamente sgonfiata, è tornata in auge l’idea di portare la propria voce all’interno del mondo dei podcast. Gavin Newsom, governatore della California e uno dei papabili candidati dei democratici tra quattro anni, sta lanciando un podcast di sua produzione in cui dialogherà con esponenti del mondo MAGA. L’idea è cercare di abbattere un ambiente mediatico costruito a compartimenti stagni, in cui democratici e repubblicani guardano e ascoltano cose diverse, facendo sì che aumenti la polarizzazione. È un’idea, quella di Newsom, che il governatore porta avanti sin dal 2022, quando chiedeva al Partito di confrontarsi coi repubblicani sul tema delle “culture wars”, prima che esplodesse la battaglia al “woke” che ha contraddistinto la campagna Trump l’anno scorso.

Infine, i democratici vogliono andare all’attacco già quest’anno in un’elezione che si preannuncia molto interessante: quella per la carica di governatore della Virginia. Nello Stato, entro i cui territori si trova il distretto di Columbia, e quindi la capitale Washington, risiedono circa 150.000 dipendenti federali e l’obiettivo è attaccare frontalmente i repubblicani sul caos che hanno generato nella burocrazia. Candidata dei dem è Abigail Spanberger, eletta deputata proprio con la grande vittoria democratica del 2018, che vuole combattere Trump dalla poltrona di governatrice. Si è notato, nel primo mese di presidenza, che per contrattaccare a ordini esecutivi incostituzionali è importante amministrare più Stati possibile, per rendere più solide le cause intentate: l’obiettivo è proprio quello di ottenere una vittoria in un anno in cui, non essendoci elezioni a livello federale, sulla Virginia si concentreranno le attenzioni della politica nazionale.

Un tour di distretti repubblicani, una manifestazione che coinvolge tutti gli Stati, un senatore che chiama in aula le cose col proprio nome, un’elezione fondamentale: tutti momenti importanti per costruire un’opposizione seria e coerente all’amministrazione Trump. I democratici sono ancora lontani da una linea comune, ma rispetto alle prime due settimane, quando il partito sembrava impotente rispetto a quello che stava avvenendo, oggi sembra aver ricostituito una combattività che lo aveva contraddistinto nel primo mandato: se questo basterà per fermare il piano di Trump e Musk di accrescere sproporzionatamente i poteri dell’esecutivo ai danni degli altri, però, è ancora presto per dirlo.

Immagine in anteprima: frame video KETV News Watch 7 via YouTube

La lobby israeliana in Europa, una realtà presente da anni

Mentre prosegue il massacro di palestinesi nella striscia di Gaza, l’Europa continua ad assumere una posizione di aperto appoggio a Israele.

A fare il punto della situazione è stato il servizio di Report intitolato Questione di lobby in cui non solo si è mostrato l’effetto dei bombardamenti indiscriminati israeliani e delle conseguenze dell’assedio sanitario israeliano su Gaza (oggi Israele impedisce l’evacuazione medica di bambini), ma si è svelato anche il fiume di milioni spesi dalle lobby israeliane per ammorbidire il Parlamento Europeo: decine di milioni di euro, viaggi, pranzi e hotel di lusso offerti a destra e sinistra dalle 20 lobby filo-israeliane presenti a Bruxelles dal 2000.

Se queste lobby, negli USA, sono presenti dagli anni Sessanta; in Europa sono presenti dagli anni 2000 quando a Bruxelles hanno aperto la propria sede ed in breve tempo sono riusciti a mettere radici nel Parlamento e nella Commissione Europea. Non è un caso che il rapporto tra le istituzioni europee e il governo dello Stato ebraico sia molto cambiato a partire proprio dagli anni 2000, quando queste lobby hanno iniziato ad agire. Tra questi la European Coalition for Israel, diretta da Thomas Sandel, che negli anni ha continuato ad organizzare incontri e conferenze per dialogare con tutti gli europarlamentari; e l’European Leadership Network (ELNET) che si presenta come “la più influente lobby pro-Israele in Europa”, più dedita a visite politiche e militari.

