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USA

USA, caccia agli studenti pro Palestina alla Columbia University di New York

La Columbia University di New York ancora nel mirino. Dopo la sospensione di 400 milioni di fondi federali, arrestato senza accuse Mahmoud Khalil, studente pro palestinese tra i più noti dell’ateneo, che ora rischia l’espulsione forzata dal Paese nonostante la sua green card e la moglie incinta.

La notizia si è sparsa domenica, ma Mahmoud Khalil, studente palestinese laureato alla Columbia University, è stato arrestato sabato mattina dalle autorità federali per l’immigrazione

Khalil, che è sposato con una donna americana attualmente incinta di otto mesi, lo scorso aprile ha avuto un ruolo di primo piano nelle proteste pro Palestina cominciate alla Columbia. Sabato gli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement, Ice, lo hanno prelevato dalla sua residenza universitaria e lo hanno preso in custodia, come ha dichiarato all’Associated Press la sua avvocatessa, Amy Greer.

Dopo l’arresto, lo studente ha potuto chiamare la legale, che a sua volta ha potuto parlare con uno degli agenti, il quale ha affermato di agire in base agli ordini del Dipartimento di Stato e che il visto studentesco di Khalil era stato revocato.

Informato dall’avvocatessa che Khalil si trova negli Stati Uniti non con un visto ma come residente permanente grazie a una green card, l’agente ha risposto che stavano revocando anche quelle.

L’arresto di Khalil è avvenuto il giorno dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump di avere tagliato circa 400 milioni di dollari in contratti e sovvenzioni governative alla Columbia University “per non aver protetto i suoi studenti ebrei”.

Quando gli agenti dell’Ice sono arrivati all’edificio del campus hanno inizialmente minacciato di arrestare anche la moglie di Khalil, ha detto Greer e le autorità inizialmente hanno rifiutato di dire perché l’uomo venisse arrestato.

È stato necessario aspettare il giorno successivo per avere una risposta, quando la portavoce del Dipartimento della Sicurezza Interna, Tricia McLaughlin, ha confermato l’arresto descrivendolo come “a sostegno degli ordini esecutivi del presidente Trump che proibiscono l’antisemitismo”, per cui chi ha partecipato alle proteste, per l’amministrazione Trump, ha perso il diritto di rimanere nel Paese, in quanto sostenitore di Hamas.

Da quando è stato arrestato dello studente non si è saputo più nulla. L’avvocato di Khalil ha riferito che inizialmente le era stato detto che era trattenuto in un centro di detenzione per immigrati ad Elizabeth, nel New Jersey, ma quando sua moglie ha cercato di fargli visita, domenica, ha scoperto che non era lì. Domenica sera Greer ha dichiarato di non sapere ancora dove si trovi il suo assistito. “Si tratta di una chiara escalation” ha detto Greer all’Ap. “L’amministrazione ha iniziato a dare seguito alle minacce”.

Dall’ateneo non sembra arrivare alcun aiuto: un portavoce della Columbia University ha dichiarato che gli agenti delle forze dell’ordine prima di entrare nella proprietà dell’università devono esibire un mandato, ma si è rifiutato di dire se la Columbia ne avesse ricevuto uno prima dell’arresto di Khalil, e si è poi rifiutato di commentare sia l’arresto che la scomparsa del loro studente.

In un messaggio postato domenica sera su X, il Segretario di Stato Marco Rubio ha affermato che ora l’amministrazione “revocherà i visti e/o le green card dei sostenitori di Hamas in America in modo che possano essere espulsi”.

La legge Usa ha sempre previsto che il Department of Homeland Security, per un’ampia gamma di presunte attività criminali, incluso il sostegno a un gruppo terroristico, potesse avviare procedimenti di espulsione anche per  i titolari di green card, ma la detenzione di un residente permanente legale, che non è stato accusato di alcun crimine, segna una mossa straordinaria che ha un fondamento giuridico traballante.

Khalil, che lo scorso semestre ha conseguito il master presso la facoltà di affari internazionali della Columbia, durante le proteste aveva svolto il ruolo di negoziatore fra gli studenti e i funzionari universitari, riguardo lo smantellamento  dell’accampamento di tende. Questo ruolo lo aveva reso uno degli attivisti più visibili nel movimento universitario pro Palestina.

L’università lo aveva poi accusato a causa del suo coinvolgimento nel gruppo Columbia University Apartheid Divest, e Khalil aveva dovuto affrontare delle sanzioni “per aver aiutato a organizzare un corteo non autorizzato” in cui i partecipanti avevano glorificato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, e per aver svolto un “ruolo sostanziale” nella circolazione di post sui social media in cui si criticava il sionismo.

“Ho circa 13 accuse contro di me, la maggior parte delle quali sono post sui social media con cui non ho avuto nulla a che fare” aveva detto Khalil all’Ap la scorsa settimana. “Vogliono solo dimostrare al Congresso e ai politici di destra che come università stanno facendo qualcosa, indipendentemente dalla posta in gioco per gli studenti”.

Marina Catucci da il Manifesto

Osservatorio Repressione

Slava Ucraina! in svendita

Pochissimi sanno che a partire del 2021 l’Ucraina aveva cominciato la svendita di oltre il 50% dei suoi terreni coltivabili a società straniere.
L’inizio della pratica denominata Land Grabbing (Accaparramento delle terre, fenomeno economico esploso nel 2008, che ha dato vita a un flusso di investimenti e di capitali finalizzato all’acquisizione di terreni per lo sviluppo di monocolture, biocarburanti o per lo sfruttamento delle foreste) era iniziato già prima ed era stato più volte denunciato in rapporti e articoli risalenti al 2013-2014-2015.
Era il 2013 quando Cristina Plank, Docente del Dipartimento di Scienze politiche, pubblicò un breve rapporto dal titolo: “L’accaparramento delle terra nera di oligarchi ucraini e investitori internazionali” https://www.tni.org/files/download/12._ukraine.pdf dove spiegava i meccanismi con cui già all’epoca si aggirava la moratoria sulla vendita dei terreni agricoli ucraini a beneficio di oligarchi ucraini e investitori esteri.
Nel 2015 invece apparve un articolo sull’autorevole Guardian, che parlava apertamente di “Centinaia di milioni di dollari in finanziamenti per lo sviluppo provenienti dal ramo investimenti della Banca Mondiale che hanno finanziato la controversa espansione dell’impero agroalimentare di miliardari Ucraini legati a investimenti stranieri, in un contesto di crescente preoccupazione per il fatto che la terra e l’agricoltura nel Paese stiano cadendo sempre più nelle mani di pochi ricchi individui.” https://www.theguardian.com/global-development/2015/jul/30/ukraine-agribusiness-firms-quiet-land-grab-development-finance

Facendo ulteriori ricerche lo stesso fenomeno viene riportato all’interno di una interrogazione parlamentare del senato australiano redatta da Sheila Newman, Assessore all’ambiente e allo sviluppo sostenibile, nella contea di Mornington a Melbourne, Australia; consulente ambientale, ricercatrice ed esperta nella gestione integrata dei terreni agricoli. https://www.cfmp.org.au/events/council-elections/sheila-newman-yamala-fcc/
E qui si apre un vero e proprio mondo con svariati riferimenti e fonti:
L’interrogazione parlamentare australiana rimanda a varie questioni relative al sostegno alla guerra ucraina da parte del governo australiano. Tra i vari punti uno in particolare rimanda alla questione dal titolo: “Sequestro della proprietà territoriale ucraina, il disastro della ricetta capitalista.”
La questione della sottrazione della terra viene introdotta con una frase molto significativa: “Ironicamente, sia i nazionalisti che i cittadini ucraini ricordano con orrore come i loro nonni persero la loro terra con la nazionalizzazione dei terreni agricoli sotto i sovietici, ma adesso la stessa terra la stanno perdendo sotto il capitalismo globale, a causa della mercificazione, senza nessun controllo.
A seguire è interessantissimo il contributo della Prof.ssa Olena Borodina, Dirigente del Dipartimento di economia e politica della trasformazione agraria presso l’Istituto di economia dell’Accademia nazionale delle scienze (NAS) Ucraina. https://nas.gov.ua/en/employee/nasborodinaolena

“Prima della disgregazione dell’Unione Sovietica nel 1991, tutta la terra era di proprietà
dello Stato, con gli agricoltori che lavoravano nelle fattorie statali e collettive. Negli anni
Novanta, guidato e supportato dal FMI e da altre istituzioni internazionali, il governo ha
privatizzato gran parte dei terreni agricoli dell’Ucraina, il che ha portato alla crescente
concentrazione di terreni nelle mani di una nuova classe oligarchica.
Per fermare questo processo, il governo ha istituito una moratoria nel 2001, che ha bloccato ulteriori privatizzazioni e impedito quasi tutti i trasferimenti di terreni privati.
Il 96 percento dei terreni agricoli in Ucraina, ovvero circa 40 milioni di ettari, è stato sottoposto alla moratoria.
Mentre la moratoria impediva ulteriori acquisti di terreni, i terreni agricoli potevano ancora
essere affittati. Molti piccoli proprietari terrieri hanno affittato i loro terreni sia a società
nazionali che straniere. Sebbene la moratoria dovesse essere temporanea, è stata
prorogata più volte fino a quando non è stata revocata nel luglio 2021 sotto la pressione
delle istituzioni finanziarie internazionali. La revoca della moratoria sulla vendita di terreni
agricoli e la creazione di un mercato fondiario erano state una richiesta chiave di
Istituzioni finanziarie occidentali dal 2014. Come dettagliato di seguito, BERD, FMI e la Banca Mondiale hanno tutti spinto per questa riforma per ampliare l’accesso alle terre agricole
dell’Ucraina per le aziende agricole e gli investitori privati”
Gli ucraini hanno cercato in massa di resistere alla mercificazione globale, in particolare quella dei terreni agricoli.
“Con una stima del 64 percento della popolazione contraria alla creazione di un mercato
fondiario,24Nel 2017 il FMI ha lanciato una campagna di informazione pubblica nel tentativo
di ottenere sostegno alla riforma.
Nel 2019 e nel 2020 sono scoppiate grandi proteste e manifestazioni contro le modifiche alle leggi che regolano la vendita dei terreni agricoli. Gran parte di questa opposizione deriva dal fatto che molti ucraini credono che la legge sulla riforma agraria esacerberà la corruzione nella sfera agricola, oltre a rafforzare il suo controllo da parte di interessi potenti. Per molti cittadini, la preoccupazione più seria riguardo alla legge è la possibilità che oligarchi e interessi stranieri ottengano la proprietà della terra, sfruttando gli impotenti sistemi giudiziari e normativi del paese.
Gli ucraini hanno chiesto, senza successo, che questa ridistribuzione verticistica delle terre e la loro mercificazione venissero sospese durante la guerra.
“Nel dicembre 2022, una coalizione di agricoltori, accademici e ONG ha chiesto al governo
ucraino di sospendere la legge sulla riforma agraria e tutte le transazioni di mercato dei
terreni durante la guerra e il periodo postbellico, “al fine di garantire la sicurezza nazionale
e la preservazione dell’integrità territoriale del paese durante la guerra e il periodo di
ricostruzione postbellica”. Gli ucraini mettono a repentaglio la propria vita per difendere la
propria terra, ma sono ben consapevoli delle forze corrotte che minacciano quella stessa
terra e l’intera economia del Paese, come dimostra il consenso molto diffuso contro la
legge sulla riforma agraria approvata nel 2020.”

