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Cultura e Media

I rischi del web per le nostre ragazze e i nostri ragazzi

Il 58% dei giovani sotto i 26 anni individua nel revenge porn il rischio maggiore che si corre sul web.

Seguono l’alienazione dalla vita reale (49%), le molestie (47%) e il cyberbullismo (46%).

Con l’abbassarsi dell’età è però proprio il cyberbullismo che diventa il rischio più temuto: indicato dal 52% degli under 20.

Sono alcuni dei dati dell’indagine dell’Osservatorio indifesa realizzato da Terre des Hommes, insieme a Scomodo, che ha coinvolto oltre 2.700 ragazzi e ragazze sotto i 26 anni.

I ragazzi chiedono una maggior regolamentazione del web: il 70% ritiene, infatti, che regole più severe potrebbero essere utili nel limitare la violenza online.

Il 13% rimane comunque scettico, sostenendo che una regolamentazione non servirebbe a niente; solo il 6% ritiene che ciò potrebbe limitare la libertà.

Se il revenge porn è il fenomeno più temuto, è perché i ragazzi si rendono conto dei rischi di condividere materiale intimo, come foto e video, con altri, con il partner o con gli amici: l’86% riconosce questa pratica come pericolosa.

Percentuale che si alza tra le donne e si abbassa leggermente col crescere dell’età.

I ragazzi sono inoltre consapevoli di poter denunciare la condivisione di materiali a contenuto intimo e chiederne la rimozione, anche se il 12,5% non sa cosa fare o pensa di non poter fare niente.

Nonostante la consapevolezza dei rischi per la privacy oltre la metà degli intervistati dichiara di aver condiviso la password del proprio telefono o dei propri social media.

A proposito di condivisione, il 75,6% considera una forma di controllo inaccettabile che il/la proprio/a partner acceda al cellulare per controllare quello che fa, solo il 2,5% al contrario pensa che sia una forma di rispetto, ma a più di 1 persona su 5 (22%) questo gesto non crea problemi.

E il dato sale se si guardano le fasce di età più basse (32% per la fascia 15-19, 36% per gli under 14).

Dall’Osservatorio indifesa emerge una generazione che ha esperienze di violenza e che la sa riconoscere, anche nelle sue forme più sottili.

La metà dei ragazzi intervistati (48%) dichiara di aver subito un episodio di violenza.

Le forme più comuni risultano: violenza verbale e psicologica (59,5%), catcalling (52%), bullismo (43%), molestie sessuali (38,5%).

Mentre la violenza verbale e psicologica viene subita in egual misura da maschi e femmine e in percentuale più alta (78%) dalle persone non binarie, le altre forme hanno una rilevante connotazione di genere, con catcalling (F 67%, M 6%) e molestie sessuali (F 45%, M 18%) subite in larga maggioranza dalle ragazze e, al contrario, bullismo (F 35%, M 66%) dai maschi.

Sale moltissimo la percentuale di maschi under 14 che ha subito bullismo (89%), dimostrando che questa forma di violenza è particolarmente sentita nei contesti scolastici o tra gruppi di coetanei.

Le persone non binarie sono, invece, vittime di tutte e tre le tipologie: al 50% di bullismo e catcalling e al 42% di molestie sessuali.

L’incidenza di catcalling e molestie sessuali, inoltre, aumenta con l’età, mentre gli atti di bullismo sono più frequenti nelle fasce d’età più basse.

Sebbene tra la GenZ sia forte la consapevolezza dei pericoli della rete, resta la scuola, trasversalmente per ogni età, il luogo dove, per la maggior parte degli adolescenti, è più probabile che avvengano episodi di violenza, è così per il 56,5% dei ragazzi e delle ragazze.

Sono percepiti come pericolosi anche la strada (48%) e i luoghi di divertimento (47%) e sappiamo dai nostri Osservatori precedenti che anche il web si posiziona al 39%.

Terre des Hommes, in collaborazione con OneDay e ScuolaZoo, porta avanti dal 2014 l’Osservatorio indifesa per ascoltare la voce dei ragazzi e delle ragazze italiane su violenza di genere, discriminazioni, bullismo, cyberbullismo e sexting.

Con il 2025 la Fondazione ha avviato una nuova partnership con Scomodo, la comunità reale di under 30 che dal 2016 crea spazi di espressione, condivisione e crescita per le nuove generazioni in tutta Italia.

Ad oggi più di 72.000 adolescenti di tutta Italia sono stati coinvolti in quello che rappresenta, l’unico punto d’osservazione permanente su questi temi.
Uno strumento fondamentale per orientare le politiche delle istituzioni e della comunità educante italiana.

Qui per approfondire: https://terredeshommes.it/comunicati/osservatorio-indifesa-2025-i-rischi-del-web-secondo-la-genz/.

Giovanni Caprio

Prossimo futuro n. 213  24 Febbraio – 2 Marzo

Bollettino di informazione della redazione di Pressenza sugli eventi della prossima settimana. Inviare le notizie a redazioneitalia@pressenza.com entro la domenica prima dell’evento.

 

APPUNTAMENTI FISSI

 

Digiuno nonviolento

Ogni domenica

Prosegue la staffetta dei digiunanti per la pace organizzata da Coordinamento Capitanata per la pace – Arca della pace

Per maggiori informazioni: ARCA DELLA PACE – Coordinamento Capitanata per la pace

calzoni.pa@gmail.com

 

Genova. ora in silenzio contro la guerra

 

Tutti i mercoledì dalle 18,00 alle 19,00 in piazza De Ferrari sui gradini del palazzo ducale

 

Torino

 

Presenza di Pace  tutti i sabato mattina dalle ore 11 in Piazza Carignano

 

Firenze

 

Ogni prima domenica del mese in Piazza dell’Isolotto dalle ore 9,30 per tutta la mattinata Insieme per la Pace, maratona di letture e testimonianze per la pace.

 

Roma

 

Appuntamento tutti i giovedì alle 18.15, davanti al Teatro dell’Opera di Roma, angolo via Torino. sfilata silenziosa di fronte al Viminale, sede del Ministero degli Interni, per protesta contro le politiche migranticide; organizza da Mani Rosse Antirazziste.

 

No Other Land: tutte le proiezioni del documentario

Wanted Cinema, con il patrocinio di Amnesty International Italia, è lieta di presentare il documentario No Other Land (2024), premiato alla Berlinale 2024 e agli EFA (European Film Awards) 2024 come Miglior Documentario. Questo film, realizzato da un collettivo palestinese-israeliano di quattro giovani attivisti, è stato co-creato durante i tempi più bui e spaventosi della regione, come atto di resistenza creativa contro l’Apartheid e come ricerca di un cammino verso l’uguaglianza e la giustizia.

L’elenco delle proiezioni e dei cinema dove è in programmazione su trovano qui:

https://www.wantedcinema.eu/it/article/no-other-land

 

APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA

Giro delle associazioni premiate con il Premio Alexander Langer 2025

Il Premio Internazionale Alexander Langer 2024 è stato attribuito alla collaborazione fra due organizzazioni, una palestinese e una israeliana. Youth Of Sumud (‘Gioventù della Perseveranza’) si fa interprete della resistenza nonviolenta palestinese nell’area delle colline a sud di Hebron in Cisgiordania, mentre Ta’ayush (‘Vivere Insieme’) è espressione della società civile israeliana che agisce per la convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani.