Altra lobby di riferimento è la Transatlantic Institute, costola della statunitense American Jewish Committee, e formalmente inserito nell’elenco delle lobby di Bruxelles. Al Transatlantic Institute è legato il Transatlantic Friends of Israel (TFI), di cui fanno parte 230 europarlamentari, parlamentari nazionali europei e membri del Congresso Americano: una lobby che è riuscita ad inglobare al suo interno i singoli parlamentari. Particolarmente folta è la delegazione italiana aderente al TFI: fanno parte 33 europarlamentari italiani, di ogni schieramento politico: Pina Picierno e Piero Fassino (membro anche di “Sinistra per Israele”) per il PD; Ettore Rosato ed Elena Bonetti per Azione; Simonetta Matone per la Lega; Deborah Bergamini per Forza Italia; e una nutrita schiera di parlamentari di Fratelli d’Italia guidata da Marco Scuria, presidente della sezione italiana del TFI. Anche la vicedirettrice del TFI è italiana: Benedetta Buttiglione, figlia dell’ex-Ministro d’estrazione democristiana Rocco Buttiglione.

Le lobby filo israeliane organizzano copiose missioni in Israele per europarlamentari e parlamentari italiani: tutto spesato al fine di promuovere il sostegno all’entità coloniale israeliana. E gli effetti sono sotto gli occhi del mondo intero. Da commissario con delega all’industria e all’imprenditoria dal 2010, Antonio Tajani, nel direttivo di una di queste lobby, ha intensificato gli scambi con Israele.
Dal 2005 ad oggi, l’AJC ha speso 47 milioni di dollari per le sue attività nelle istituzioni UE: cifre destinate a salire.

Ecco perché hanno sabotato sistematicamente qualsiasi proposta anche solo di discutere del “rischio di genocidio” a Gaza almeno una volta in plenaria ignorando completamente le decisioni della Corte Penale Internazionale (finita, di recente, sotto l’attacco incrociato degli USA e di Israele), della Corte Internazionale di Giustizia oltre che tutte le risoluzioni dell’ONU.

Ma qual è il loro scopo?

1) Difesa della sicurezza di Israele e il suo diritto a difendersi tout court.

2) Rafforzare la hasbara, ovvero gli sforzi di pubbliche relazioni compiuti per diffondere all’estero informazioni positive sullo Stato di Israele e le sue azioni. Il governo israeliano e i suoi sostenitori usano questo termine per descrivere gli sforzi per spiegare le politiche del governo, per promuovere Israele di fronte all’opinione pubblica internazionale e per contrastare quelli che giudicano “tentativi di delegittimazione di Israele”. Ecco dunque da dove sono nate tutte le retoriche e leggende su “Israele, il Paese che ha cresciuto un giardino nel deserto”, “Tel Aviv, la città più gay del mondo”,  “Tel Aviv la città più vegana del mondo”, “Tel Aviv, la città più dog-friendly del mondo”, “Israele, la più grande democrazia del Medioriente”, “Israele, il Paese con l’esercito più etico al mondo”(1) per il solo fatto di avere più “soldati vegani” al suo interno (un ossimoro in termini linguistici, un paradosso in termini logici). Da qui tutte le propagande sul greenwashing, sul veganwashing, sul pinkwashing, il purplewashing e sull’animalwashing.

3) Fare pressioni sulle classi politiche dei Paesi europei e americane affinchè non passi l’idea che Israele sia uno Stato aggressore, pur essendo considerato Stato occupante in occupazione belligerante dall’ONU

4) Consolidare i propri sostenitori nei partiti europei di destra e infiltrare i propri sostenitori nei partiti di sinistra cercando aderente all’interno della cosiddetta “sinistra neoliberale” per dividerli ancora di più.

Questi sono i venti di guerra oggi ed è in questi luoghi che si gioca il futuro delle relazioni internazionali. Un fatto che sottolinea un problema di cui avere coscienza ed impone una domanda: che sia un problema per le democrazie occidentali?