La prof. ssa Olena Borodina spiega ancora: “Oggi, migliaia di ragazzi e ragazze rurali, contadini di questi terreni agricoli, stanno combattendo e morendo in guerra. Hanno perso tutto. I processi di vendita e acquisto gratuiti di terreni sono sempre più liberalizzati e pubblicizzati. Ciò minaccia davvero i diritti degli ucraini alla loro terra, per la quale danno la vita”.

Questo il quadro dipinto dalla Professoressa Olena Borodina dirigente ed esperta dell’Accademia di scienze e politiche agrarie che sicuramente ama la propria terra, e certamente non è a favore della Russia che l’ha invasa, ma che adesso tanto meno guarda di buon occhio all’Occidente, che con le sue ricette economiche prima, e con il suo sostegno alla guerra poi, con tutta evidenza non ha aiutato la situazione e la causa ucraina, al contrario ha finito di affossarla e indebitarla, contribuendo a impoverire e peggiorare di gran lunga la vita della popolazione.

Come darle torto, basti pensare che adesso l’Ucraina è il terzo debitore al mondo nei confronti del FMI, dopo Argentina ed Egitto. Questo debito è stato contratto a spese di un drastico declino delle condizioni di vita di gran parte della popolazione del paese. Misure come l’introduzione di tariffe di mercato per i servizi di pubblica utilità e la riforma delle pensioni, imposte come parte del programma di aggiustamento strutturale, hanno portato all’erosione dei servizi pubblici, all’aumento del prezzo del gas e delle tariffe dei servizi di pubblica utilità e all’impoverimento degli ucraini. Tra il 2013 e il 2019, il salario mensile medio è sceso dell’equivalente di 80 $ USA. Questo calo è stato abbinato a un alto tasso di inflazione, che ha raggiunto il picco del 43% nel 2015.
Durante quel periodo, il prezzo del gas, che è la principale fonte di riscaldamento, acqua calda e combustibile per cucinare per la maggior parte degli ucraini, è aumentato di dodici volte.
Le riforme pensionistiche introdotte nel 2017 hanno avuto un ruolo analogo nell’impoverimento della popolazione: circa l’80%  dei pensionati single in Ucraina vive al di sotto della soglia di povertà ufficiale, mentre il 65% riceve una pensione inferiore a 3.000 grivne [82 dollari USA] al mese. Nel 2021, l’Ucraina era il paese più povero d’Europa, con un PIL pro capite di 4.835 dollari USA. Nel 2014, il tasso di povertà del paese era al 28,6 percento; entro il 2016, era raddoppiato, raggiungendo uno sbalorditivo 58,6 percento. Sebbene sia leggermente diminuito negli anni poco prima della guerra, adesso si trova nuovamente al 59%.

L’interrogazione parlamentare australiana entra in specie nel merito dei due report redatti da Frédéric Mousseau e Eve Devillers, giornalista, scrittore e direttore dell’Istituto di ricerche politiche Oakland Institute con sede negli Stati Uniti. I rapporti sono molto esplicativi, corredati di riferimenti, dati e fonti, che riportano lo stato della situazione terriera in Ucraina.
Il rapporto del 2014 traccia un quadro preciso del fenomeno di sottrazione della terra ucraina: The corporate takeover of ukrainian agriculture 2014 https://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/Brief_CorporateTakeoverofUkraine_0.pdf
Il rapporto successivo del 2023 è il proseguimento del precedente rapporto del 2014, fornendo ulteriori dettagli sulla distribuzione globale terriera dei ben noti investitori stranieri a volte pure celati dietro grandi società ucraine di cui detengono comunque la partecipazione principale: https://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/takeover-ukraine-agricultural-land.pdf
Mousseau e Devillers, sostengono che NCH Capital ha avuto un ruolo chiave nel promuovere la “riforma agraria” in Ucraina e che il suo CEO, il Segretario al Commercio degli Stati Uniti e l’allora Presidente dell’Ucraina Poroshenko sono stati coinvolti nel convincere il governo ucraino ad accettare queste riforme.

Il rapporto, numeri alla mano indica che il piano di riforma voluto dal FMI, sta alla base del successivo processo di spoliazione terriera ucraina, illustra come è avvenuta l’acquisizione da parte di capitali stranieri, puntando il dito sulla condizione di garanzia richiesta all’Ucraina dal FMI, per accedere ai prestiti provenienti dal governo degli Stati Uniti, il primo nel 2014 per l’importo di 1 miliardo di dollari.

Un articolo del 2019 apparso su Bretton Wood Projects riassume come l’FMI abbia esercitato tutta la sua pressione per eliminare la moratoria ucraina che impediva la vendita di terreni a soggetti stranieri, e che tutelava così i piccoli e medi agricoltori locali ucraini:
https://www.brettonwoodsproject.org/2019/12/world-bank-imf-and-ebrd-pressure-for-controversial-land-reform-in-ukraine/
Il rapporto dell’Oakland Institute del 2023, denuncia l’acquisizione dei terreni agricoli più produttivi e fertili d’Europa – quelli ucraini – da parte di grandi gruppi finanziari e speculativi esteri, grazie all’aiuto di altre aziende nazionali ucraine ma con all’interno forte partecipazione di capitali stranieri, con vasti appezzamenti che sono stati venduti o ceduti sia da privati ucraini, che dal governo ucraino stesso, compresi terreni demaniali alienati nel 2022 sotto il governo Zelenski, in virtù della nuova legge del luglio 2021 che di fatto ha aggirato ulteriormente la moratoria.

La moratoria in vigore fino al 2021 impediva almeno formalmente l’acquisto di terreni agricoli da parte di società e soggetti stranieri.
Con la legge del 2021 si è avuto invece il seguente quadro che è entrato gradualmente in vigore:
Le entità straniere possono possedere fino a 100.000 ettari di terreni agricoli in Ucraina. (pari a 1000 km2). Questa limitazione che potrebbe far pensare a una limitazione della concentrazione di terreni nelle mani di poche grandi società straniere è stata agevolmente aggirabile con tre semplici eccezioni contenute nella nuova legge:
1) La restrizione di cui sopra non si applica agli stranieri che possiedono azioni nel capitale autorizzato delle banche ucraine. In pratica se una persona giuridica o fisica estera possiede azioni di una banca ucraina questa non è più considerata un soggetto straniero ed ha accesso all’acquisto dei terreni.
2) La limitazione vale solo per i terreni agricoli, non per i terreni fondiari o immobiliari, quelli legati a un fondo immobiliare. In poche parole se una proprietà fondiaria vede un bene immobile come ad esempio un’abitazione con annessi anche migliaia di ettari di terreno agricolo, questi vengono cambiati come destinazione d’uso e non vengono più considerati terreni agricoli, bensì beni fondiari, quindi non soggetti ad alcuna restrizione da parte di soggetti stranieri. Dopo la legge del 2021 in Ucraina grazie anche a funzionari corrotti e alla corruzione dilagante, è partita una corsa che ha visto il cambio di destinazione d’uso di vasti terreni agricoli, che sono stati accorpati a beni immobili fondiari, i quali sono stati acquisiti da società e soggetti privati stranieri.
3) La limitazione prevede che una sola società straniera non possa possedere più di mille km2, ma non c’è limitazione né controllo alcuno al fatto che formalmente a livello giuridico ci esistono società distinte, ma che poi fanno parte tutte dello stesso fondo d’investimento, vedi BlackRock, Vanguard, BlackStone, NCH, ecc.

Dopo l’approvazione della legge del luglio 2021, sono spuntate come funghi società legali e d’intermediazione immobiliare ucraine che si offrivano per agevolare, facilitare e fare intermediazione nella compravendita di terreni agricoli, di terreni demaniali alienati, e di fondi immobiliari con annessi vasti appezzamenti di terreno. Per evitare pubblicità indiretta non è possibile riportarne i link, ma è sufficiente fare una semplice ricerca per trovare centinaia di società di consulenza legale e d’intermediazione che offrono i loro servizi espressamente rivolti a investitori stranieri che vogliano investire acquisendo terreni agricoli e beni immobili fondiari.

Già a partire del 2020, ancor prima della legge del luglio 2021, grazie a funzionari corrotti tramite l’alienazione di terreni agricoli mutati in terreni facenti parte di immobili fondiari, praticamente erano spariti oltre 5 milioni di ettari di terreno agricolo a cui è stata variata la destinazione d’uso, se ne dà conto nel link a questo esplicativo articolo: https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/analyses/2020-11-12/how-did-5-million-hectares-disappear-secret-land-privatisation

Dopo la legge del 2021 il fenomeno di acquisizione di terreni agricoli da parte di società, e fondi stranieri è esponenzialmente cresciuto arrivando ad una situazione ben descritta nel rapporto dell’istituto di ricerca statunitense Oakland Institute che spiega bene in numeri l’entità del fenomeno qui riassunto fino al 2023:
UkrLandFarming Plc (Cyprus) 631,306 ha
Kernel Holdings SA, registrata in Lussemburgo: 563.000 ha
MHP SE, registrata a Cipro: 391.600 ha
NCH Capital, registrata negli USA: 450.000 ha
Astarta Holding, registrata nei Paesi Bassi: 312.000 ha
AgroGeneration, registrata in Texas USA che possiede 220.000 ha
Mriya Agro Holding, costituita a Cipro, che detiene terreni ucraini per 297.000 ha
Sintal Agriculture Public Ltd (con sede a Cipro, quotata alla Borsa di Francoforte dal 2008 con 150.000 ha di terreno)
Continental Farmers Group PLC di investitori sauditi 33.000 ha
Trigon Agri società regisatratrata in Danimarca che detiene oltre 52.000 ha
TNA Corporate Solutions LLC con sede negli Stati Uniti 295.624 ha
Industrial Milk Company (IMC) S.A. Registrata in Lussemburgo 218.138 ha
PIF Saudi, registrata in Arabia Saudita 228.654 ha
Agroton Public Limited registrata a Cipro 120.000 ha
Nibulon registrata in Ucraina ma a partecipazione prevalente francese 82.500 ha
ADM Germany, registrata in Germania 38.000 ha
BASF registrata in Germania 29.000 ha
BAYER registrata in Germania 21.000 haù
KWM registrata in Olanda 18.000 ha

Queste sopra sono solo le principali società estere, la lista di quelle minori andrebbe avanti, sommate tutte insieme si arriva ad oltre 9 milioni di ettari (solo per i terreni agricoli) in mano a soggetti privati stranieri. https://www.oaklandinstitute.org/war-theft-takeover-ukraine-agricultural-land
A cui si devono sommare gli oltre 5 milioni di ettari di terreni a cui è stata cambiata la destinazione d’uso, da agricola a fondi immobiliari. https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/analyses/2020-11-12/how-did-5-million-hectares-disappear-secret-land-privatisation
La cifra di terreni ucraini posseduti da entità finanziarie straniere fino adesso documentate sfiora i 15 milioni di ettari, una superficie enorme, pari a quasi metà della superficie del territorio italiano e che oltrepassa il 50% dei terreni coltivabili ucraini.