Dal 10 al 28 febbraio 2025 i rappresentanti di Youth Of Sumud e Ta’ayush hanno intrapreso un viaggio toccando diverse città italiane – accompagnati da attiviste e attivisti di Mediterranea Saving Humans e Operazione Colomba e da rappresentanti della Fondazione Langer.

  • Padova, 25.2, ore 17:30 Sala Rossini, Caffè’ Pedrocchi in Piazzetta Pedrocchi 8 – evento organizzato da Fondazione Alexander Langer, Mediterranea Saving Humans, Operazione Colomba, Assopace e diverse altre realtà
  • Reggio Emilia, 27.2, ore 18:00, Sala del Tricolore in Piazza Prampolini 1 – evento organizzato da Mediterranea Saving Humans, Europe for Peace,  Fondazione Alexander Langer e il Comune di Reggio Emilia.

 

Trasformare lo spirito umano per un mondo libero di armi nucleari

31 gennaio-23 marzo 2025 Chiostro di Santa Maria Novella – Piazza della Stazione, 6 Firenze

Mostra multimediale promossa dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

La mostra è aperta dal lunedì al giovedì, 9:00-19:00; dal venerdì alla domenica, 9:00-20:00; prenotazione necessaria per scuole e gruppi. Ingresso Gratuito

 

LIBERARE SPAZI – dialoghi sul protagonismo giovanile

 Lunedì 24 febbraio Ore 18.00 Smart Lab, Rovereto

La serata si aprirà con una conversazione e momento di confronto sulle politiche giovanili, un’occasione unica per esplorare le sfide e le opportunità delle politiche giovanili oggi attraverso le esperienze della Provincia Autonoma di Bolzano, Reggio Emilia e Rovereto.

Seguirà un momento di dibattito aperto con il pubblico e la presentazione del bando 2025 del Piano Giovani Rovereto (roveretogiovani.it) , un’importante opportunità per supportare e realizzare idee e progetti dei e delle giovani. L’evento è gratuito e aperto a tutte le persone interessate. 

 

Giornata di mobilitazione virtuale: per il cessate il fuoco in Ucraina, per ribadire il ripudio della guerra

Lunedì 24 febbraio 2025 in diretta dalle ore 10:00 alle ore 22:00

sul canale YouTube di Rete Pace Disarmo e in diretta streaming sulle piattaforme digitali delle organizzazioni promotrici

Tre anni dell’invasione della Russia in Ucraina. Tre anni di guerra. Tre anni di escalation militare. tre anni in cui l’Europa è piombata in una economia di guerra. Tre anni di morti, distruzioni, milioni di sfollati. Tre anni di guerra alla natura e alle risorse del pianeta. Tre anni di oblio della ragione e della politica, in balia della violenza delle armi, dell’arroganza e della prepotenza.

Cessate il fuoco è la priorità, oggi più di ieri. Fermare la guerra in Europa per ristabilire giustizia e sicurezza condivisa con gli strumenti della politica e della diplomazia, nel quadro del diritto internazionale e non con nuovi ricatti, affari o accordi segreti.

Invitiamo a far sì che il prossimo 24 febbraio, con la maratona virtuale e nelle piazze (anche nei giorni precedenti) diventi occasione di mobilitazione e di riflessione per capire il perché e le responsabilità, per fare i conti con questa guerra europea, per ascoltare le voci della nonviolenza e per ribadire che esiste un’alternativa alla guerra: la politica di pace.

 

Fare quanto è giusto

Lunedì 24 febbraio alle ore 17:30  Villa S. Ignazio – Via delle Laste, 22 Trento 

I𝗻𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗱𝗲𝗱𝗶𝗰𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲𝗰𝗶𝗽𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗲 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹𝗲 con 𝗚𝗶𝗮𝗰𝗼𝗺𝗼 𝗱’𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼, autore del libro “Fare quanto è giusto”. 

Il testo esplora le storie e i vissuti degli “eroi invisibili”, le persone che, ogni giorno, portano avanti il lavoro sociale nel nostro Paese nonostante difficoltà e disillusioni.

 Durante la serata alcune 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗶 𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘀𝘁𝗲 𝗲 𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘃𝗶𝗱𝗲𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗹𝗲 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗲𝘀𝗽𝗲𝗿𝗶𝗲𝗻𝘇𝗲 per ispirare nuove forme di partecipazione!

 

Riforma della Giustizia. Cosa prevede e con quali conseguenze?

24 febbraio alle 18.00, presso “L’altro Teatro” di Cadelbosco di Sopra (RE) Galleria Giuseppe Carretti , n.2/a

L’iniziativa è organizzata dal Movimento Agende Rosse Rita Atria Reggio Emilia in collaborazione col Comune di Cadelbosco di Sopra ed è patrocinata dalla Consulta Provinciale per la Legalità.

All’iniziativa interverranno esperti qualificati quali il magistrato Calogero Gaetano Paci, Procuratore della Repubblica di Reggio Emilia e il magistrato Francesco Maria Caruso, già Presidente dei tribunali di Reggio Emilia e di Bologna nonché del collegio giudicante del processo Aemilia. La conduzione del dibattito sarà a cura di Paolo Bonacini, giornalista e scrittore.

 

Contro la guerra, per la pace! sosteniamo il dialogo! rifiutiamo il riarmo!

24 febbraio ore 17:30 via sparano angolo via dante, bari (ba)

no all’invio di armi e soldati in ucraina! no all’escalation della guerra! no alla falsa equazione “Russia = III Reich”, che prospetta una guerra permanente contro la Russia e ipoteca il futuro delle nuove generazioni! no al forte aumento delle spese militari (oltre il 3% del PIL) che i vertici della UE si apprestano a varare! sì agli investimenti di pace per sanità, scuola, servizi sociali! sì al dialogo tra Usa e Russia per fermare la guerra!

Per maggiori informazioni:

Comitato articolo 11 Bari – L’Italia ripudia la guerra

articolo11.bari@gmail.com

 

La presidenza Trump e la “fine” della guerra in Ucraina: situazione e prospettive

25 FEBBRAIO 2025 – ore 20:30, Centro per la Pace di Forlì, Via Andrelini, 59, Forlì 

A tre anni dall’inizio del conflitto in Ucraina, ci troviamo a riflettere su scenari attuali e futuri grazie alla collaborazione con Project MEAN e Operazione Colomba. 

Quale sarà l’impatto della presidenza Trump sul conflitto? Quali sono le prospettive di pace? Interverranno il Corpo di Pace di APG23 in collegamento dall’Ucraina e Angelo Moretti, portavoce del movimento Project MEAN.

 

Europa, NATO e… La guerra continua

Ne parliamo con il Generale di corpo d’armata, già Capo di Stato Maggiore della Nato, FABIO MINI e con il Presidente di Peacelink ALESSANDRO MARESCOTTI, martedì 25 febbraio ore 18.00, presso la Biblioteca Bernardini, Piazzetta Carducci, Lecce.