 

(1) https://www.linkiesta.it/2012/01/siamo-lesercito-piu-morale-del-mondo-e-la-democrazia-israeliana-si-int/

https://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=7567:il-mito-dell-esercito-piu-morale-quello-di-israele&catid=23&Itemid=43

 

Ulteriori informazioni:

https://contropiano.org/news/politica-news/2025/01/14/le-ingerenze-della-lobby-israeliana-nel-parlamento-europeo-e-italiano-0179331
https://www.farodiroma.it/linfluenza-della-lobby-israeliana-negli-stati-uniti-il-caso-di-aipac-lee-morgan/
https://www.lafionda.org/2024/02/16/john-mearsheimer-la-lobby-israeliana-e-potente-come-sempre/
https://zeitun.info/2024/07/08/perche-bisogna-leggere-lobbing-for-zionism-on-both-sides-of-the-atlantic-lobbing-a-favore-del-sionismo-su-entrambe-le-sponde-dellatlantico-il-nuovo-libro-di-ilan-pappe-sulla-lobby-israelia/
https://www.laluce.news/2021/10/21/elnet-la-potente-lobby-israeliana-che-mira-a-influenzare-la-ue-travestita-da-ong/
https://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/235-politica/102201-elena-basile-le-lobby-di-israele-condizionano-la-politica-di-europa-e-stati-uniti.html

Lorenzo Poli

Nord Stream, le trattative segrete in corso tra Russia e Usa

Una truffa per l’Europa? Intermediari di Trump hanno manifestato l’intenzione di acquistare il Nord Stream 2 per dare a Washington “un’opportunità unica”

Parallelemente ai colloqui per normalizzare i rapporti e per la pace in Ucraina, Mosca e Washington starebbero conducendo trattative segrete in Svizzera per riavviare il gasdotto Nord Stream 2. Gli Stati Uniti sarebbero interessati all’acquisto dell’infrastruttura indebolita con un sabotaggio nell’autunno 2022.

Secondo indiscrezioni della rivista tedesca Bild, la Casa Bianca avrebbe affidato i colloqui ad un uomo di stretta fiducia del presidente: Richard Grennell, suo attuale consigliere ed ex ambasciatore statunitense in Germania. Si sarebbe recato più volte presso la sede centrale della società operativa Nord Stream AG, nel Canton Zugo.

L’acquisto del gasdotto a prezzi stracciati da parte di imprenditori statunitensi sarebbe sul tavolo delle trattative  tra Stati Uniti e Russia, come parte della risoluzione della guerra in Ucraina. Un accordo del genere segnerebbe una vera e propria alleanza tra le due superpotenze, stravolgendo gli equilibri geostrategici mondiali. La pace verrebbe così saldata e garantita sulla base di un comune interesse strategico, il ripristino delle forniture di gas russo in Europa tramite un’infrastruttura americana.

Le offerte di acquisto

In base a quanto riferito nei giorni scorsi dal Financial Times, a condurre le trattative per la controparte russa sarebbe il CEO di Nord Stream AG, Matthias Warnig un ex ufficiale della STASI, amico di Putin. Warnig fu anche presidente del consiglio di amministrazione della Dresdner Bank ZAO, la sussidiaria russa della Dresdner Bank e attualmente fa parte del consiglio di amministrazione della Banca Rossiya , spesso definita il “portafoglio di Putin”.

Secondo il FT, sarebbe suo il piano di contattare lo staff di Trump tramite imprenditori statunitensi, come parte di iniziative secondarie per mediare la fine della guerra in Ucraina e, al contempo, approfondire i legami economici tra Stati Uniti e Russia.

Ci sarebbero già delle offerte. A novembre il Wall Street Journal riportava che un donatore della campagna di Trump, l’uomo d’affari della Florida Stephen P. Lynch, aveva espresso l’intenzione di acquistare Nord Stream 2, per dare a Washington “un’opportunità unica per il controllo americano ed europeo dell’approvvigionamento energetico nel vecchio continente fino alla fine dell’era dei combustibili fossili”, riportava il WSJ. Già a febbraio del 2024, il businessman aveva chiesto al governo federale l’autorizzazione a formulare un’ offerta per acquistare il gasdotto Nord Stream 2, dopo che l’operatore dell’infrastruttura aveva dichiarato bancarotta. La licenza gli consentirà di condurre trattative con entità attualmente soggette a sanzioni statunitensi.