MR On line, rivista di analisi e approfondimento statunitense con sede a New York, all’interno di un recente articolo del dicembre 2024, ci aggiorna sulla situazione attuale dei terreni ucraini; il titolo è estremamente esplicativo: “L’accaparramento di terreni da parte delle aziende americane in Ucraina è alla base della guerra con la Russia“ https://mronline.org/2024/12/24/u-s-corporate-land-grab-in-ukraine-underlies-war-with-russia/
La parlamentare europea belga Barbara Bonte sulla questione ha avviato pochi mesi fa una interrogazione rivolta al parlamento europeo, chiedendo conto proprio delle acquisizioni dei terreni agricoli ucraini da parte delle aziende agroindustriali e d’investimento statunitensi, così come in parte anche quelle saudite, tedesche e altre con sede legale nei cosiddetti “paradisi fiscali”. Stiamo parlando di grandi gruppi d’investimento finanziario che stanno continuando ad acquistare incessantemente terreni agricoli ucraini su vasta scala, indicando fra i maggiori acquisitori i fondi d’investimento statunitensi: Cargill, ADM, Blackrock, Vanguard, Oaktree Capital Management, Bunge Limited. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-10-2024-002526_EN.html 

In precedenza già nel 2015 anche in Germania era stata avviata un’inchiesta parlamentare sul cosiddetto fenomeno del land grabbing operato in Ucraina da parte di soggetti privati stranieri, qui il contenuto dell’interrogazione: https://dserver.bundestag.de/btd/18/037/1803774.pdf e qui invece la risposta del governo tedesco: https://dserver.bundestag.de/btd/18/039/1803925.pdf 

Riferendosi ai soggetti stranieri detentori di enormi appezzamenti agricoli ucraini, la denuncia è molto chiara: “Questi investitori privati e aziendali spesso non pagano tasse, usano indirizzi offshore e ricevono persino sussidi statali. Sono spesso fortemente indebitati o contraggono debiti agendo come punte di diamante per entrare nelle grandi istituzioni di prestito internazionali, statunitensi ed europee, compresi i membri della Banca Mondiale come la International Finance Corporation (IFC), la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI).

Quando i debitori non pagano i loro debiti, le istituzioni finanziarie, che sono molto grandi e molto radicate nei governi, hanno un’influenza tale che letteralmente guidano le politiche nazionali degli Stati membri, facendo cassa prendendo il controllo di proprietà terriere grazie ai piani d’investimento statali o ai fondi destinati all’aiuto e sviluppo dei Paesi in guerra come l’Ucraina ad esempio, e ricavando profitto dal successivo aumento del costo di mercato dei terreni, creando di fatto loro stessi una bolla speculativa.”

In un altra parte del rapporto dell’interrogazione parlamentare australiana invece si definisce apertamente il conflitto ucraino come: “GUERRA DI RACKET”
usando un vero e proprio termine riferibile ai sistemi mafiosi, Cit. “Per qualcuno è molto vantaggioso che ci sia una guerra in Ucraina per occultare precise azioni illegali, la guerra rappresenta il più grande investimento finanziario straniero avvenuto finora in Ucraina, in particolare viene usata come meccanismo per il riciclaggio di denaro, insieme al mercato nero delle armi, compresa ovviamente il furto di terreni agricoli a scopo speculativo.
Riciclaggio di denaro: Finora gli USA hanno speso un totale di 175 miliardi di dollari per la guerra in Ucraina, di cui 107 miliardi direttamente per il sostegno al bilancio e 68,9 miliardi per armi, equipaggiamento e altro supporto militare. Questo denaro non è stato sottoposto a una verifica adeguata. Trattasi di una clamorosa operazione internazionale di riciclaggio di denaro, una truffa di proporzioni gigantesche. Il Pentagono degli USA si auto-verifica e la maggior parte dei suoi dipartimenti non supera i propri controlli, ma non si fa mai nulla al riguardo, perché sfortunatamente è quello che dovrebbe succedere. I controlli che sicuramente bloccherebbero le operazioni finanziarie vengono aggirati tramite la corruzione dei funzionari.
“[…] I principali appaltatori di armi hanno regolarmente oliato gli ingranaggi riuscendo a influenzare le votazioni del Congresso. Ad esempio tramite i contributi alla campagna elettorale per un totale di 83 milioni di dollari negli ultimi due cicli elettorali. Tali “donazioni” principalmente vengono destinate ai membri con maggior influenza politica, che poi ricambiano a loro volta aiutando i principali produttori di armi a prendere gli appalti.” – Rimandando ad un articolo dal titolo: “Il Congresso degli Stati Uniti è in mano all’industria delle armi” che spiega nel dettaglio i meccanismi di come tutto ciò sia possibile: https://www.fairobserver.com/politics/the-us-congress-is-now-in-the-pocket-of-the-arms-industry/ 

Un altro report del 2013 si spiega perché la terra ucraina sia cosi appetibile ai grandi colossi finanziari: https://www.tni.org/files/download/12._ukraine.pdf  indicando in pratica la straordinaria fertilità dei terreni ucraini e il basso costo di acquisto che premette poi a un forte rialzo speculativo di questi terreni con cui fare grossi profitti.
La questione del Land grabbing ucraino viene analizzata anche in una ottica di procurato danno ambientale all’interno d’una ricerca universitaria pubblicata su Science: https://research.vu.nl/ws/portalfiles/portal/292042347/science.adf9351_Will_war_in_Ukraine_escalate_the_global_land_rush.pdf

Andando invece all’acclarata catastrofe umanitaria, frutto di una guerra che ormai si trascina da tre anni, e che viene continuata ad oltranza dalla assoluta non volontà di sedersi a un tavolo delle trattative e parlamentare. Secondo le stime attuali ad oggi nella guerra russo-ucraina risultano morte 300.000 persone, 40.000 i dispersi, oltre mezzo milione i feriti, e circa 8 milioni di persone fra profughi e sfollati. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/i-dati-non-ufficialipiu-di-300mila-morti-una-guerr
Questi morti, questi dispersi, questi feriti, tutti i milioni di profughi e sfollati, erano quasi tutti ignari del vero motivo per cui sono andati in guerra e sono morti, o del reale motivo per cui sono rimasti menomati, o ancora del perché hanno perso tutto, così come molte famiglie delle persone massacrate in questa rovinosa guerra, ignorano del tutto come mai il loro governo non destinerà nemmeno un centesimo degli introiti derivanti dai lauti profitti di tutte le società private coinvolte nella vergognosa spartizione del loro Paese, né un centesimo andrà a loro proveniente dall’enorme flusso di denaro estero riciclato.

Forse un giorno (sempre troppo tardi) molti ucraini comprenderanno l’opera diabolica che ha subito una intera Nazione, lo squartamento a pezzi del loro Paese e delle loro vite, con tanto di fiumi di sangue versato da centinaia di migliaia di giovani ragazzi. Molti ucraini ancora oggi, purtroppo ignorano che stanno combattendo per un pugno di lenticchie, mentre investitori stranieri senza scrupoli grazie a funzionari corrotti, accumulano patrimoni smisurati, tutti pagati col loro sangue.

Alcuni forse ancora credono di combattere per la patria, al grido di “Slava Ucraina!!” o d’immolarsi per per una bandiera blu e gialla, senza sapere che ormai la loro patria non c’è più, da tempo è stato già deciso come svenderla, e che quasi tutto ciò che è accaduto in questa orrenda carneficina (compresa la loro morte e sofferenza) era già stato pianificato per coprire il più grande “investimento” d’affari straniero mai effettuato in Ucraina.

In fondo, cosa meglio di una guerra per indebitare un popolo intero, per sottrargli la terra, le risorse, per impoverire un’intera Nazione, per svenderla letteralmente a pezzi a beneficio di un pugno di ricchissimi investitori occidentali da una parte, e degli oligarchi russi dall’altra. Investitori senza scrupoli che fanno profitti smisurati con la vendita delle armi prima, con la sottrazione a basso costo della migliore terra agricola che ci sia in Europa durante, e successivamente facendo ancora profitti miliardari, con gli appalti per la ricostruzione: https://inventure.com.ua/en/news/world/blackrock-and-jpmorgan-will-soon-present-the-creation-of-a-fund-for-the-recovery-of-ukraine  che, come annunciato più volte, in accordi presi direttamente fra il governo ucraino e gli stessi fondi finanziari di Black Rock; J.P Morgan; Vanguard. https://techukraine.org/2023/02/05/blackrock-in-ukraine-investment-in-recovery/
Sì esatto, sono gli stessi gruppi finanziari e speculativi di cui abbiamo parlato sopra che detengono anche importanti partecipazioni nel mercato azionario delle armi, gli stessi che detengono quote di maggioranza delle aziende che hanno sottratto all’Ucraina e al suo popolo 15 milioni di ettari di terreno agricolo fertile produttivo, su cui faranno nuovamente lauti guadagni una volta terminata la guerra, quando verrà avviata la ricostruzione del Paese, sempre ad opera dei medesimi colossi finanziari che hanno finanziato le armi con cui il paese è stato distrutto, deprezzato, e depredato dei suoi terreni e e delle risorse. (vedi accordo terre rare) https://www.milanofinanza.it/news/guerra-in-ucraina-donald-trump-accordo-sulle-terre-rare-in-pochi-giorni-202503101634139718  

Non ho un briciolo di compassione per Zelensky e il suo governo di corrotti e tagliagole che hanno sacrificato e svenduto un popolo intero, come non ho fiducia alcuna e anzi ho un moto di sincero schifo nei confronti degli esponenti dei nostri governi occidentali, statunitensi, britannici e dell’Unione europea, i quali ormai hanno persino stravolto il concetto di pace assimilandolo alla guerra.  Ma ho sentita compassione per la popolazione ucraina, sì, tanta compassione. Perché dopo essere stati prima messi gli uni contro gli altri in una sanguinosa guerra civile iniziata nel 2014, dopo aver subito un vero e proprio colpo di Stato sempre nel 2014, dopo esser stati ingannati, aizzati e strumentalizzati in preparazione di una guerra fratricida, dopo in seguito esser stati  occupati in parte del loro territorio dall’esercito Russo, dopo essere stati traditi da coloro che credevano fossero loro “alleati”, la prospettiva che hanno davanti quando finirà questa sporca guerra, è di ritrovarsi pure indebitati fino al collo nei confronti degli squali occidentali, senza esser più padroni di niente, neanche di un piccolo fazzoletto di terra fertile su cui potersi sostentare.