Per maggiori informazioni:
https://www.facebook.com/share/p/1A2MWMUp3E/
Polo Bibliomuseale ed altri

 

Cosa ci tiene uniti? 

Martedì 25 febbraio (h20:30),  Vigilianum (via Endrici 14, Trento), 

In un mondo che cambia velocemente, dove le istituzioni democratiche sono messe alla prova, ci siamo mai chiesti cosa ci tiene davvero insieme come società?

Ne parleremo con esperti e testimoni d’eccezione, partendo dal libro “Cosa ci tiene uniti? Per una grammatica della partecipazione” di Giuseppe Riggio SJ 

Interverranno:

 Mauro Bossi SJ e Cesare Sposetti SJ di Aggiornamenti Sociali

Daria de Pretis, già vicepresidente della Corte Costituzionale

 Vincenzo Passerini, scrittore e autore di La speranza che muove il mondo

con la moderazione di Cinzia Toller, giornalista RAI

 

“Fino alla liberazione dalla guerra. Pensieri, azioni, speranze di pace”

Martedì 25 Febbraio  ore 17.30 sala Gandhi via Giuseppe Garibaldi, 13, Torino

Presentazione del libro “Fino alla liberazione dalla guerra. Pensieri, azioni, speranze di pace” di Enrico Peyretti

info: https://serenoregis.org/evento/presentazione-del-libro-fino-alla-liberazione-dalla-guerra/

 

 

 

Destra-sinistra: una dicotomia superata?

Il gruppo milanese “Progetto Nonviolento” terrà un dibattito, aperto al pubblico, il prossimo 25 febbraio con il titolo: “Destra-sinistra: una dicotomia superata?” L’evento avrà luogo dalle 18:30 alle 20:30 presso lo Spazio Tadini in via Niccolò Jommelli 24, Milano, e solleverà le seguenti domande: quella tra “destra” e “sinistra” è una dicotomia completamente superata dai fatti oggi e sarebbe dunque meglio abbandonarla completamente?  Oppure la dicotomia è ancora in grado di indicare differenze storicamente fondate, tuttora esistenti sul piano ideale, ma che non esistono più sul piano fattuale, perché su questo piano è scomparso uno dei poli della dicotomia? 

Paleranno il prof. Vincenzo Costa, ordinario di filosofia all’università Vita e Salute San Raffaele di Milano, e Aligi Taschera, già docente di Filosofia e Storia presso diversi licei milanesi.   Dopo i loro interventi introduttivi, ampio spazio verrà lasciato ad un dibattito libero tra i presenti.

 È gradita la prenotazione con una email indirizzata a: progettononviolentomilano@proton.me  

 

Due o tre cose che (non) so del genere

Incontri e-visioni fuori dai binari

Una rassegna di film e incontri per esplorare tematiche di attualità attraverso la prospettiva di genere

26 FEB ore 18 Proiezione HarpoaLab, Piazza Giovanni Battista Garzetti, 24, Trento

4 LUNI, 3 SAPTAMANI SI 2 ZILE/4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI (Cristian Mungiu, 2007, 113′)

26 FEB ore 20.45 Incontro

La salute è un diritto di genere

Con Alessandra Vescio Modera Zona Franca APS

 

Prospettive di pace

26 Febbraio ore 20:45 presso l’Aula Magna dell’Istituto Saraceno Romegialli di Morbegno

Incontro con la partecipazione, in qualità di relatore, di Francesco Vignarca, Coordinatore nazionale delle campagne Rete Italiana Pace e Disarmo.

 

Incontro con Luisa Morgantini

Giovedì 27 febbraio  ore 21:00  incontro online organizzato da Pressenza con Luisa Morgantini che da oltre due mesi si trova in Palestina la intervisterà Andrea de Lotto cercheremo con lei di capire: cosa avviene in quelle terre,  come stanno le persone, cosa potrebbe succedere, come dobbiamo attivarci.  https://www.facebook.com/Pressenzaltalia/

https://youtube.com/@pressenzaitalia?si=bfSziAOwild2mHIf

 

FUTURI?

27 febbraio ore 18 spazio Ramé – Trento, via Madruzzo 66 (ai Tre Portoni)

Conversazione con Giovanni Mori su ciò che ci aspetta.

A cura di Tommaso Bonazza

Giovanni Mori, ingegnere energetico e ambientale, attivista per il clima e ex portavoce di Fridays for Future Italia

Organizza: Comitato permanente di difesa delle acque del Trentino

 

I percorsi di un lampadiere

Giovedì 27 febbraio ore 18.00 BiblioteCaNova Isolotto – Via Chiusi, 4/3 Firenze

Presentazione del libro: I percorsi di un lampadiere Piero Nesi incontra Tom Benettollo A cura di Moreno Biagioni (Edizioni Piagge, 2024) con Moreno Biagioni, Daniela Morozzi, Alessia Petraglia, Laura Sonnino.

 

Da Gaza alla Cisgiordania: altro fronte, stessa guerra. Israele lancia il Muro di Ferro

Venerdì 28 Febbraio Ore 17,00 Casa Del Popolo La Montanina Via di Montebeni 5 Fiesole

Serata di Finanziamento dei Progetti di Assopace Palestina; testimonianza di Qusay Abbas, operatore dello Youth Development Department di Gerusalemme; Interventi di: Manfredi Lo Sauro – Coordinatore Cooperazione Internazionale Arci, Luisa Morgantini – Assopace Palestina.

Segue cena di autofinanziamento prenotazioni: 3397247479

 

La ludopedagogia è tornata in Città! Giochiamo per trasformare i conflitti! 

venerdì 28 Febbraio | ore 15.00 – 18.00 Centro Sereno Regis Sala Poli via Giuseppe Garibaldi, 13, Torino

Partecipa a un’esperienza di apprendimento METTENDO IN GIOCO il tuo corpo, il tuo cuore, le tue emozioni con educatori e animatori giovanili provenienti da 8 paesi .

“Assaggeremo” insieme l’approccio educativo della Ludopedagogia, un approccio nato in Uruguay negli anni ’70, che utilizza il gioco come forma di apprendimento profondo e strumento di empowerment e trasformazione sociale.

Il seminario permetterà lo scambio di riflessioni e apprendimenti fra educatori che lavorano con giovani provenienti da contesti di conflitto armato.

L’attività è gratuita! Iscriviti al link

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdB_tuxAgWDL1AFB297250ECdQlmMVue0Tke2TvtGPJL9xSOQ/viewform?usp=header

Siria, riscrivere la storia

La caduta del regime di Bashar al Assad ha segnato una nuova pagina nella storia della Siria. Quali sono gli scenari ora? Quali le prospettive, quali le paure? Esiste una speranza per la pace?