Lynch ha lavorato a Mosca per quasi 20 anni e sa bene come fare affari con i russi. Nel 2022 ha ottenuto una licenza dal tesoro americano per acquistare la filiale svizzera di Sberbank, colpita da sanzioni. Ma il suo colpo da maestro fu la partecipazione alla svendita degli assett di Yukos, la compagnia energetica russa dell’oligarca russo Mikhail Khodorkovsky. Il 15 agosto 2007 una società da lui controllata si aggiudicò all’asta il 100% di Yukos Finance, una sussidiaria di Yukos Oil Company. Fu proprio la banca di Warnig a prestare consulenza sulla controversa vendita forzata della compagnia petrolifera di Khodorkovsky.

La garanzia ideale per la Russia

Sia Mosca che Grennell hanno smentito l’esistenza del piano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che le informazioni non corrispondono alla realtà. Non ci si poteva non aspettare una smentita, considerando il livello di delicatezza delle trattative. Ma sembra verosimile (ed in linea con la diplomazia di Trump) che alla base di un solido accordo di pace per l’Ucraina ci sia un buon affare su Nord Stream 2.

Le forniture di gas russo attraverso il gasdotto statunitense renderebbero necessaria la normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. L’inedita fiducia tra i due nemici di sempre poggerebbe su una base inossidabile: il mutuo interesse nel business e nei profitti. La cooperazione energetica farebbe da contrappeso alla rivalità strategica. Ciò condurrebbe al superamento delle vere cause della guerra, condizione richiesta dal Cremlino per un accordo di pace duratura. Il riavvio di Nord Stream fornirebbe quella garanzia di sicurezza che Mosca chiede per fermare le sue truppe in Ucraina.

Entrambi i Paesi ne riceverebbero vantaggi. L’abbraccio americano stringerebbe Europa e Russia, garanzia per  ricominciare a pompare il suo gas in Germania e per la revoca delle sanzioni. L’acquisto di Nord Stream, oltre ad essere una ghiotta occasione di profitto, consentirebbe agli Stati Uniti ottenere un’influenza senza pari sulle forniture energetiche europee.

Una truffa per l’Europa

L’Europa invece è giustamente preoccupata da un’eventuale conferma dell’interesse americano. Subirebbe un vero e proprio scherno: dopo tre anni di duri tentativi per emanciparsi dalla dipendenza di gas russo, si troverebbe costretta a importarlo (di nuovo ma a costi maggiori) proprio dall’alleato atlantico, che per giunta potrebbe essere coinvolto nell’attentato contro i gasdotti russo-tedeschi. Una vera e propria truffa. La Germania  ha escluso qualsiasi possibilità di riprendere le forniture di gas russo attraverso il  gasdotto Nord Stream 2 sottolineando il proprio impegno per l’indipendenza energetica dalla Russia.

Un’eventuale partnership energetica darebbe vita ad un inedito asse Washington e Mosca. L’Europa subirebbe l’accordo, esclusa dai giochi, relegata all’irrilevanza e ad un vincolo di maggiore subalternità agli Stati Uniti. Non solo i Paesi europei sarebbero di nuovo dipendenti da Mosca, ma gli Stati Uniti sarebbero i garanti di questa dipendenza, da cui trarrebbero anche una cospicua parte di guadagni.

 

E’ possibile il ripristino di Nord Stream?

Nonostante l’esplosione dei gasdotti Nord Stream fece ribollire  il Mar Baltico per giorni, il progetto geopolitico non ha ancora perso il suo slancio. Pur essendo sull’orlo del fallimento, la società “Nord Stream  AG” intende realizzare già nel secondo e terzo trimestre del 2025 dei lavori di conservazione del gasdotto Nord Stream 2. A fine gennaio il governo danese ha dato il via libera. Si stima che il gasdotto danneggiato Nord Stream 2 A contenga circa 9-10 milioni di Sm3 di gas naturale rimanente, mentre il gasdotto Nord Stream 2 B è intatto e riempito di gas a circa 54 bar, ridotti da 103 bar. Per il momento i lavori dovrebbero riguardare la riparazione delle falle, ma potrebbero essere il primo passo per il ripristino dell’infrastruttura.

Una cessione del gasdotto a investitori americani per il riavvio delle forniture di gas russo, dovrebbe ricevere un’autorizzazione speciale sia dal governo federale tedesco che da quello statunitense. Berlino mostra la totale contrarietà alla riattivazione, ribadendo la volontà di proseguire sulla strada dell’indipendenza dall’energia di Mosca. Tuttavia all’interno dei partiti che potrebbero formare la prossima coalizione di governo, ci sarebbero settori più sensibili alle forniture di gas naturale a basso costo dalla Russia.