Luca Cellini

Cresce il predominio degli Stati Uniti nelle esportazioni globali di armi

L’Ucraina dal 2020 al 2024 è stata il più grande importatore mondiale di armi pesanti, con le sue importazioni aumentate di quasi 100 volte rispetto al periodo 2015-19. Sono alcuni dei nuovi dati sui trasferimenti internazionali di armi pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), disponibili su www.sipri.org.

Il volume complessivo dei trasferimenti di armi a livello globale è rimasto più o meno allo stesso livello del 2015-19 e anche rispetto al periodo 2010-14 (ma è stato superiore del 18% rispetto al 2005-2009), poiché l’aumento delle importazioni in Europa e nelle Americhe è stato compensato da diminuzioni in altre regioni. I primi dieci esportatori di armi nel 2020-24 erano gli stessi del 2015-19, ma la Russia (che rappresenta il 7,8% delle esportazioni globali di armi) è scesa al terzo posto dietro la Francia (9,6%), mentre l’Italia (4,8%) è balzata dal 10° al 6° posto. Almeno 35 Stati hanno inviato armi all’Ucraina dopo l’invasione su vasta scala della Russia nel 2022. Ucraina che ha ricevuto l’8,8% delle importazioni globali di armi nel 2020-24. La maggior parte delle principali armi fornite all’Ucraina proveniva dagli Stati Uniti (45%), seguiti dalla Germania (12%) e dalla Polonia (11%).

Nel Report di SIPRI colpisce il dato che evidenzia come i membri europei della NATO aumentino la dipendenza dalle armi fornite dagli Stati Uniti. Le importazioni di armi da parte dei membri europei della NATO  sono infatti più che raddoppiate tra il 2015-19 e il 2020-24 (+105%). Gli Stati Uniti hanno fornito il 64% di queste armi, una quota sostanzialmente maggiore rispetto al 2015-19 (52%). Gli altri principali fornitori sono stati  Francia e  Corea del Sud (che rappresentano il 6,5 % ciascuna),  Germania (4,7%) e  Israele (3,9%). Le esportazioni di armi degli USA sono aumentate del 21% tra il 2015-19 e il 2020-24, e la quota di esportazioni globali di armi è cresciuta dal 35% al 43%. Gli USA hanno fornito armi importanti a 107 Stati nel 2020-24. E per la prima volta in due decenni, la quota maggiore delle esportazioni di armi statunitensi nel 2020-24 è andata all’Europa (35%) anziché al Medio Oriente (33%). Tuttavia, il principale destinatario singolo di armi statunitensi è stata l’Arabia Saudita (12% delle esportazioni di armi statunitensi). Al contrario, le esportazioni di armi da parte della Russia sono diminuite drasticamente (-64%) tra il 2015-19 e il 2020-24. Un declino iniziato già prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022: nel 2020 e nel 2021 i volumi delle esportazioni sono stati molto più bassi rispetto a qualsiasi anno nei due decenni precedenti. La Russia ha consegnato armi importanti a 33 Stati nel 2020-2024. Due terzi delle esportazioni di armi russe sono andate a tre Stati: India (38%), Cina (17%) e Kazakistan (11%).

E’ la Francia ad assestarsi al secondo posto al mondo come fornitore di armi nel 2020-24, consegnando armi a 65 Stati. Le esportazioni francesi di armi importanti verso altri Stati europei sono quasi triplicate tra il 2015-19 e  il 2020-24 (+187%). Ciò è dovuto principalmente alle consegne di aerei da combattimento a Grecia e Croazia e alle forniture di armi all’Ucraina dopo l’invasione su vasta scala della Russia nel 2022.  Tuttavia, l’India ha ricevuto di gran lunga la quota maggiore delle esportazioni di armi francesi (28%), quasi il doppio della quota che è andata a tutti i destinatari europei messi insieme (15%). Il secondo più grande destinatario di armi importanti dalla Francia è stato il Qatar (9,7% delle esportazioni di armi francesi). La Cina è stata invece il quarto maggiore esportatore di armi nel 2020-24, con il 5,9% delle esportazioni globali di armi, ma nonostante gli sforzi della Cina per aumentare le sue esportazioni di armi, sottolinea lo Stockholm International Peace Research Institute, molti grandi importatori non acquistano armi cinesi per motivi politici.

L’Asia e l’Oceania restano le maggiori regioni importatrici di armi; le importazioni della Cina sono più che dimezzate, mentre calano le importazioni di armi in Medio Oriente. L’insicurezza e il conflitto determinano poi un forte aumento delle importazioni di armi nell’Africa  occidentale. “La crescita delle importazioni di armi in Africa occidentale è stata sorprendente, mentre il volume delle importazioni rimane relativamente piccolo, ha importanti implicazioni geopolitiche, ha affermato Katarina Djokic, ricercatrice presso il SIPRI Arms Transfers Programme. Stati come Burkina Faso, Mali e Senegal sembrano aumentare rapidamente le loro importazioni. I fornitori di armi stanno utilizzando le esportazioni per aumentare la loro influenza in questa parte del mondo, compresi i fornitori emergenti, principalmente la Turchia, insieme ad attori più affermati come Cina, Francia, Russia e Stati Uniti“.

Qui per approfondire: https://www.sipri.org/media/press-release/2025/ukraine-worlds-biggest-arms-importer-united-states-dominance-global-arms-exports-grows-russian

Giovanni Caprio

Un giudice blocca l’espulsione di Mahmoud Khalil, uno dei leader delle proteste pro Palestina alla Columbia University

Lunedì 11 marzo a New York un giudice federale ha bloccato l’espulsione di Mahmoud Khalil, un neolaureato della Columbia University arrestato nel fine settimana dalle autorità per l’immigrazione per aver contribuito a organizzare le proteste di solidarietà con Gaza dello scorso anno. Khalil è un residente legale permanente e ha una green card. Sua moglie è una cittadina statunitense incinta di otto mesi.

Donald Trump si è vantato dell’arresto di Khalil, pubblicando sui social media: “Seguendo i miei ordini esecutivi, l’ICE ha arrestato e detenuto Mahmoud Khalil, uno studente straniero radicale pro-Hamas nel campus della Columbia University. Questo è il primo arresto di molti altri che verranno”. Il caso ha scatenato un’ampia indignazione e lunedì sono scoppiate le proteste. Le facoltà della Columbia e di Barnard sono state raggiunte da rabbini e sostenitori dei diritti degli immigrati per una conferenza stampa d’emergenza.

Lunedì, l’agenzia stampa Zeteo ha riferito che Mahmoud Khalil aveva inviato un’e-mail alla Columbia un giorno prima di essere trattenuto dall’ICE, chiedendo protezione dopo essere stato preso di mira in una campagna di doxing e diffamazione. Khalil ha supplicato l’amministrazione della Columbia: “Non sono riuscito a dormire, temendo che l’ICE o un individuo pericoloso potesse venire a casa mia. Vi esorto a intervenire e a fornire le protezioni necessarie per evitare ulteriori danni”. Lunedì si sono svolte proteste anche a Lower Manhattan.

Nas Issa del Movimento della Gioventù Palestinese: “Gli amministratori della Columbia hanno la responsabilità di proteggere i loro studenti e gli istituti di istruzione superiore che Trump e la sua amministrazione stanno smantellando sistematicamente. Facendo concessioni a questa agenda di destra, stanno solo gettando le basi per un’ulteriore repressione. Non si fermerà alla Palestina, e abbiamo ottime ragioni per credere che non si fermerà ai possessori di green card. Se stanno prendendo di mira gli immigrati privi di documenti, se stanno prendendo di mira i visti per gli studenti, se stanno prendendo di mira i titolari di green card e i residenti legali, cosa impedirà loro di prendere di mira anche i cittadini americani?”.

 

Democracy Now!

L’arresto dello studente e attivista palestinese voluto da Trump è da manuale fascista

Arrestato perché “amico di Hamas”. Senza avere uno straccio di prova. Mahmoud Khalil, studente palestinese laureato alla Columbia University tra i più attivi nelle proteste pro-Palestina iniziate lo scorso aprile nell’università statunitense, è stato arrestato sabato mattina dall’Immigration and Customs Enforcement (ICE) in attuazione degli “ordini esecutivi del presidente Trump che proibiscono l’antisemitismo”, per cui chi ha partecipato alle proteste ha perso il diritto di rimanere negli Stati Uniti, come affermato dalla portavoce del dipartimento per la Sicurezza Interna, Tricia McLaughlin, dopo due giorni di silenzio sulle sorti di Khalil. 

Solo lunedì 10 marzo si è saputo infatti dove era detenuto, nel centro di Jena/LaSalle in Louisiana. McLaughlin ha spiegato che Khalil, cittadino algerino di origine palestinese, ha “condotto attività allineate ad Hamas, un'organizzazione terroristica designata”. Tuttavia, non ha fornito alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni.

In un post su X la Columbia ha dichiarato che le forze dell'ordine devono presentare un mandato prima di entrare nella proprietà dell'università. Tuttavia, contattati da diversi media, i portavoce dell'università hanno rifiutato di dire se l'università avesse ricevuto un mandato per l'arresto di Khalil.

Stando a quanto dichiarato ad AP dalla sua avvocata, Amy Greer, quando sono arrivati nel campus gli agenti hanno minacciato anche di arrestare la moglie di Khalil, cittadina statunitense, incinta di otto mesi. Uno degli agenti ha detto a Greer che il visto studentesco di Khalil era stato revocato e, quando l’avvocata ha fatto notare che lo studente palestinese si trovava negli Stati Uniti non con un visto ma da residente permanente con una green card, le è stato risposto che stavano revocando anche quella. 