Per maggiori informazioni:

Università per la pace delle Marche

Conflitto in Palestina: genocidio, armi, informazione e speranze di pace

1 Marzo ore 10:00 Auditorium Scuole – Via P. Togliatti 1/b – Ingresso da Parco Collodi – Roncadelle

Promosso dal Coordinamento degli Enti Locali per la Pace e la Cooperazione Internazionale di Brescia in collaborazione con Amnesty International Lombardia

Intervengono: Tina Marinari – Coordinatrice campagne di Amnesty International Italia; Elisa Brunelli – Giornalista, autrice dell’inchiesta Il calibro dei coloni per Altreconomia; Anna Maria Selini – Giornalista, autrice del podcast La guerra dei giornalisti, Sergio Bassoli – Coordinatore esecutivo Rete Pace e Disarmo, Modera Agostino Zanotti – Coordinamento degli Enti Locali Pace e cooperazione Internazionale

 

DIRITTI vs ROVESCI ovverossia CURA vs EMERGENZA

RIECCO IL CARNEVALE SOCIALE DI NAPOLI E OLTRE

Domenica 2 marzo 2025 – ore 09:30:
43° Corteo di Carnevale di Scampia dal titolo:
«DIRITTI vs ROVESCI ovverossia CURA vs EMERGENZA».
I diritti da conquistare, da difendere, di cui avere consapevolezza in una società che li nega e li mette sotto attacco di continuo. E il rovescio che c’è sempre in ogni medaglia, in ogni azione, in ogni situazione che, se non oculata, ci si ritorce contro. Ma anche i rovesci meteorologici che devastano i territori cementificati a oltranza da chi, con poca lungimiranza, continua a ragionare per emergenze anziché rispettare la natura, intento solo ad aumentare il proprio potere e riempire le proprie tasche. La necessità della cura dei territori e di tutte le creature che li abitano, superando le logiche delle emergenze cui ci stanno assuefacendo che spostano l’obbiettivo e fanno perdere di vista la complessità e l’interconnessione della nostra Pangea. Tra torti e ragioni, coltiviamo un mondo di pace e nonviolenza.

Partenza alle ore 10:00 dalla sede del GRIDAS (Via Monte Rosa 90/b, Ina Casa, Scampia, Napoli) dopo l’esibizione dell’Orchestra giovanile Musica libera Tutti (ore 9:30).

Qui l’evento su facebook.

Il 43° Corteo di Carnevale di Scampia si inserisce nel più ampio Carnevale Sociale della Città Metropolitana di Napoli.

Sono previsti carnevali sociali in varie zone (vedi il manifesto), si stanno già organizzando cortei a:

 

* Venerdì 28 febbraio 2025:
. MATERDEI: ore 10:00 da Piazza Scipione Ammirato (Metro Materdei)
. SANITA’: ore 10:00 da Piazza Cavour  > Largo Totò – ore 13:00: scambio di doni tra i Carnevali Sociali di Materdei e Sanità
. BORGO SANT’ANTONIO: ore 10:00 da Piazza Giovanni Leone
. GIUGLIANO IN CAMPANIA: ore 11:30 da Piazza Gramsci.

* Sabato 1 marzo 2025:
. AFRAGOLA: Quartiere Salicelle, ore 10:00 da Viale Europa c/o I.C. “Europa Unita”
. PIAZZA GARIBALDI: ore 10:30 da Hotel Terminus
. CAPODIMONTE: ore 10:00 da ingresso Porta Piccola – Bosco di Capodimonte

* Domenica 2 marzo 2025:
. SCAMPIA: ore 9:30 da via Monte Rosa 90/b

* Lunedì 3 marzo 2025:
. PIANURA: ore 16:00 da Casa della Cultura, via Grottole, 1

* Martedì 4 marzo 2025:
. SOCCAVO: ore 10:30 da Piazza Orazio Coclite
. MONTESANTO: ore 14:00 dal Parco Sociale Ventaglieri.
. CENTRO STORICO: ore 14:00 da Santa Fede Liberata
. MEZZOCANNONE OCCUPATO: ore 14:00 da via Mezzocannone, 14
. QUARTIERI SPAGNOLI: ore 15:00 da Piazza Montecalvario


Infoline: https://www.felicepignataro.org/carnevale/diritti-vs-rovesci-ovverossia-cura-vs-emergenza

 

UOMINI E ORSI: come coesistere

Domenica 2 marzo 2025 ore 18.00 Smart Lab Centro Giovani

Rovereto viale Trento 47/49

Il gruppo URSA Trentino propone un incontro informativo con Alessandro de Guelmi, Medico Veterinario;  Alessandro Marsilli,

Naturalista e Faunista

Redazione Italia

Una luce di creatività e speranza per i giovani rifugiati in Uganda

A Nord dell’Uganda, il Paese che ospita il numero più alto di rifugiati del continente, c’è un luogo magico dove la creatività si fonde con la speranza: il Bidi Bidi Performing Arts Centre. Questo spazio è nato nel 2022 periferia della città ugandese di Yumbe ed è stato pensato per gli oltre 250.000 rifugiati del Paese che vivono nell’insediamento per rifugiati Bidi Bidi. La maggior parte dei rifugiati proviene da Sud Sudan, RDC, Somalia, Burundi e Sudan.

Un edificio circolare circondato da alberi possenti dove i giovani hanno la possibilità di cantare, suonare, ballare e sentirsi liberi. Progettato come un anfiteatro semi-aperto, il centro è un luogo dove gli artisti possono esibirsi, fungendo anche da punto di aggregazione per la comunità. Al suo interno vi sono aule spaziose e appositi studi per l’insegnamento della musica e uno studio di registrazione.

Progettato dallo studio di architettura Hassell e da LocalWorks il Bidi Bidi Performing Arts Centre, riporta il sito ufficiale, è stato realizzato secondo un’architettura sostenibile. Il design del tetto infatti è a forma di imbuto capace di raccogliere l’acqua piovana e fornire acqua alla comunità e a un orto.

Il suo grande valore, riporta il Guardian, risiede nella sua capacità di offrire un luogo sicuro dove i giovani rifugiati possano superare il trauma vissuto nei loro Paesi d’origine, e allo stesso tempo, costruire nuove opportunità per un futuro migliore. Circa il 75% dei 1,7 milioni di rifugiati in Uganda, riporta la medesima fonte, sono donne e bambini, e circa il 25% ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni.

 

Africa Rivista

Giuristi Università di Brescia: “Una stagione preoccupante per la tenuta della democrazia costituzionale in Italia”

Come docenti di materie giuridiche in un’Università pubblica, riteniamo doveroso, sul piano etico e
professionale, evidenziare alcuni tratti dell’azione dell’attuale maggioranza governativa che consideriamo allarmanti e potenzialmente lesivi della tenuta dell’ordinamento democratico delineato dalla nostra Costituzione. Ci riferiamo in particolare a due provvedimenti in discussione alle Camere che, se approvati nell’attuale formulazione, rischiano di innescare una pericolosa involuzione autoritaria del nostro ordinamento giuridico.

Il primo testo su cui desideriamo richiamare l’attenzione è il disegno di legge costituzionale in materia di
giustizia e di separazione delle carriere dei magistrati. A prescindere dal merito della riforma – che presenta numerosi profili critici che qui non possiamo esaminare in dettaglio – l’aspetto più preoccupante è il contesto in cui questa proposta si inserisce e l’obiettivo ultimo che persegue, come dichiarato apertamente dal Ministro della Giustizia (il Guardasigilli), dalla Presidente del Consiglio, e da autorevoli esponenti dell’area di governo.