La giustizia svizzera, che si sta occupando delle procedure fallimentari di Nordstream AG, sta prendendo tempo. In teoria la società avrebbe dovuto essere liquidata a gennaio, ma il tribunale cantonale di Zugo ha rinviato la questione a maggio. La decisione è motivata dalla necessità di dare più tempo agli interessati diretti e potenziali. Nella sua valutazione, infatti, il giudice responsabile fa riferimento alle elezioni statunitensi e a quelle federali. Le prossime settimane saranno decisive per l’Europa.

Clara Statello

L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione

Le informazioni sono l’elemento chiave di ogni guerra e sono sempre informazioni di cui diffidare. Sia prima, sia durante ogni guerra bisogna motivare i giovani e l’opinione pubblica per convincerli che la guerra è giusta e necessaria. Inoltre le informazioni riservate servono a pianificare la guerra. Io non ho la verità in tasca, non ho accesso a informazioni riservate, non ho la pretesa di essere dalla parte giusta. Allora non so nemmeno per quale motivo dovrei schierarmi con una clava in mano per uccidere i presunti nemici, altri giovani che non sanno nulla, come me.

Non voglio indossare un elmetto. Ogni giovane che diserta preferisce il dubbio legittimo, e anche la galera alla guerra. Preferisce dire di no, piuttosto che ubbidire al comando di eliminare un altro giovane. Mi rendo conto che sto parlando di un’utopia, ma se tutti ragionassero nel modo che ho descritto, non ci sarebbe più nessuna guerra. L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione. Tutto il resto è propaganda.

Ci sono innumerevoli esempi nella storia di questo approccio nonviolento, che non è per “anime belle”, come si dice per schernirle. Ognuno di noi può trovare un esempio. Molti hanno perso la vita per dire di no. Pochi hanno scatenato un effetto domino che ha travolto gli oppressori. Cerca un Maestro, una grande anima, non cercare un padrone giusto, altrimenti sarai sempre uno schiavo.

Mettiti dalla parte del torto, quando vedi che tutti vogliono avere ragione. Non ho la verità in tasca, dubita sempre. Ogni scelta comporta un rischio, ma io non odio, perché l’odio sarebbe una prigione per l’anima.

Un amico ed io abbiamo provato a immaginare gli scenari in gioco nel riarmo europeo. Gli Stati non hanno amici, hanno interessi, come disse Kissinger, ma io mi chiedo se questi interessi coincidono con gli interessi di una persona comune.

Giustamente il mio amico osserva che “nelle parole di questi giorni in ambito europeo si sente vivo il carattere di tanti maschioni che si battono il petto, ma nei fatti si sta parlando di togliere soldi al welfare per darli agli USA in cambio di armi da stoccare nei depositi nazionali, che non si sa se verranno usate, quando verranno usate, contro chi verranno usate, e come usarle senza l’approvazione degli USA stessi, quindi altro che indipendenza dagli Usa.”

Questo è un punto centrale della nostra riflessione, articolata in base alle scarne informazioni, che riteniamo, a torto o a ragione, più attendibili. Comunque sia, sappiamo entrambi di non avere la capacità di comprendere fino in fondo la situazione in base ad un vago principio di realtà. Noi vediamo gli alberi in tempesta, ma non possiamo vedere le radici.

Ci resta il dubbio.

L’assalto alla ragione è cominciato molto tempo fa; ne parlò Al Gore in un saggio del 2007, mettendoci in guardia contro l’utilizzo strumentale di argomenti irrazionali nel discorso politico. Anche Voltaire scrisse in modo chiaro che nel momento in cui ti fanno credere alle assurdità, avranno anche il potere di farti commettere atrocità. Questo concetto sembra attualissimo, anche se allora era riferito al fanatismo religioso. Oggi siamo piombati in una logica amico/nemico anche a livello personale, in un clima sempre più bellicoso. I dati pubblici ci raccontano un’altra storia: non abbiamo bisogno di spendere di più in armi. E non si capisce nemmeno come saranno usate, visto che il nostro Ministro degli Esteri parla non solo di esigenze di sicurezza esterna, ma anche di sicurezza interna! Cosa vuol dire? Temo che lo scopriremo a nostre spese.

