Stato di diritto con tribunali speciali
Da oltre un anno assistiamo sgomenti all’ennesimo genocidio della storia umana contro la popolazione inerme di Gaza e Cisgiordania. Secondo il ministero della salute palestinese, dall’8 ottobre 2023 al 19 gennaio 2025, le persone morte sono state 46.913 (di cui circa il 60% donne, anziani e bambini) e 110.750 quelle ferite. A questi si aggiungano le 186.000 vittime indirette causate dalla guerra, una infinità di persone traumatizzate psicologicamente, soprattutto giovanissime e infanti. Oltre a un elevato numero di dispersi ancora sotto le macerie. Dati non definitivi, purtroppo.
Un anno e mezzo di sistematica distruzione, ha privato il territorio di Gaza di qualsiasi risorsa e infrastruttura indispensabile alla sopravvivenza. Un vile blocco degli aiuti umanitari alla popolazione si è protratto per molti mesi. E’ recentissimo l’avvio dello scambio di prigionieri politici e ostaggi, sotto l’egida di una fragile tregua costantemente in pericolo a causa di azioni e reazioni belliche da tutte le parti.
La devastazione provocata dai bombardamenti israeliani, ha dato linfa alle solite speculazioni imprenditoriali. Le motivazioni addotte da Israele di “lotta al terrorismo” e “diritto alla difesa” hanno anche permesso agli USA di testare nuove strategie di offese diplomatiche.
Questa guerra di annichilimento ha toccato la sensibilità della società civile in diversi Paesi, trasformando rapidamente l’ondata di sdegno in un forte movimento di solidarietà verso il popolo palestinese.
In Italia, il tentativo di molti mass-media e forze politiche di screditare il movimento “pro-Pal” e la tiepida opposizione hanno permesso al governo di reprimere impunemente ogni espressione di dissenso popolare. Non soltanto per imprimere alla politica interna un sempre maggiore autoritarismo anti libertario di stampo neofascista, ma anche per difendere gli interessi delle lobby impegnate nella cosiddetta “economia di guerra”. Inoltre l’azione di governo ha dimostrato una acquiescente obbedienza al più becero imperialismo made in USA (e quindi anche made in Israele).
Questa sudditanza appare chiaramente nel clima di intimidazione verso chiunque voglia scendere in piazza, con violente cariche sui manifestanti, arbitrari fermi di polizia, fogli di via e arresti, fino a prendere corpo plasticamente nella spinosa vicenda giudiziaria di Anan Yaeesh.
Originario di Tulkarem, nella Cisgiordania occupata, Anan, 37 anni, ex-prigioniero politico di Israele, vive e lavora a L’Aquila dal 2017 come cittadino straniero sottoposto a protezione internazionale. Questo status gli è stato concesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Foggia, sulla base del Rapporto delle Nazioni Unite redatto dalla Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese.
Pur non avendo commesso reati nel territorio italiano, il 27 gennaio 2024 Anan è stato fermato dalla DIGOS con l’accusa, mossagli da Israele, di appartenere ed essere finanziatore delle Tulkarem Brigade, una formazione armata che riunirebbe giovani provenienti dalle varie fazioni della Resistenza palestinese, da Hamas a Fatah.
Malgrado non sussistano elementi a suffragio della misura cautelare, la Corte di Appello aquilana ne ha disposto comunque l’arresto temporaneo a scopo di estradizione e dal 29 gennaio 2024 Anan viene trattenuto in carcere.
Il provvedimento è risultato illegittimo secondo il diritto internazionale, lo Statuto delle Nazioni Unite, la Convenzione di Ginevra e i due Protocolli aggiuntivi, poiché basato più sui rapporti diplomatici tra Italia e Israele che non sulla giurisprudenza. Così, nel marzo 2024, la Corte d’Appello de L’Aquila ne ha decretato la revoca.