Da mesi, infatti, assistiamo ad attacchi quotidiani nei confronti di magistrati che emettono decisioni non in linea con le aspettative della maggioranza politica. L’ambito dell’immigrazione – in particolare la gestione degli arrivi via mare e i centri di detenzione aperti in Albania – è emblematico: di fronte a provvedimenti amministrativi ritenuti illegittimi, la prassi consolidata consiste nell’attacco personale ai giudici, subito etichettati come “politicizzati”, tacciati di voler ostacolare la maggioranza dal realizzare appieno il proprio “vittorioso” progetto elettorale, che viene esaltato come indiscutibile mandato popolare, secondo una visione regressiva della democrazia e della rappresentanza parlamentare. Negli ultimi giorni, l’attacco alla giurisdizione ha perfino oltrepassato i confini nazionali, arrivando a coinvolgere la Corte Penale Internazionale (CPI). Il Ministro della Giustizia, di fronte all’iniziativa di espellere dal nostro Paese il membro di una milizia (sostenuta dal governo libico) sospettato di crimini contro l’umanità, ha difeso il proprio operato accusando la Corte di presunte violazioni procedurali. Il vero problema, però, non sta nella denuncia di possibili irregolarità, bensì nel fatto che il Ministro delegittimi la Corte e la sua funzione, pretendendo di sostituire il proprio giudizio a quello dell’autorità competente. Questo atteggiamento è emerso in modo evidente anche nell’intervento ufficiale al Senato, dove il Guardasigilli ha rivendicato un potere di valutazione nel merito delle decisioni della CPI, del tutto sprovvisto di fondamento normativo.

La premessa culturale dell’indirizzo politico che si intende perseguire appare molto chiara: si vuole far
credere all’opinione pubblica che il controllo di legalità operato dalla magistratura rappresenti un improprio ostacolo alla realizzazione dei progetti promossi dalla maggioranza uscita vincitrice dalle elezioni. In questa prospettiva, i/le magistrati/e vengono accusati/e di promuovere un proprio contro-obiettivo politico tutte le volte che ritengono illegittimo un provvedimento di derivazione politico-parlamentare, anziché limitarsi alla sua applicazione pedissequa. In questo schema argomentativo, piuttosto rozzo e semplificato, spariscono del tutto i previsti poteri di garanzia affidati alla Corte costituzionale alla quale invece i/le giudici, prima di applicarle, devono sottoporre le leggi che reputino in contrasto con la Costituzione. Analogamente si ignora – clamorosamente – l’ormai acquisita prevalenza, stabilita sul terreno costituzionale, del diritto europeo e internazionale sul diritto interno, che pacificamente non può trovare applicazione in sede giurisdizionale laddove contraddica norme di rango sovranazionale.

Ecco perché appare paradossale e distorsivo evocare la separazione delle carriere dei magistrati ordinari
addirittura come salvifico correttivo dell’ordinamento, ogniqualvolta un/a magistrato/a assuma una
decisione sgradita agli esponenti di governo: così connotando di un chiaro intento punitivo la riforma
costituzionale, che viene presentata come la soluzione ad una patologica ingerenza di una parte influente
della magistratura nel campo della politica. In qualità di studiosi/e di discipline giuridiche, un tale disegno ci appare in tutta la sua chiara pretestuosità e ci sembra pericoloso poiché in grado di veicolare, camuffandola, una oramai superata visione ottocentesca e pre-costituzionale dei rapporti tra poteri dello Stato, nella quale l’attività legislativa e, in generale, la regolamentazione della societas è concepita come libera da vincoli sovraordinati, segnatamente di natura costituzionale. E invece l’elemento essenziale degli ordinamenti democratici moderni è proprio quello di garantire, attraverso norme costituzionali rigide, la separazione del controllo giurisdizionale dall’esercizio del potere politico, al fine di meglio favorire, in concreto, il rispetto dei diritti fondamentali della persona che non sono più nella disponibilità di chi, pur legittimamente, detiene lo “scettro del comando”.

Il secondo provvedimento che reputiamo incompatibile con i principi di uno Stato costituzionale di diritto è il cd. disegno di legge Sicurezza, già approvato in prima lettura al Senato. Anche in questo caso non abbiamo qui lo spazio per entrare nel merito delle singole misure proposte, che hanno come cifra identificativa l’inasprimento degli strumenti di repressione del dissenso, sino al punto di arrivare a punire con la sanzione penale forme di protesta non violenta, come i blocchi stradali, o addirittura la resistenza passiva, nei casi di proteste all’interno delle carceri o dei luoghi di detenzione per stranieri. Per quanto poi riguarda direttamente il mondo dell’Università, desta gravissima preoccupazione il disposto dell’art. 31 del d.d.l, secondo cui i servizi di informazione, a tutela della “sicurezza nazionale”, potranno chiedere informazioni sulle attività di studenti e docenti, in deroga alla normativa a tutela della privacy e della protezione dei dati sensibili.

Da un lato, quindi, con le continue aggressioni mediatiche ai magistrati che assumono decisioni non gradite e con il progetto di separazione delle carriere, che mira a disgregare l’unità della magistratura ordinaria (in realtà ci si preoccupa solo della giustizia penale), si vuole polemicamente e primariamente punire la magistratura inquirente, impedendole di esercitare un controllo di legalità a tutto campo, inclusa la verifica sulla possibile commissione di reati ministeriali da parte degli esponenti del Governo; dall’altro lato, con le norme che reprimono il dissenso, si vogliono intimorire coloro che si oppongono a tali misure, rafforzando come mai prima nella storia della Repubblica gli strumenti repressivi dei movimenti di protesta.

La Storia (anche quella meno risalente) ci insegna che è proprio a partire dal contrasto alla magistratura e alla libera espressione del dissenso che prendono avvio le svolte in senso autoritario. Come cittadini/e, ma soprattutto come giuristi/e che incrociano e formano studenti/esse universitari/e, sentiamo il dovere di segnalare all’opinione pubblica la gravità del progetto che sta iniziando a prendere consistenza e di mettere le nostre competenze tecniche a disposizione delle associazioni e dei movimenti che intendano opporsi, innanzitutto sul piano culturale, a questa dilagante regressione giuridica, restando sempre disponibili a ragionare nel merito delle proposte avanzate da qualsiasi parte politica, ma anche saldamente ancorati al costituzionalismo democratico occidentale e alle sue conquiste culturali, che è nostro dovere non rinnegare né per moda né per paura di dispiacere il contingente potere politico.

Brescia, 15.2.2025

Un gruppo di docenti di materie giuridiche dell’Università di Brescia (29 firmatari su 62)
Proff.