Rayman

L’opposizione si riorganizza: dai comizi di Sanders alle piazze contro l’amministrazione Trump

Dopo la vittoria alle presidenziali, Donald Trump dichiarò di aver ricevuto “un mandato inequivocabile per cambiare il paese”, nonostante avesse ottenuto all’incirca lo stesso numero di grandi elettori ricevuti da Biden quattro anni prima (312 contro i 306 dell’ex presidente) e rimanendo ben lontano dai 365 grandi elettori con cui Obama arrivò alla Casa Bianca nel 2008. Nelle sue prime settimane di governo, comunque, il suo tasso di approvazione si è mantenuto stabilmente sopra al 50%, fino a qualche giorno fa, quando si sono iniziate a intravedere le prime crepe: per vari sondaggisti, Trump ha cinque punti percentuali in meno. 

I motivi per cui il consenso generale stia iniziando a erodersi possono essere molteplici, ma due spiccano sugli altri. In primo luogo, Trump è stato eletto con la promessa di abbassare il costo della vita e ridare potere d’acquisto alla classe media; in questo mese, però, l’inflazione ha sforato nuovamente il tetto del 3% e le uova sono diventate un bene di lusso, complice l'influenza aviaria che ha costretto a un ritiro preventivo dal mercato di molti lotti. In secondo luogo, l’amministrazione sta portando avanti alcune decisioni che si stanno rivelando impopolari, come il taglio drastico dei dipendenti federali e i continui attacchi ai piani di sanità pubblica, Medicare e Medicaid.

Nel bilancio preliminare votato alla Camera sono stati evidenziati 880 miliardi di tagli di spesa per ridurre le inefficienze burocratiche in vari settori, tra cui quello della salute; seppure l’amministrazione continua ad asserire che la sanità non verrà toccata, e i cittadini manterranno i loro benefici, non tutti ci credono. La settimana scorsa, quando la Camera è andata in pausa e i deputati sono tornati nei loro collegi per fare attività di ascolto degli elettori, i repubblicani hanno scoperto che chi li ha votati non era contento. Molte persone hanno protestato per i possibili tagli alla salute e per i licenziamenti e le condizioni sempre più difficili dei dipendenti federali; Trump era stato votato per contenere l’immigrazione illegale e abbassare il costo della vita, non per tagliare posti di lavoro garantiti. 

Allo stesso modo, gli incontri dei cittadini con i deputati democratici sono stati molto partecipati, con la richiesta di tenere duro sul punto. Il partito di opposizione, fino a questo momento piuttosto spento nella critica all’amministrazione, è uscito rinvigorito dal ritorno nei collegi: ciò che ha galvanizzato i democratici è stato come il dissenso provenisse non tanto da luoghi di tendenza progressista, ma dai distretti solidamente repubblicani. Per questo, la strategia è sembrata chiarificarsi: attaccare il nuovo bilancio provvisorio, evidenziando i possibili tagli in cui potrebbero incorrere gli americani, gli svantaggi verso il cittadino che si generano con il congelamento dei fondi alle agenzie federali e il licenziamento dei dipendenti. D’altronde, non è la prima volta che i repubblicani hanno grossi problemi con le loro politiche di tagli lineari alla sanità: già nel 2017, il Congresso andò a un passo dall’abolire l’Affordable Care Act, la riforma sanitaria voluta da Barack Obama che garantì un’assicurazione sanitaria a più di 20 milioni di persone allora scoperte. L’abolizione non passò anche per il voto contrario del senatore repubblicano John McCain, e i democratici ottennero una grande vittoria alla Camera nelle elezioni di mid-term a novembre dello stesso anno.