“Si tratta di una chiara escalation – ha detto Greer ad AP – L’amministrazione ha iniziato a dare seguito alle minacce”. L’arresto di Khalil è avvenuto il giorno dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump di avere tagliato circa 400 milioni di dollari in contratti e sovvenzioni governative alla Columbia University “per non aver protetto i suoi studenti ebrei”. E come affermato in un post su X dal Segretario di Stato Marco Rubio, d’ora in avanti l’amministrazione “revocherà i visti e/o le green card dei sostenitori di Hamas in America in modo che possano essere espulsi”. Rubio – scrive Axios – intende revocare i visti ai cittadini stranieri ritenuti sostenitori di Hamas o di altri gruppi terroristici, utilizzando l'intelligenza artificiale (IA) per individuare le persone.

Ma su quali basi? Come osserva Marina Catucci su Il Manifesto, “la legge USA ha sempre previsto che il Department of Homeland Security, per una gamma di presunte attività criminali – incluso il sostegno a gruppi terroristici – possa espellere anche i titolari di green card, ma la detenzione di un residente permanente legale, che non è stato accusato di alcun crimine, è una mossa straordinaria con un fondamento legale traballante”. 

John Sandweg, ex direttore ad interim dell'ICE, ha dichiarato in una e-mail alla CNN che il ricorso a una disposizione per espellere un titolare di carta verde è raro e spesso utilizzato con altre accuse di immigrazione, “incluso il fatto che la persona abbia mentito nella domanda di carta verde e non abbia rivelato legami con l'organizzazione terroristica”. Tuttavia, come detto, non ci sono prove fondate delle connessioni tra Khalil e Hamas. 

“L'amministrazione potrebbe anche fare affidamento su un'altra disposizione che presumibilmente consente all'ICE di espellere qualcuno quando il 'Segretario di Stato ha ragionevoli motivi per ritenere' che la presenza o le attività della persona negli Stati Uniti presentino 'gravi conseguenze negative per la politica estera degli Stati Uniti'”, ha aggiunto Sandweg, sottolineando che il ricorso anche a questa disposizione è raro.

Intanto, un giudice federale di New York ha bloccato l’espulsione di Khalil fino al 12 marzo quando si terrà un’udienza in Tribunale. “Per preservare la giurisdizione della Corte in attesa di una sentenza sulla petizione, il firmatario non sarà espulso dagli Stati Uniti a meno che e fino a quando la Corte non ordini diversamente”, si legge nel documento depositato lunedì 10 marzo.

Se il giudice deciderà che le accuse sono fondate, Khalil potrà comunque richiedere un provvedimento di sgravio delle accuse e l'intero processo potrebbe trascinarsi per mesi, secondo Camille Mackler, fondatrice e direttrice esecutiva di Immigrant ARC, una coalizione che fornisce servizi legali a New York. “C'è da chiedersi se il giusto processo sarà garantito a noi o a chiunque altro”, ha dichiarato Mackler. ‘Stiamo vedendo l'amministrazione Trump usare il potere del governo per perseguire persone o istituzioni che non le piacciono o con cui non è d'accordo. In una società libera questo non dovrebbe accadere’.

L’arresto di Khalil è arrivato dopo una stretta da parte di una nuova commissione disciplinare universitaria - l'Office of Institutional Equity - contro studenti della Columbia che hanno espresso critiche nei confronti di Israele, secondo i documenti condivisi con AP. Nelle ultime settimane, l'ufficio ha inviato avvisi a decine di studenti per attività che vanno dalla condivisione di post sui social media a sostegno del popolo palestinese all'adesione a proteste “non autorizzate”. Uno studente attivista è indagato per aver affisso fuori dal campus adesivi che imitavano i manifesti "Wanted", con le sembianze di amministratori dell'università. Un altro, presidente di un club letterario del campus, rischia una sanzione per aver ospitato una mostra d'arte fuori dal campus incentrata sull'occupazione di un edificio del campus la scorsa primavera.

Maryam Alwan, studentessa giordana di origine palestinese, laureata in Studi comparati palestinese-americani, è stata fermata con l’accusa di molestie per un articolo non firmato sul Columbia Spectator che esortava l’università a ridurre i legami accademici con Israele che “potrebbe aver sottoposto altri studenti a comportamenti indesiderati basati sulla loro religione, origine nazionale o servizio militare”.

Durante le proteste Khalil aveva svolto un ruolo di negoziatore tra studenti e funzionari universitari. Per la sua attività era stato sanzionato dall’università, in particolare per “aver aiutato a organizzare un corteo non autorizzato” in cui era stato “glorificato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023” e per aver svolto un “ruolo sostanziale” nella circolazione di post sui social media in cui si criticava il sionismo. In un’intervista ad AP della scorsa settimana, Khalil aveva negato ogni coinvolgimento rispetto ai post circolati sui social. 

“In base a come si sono svolti questi casi, sembra che l'università stia rispondendo alle pressioni governative per sopprimere e soffocare la libertà di parola”, spiega ancora l’avvocata Greer. “Sta operando come un'azienda, proteggendo i suoi beni prima dei suoi studenti, docenti e personale”.

Tempo fa i repubblicani della Camera avevano dato agli amministratori della Columbia tempo fino al 27 febbraio per consegnare i registri disciplinari degli studenti relativi a quasi una dozzina di manifestazioni nel campus, tra cui le proteste che, secondo i repubblicani, "promuovevano il terrorismo e vilipendevano le forze armate statunitensi", nonché la mostra d'arte fuori dal campus. Un portavoce della Columbia ha rifiutato di specificare quali documenti siano stati consegnati al Congresso e se includano i nomi degli studenti, aggiungendo di non poter commentare le indagini in corso.

Secondo le politiche della nuova commissione della Columbia, gli studenti sono tenuti a firmare un accordo di non divulgazione prima di accedere al materiale del caso o di parlare con gli investigatori. Coloro che hanno parlato con gli investigatori dicono che è stato chiesto loro di fare i nomi di altre persone coinvolte in gruppi e proteste pro-palestinesi nel campus. Hanno detto che gli investigatori non hanno fornito indicazioni chiare sul fatto che alcuni termini - come "sionista" o "genocidio" - possano essere considerati molesti. Diversi studenti e docenti che hanno parlato con AP hanno detto che la Commissione li ha accusati di aver partecipato a manifestazioni a cui non hanno preso parte o di aver contribuito a far circolare messaggi sui social media che non hanno pubblicato. Come nel caso di Khalil che, dopo aver rifiutato di firmare l'accordo di non divulgazione, aveva subito la minaccia dall’università di bloccare il suo libretto e di impedirgli di laurearsi. 

“Prendere di mira uno studente attivista è un affronto ai diritti di Mahmoud Khalil e della sua famiglia. Questo atto palesemente incostituzionale invia un messaggio deplorevole, ovvero che la libertà di parola non è più protetta in America. Inoltre, Khalil e tutte le persone che vivono negli Stati Uniti hanno diritto a un giusto processo. Una carta verde può essere revocata solo da un giudice dell'immigrazione, il che dimostra ancora una volta che l'amministrazione Trump è disposta a ignorare la legge per instillare paura e promuovere il suo programma razzista”, ha dichiarato Murad Awawdeh, presidente e amministratore delegato della New York Immigration Coalition. “Khalil va immediatamente rilasciato”.

“La vergognosa detenzione di Mahmoud da parte dell'amministrazione Trump è progettata per instillare il terrore negli studenti che si esprimono a favore della libertà palestinese e delle comunità di immigrati”, ha affermato Jewish Voice for Peace in una dichiarazione sull'arresto. “Questo è il manuale fascista. Dobbiamo tutti respingerlo con fermezza e le università devono iniziare a proteggere i propri studenti”.

Immagine in anteprima: frame video CBS News via YouTube

Nord Stream, le trattative segrete in corso tra Russia e Usa

Una truffa per l’Europa? Intermediari di Trump hanno manifestato l’intenzione di acquistare il Nord Stream 2 per dare a Washington “un’opportunità unica”

Parallelemente ai colloqui per normalizzare i rapporti e per la pace in Ucraina, Mosca e Washington starebbero conducendo trattative segrete in Svizzera per riavviare il gasdotto Nord Stream 2. Gli Stati Uniti sarebbero interessati all’acquisto dell’infrastruttura indebolita con un sabotaggio nell’autunno 2022.

Secondo indiscrezioni della rivista tedesca Bild, la Casa Bianca avrebbe affidato i colloqui ad un uomo di stretta fiducia del presidente: Richard Grennell, suo attuale consigliere ed ex ambasciatore statunitense in Germania. Si sarebbe recato più volte presso la sede centrale della società operativa Nord Stream AG, nel Canton Zugo.

L’acquisto del gasdotto a prezzi stracciati da parte di imprenditori statunitensi sarebbe sul tavolo delle trattative  tra Stati Uniti e Russia, come parte della risoluzione della guerra in Ucraina. Un accordo del genere segnerebbe una vera e propria alleanza tra le due superpotenze, stravolgendo gli equilibri geostrategici mondiali. La pace verrebbe così saldata e garantita sulla base di un comune interesse strategico, il ripristino delle forniture di gas russo in Europa tramite un’infrastruttura americana.

Le offerte di acquisto

In base a quanto riferito nei giorni scorsi dal Financial Times, a condurre le trattative per la controparte russa sarebbe il CEO di Nord Stream AG, Matthias Warnig un ex ufficiale della STASI, amico di Putin. Warnig fu anche presidente del consiglio di amministrazione della Dresdner Bank ZAO, la sussidiaria russa della Dresdner Bank e attualmente fa parte del consiglio di amministrazione della Banca Rossiya , spesso definita il “portafoglio di Putin”.

Secondo il FT, sarebbe suo il piano di contattare lo staff di Trump tramite imprenditori statunitensi, come parte di iniziative secondarie per mediare la fine della guerra in Ucraina e, al contempo, approfondire i legami economici tra Stati Uniti e Russia.

Ci sarebbero già delle offerte. A novembre il Wall Street Journal riportava che un donatore della campagna di Trump, l’uomo d’affari della Florida Stephen P. Lynch, aveva espresso l’intenzione di acquistare Nord Stream 2, per dare a Washington “un’opportunità unica per il controllo americano ed europeo dell’approvvigionamento energetico nel vecchio continente fino alla fine dell’era dei combustibili fossili”, riportava il WSJ. Già a febbraio del 2024, il businessman aveva chiesto al governo federale l’autorizzazione a formulare un’ offerta per acquistare il gasdotto Nord Stream 2, dopo che l’operatore dell’infrastruttura aveva dichiarato bancarotta. La licenza gli consentirà di condurre trattative con entità attualmente soggette a sanzioni statunitensi.