Antonio D’Andrea, diritto costituzionale
Luca Masera, diritto penale                                                                                                                                              Cristina Alessi, diritto del lavoro
Adriana Apostoli, diritto costituzionale
Rosanna Breda, diritto privato
Margherita Brunori, diritto agrario
Arianna Carminati, diritto costituzionale
Daniele Casanova, diritto costituzionale
Chiara Di Stasio, diritto internazionale
Matteo Frau, diritto pubblico comparato
Elisabetta Fusar Poli, storia del diritto
Mario Gorlani, diritto costituzionale
Massimiliano Granieri, diritto privato comparato
Giulio Itzcovich, filosofia del diritto
Stefano Liva, diritto romano
Nadia Maccabiani, diritto costituzionale
Francesca Malzani, diritto del lavoro
Loredana Mura, diritto internazionale
Federica Paletti, storia del diritto

Paola Parolari, filosofia del diritto
Luca Passanante, diritto processuale civile
Andrea Perin, diritto penale
Marco Podetta, diritto costituzionale
Susanna Pozzolo, filosofia del diritto
Luisa Ravagnani, criminologia
Fabio Ravelli, diritto del lavoro
Carlo Alberto Romano, criminologia
Giovanni Turelli, diritto romano
Laura Zoboli, diritto commerciale

Redazione Sebino Franciacorta

Partito Comunista Venezuelano: “Parteciperemo alle elezioni del 25 maggio a fianco della Rivoluzione Bolivariana”

La direzione nazionale del Partito Comunista Venezuelano  smentisce categoricamente che la nostra organizzazione politica non parteciperà alle prossime elezioni del 25 maggio, in cui verranno eletti i deputati dell’Assemblea nazionale, dei governatorati e dei consigli legislativi.

Condanniamo il fatto che coloro che svolgono la funzione di leader della nostra organizzazione, il cui capo visibile è Oscar Figuera, utilizzino i simboli della nostra organizzazione per dire al popolo venezuelano e al mondo “che il Partito Comunista del Venezuela non parteciperà al prossimo processo elettorale”. Questo gruppo guidato da Oscar Figuera e dai suoi complici è stato espulso per essersi allineato all’estrema destra venezuelana e per aver condiviso il discorso dell’imperialismo nordamericano -USA-, nell’obiettivo di rovesciare il governo rivoluzionario del compagno operaio Nicolás Maduro.

Oggi più che mai, i comunisti di questa Patria di Bolívar e Chavez, ribadiamo il nostro impegno con la Rivoluzione Bolivariana e Chavista e saremo uniti in un unico blocco unitario attraverso il Grande Polo Patriottico Simon Bolivar nella ricerca di una Vittoria perfetta il 25 maggio, per continuare a garantire con i legislatori rivoluzionari, la costruzione delle leggi necessarie per la trasformazione della nostra Patria, per continuare a creare le condizioni per una Società Socialista, che garantisca al nostro popolo e in particolare alla classe operaia e contadina, la maggior somma possibile di felicità.

Mettiamo in guardia il movimento rivoluzionario dell’America Latina e del mondo dal farsi ingannare da coloro che oggi camminano mano nella mano con i settori fascisti in Venezuela. La storia ha dato ragione a coloro che hanno deciso di salvare il nostro glorioso Partito Comunista.

Oggi il nostro Partito è dove è sempre dovuto essere, accanto alla Rivoluzione Bolivariana, accanto al nostro popolo chavista.

Venezuela 20 febbraio 2025

DIREZIONE NAZIONALE DEL P.C.V.
ENRICO PARRA – PRESIDENTE DEL P.C.V.

(da Dario Rosso, inviato a Caracas del Comitato Italia-Venezuela Bolivariano)

Redazione Italia

Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini le prime vittime.

La guerra è una bambina 

vittima di abusi e maltrattamenti 

che non abbiamo saputo proteggere

Gloria Aria Nieto

Il 23 febbraio, presso la libreria IoCiSto di Napoli si è svolta la presentazione del libro di Maurizio Bonati Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini le prime vittime, Edito dal Pensiero Scientifico Editore. L’iniziativa è nata nell’ambito del programma di eventi del Presidio Permanente di Pace, nato all’indomani dello scoppio dell’ultima guerra israelo-palestinese, da un’idea di un gruppo di soci della Libreria IoCiSto che si incontrano di domenica per parlare di PACE. L’incontro, con la presenza dell’autore, ha rappresentato un momento di riflessione collettivo e partecipato sul protrarsi dei conflitti armati nel mondo e in particolare dopo tre anni di occupazione russa in Ucraina e a 17 mesi di distruzione ad opera israeliana nella Striscia di Gaza.

Prima, durante, dopo e sempre, in accordo con l’impostazione del libro, sono stati i momenti che hanno scandito lo scambio di osservazioni ed emozioni tra i partecipanti. 

Prima. Prima di una singola guerra ce n’era stata un’altra e altre si svolgono contemporaneamente. I conflitti violenti collettivi posti in essere fra gruppi organizzati (la guerra) sono una cinquantina nel mondo. Sono ad alta, media o bassa intensità: tra Stati o gruppi etnici, politici, religiosi. La guerra è infinita, anche quando apparentemente è terminata. Il diritto alla vita e alla libertà è ancora troppo spesso e a troppi popoli negato. 

Durante. Le condizioni in cui le persone nascono, crescono, lavorano, vivono e invecchiano vengono tragicamente stravolte nel corso di un conflitto. La distruzione di case, scuole, ospedali, luoghi di lavoro minaccia completamente la vita delle popolazioni vittime di guerra. La Russia ha perso sinora oltre 850.000 soldati in Ucraina, mentre sono oltre 46.000 i soldati ucraini uccisi e 390.000 i feriti sul campo di battaglia. Nei primi 15 mesi di guerra, almeno 46.707 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza, tra cui circa 18.000 bambini. 110.265 i feriti. Molti analisti e gruppi per i diritti umani ritengono che il numero reale di uccisioni sia molto più alto (oltre 60.000 i morti e 180.000 i feriti). Con i bambini sono le donne le prime vittime della guerra. Vittime di violenza sessuale, stupro e mancanza di accesso a cure sanitarie salvavita per esempio a causa di complicazioni durante la gravidanza o il parto. 

Dopo. Si stima che per la ricostruzione di quanto distrutto nella Striscia di Gaza siano necessari oltre 50 miliardi di dollari. Un investimento economico non solo quello della distruzione (armi, armamenti, politiche…), ma anche la ricostruzione è fonte di guadagno e speculazione. Le fantasticherie dello spostamento di massa dei 2 milioni di residenti dell’enclave palestinese proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per creare la Costa Azzurra del Medio Oriente ne sono testimonianza. Ma quanti anni sono necessari affinché la vita di una popolazione vittima di guerra torni ai livelli iniziali? Non si sa con certezza perché ancora scarsa è stata sinora l’attenzione in proposito. Tante le variabili da considerare, ma le indicazioni ci dicono che almeno 15 anni sono necessari. Il “dopo” ha attratto molte delle considerazioni fatte nel corso dell’incontro sottolineando l’impegno e la responsabilità di un Presidio Permanente di Pace di seguire nel tempo il “ritorno” e il miglioramento delle condizioni di vita delle vittime.