Le critiche ai tagli alla sanità sono portate avanti in modo vigoroso da Bernie Sanders, che ha deciso di fare comizi negli Stati Uniti rurali, principalmente in distretti solidamente repubblicani, per evidenziare ai cittadini cosa perderanno con i tagli votati in Parlamento. L’economista Paul Krugman ha infatti sottolineato che depotenziare Medicaid, l’assicurazione sanitaria per gli indigenti, vorrebbe dire mettere in pericolo 69 milioni di americani che ne fanno uso. Il 45% dei bambini del West Virginia, Stato a basso reddito fortemente repubblicano, è coperto dal piano statale, che è visto come valido dal 71% degli elettori repubblicani. Lo stesso Steve Bannon, in una puntata del suo podcast War Room, ha evidenziato come “molte persone di fede MAGA aderiscono a Medicaid”. Sanders nel weekend è stato a Omaha, in Nebraska, dove si sono presentate più di 4.000 persone per ascoltarlo: nel comizio ha evidenziato tutte le problematiche costituzionali del duopolio Trump-Musk che sta governando la Casa Bianca e ha più volte ripetuto che “l’oligarchia va fermata”. L’obiettivo che si sta prefiggendo in questo tour di distretti solidamente repubblicani è duplice: da un lato, aprire la strada a un possibile riavvicinamento dei progressisti in luoghi da molti anni non contendibili per il Partito democratico, dall’altro, mettere estrema pressione sui deputati repubblicani del collegio, inducendoli a far saltare il banco e non votare i tagli.

Questo perché, dopo un mese in cui il Congresso ha aderito senza battere un colpo allo svuotamento di potere impostogli da Trump, sulla sanità si sono evidenziate alcune voci critiche all’interno del Partito. Uno dei repubblicani che più si è imposto nel dibattito pubblico sulla sanità è David Valadao, deputato di un distretto della California centrale dove circa il 20% delle famiglie riceve sussidi legati a Medicaid. Valadao ha affermato che tagli di questo tipo andrebbero a minare le capacità di potersi curare delle persone che abitano nel suo collegio e insieme ad altri sette colleghi ha firmato un documento contro i possibili tagli. Si tratta, poi, anche di una questione tattica: quando nel 2018 la sanità venne messa in discussione i repubblicani persero 28 seggi alle elezioni, e sarebbero proprio quei deputati, eletti in collegi poveri e non a stretta maggioranza repubblicana, i primi a subire le conseguenze. 

Si è quindi evidenziata una netta distanza tra due ali del Partito, che non rispecchia in modo congruo la divisione tra repubblicani centristi e movimento MAGA: infatti, i conservatori fiscali, che vorrebbero tagliare la spesa in sanità per ridurre il deficit, anche se afferiscono al Freedom Caucus, una corrente da anni più vicina a Trump, parlano come i repubblicani liberisti classici. Allo stesso modo, i critici dei tagli hanno l’appoggio, pur se indiretto, di figure del mondo alt-right come Steve Bannon, che hanno contribuito a costruire un nuovo Partito repubblicano con un bacino di voti non indifferente nella classe operaia bianca e sanno che tagliare queste voci di spesa vuol dire inimicarsi i propri elettori.

Un’altra linea d’attacco che i democratici cercano di perseguire più apertamente è quella della “crisi costituzionale”, soprattutto grazie al lavoro in Parlamento del senatore del Connecticut Chris Murphy, che ha iniziato a reagire apertamente allo svuotamento del potere legislativo operato dall’amministrazione utilizzando termini forti, sia in aula sia sui social, dove la sua presenza è sempre più massiccia. Per farlo, ha principalmente studiato i testi di riferimento della nuova destra, come quelli del filosofo Curtis Yarvin di cui abbiamo estesamente parlato su Valigia Blu. Le sue letture lo hanno convinto sin da subito della sostanziale illegalità delle mosse dell’esecutivo e per questo non ha esitato a definire il primo mese della presidenza Trump “un tentativo ostile di presa del potere”. L’attacco alle politiche di Elon Musk, che stanno decidendo in modo arbitrario la sorte di milioni di dipendenti federali, ha scioccato anche una gran parte di cittadini: l’associazione 50501, recentemente costituita per protestare contro l’amministrazione, è scesa in piazza alla stessa ora in tutti gli Stati e promette di farlo ancora. Si tratta della prima protesta organica su base nazionale che mobilita migliaia di persone.