Lynch ha lavorato a Mosca per quasi 20 anni e sa bene come fare affari con i russi. Nel 2022 ha ottenuto una licenza dal tesoro americano per acquistare la filiale svizzera di Sberbank, colpita da sanzioni. Ma il suo colpo da maestro fu la partecipazione alla svendita degli assett di Yukos, la compagnia energetica russa dell’oligarca russo Mikhail Khodorkovsky. Il 15 agosto 2007 una società da lui controllata si aggiudicò all’asta il 100% di Yukos Finance, una sussidiaria di Yukos Oil Company. Fu proprio la banca di Warnig a prestare consulenza sulla controversa vendita forzata della compagnia petrolifera di Khodorkovsky.

La garanzia ideale per la Russia

Sia Mosca che Grennell hanno smentito l’esistenza del piano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che le informazioni non corrispondono alla realtà. Non ci si poteva non aspettare una smentita, considerando il livello di delicatezza delle trattative. Ma sembra verosimile (ed in linea con la diplomazia di Trump) che alla base di un solido accordo di pace per l’Ucraina ci sia un buon affare su Nord Stream 2.

Le forniture di gas russo attraverso il gasdotto statunitense renderebbero necessaria la normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. L’inedita fiducia tra i due nemici di sempre poggerebbe su una base inossidabile: il mutuo interesse nel business e nei profitti. La cooperazione energetica farebbe da contrappeso alla rivalità strategica. Ciò condurrebbe al superamento delle vere cause della guerra, condizione richiesta dal Cremlino per un accordo di pace duratura. Il riavvio di Nord Stream fornirebbe quella garanzia di sicurezza che Mosca chiede per fermare le sue truppe in Ucraina.

Entrambi i Paesi ne riceverebbero vantaggi. L’abbraccio americano stringerebbe Europa e Russia, garanzia per  ricominciare a pompare il suo gas in Germania e per la revoca delle sanzioni. L’acquisto di Nord Stream, oltre ad essere una ghiotta occasione di profitto, consentirebbe agli Stati Uniti ottenere un’influenza senza pari sulle forniture energetiche europee.

Una truffa per l’Europa

L’Europa invece è giustamente preoccupata da un’eventuale conferma dell’interesse americano. Subirebbe un vero e proprio scherno: dopo tre anni di duri tentativi per emanciparsi dalla dipendenza di gas russo, si troverebbe costretta a importarlo (di nuovo ma a costi maggiori) proprio dall’alleato atlantico, che per giunta potrebbe essere coinvolto nell’attentato contro i gasdotti russo-tedeschi. Una vera e propria truffa. La Germania  ha escluso qualsiasi possibilità di riprendere le forniture di gas russo attraverso il  gasdotto Nord Stream 2 sottolineando il proprio impegno per l’indipendenza energetica dalla Russia.

Un’eventuale partnership energetica darebbe vita ad un inedito asse Washington e Mosca. L’Europa subirebbe l’accordo, esclusa dai giochi, relegata all’irrilevanza e ad un vincolo di maggiore subalternità agli Stati Uniti. Non solo i Paesi europei sarebbero di nuovo dipendenti da Mosca, ma gli Stati Uniti sarebbero i garanti di questa dipendenza, da cui trarrebbero anche una cospicua parte di guadagni.

 

E’ possibile il ripristino di Nord Stream?

Nonostante l’esplosione dei gasdotti Nord Stream fece ribollire  il Mar Baltico per giorni, il progetto geopolitico non ha ancora perso il suo slancio. Pur essendo sull’orlo del fallimento, la società “Nord Stream  AG” intende realizzare già nel secondo e terzo trimestre del 2025 dei lavori di conservazione del gasdotto Nord Stream 2. A fine gennaio il governo danese ha dato il via libera. Si stima che il gasdotto danneggiato Nord Stream 2 A contenga circa 9-10 milioni di Sm3 di gas naturale rimanente, mentre il gasdotto Nord Stream 2 B è intatto e riempito di gas a circa 54 bar, ridotti da 103 bar. Per il momento i lavori dovrebbero riguardare la riparazione delle falle, ma potrebbero essere il primo passo per il ripristino dell’infrastruttura.

Una cessione del gasdotto a investitori americani per il riavvio delle forniture di gas russo, dovrebbe ricevere un’autorizzazione speciale sia dal governo federale tedesco che da quello statunitense. Berlino mostra la totale contrarietà alla riattivazione, ribadendo la volontà di proseguire sulla strada dell’indipendenza dall’energia di Mosca. Tuttavia all’interno dei partiti che potrebbero formare la prossima coalizione di governo, ci sarebbero settori più sensibili alle forniture di gas naturale a basso costo dalla Russia.

La giustizia svizzera, che si sta occupando delle procedure fallimentari di Nordstream AG, sta prendendo tempo. In teoria la società avrebbe dovuto essere liquidata a gennaio, ma il tribunale cantonale di Zugo ha rinviato la questione a maggio. La decisione è motivata dalla necessità di dare più tempo agli interessati diretti e potenziali. Nella sua valutazione, infatti, il giudice responsabile fa riferimento alle elezioni statunitensi e a quelle federali. Le prossime settimane saranno decisive per l’Europa.

Clara Statello

L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione

Le informazioni sono l’elemento chiave di ogni guerra e sono sempre informazioni di cui diffidare. Sia prima, sia durante ogni guerra bisogna motivare i giovani e l’opinione pubblica per convincerli che la guerra è giusta e necessaria. Inoltre le informazioni riservate servono a pianificare la guerra. Io non ho la verità in tasca, non ho accesso a informazioni riservate, non ho la pretesa di essere dalla parte giusta. Allora non so nemmeno per quale motivo dovrei schierarmi con una clava in mano per uccidere i presunti nemici, altri giovani che non sanno nulla, come me.

Non voglio indossare un elmetto. Ogni giovane che diserta preferisce il dubbio legittimo, e anche la galera alla guerra. Preferisce dire di no, piuttosto che ubbidire al comando di eliminare un altro giovane. Mi rendo conto che sto parlando di un’utopia, ma se tutti ragionassero nel modo che ho descritto, non ci sarebbe più nessuna guerra. L’antidoto alla guerra non è la pace, ma la diserzione. Tutto il resto è propaganda.

Ci sono innumerevoli esempi nella storia di questo approccio nonviolento, che non è per “anime belle”, come si dice per schernirle. Ognuno di noi può trovare un esempio. Molti hanno perso la vita per dire di no. Pochi hanno scatenato un effetto domino che ha travolto gli oppressori. Cerca un Maestro, una grande anima, non cercare un padrone giusto, altrimenti sarai sempre uno schiavo.

Mettiti dalla parte del torto, quando vedi che tutti vogliono avere ragione. Non ho la verità in tasca, dubita sempre. Ogni scelta comporta un rischio, ma io non odio, perché l’odio sarebbe una prigione per l’anima.

Un amico ed io abbiamo provato a immaginare gli scenari in gioco nel riarmo europeo. Gli Stati non hanno amici, hanno interessi, come disse Kissinger, ma io mi chiedo se questi interessi coincidono con gli interessi di una persona comune.

Giustamente il mio amico osserva che “nelle parole di questi giorni in ambito europeo si sente vivo il carattere di tanti maschioni che si battono il petto, ma nei fatti si sta parlando di togliere soldi al welfare per darli agli USA in cambio di armi da stoccare nei depositi nazionali, che non si sa se verranno usate, quando verranno usate, contro chi verranno usate, e come usarle senza l’approvazione degli USA stessi, quindi altro che indipendenza dagli Usa.”

Questo è un punto centrale della nostra riflessione, articolata in base alle scarne informazioni, che riteniamo, a torto o a ragione, più attendibili. Comunque sia, sappiamo entrambi di non avere la capacità di comprendere fino in fondo la situazione in base ad un vago principio di realtà. Noi vediamo gli alberi in tempesta, ma non possiamo vedere le radici.

Ci resta il dubbio.

L’assalto alla ragione è cominciato molto tempo fa; ne parlò Al Gore in un saggio del 2007, mettendoci in guardia contro l’utilizzo strumentale di argomenti irrazionali nel discorso politico. Anche Voltaire scrisse in modo chiaro che nel momento in cui ti fanno credere alle assurdità, avranno anche il potere di farti commettere atrocità. Questo concetto sembra attualissimo, anche se allora era riferito al fanatismo religioso. Oggi siamo piombati in una logica amico/nemico anche a livello personale, in un clima sempre più bellicoso. I dati pubblici ci raccontano un’altra storia: non abbiamo bisogno di spendere di più in armi. E non si capisce nemmeno come saranno usate, visto che il nostro Ministro degli Esteri parla non solo di esigenze di sicurezza esterna, ma anche di sicurezza interna! Cosa vuol dire? Temo che lo scopriremo a nostre spese.

Rayman

L’Europa che non c’è

Quali altre sanzioni contro la Russia potrà mai varare l’Unione Europea, dopo che quelle già in atto hanno dimostrato scarso impatto sul potenziale militare russo, enormi danni per l’economia europea e vantaggi altrettanto grandi, soprattutto con la vendita di gas a prezzi di affezione, per gli Stati Uniti?

Che tipo di “difesa armata” potrà mai costruire l’Unione Europea autorizzando ogni singolo Stato membro ad armarsi per conto suo sforando i parametri di Maastricht (invalicabili quando si trattava di sostenere il welfare) per acquistare armi e arruolare soldati senza un indirizzo, una politica estera, un progetto comuni?

Quale forza di interposizione potrà mai essere accettata dall’Onu o dalla Federazione Russa se costituita da governi che sono stati e sono ancora parte combattente, riempiendo di armi, denaro e appoggio politico la controparte ucraina?

E quali informazioni sul campo potrà mai fornire l’Unione Europea alle forze armate ucraine se le attività di supporto informativo dipendono da sistemi che l’Europa non è in grado di sostituire?

Quale “forza di deterrenza nucleare” potrà mai mettere in campo l’Unione Europea con le atomiche di Macron e quelle di Starmer, di fronte alla Russia che ne ha 15 volte tante?

Per tutte queste cose – cioè per “colmare il vuoto” lasciato dal ritiro, o tradimento, di Trump – l’Unione Europea ha comunque bisogno della Nato, cioè del sostegno degli Stati Uniti di Trump, che se glielo fornirà (“continuate voi, mentre io tratto e faccio affari”) se lo farà comunque pagare: con l’aumento delle spese militari, per mantenere le truppe Usa di stanza in Europa (in Italia 140 basi, tra Usa e Nato), con l’acquisto forzato di gas, al quadruplo del suo prezzo, e di armi che solo loro producono e  con un distacco sempre più profondo dalla Cina, con la quale invece Trump acuirà o sopirà la tensione a seconda del momento e delle convenienze.

L’Unione Europea, la sua Commissione e i governi degli Stati membri si sono fatti trascinare in questa trappola senza mai rendersi conto del suo esito obbligato e senza mai prospettare un’alternativa che non fosse la vittoria sul campo: “vittoria o resa”; in mezzo, il nulla. Ora Ursula Von der Leyen sostiene che l’aggressione russa all’Ucraina rappresenta una minaccia “esistenziale” per l’Europa.