Sempre. La storia personale di molti dei presenti ha incrociato e percorso le strade della non violenza, dell’antimilitarismo, dell’obiezione di coscienza, della disubbidienza civile e anche gli incontri domenicali di IoCiSto sono a testimonianza di queste scelte permanenti. “Ci sono cose da non fare mai: per esempio la guerra”. Altre invece da sostenere, promuovere sempre: per esempio la PACE. La PACE va insegnata in famiglia, a scuola, ovunque. Bisogna essere educati alla PACE.

Iocisto Presidio di Pace – Silvana Spina

Redazione Napoli

Liberalfascismo. Come i liberali distruggono la democrazia e ci portano in guerra

È aria di fascismo. Non (o non solo) quello storico, istituzionalizzato nel Ventennio, sconfitto dalla Resistenza partigiana, bensì uno in vesti aggiornate che altro non è, come sempre, se non la faccia nefasta dell’imperialismo in crisi, il sostegno in forma di violenza alle politiche economiche e sociali neoliberiste della classe dominante, il substrato necessario alla crescita delle disuguaglianze.

Questo il leitmotiv del libro “Liberalfascismo, come i liberali distruggono la democrazia e ci portano in guerra” di Giorgio Cremaschi edito con Mimesis Edizioni.

Il fascismo è democrazia? Per niente. La globalizzazione liberista e la politica economica neoliberista stanno dominando il mondo a discapito delle sinistre social-liberali.

Attualmente viviamo la prevaricazione del liberalfascismo, ossia della supremazia dei partiti di destra e di quelle componenti politiche asservite al potere del capitale che equivalgono al neoliberismo imperante.

In passato il fascismo è cresciuto con i finanziamenti ricevuti da multinazionali, come si evince anche dal caso e dall’assassinio Matteotti. Attualmente il fascismo si manifesta con il liberismo imposto e dettato dal neoliberismo prevaricante che ha preso piede a livello globale a partire dal 1973 con l’omicidio di Salvador Allende in Cile e poi ancora con l’ascesa della dittatura di Pinochet e l’avvento della masnada dei Chicago Boys che culmina con il trattato tra Reagan e Thatcher e Wojtyla negli anni ‘80.

Il libro di Giorgio Cremaschi pone un quesito che risponde alla questione: ma i fascisti non ci sono più o esistono ancora? Il discrimine lo troviamo nel modello politico dell’Unione Europea che non ha nulla a che vedere con il grande progetto visionario e utopico di Ventotene e di Altiero Spinelli. L’Europa delle genti e dei popoli e delle minoranze senza più guerre e conflitti armati, nel rispetto delle carte costituzionali. 

Attualmente invece vige e impera l’Europa delle multinazionali e delle grandi banche armate che finanziano le guerre in ogni parte del globo a discapito di un’Europa utopica fondata sull’accoglienza e la solidarietà e l’antifascismo, ma non quello atlantista naturalmente. Oggi viviamo un’Europa incapace di svolgere il proprio ruolo di ago della bilancia di un sistema globale che sempre più si rifiuta di contrapporsi all’escalation militaresca e all’avanzata del potenziale sterminio nucleare e dei signori dell’atomo, del petrolio, della guerra, dell’acciaio che sono i detentori dell’apocalisse atomica.

Giorgio Cremaschi afferma di non conoscere ormai la società, ma solo individui. In quanto l’individualismo è concepito come prevaricazione di potere e competitività sfrenata e corsa al riarmo e al controllo delle risorse globali a discapito dell’uguaglianza economica che è soppiantata da una incredibile sperequazione che conduce alla concentrazione di grandi quantità di risorse e beni comuni nelle mani di pochi potenti detentori del capitale. 

Mentre la società si trasforma sempre più in un agglomerato individualista secondo i dettami fascisti e le imposizioni gerarchiche. Questa invece dovrebbe incarnare un esempio, un monito di comunità laica, un sentire comunitario condiviso, fondato sulla solidarietà, l’accoglienza e l’inclusione e l’amore tra le persone e i popoli.

Il liberalfascismo deporta le persone verso una democrazia dello sfruttamento in un’accezione estremamente negativa dove il più debole e il più fragile e l’ultimo dell’anello sociale sono posti ai margini dall’individualismo che permea in senso dannoso e deleterio l’attuale società.

Quindi l’austerità contro la democrazia. Ossia si chiede sempre più un estremo sacrificio e illecita sottomissione da parte degli ultimi e di tutti i cittadini e lavoratori che vivono con il solo loro reddito al fine di incrementare la ricchezza nelle mani dei privati e non dello Stato sociale e dei servizi pubblici e al contrario nella concentrazione del massimo benessere e profitto nelle tasche dei più potenti e dei padroni che detengono il capitale. 

Per questo Cremaschi tratta di una ‘democrazia di Apartheid’ dove gli ultimi della società ‘civile’ scontano il lavoro coatto e la miseria di un nefasto e funesto sistema accumulatorio e predatorio che avvantaggia sempre i più potenti a livello globale e i benestanti e benpensanti e i padroni e i signori della guerra. 

Per questo non si vive in una democrazia sana e basata sugli ideali della Costituzione Repubblicana nata dalla lotta al nazifascismo in tutta Europa nel novecento, ma ci si scontra su un modello di ‘democrazia anticomunista’ che equipara, in modo revisionista, il modello comunista con la spregiudicatezza del fascismo e l’orrore e la barbarie di quello che è stato il nazifascismo nell’Europa del cosiddetto e nefasto secolo breve. Quindi risulta una ‘democrazia truccata’ perché non si attiene ai dettami e agli ideali e ai valori della costituzione e del diritto internazionale. Ma si avvale di disvalori mefitici, moralmente guasti e pericolosi, del fascismo più abietto con il tramite del militarismo che pervade attualmente e inizialmente il sistema scolastico e l’università e infine la società nel suo complesso.

Il motto più usuale in questo contesto appunto mefitico è Dio, patria, famiglia in quanto non si lascia spazio alla libertà di pensiero, alla libertà di scelta e alla laicità inclusiva e alla diversità delle differenze in nome di un bigottismo e un provincialismo e menefreghismo e della borghesizzazione del sociale che portano alla fascistizzazione del concetto e contesto comunitario come sosteneva don Milani.

Cremaschi denuncia un ritorno a un’Italia dei fasti repubblichini dove si assiste a un travaglio di passività di molte frange della popolazione e in contrapposizione a moti di ribellione soprattutto di diverse parti dei giovani che non vogliono sottostare alle imposizioni neoliberiste e alle minacce e emergenze che attanagliano la società a livello glocale e l’umanità a partire dall’universale. Per cui si assiste ad un ‘bivio della paura’ farneticante che porta a sgomento e allo stesso tempo a volontà di riflessione e di azione e rivolta da parte di alcune frange giovanili. 