Se, da un lato, abbiamo la protesta di molti cittadini su temi legati alle loro limitate capacità economiche, sempre più ridotte da questo primo mese di presidenza Trump, l’altro grande tema su cui alcuni democratici si muovono è la difesa dei diritti dei cittadini immigrati. Su questo ha ottenuto tantissima rilevanza, anche sui social network, la deputata di New York Alexandria Ocasio Cortez, che ha girato vari video in cui spiega alle persone quali siano i loro diritti durante i possibili raid dell’ICE, l’agenzia federale che si occupa di immigrazione. Per questo ha avuto un confronto diretto molto duro con Tom Homan, il cosiddetto “zar dei confini”, la figura dell’amministrazione Trump che si occupa di velocizzare i rimpatri. Homan ha minacciato azioni legali contro la deputata democratica in quanto “i membri del Congresso non dovrebbero spiegare alle persone come scappare dalle forze dell’ordine”, ma Ocasio Cortez ha ribadito sul punto, asserendo che rendere edotti gli individui dei loro diritti garantiti dalla Costituzione non è illegale.

Come analizzato, esistono personalità democratiche che si oppongono all’amministrazione, ma a livello mediatico la posizione comune è che il Partito sia spaesato. In parte è sicuramente così, dato che l’azione dei democratici continua ad avere bassi livelli di coordinamento ed è portata avanti da figure popolari che stanno trainando il Partito grazie al loro appeal. Nonostante questo, però, i democratici stanno cercando anche un nuovo modo di apparire a livello mediatico. Con l’arretramento sempre più visibile dei quotidiani, che dimostrano, come nei casi di testate come Washington Post e Los Angeles Times, di non voler attaccare Trump come venne fatto durante il suo primo mandato, e l’impossibilità di sfondare sui social media tradizionali al di fuori della propria bolla, come ha dimostrato l’attesa generata dalla campagna Harris che poi si è rapidamente sgonfiata, è tornata in auge l’idea di portare la propria voce all’interno del mondo dei podcast. Gavin Newsom, governatore della California e uno dei papabili candidati dei democratici tra quattro anni, sta lanciando un podcast di sua produzione in cui dialogherà con esponenti del mondo MAGA. L’idea è cercare di abbattere un ambiente mediatico costruito a compartimenti stagni, in cui democratici e repubblicani guardano e ascoltano cose diverse, facendo sì che aumenti la polarizzazione. È un’idea, quella di Newsom, che il governatore porta avanti sin dal 2022, quando chiedeva al Partito di confrontarsi coi repubblicani sul tema delle “culture wars”, prima che esplodesse la battaglia al “woke” che ha contraddistinto la campagna Trump l’anno scorso.

Infine, i democratici vogliono andare all’attacco già quest’anno in un’elezione che si preannuncia molto interessante: quella per la carica di governatore della Virginia. Nello Stato, entro i cui territori si trova il distretto di Columbia, e quindi la capitale Washington, risiedono circa 150.000 dipendenti federali e l’obiettivo è attaccare frontalmente i repubblicani sul caos che hanno generato nella burocrazia. Candidata dei dem è Abigail Spanberger, eletta deputata proprio con la grande vittoria democratica del 2018, che vuole combattere Trump dalla poltrona di governatrice. Si è notato, nel primo mese di presidenza, che per contrattaccare a ordini esecutivi incostituzionali è importante amministrare più Stati possibile, per rendere più solide le cause intentate: l’obiettivo è proprio quello di ottenere una vittoria in un anno in cui, non essendoci elezioni a livello federale, sulla Virginia si concentreranno le attenzioni della politica nazionale.

Un tour di distretti repubblicani, una manifestazione che coinvolge tutti gli Stati, un senatore che chiama in aula le cose col proprio nome, un’elezione fondamentale: tutti momenti importanti per costruire un’opposizione seria e coerente all’amministrazione Trump. I democratici sono ancora lontani da una linea comune, ma rispetto alle prime due settimane, quando il partito sembrava impotente rispetto a quello che stava avvenendo, oggi sembra aver ricostituito una combattività che lo aveva contraddistinto nel primo mandato: se questo basterà per fermare il piano di Trump e Musk di accrescere sproporzionatamente i poteri dell’esecutivo ai danni degli altri, però, è ancora presto per dirlo.

Immagine in anteprima: frame video KETV News Watch 7 via YouTube