Ma una minaccia esistenziale assai più grave aveva fatto la sua comparsa ben prima della guerra in Ucraina: la crisi climatica. L’Ipcc continuava a ricordare che c’erano solo pochi anni a disposizione per cercare di invertire rotta. Una minaccia soprattutto per le democrazie, vere o presunte. Perché un regime autoritario può bloccare facilmente le informazioni sui disastri in corso e reprimere brutalmente le popolazioni colpite che protestano per la mancata prevenzione o la mancata assistenza, ma una democrazia che si fa cogliere impreparata non può che ricorrere agli stessi metodi, accentuando gli aspetti dispotici del proprio governo tanto, se non di più, di quanto lo può fare in un Paese in guerra.

Governi e opposizioni nell’Unione e negli Stati membri, come in quasi tutti gli altri Stati del mondo, non hanno mai preso veramente sul serio la minaccia climatica. Alcuni hanno finto di farlo per giustificare misure straordinarie, non tutte sensate, per poi coprirle di deroghe che ne azzerano i già insufficienti impatti previsti, come quelle su gas, nucleare, protezione della natura, auto termiche, ecc. nel Green Deal, o per dare il “liberi tutti” alle spese più insensate, inutili o dannose, nel gigantesco sperpero del Pnrr in Italia.

E’ mancato, manca, soprattutto il coinvolgimento della popolazione nella messa a punto e nell’attuazione dei programmi. “Abbiamo ben altro da fare che occuparci del clima”, sostengono. Che cosa? Risollevare l’economia, rilanciare la crescita, gonfiare il Pil. Ma alla fine quell’”altro” è diventato chiaro: la guerra, le armi. La fallimentare riconversione dell’auto personale da termica a elettrica (un programma insensato) invece di quella della mobilità da individuale a condivisa alla fine ha trovato una soluzione: salvare l’industria tedesca e le sue appendici italiane con i carri armati. Il clima può attendere.

Guerra e salvaguardia del clima (e dell’ambiente) sono incompatibili. Scegliere una, anche solo sostenendone le ragioni, vuol dire ripudiare l’altra. Sotto l’ombrello della conversione ecologica (che è cosa diversa e ben più complessa della transizione energetica, che pure non procede) si ritrovano tutte le questioni che stanno a cuore agli umani e soprattutto alle donne, o alla maggioranza di esse: pace, cooperazione, ambiente, salute, diritto alla vita, al reddito, alla casa, all’istruzione, alla dignità. La guerra è la negazione e l’azzeramento di tutte queste cose: distruzione di vite, di natura, di edifici, di infrastrutture, di lavoro, di rispetto.

“Ma la guerra siamo, siamo stati, obbligati a farla” dicono; dovevamo difenderci, noi, le nostre famiglie, le nostre abitudini, le nostre culture, i nostri confini. E’ quello che sostengono sempre tutte le parti in guerra, o chi le governa e manda gli altri a combattere. Chi mai potrebbe fare la guerra accettando di essere un aggressore? Così, contando, sperando o illudendosi di vincere, si è mandato avanti il massacro invece di cercare una via di uscita sia prima che durante la guerra aperta, per arrivare comunque, prima o poi, a una conclusione peggiore del punto di partenza per tutti: soprattutto per chi ha lasciato sul campo vita, arti, salute mentale o, nelle retrovie, casa, famiglia, lavoro, ambiente. La guerra non ha mai dei vincitori, ma sempre e solo dei perdenti.

Un progetto vero di conversione ecologica promosso e portato avanti in modo partecipato, adeguatamente sostenuto anche se ancora indeterminato, avrebbe potuto, e forse può ancora, essere il fattore qualificante di un’identità dell’Europa proiettata sul futuro e non incatenata solo al suo passato di colonialismo e sopraffazione. Proprio per questo, l’Europa è anche un polo concreto di attrazione per popoli, comunità, forze politiche e persino governi e Stati, in cammino dalla subordinazione all’egemonia di un Occidente che non esiste più verso nuove aggregazioni in fieri che non offrono però alcuna prospettiva di riscatto, perché non fanno i conti con la crisi che incombe e con cui molti devono già fare i conti giorno per giorno. I profughi, i migranti, i rifugiati, gli sfollati (oggi alcune centinaia di milioni, domani, probabilmente, alcuni miliardi), se sostenuti e anche accolti per quello che sono e inseriti in un tessuto sociale rinnovato, invece di respingerli facendo loro la guerra, potrebbero essere un vettore per rendere concreta questa prospettiva.

 

 

 

 

Guido Viale

Alawiti massacrati in Siria, l’UE protegge il governo dei tagliagole jihadisti

Per celebrare l’ascesa di Al Jolani e di HTS, l’Unione Europea  il 25 febbraio 2025 ha dichiarato la sospensione delle sanzioni alla Siria per “sostenere la transizione politica inclusiva”, la “ripresa economica e la stabilizzazione del Paese”.

Non ci voleva un indovino per capire che un ex-terrorista di Al-Qaeda responsabile di massacri brutali prima o poi facesse vedere il suo vero volto, come purtroppo sta accadendo in queste ore.

Una conta infinita di morti civili, tra cui donne e bambini, una giostra infernale di oltre 30 nomi di villaggi alawiti, sulla costa siriana e sulle rive dell’Oronte, dove i corpi degli uccisi sono rimasti a lungo per le strade e dove le case hanno bruciato dopo il passaggio di miliziani sunniti, siriani ma anche stranieri. Dei paesi occidentali e arabi solo la Francia ha condannato le violenze contro gli alawiti siriani (branca dello sciismo identificata da decenni col potere  della famiglia Assad, dissoltosi lo scorso 8 dicembre).

Nella nuova Siria “democratica” governata da ex-tagliagole del Fronte al-Nusra, Abu Amsha, capo di una delle principali milizie del paese, ha inviato i suoi uomini a massacrare gli alawiti sulla costa pronunciando le seguenti parole: “O la Siria diventerà tutta sunnita, o la bruceremo. (…) Chiunque respiri, eliminatelo. Chiunque dica una parola, eliminatelo, chiunque abbia un’arma, eliminatelo, chiunque manifesti, eliminatelo. Niente altro che questo può essere fatto per sistemare le cose” – queste le parole di Abu Amsha.

Un terrorista di HTS ha celebrato il massacro degli alawiti nella città di Baniyas, dicendo: “C’era una città in Siria chiamata Baniyas. Era per metà sunnita e per metà alawita, oggi è per metà sunnita e per metà morta.” Questi sono i tagliagole ex-qaedisti che Europa e Turchia hanno sempre definito “resistenza moderata siriana” e che adesso stanno sostenendo in Siria.

Da giovedì 6 marzo – dopo un agguato da parte dei miliziani alawiti, indicati come “membri dell’ex regime”, contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Jabla, a sud di Latakia, principale porto siriano – le forze di sicurezza e i loro alleati, affiliati al governo di Al Jolani, stanno facendo strage di civili di minoranza sciita alawiti e cristiana in esecuzioni sommarie, accompagnate da saccheggi di case e proprietà, nelle zone di Latakia e dintorni.

Secondo i media mainstream occidentali, sono stati l’uccisione di 14 armati governativi e gli attacchi sferrati da altre cellule dell’ex regime nella regione di Latakia e a Baniyas anche contro civili sunniti (la Rete siriana ha contato 26 civili sunniti uccisi) ad aver innescato una spirale di violenza. I ribelli alawiti siriani, in particolare nella regione di Latakia e nel sud della Siria, rifiutano l’attuale governo golpista ed hanno fatto manifestazioni di massa con assalti alle truppe governative. Contemporaneamente sono partite esecuzioni sommarie da parte dell’esercito governativo, gran parte delle quali sono state compiute tra venerdì e sabato mattina nelle case, per le strade, negli oliveti e nei campi di grano della zona costiera e a ovest di Hama.

Bisogna ricordare però che i massacri che si stanno consumando in Siria ai danni degli alawiti hanno un origine ben precisa, provocata da mesi di persecuzioni, arresti arbitrari, sparizione di persone ed abusi nei loro confronti.

L’Osservatorio per i diritti umani in Siria, che da quasi 20 anni monitora e documenta le violazioni nel paese, ha contato finora massacri di civili uccisi in 40 diverse località tra le regioni di costiere e quelle di Hama e Homs, che hanno coinvolto alawiti e cristiani. Questi ultimi, secondo l’Osservatorio, sono stati uccisi da jihadisti filo-governativi stranieri – caucasici, dell’Asia centrale, nordafricani, egiziani, cinesi – “che non riescono a distinguere tra alawiti e cristiani”. Su questo si era espresso il 9 marzo il patriarca ortodosso di Antiochia che nell’omelia della domenica ha confermato che i massacri di civili hanno colpito anche “molti cristiani innocenti”. “Coloro che sono stati uccisi non erano tutti uomini fedeli al regime, la maggior parte erano civili innocenti e disarmati, tra cui donne e bambini” – ha detto il patriarca ortodosso.

Tra i miliziani jihadisti – come dimostrano diverse testimonianze, foto e filmati – ci sono combattenti caucasici, dell’Asia Centrale e della Cina, rimasti negli ultimi tre mesi sulle montagne tra le regioni di Idlib e quella di Latakia.

Ci sono video raccapriccianti con persone civili e ragazzi inseguite e sparate al momento. Anche la BBC conferma rastrellamenti e omicidi di civili  da parte delle zone governative. C’è anche una petizione che sollecita L’Onu a farsi carico della questione.

Le forze di HTS hanno ucciso anche lo sceicco Abdurrahman Dalia, un religioso sunnita di Idlib, dopo che aveva condannato il massacro degli alawiti nella regione costiera siriana.

Il padre di padre Gregorios Bishara, sacerdote della chiesa di Nostra Signora dell’Annunciazione, è stato ucciso questa mattina per mano delle fazioni armate pro-HTS che hanno fatto irruzione nella città di Baniyas. La parrocchia greca di Antiochia di Latakia sta evacuando i greci di Antiochia dalla regione di Qirdaha, dove si stanno verificando massacri contro gli alawiti. Chiediamo alla Grecia e a Cipro di sostenere questi sforzi.

Il bilancio è in continuo aggiornamento, mentre arrivano dalle varie località colpite i necrologi delle famiglie sterminate, assieme alle numerose foto di corpi scomposti – la cui autenticità è stata verificata incrociando diverse testimonianze sul terreno – e senza vita di uomini, donne e bambini, riversi a terra, sui divani, sui letti, con fori di arma da fuoco al capo, al ventre, al petto.