Non volendo mollare “la preda”, le autorità israeliane ne hanno richiesto l’estradizione. L’istanza è stata respinta in quanto l’ordinamento giuridico italiano non la prevede quando, come in questo caso, “vi è ragione di ritenere che l’imputato o condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona. L’estradizione non viene altresì concessa per reati politici, per motivi di razza, religione o nazionalità o per reati puniti all’estero con la pena di morte”.
Due giorni prima della revoca della custodia cautelare disposta dalla Corte d’Appello, Yaeesh è stato raggiunto da una nuova ordinanza di carcerazione preventiva con l’accusa di terrorismo ed è stato rinviato a giudizio insieme ai suoi coinquilini, Ali Irar e Mansour Doghmosh.
Successivamente, previo ricorso dei suoi legali (avv. Flavio Rossi Albertini e Stefania Calvanese) la Corte di Cassazione e il Tribunale della Libertà ne hanno ordinato il rilascio in attesa di processo.
Nello stesso mese lo stato israeliano ha poi ritirato la richiesta di estradizione.
Ma le peripezie giudiziarie di Anan Yaeesh sono proseguite con un terzo provvedimento di custodia cautelare dell’aprile del 2024.
A luglio 2024, per Ali Irar e Mansour Doghmosh, è stata annullata la carcerazione preventiva con rinvio in Corte d’Appello, ma la sesta sezione penale della Cassazione ha confermato, invece, la carcerazione nei confronti di Yaeesh. Misura confermata anche nell’udienza preliminare del processo a suo carico, tenutasi il 26 febbraio 2025 davanti al gup Guendalina Buccella del Tribunale de L’Aquila.
Oltre a questi avvenimenti, nella loro particolare successione e tempistica, è importante sottolineare soprattutto due passaggi compiuti dalle autorità italiane in questa vicenda.
Primo: non essendo in possesso di sufficienti elementi utili all’istruttoria processuale, gli inquirenti italiani hanno richiesto a Israele di collaborare alle investigazioni (scelta degna di nota considerando il clima a dir poco persecutorio nei confronti dei palestinesi da parte del governo israeliano).
Secondo: Anan Yaeesh si è autodefinito “resistente palestinese e comandante partigiano” e ha richiesto di non consegnare alle autorità israeliane il suo telefono, contenente informazioni in suo possesso in quanto tale. Il governo italiano ha pensato bene di fare esattamente il contrario, mettendo così a repentaglio l’incolumità sua e di altre persone in Palestina.
La coincidenza tra le richieste fatte da Israele e la tempistica dei provvedimenti giudiziari emessi dalla magistratura italiana per l’avvio di questo processo, evidenziano la spregiudicatezza con cui il potere costituito muova le pedine dell’esecutivo e del sistema giudiziario come armi repressive e persecutorie in difesa di interessi particolari e geopolitici, piuttosto che nell’interesse della giustizia stessa. Il rinvio a giudizio con l’accusa di terrorismo nei confronti di Anan Yaeesh, infatti, assomiglia molto ad un escamotage dittatoriale per ovviare al rigetto della richiesta di estradizione, nonostante le evidenti violazioni dei suoi diritti possano legittimare addirittura un processo per complicità con Israele in crimini di guerra e contro l’umanità.
L’utilizzo repressivo e persecutorio dei processi giudiziari ai danni degli oppositori politici riporta la mente a più tristi e sanguinari anni della storia d’Italia. Con le offensive reazionarie sempre più lampanti come il ddl sicurezza o la separazione delle carriere, che tendono a rafforzare e accentrare il potere, è impossibile non ravvisare i presupposti di un sistema sempre più autoritario, di una violenta escalation neofascista che tanto si ispira all’istituzione di un tribunale speciale per la difesa dello Stato.
Questa democratura potrebbe spalancare un’autostrada ad una nuova dittatura clericofascista e guerrafondaia che sarebbe difficile da contrastare, se non mediante il risveglio di una coscienza sociale critica e consapevole, un movimento che si indirizzi compatto verso la creazione di una società finalmente libertaria, inclusiva, laica, equa e mutualistica, basata su principi etici di pace e armonia tra i popoli.
‘Gnazio & Melitea
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