Così, mentre la “Rete Siriana per i Diritti Umani” – da alcuni considerata vicina al nuovo governo golpista guidato dall’autoproclamato presidente Ahmad Sharaa (al-Jolani), ex comandante di Al-Qaeda in Iraq e fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts) – riferiva di oltre 120 militari governativi uccisi “da membri dell’ex regime degli Assad”; in Siria il bilancio del massacro delle minoranze (su tutte, quelle alauite, cristiane e druse) è salito a 2.500 morti in due giorni.

Continuano ad arrivare testimonianze audiovisive cruente, sovente riprese dalle stesse bande di tagliagole jihadisti (spesso stranieri) che si accaniscono nei villaggi e quartieri con stragi di giovani inermi, di donne, di bambini. Diffondono perfino le immagini con cui strappano il cuore dal petto o decapitano le vittime, con il fine di terrorizzare e far fuggire chi non hanno ancora raggiunto.

Come ha dichiarato Pino Cabras:

“Sono dotati di centinaia di pickup nuovi fiammanti: come per l’ISIS e al-Qa’ida qualche anno fa, il denaro arriva a fiumi da attori ben addentro ad apparati statali legati alle alleanze NATO. Di sicuro sono incoraggiati e coordinati dal nuovo regime di Al-Jolani (un ex-ISIS) che ha rovesciato Assad. Sì, quel tipo barbuto passato dal farsi selfie in tenuta da sgozzabimbi all’indossare completi che mimano una qualche acrobatica rispettabilità.
Riepiloghiamo: squadracce di assassini ferocissimi e guidati dal nuovo governo siriano hanno già fatto una strage quasi doppia rispetto alla strage del 7 ottobre 2023 (quella usata da Bibi il Massacratore, dall’Occidente e dai suoi media come l’unico metro assoluto dell’orrore che doveva giustificare ogni abuso in risposta).”

Nessun giornale italiano del mainstream ha parlato del massacro di cristiani ed alawiti in Siria. Forse la notizia crea imbarazzo: dopo avere esaltato i jihadisti al potere, non è facile scrivere che si tratta di tagliagole. Meglio ignorare la nuova carneficina in atto, anche perché i video, raccapriccianti, nessuno riuscirebbe a guardarli!

Di fronte a questa furia genocida la portavoce Kaja Kallas, Alta Rappresentante dell’inesistente politica estera della UE, ha dichiarato:

“L’Unione Europea condanna fermamente i recenti attacchi, presumibilmente condotti da elementi filo-Assad, contro le forze del governo ad interim nelle aree costiere della Siria e ogni forma di violenza contro i civili.”

La UE invece di condannare il genocidio di civili in Siria, ha condannato gli sciiti alawiti siriani che si sono ribellati, definendoli le “forze di Assad”.

Di fronte alle aberrazioni commesse dai terroristi che governano la Siria, un comunicato del genere è vergognoso. Un comunicato ributtante che rovescia la realtà e che spiega il cinismo agghiacciante e la menzogna patologica dei burocrati di Bruxelles. La condanna dell’UE nei confronti di “elementi pro-Assad” mentre centinaia di alawiti inermi stanno venendo massacrati a sangue freddo è sorprendente e allo stesso tempo sconcertante e vergognosa. Questa è la stessa UE che ha condannato Hamas per non aver accettato l’estensione della prima fase del cessate il fuoco a Gaza, quando è Israele che ha violato gli accordi imponendo il blocco degli aiuti nella Striscia. L’UE, “baluardo della democrazia e dei diritti umani”, dunque sostiene il genocidio israeliano a Gaza, la violenza settaria contro civili inermi in Siria, e rifiuta la prospettiva di un negoziato in Ucraina promuovendo il riarmo contro una minaccia inesistente. L’UE nella sua dichiarazione ha sostenuto il governo provvisorio golpista di stampo ex-qaedista della Siria, rendendosi complice del massacro in Siria.

Per contro, il segretario di Stato USA, Marco Rubio, fa uscire un comunicato che ripristina un minimo di decenza: “Gli Stati Uniti condannano i terroristi islamici radicali, compresi i jihadisti stranieri, che negli ultimi giorni hanno ucciso persone nella Siria occidentale. Gli Stati Uniti sono al fianco delle minoranze religiose ed etniche della Siria, tra cui le comunità cristiana, drusa, alawita e curda, ed esprimono le proprie condoglianze alle vittime e alle loro famiglie.”

Risalta così maggiormente la follia che ha imprigionato l’Europa istituzionale. E nel momento in cui gli “ursuliani” chiamano “putiniani” quelli che non vogliono la loro guerra, proprio in Siria scopriamo che un minimo di civiltà è ora protetto proprio dai russi: migliaia di disperati hanno trovato riparo, protezione e un pasto caldo nella base militare russa di Khmeimim.

Nel frattempo, il presidente del governo di transizione Amhed al-Sharaa (già Abu Muhammad al-Julani) è intervenuto ieri sera con un discorso pubblico, di fatto a sostegno delle uccisioni in corso, minacciando “i membri dell’ex regime” di arrendersi senza però condannare le violazioni dei miliziani fino a poche settimane ai suoi ordini. In seguito ha aggiunto: “Dobbiamo preservare l’unità nazionale e la pace interna, possiamo convivere”. Una convivenza che c’è sempre stata in Siria tra minoranza cristiane, islamiche sciite e sunnite e druse che è stata proprio messa in crisi fin dal 2011 con lo scoppio della guerra in Siria e l’avvento delle truppe jihadiste sul territorio. Una crisi – secondo Wikileaks ben voluta da USA e Israele – che ha fatto di tutto per far crollare l’unico avamposto laico e pluralista del Medioriente: la Siria baathista.

In altre parole dopo la caduta di Assad la situazione ha preso una brutta bruttissima piega  come ad esempio è successo in Libia anni fa e ancora continua.

Lorenzo Poli

USA, caccia agli studenti pro Palestina alla Columbia University di New York

La Columbia University di New York ancora nel mirino. Dopo la sospensione di 400 milioni di fondi federali, arrestato senza accuse Mahmoud Khalil, studente pro palestinese tra i più noti dell’ateneo, che ora rischia l’espulsione forzata dal Paese nonostante la sua green card e la moglie incinta.

La notizia si è sparsa domenica, ma Mahmoud Khalil, studente palestinese laureato alla Columbia University, è stato arrestato sabato mattina dalle autorità federali per l’immigrazione

Khalil, che è sposato con una donna americana attualmente incinta di otto mesi, lo scorso aprile ha avuto un ruolo di primo piano nelle proteste pro Palestina cominciate alla Columbia. Sabato gli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement, Ice, lo hanno prelevato dalla sua residenza universitaria e lo hanno preso in custodia, come ha dichiarato all’Associated Press la sua avvocatessa, Amy Greer.

Dopo l’arresto, lo studente ha potuto chiamare la legale, che a sua volta ha potuto parlare con uno degli agenti, il quale ha affermato di agire in base agli ordini del Dipartimento di Stato e che il visto studentesco di Khalil era stato revocato.

Informato dall’avvocatessa che Khalil si trova negli Stati Uniti non con un visto ma come residente permanente grazie a una green card, l’agente ha risposto che stavano revocando anche quelle.

L’arresto di Khalil è avvenuto il giorno dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump di avere tagliato circa 400 milioni di dollari in contratti e sovvenzioni governative alla Columbia University “per non aver protetto i suoi studenti ebrei”.

Quando gli agenti dell’Ice sono arrivati all’edificio del campus hanno inizialmente minacciato di arrestare anche la moglie di Khalil, ha detto Greer e le autorità inizialmente hanno rifiutato di dire perché l’uomo venisse arrestato.

È stato necessario aspettare il giorno successivo per avere una risposta, quando la portavoce del Dipartimento della Sicurezza Interna, Tricia McLaughlin, ha confermato l’arresto descrivendolo come “a sostegno degli ordini esecutivi del presidente Trump che proibiscono l’antisemitismo”, per cui chi ha partecipato alle proteste, per l’amministrazione Trump, ha perso il diritto di rimanere nel Paese, in quanto sostenitore di Hamas.

Da quando è stato arrestato dello studente non si è saputo più nulla. L’avvocato di Khalil ha riferito che inizialmente le era stato detto che era trattenuto in un centro di detenzione per immigrati ad Elizabeth, nel New Jersey, ma quando sua moglie ha cercato di fargli visita, domenica, ha scoperto che non era lì. Domenica sera Greer ha dichiarato di non sapere ancora dove si trovi il suo assistito. “Si tratta di una chiara escalation” ha detto Greer all’Ap. “L’amministrazione ha iniziato a dare seguito alle minacce”.

Dall’ateneo non sembra arrivare alcun aiuto: un portavoce della Columbia University ha dichiarato che gli agenti delle forze dell’ordine prima di entrare nella proprietà dell’università devono esibire un mandato, ma si è rifiutato di dire se la Columbia ne avesse ricevuto uno prima dell’arresto di Khalil, e si è poi rifiutato di commentare sia l’arresto che la scomparsa del loro studente.

In un messaggio postato domenica sera su X, il Segretario di Stato Marco Rubio ha affermato che ora l’amministrazione “revocherà i visti e/o le green card dei sostenitori di Hamas in America in modo che possano essere espulsi”.

La legge Usa ha sempre previsto che il Department of Homeland Security, per un’ampia gamma di presunte attività criminali, incluso il sostegno a un gruppo terroristico, potesse avviare procedimenti di espulsione anche per  i titolari di green card, ma la detenzione di un residente permanente legale, che non è stato accusato di alcun crimine, segna una mossa straordinaria che ha un fondamento giuridico traballante.

Khalil, che lo scorso semestre ha conseguito il master presso la facoltà di affari internazionali della Columbia, durante le proteste aveva svolto il ruolo di negoziatore fra gli studenti e i funzionari universitari, riguardo lo smantellamento  dell’accampamento di tende. Questo ruolo lo aveva reso uno degli attivisti più visibili nel movimento universitario pro Palestina.

L’università lo aveva poi accusato a causa del suo coinvolgimento nel gruppo Columbia University Apartheid Divest, e Khalil aveva dovuto affrontare delle sanzioni “per aver aiutato a organizzare un corteo non autorizzato” in cui i partecipanti avevano glorificato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, e per aver svolto un “ruolo sostanziale” nella circolazione di post sui social media in cui si criticava il sionismo.

“Ho circa 13 accuse contro di me, la maggior parte delle quali sono post sui social media con cui non ho avuto nulla a che fare” aveva detto Khalil all’Ap la scorsa settimana. “Vogliono solo dimostrare al Congresso e ai politici di destra che come università stanno facendo qualcosa, indipendentemente dalla posta in gioco per gli studenti”.

Marina Catucci da il Manifesto

Osservatorio Repressione