I giovani di Fridays for Future e di Extinction Rebellion e di Ultima Generazione e gli studenti universitari e tutti i pacifisti, i disertori, i renitenti e gli obiettori che nel mondo si rifiutano di imbracciare le armi e di andare in trincea per combattere e andare incontro all’autodistruzione immediata, ma anche e soprattutto all’annientamento dell’intero genere umano sono le variegate realtà di lotta e resistenze estrema che tutti insieme dobbiamo sostenere come società libere e pensanti in una nuova stagione di resistenza per la pace universale, contro i metodi autoritari del fascismo all’interno dell’ideologia liberale come esito della capitalizzazione a destra del sistema neoliberista. Infatti, la globalizzazione liberista e la politica economica neoliberista stanno dominando stabilmente il mondo a discapito delle sinistre social-liberali che non vogliono le guerre e i genocidi e lottano e resistono, al contrario di questo contemporaneo sistema congiunturale distorto, per il valore e l’ideale più alto: la pace.

 

Laura Tussi

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio”

Benvenuti alla quarta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Cosa è la Palestina oggi? Da cosa viene soffocata e come sopravvive?

La domanda può essere approcciata da diverse angolazioni.
Da un lato potremmo dire che la Palestina, o meglio, tutto il quadro degli eventi a cui stiamo assistendo oggi in Palestina, rappresenta il tragico paradigma della contemporaneità: l’avidità senza freno dei potenti da un lato, la nostra assuefazione all’ingiustizia, dall’altro.
Ogni giorno tutti noi siamo vittime di piccole e grandi arroganze da parte dei poteri. Talmente abituati a essere bombardati dalle prevaricazioni che spesso neanche più ci ribelliamo, accettando ogni volta la nuova asticella, il nuovo limite, la nuova legge, la nuova tassa, il nuovo divieto come parte integrante dell’essere ingranaggi di una società incentrata sul potere di pochi.

L’altra faccia della medaglia però è che, non ribellandoci, noi accettiamo (centimetro dopo centimetro) che i governi, le multinazionali, le lobby ci tolgano ancora maggiori fette di libertà, diritti, indipendenza, stritolandoci sempre più tra le spire della loro pantagruelica avidità. Le democrazie sono in crisi, le ideologie sono scomparse, il lavoro ha perso la sua componente nobilitativa. Tutta la società contemporanea risulta oggi impostata in funzione delle necessità dei potenti: farci produrre, farci consumare, arricchirsi sulle nostre fatiche.

Diventa dunque imperativo iniziare a domandarci quale limite noi, il popolo, siamo disposti a sopportare prima di ribellarci. All’interno di questo quesito rivoluzionario, si innesta ciò che vediamo succedere in Palestina: siamo noi disposti ad accettare che il potere arrivi perfino a genocidare un intero popolo per 365 miseri chilometri quadrati di terra?

Dunque, una prima risposta alla tua domanda potrebbe essere che la Palestina è un simbolo: il paradigma della ferocia di un potere avido, inumano e violento che pensa di possedere tutto, finanche le anime delle persone. Ma è anche una sollecitazione alla nostra capacità di fissarci dei limiti oltre i quali la nostra umanità deve gridare “BASTA”.

Un’altra prospettiva su cui riflettere, nel rispondere alla tua domanda, è quella di inquadrare la Palestina come una creatura in via di estinzione. E come tutto ciò che rischia di evaporare nell’oblio, provare a tutelarla. Mi spiego meglio: la voracità dello Stato di Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio. Colonia dopo colonia, l’estensione di ciò che oggi si può chiamare “Palestina” sulla mappa geografica si è tragicamente assottigliata.

La cosa risulta ancora più inquietante se si pensa che una manciata di decadi fa, il giorno prima del 14 maggio 1948, quando Ben Gurion autoproclamò la nascita dello stato di Israele, tutta la regione geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano era marcata nelle mappe geografiche come “Palestina”; non un nome coniato dai nemici del sionismo, ma risalente addirittura al XII secolo a. C. su volontà degli antichi egiziani (da Peleset, il nome dato ai Filistei), oppure quel Palaistine (Παλαιστινοί) utilizzato nel V secolo a.C. da Erodoto o, ancora, “Syria Palestina” secondo Adriano (135 d.C.).

E fa impressione, in questo grottesco teatro dell’assurdo in cui il sionismo pelecida fa a gara a spararla sempre più grossa, leggere frasi negazioniste come: “«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ […] è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista” (B. Smotrich)

In questa sorta di “terrapiattismo” in chiave geopolitica, i sostenitori di questa sgangherata tesi ignorano perfino i contenuti dei documenti redatti dai sionisti per gli stessi sionisti.
La Dichiarazione Balfour, ad esempio, ovvero la lettera che l’omonimo ministro inviò a Lord Rothschild nel 1917 per auspicare “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
O, ancora lo stesso Theodor Herzl, padre fondatore del sionismo, che nel suo “A Jewish State” chiedeva espressamente al suo lettore “shall we choose Palestine or Argentine?”.

Di quel vasto territorio chiamato Palestina, ed evocato come terra promessa perfino dai sionisti nel secolo scorso, cosa rimane oggi? A ovest, una striscia di terra ormai ridotta a fossa comune difficilmente abitabile. A est, una Cisgiordania ormai maculata dalla colonizzazione illegale, squassata dalla violenza, simile a una carcassa su cui si avventa ogni avvoltoio con doppio passaporto e la voglia di rubarsi un pezzo di terra a condizioni fiscali agevolate. Dunque, sì: una Palestina a rischio di estinzione.
Vengono quasi in mente gli antichi romani quando, negli spazi bianchi delle mappe, scrivevano “hic sunt leones”. I pelecidi di oggi ci scriveranno “hic non sunt amplius Palæstini”.

Sulla tua seconda domanda, ovvero da cosa viene soffocata la Palestina, la risposta sarebbe articolata ma la condenserei sul simbolo per eccellenza dell’oppressione: le mura perimetrali realizzate da Israele a partire dagli anni 2000 attorno alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.
A mio avviso, quelle recinzioni sono le fondamenta pragmatiche sopra cui è edificata tutta l’ideologia sionista dell’apartheid.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ne fornì un giudizio inequivocabile: “l’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”. Ma Israele aveva una strategia e, nonostante la sollecitazione della Corte a smantellarlo, lo mantenne in piedi.

Per capire il principio soggiacente quella strategia vanno qui riportate le parole di Michael Fakhri, relatore speciale del Consiglio per i diritti umani (ONU) quando a ottobre 2024 spiegava il report sulla denutrizione a Gaza, puntando l’indice accusatore proprio sul muro: “affamarli (i palestinesi n.d.r.) è il risultato di scelte compiute da decadi. […] bisogna andare indietro al 2000, quando Israele ha iniziato il suo blocco contro Gaza. […] Come un rubinetto che (Israele n.d.r.) può aprire o chiudere […] Contando le calorie e misurando cosa era permesso far entrare a Gaza ed essere sicuri che ciascuno rimanesse affamato, ma non così tanto da sollevare campanelli di allarme nel mondo. Così, il 6 di ottobre (il giorno prima degli attentati n.d.r.) metà della popolazione di Gaza presentava criticità alimentari e l’80% dipendeva dagli aiuti umanitari”.

Tutto quindi passa attraverso il muro: ciò che entra e ciò che esce; cose e persone.
Ad esempio, le imposte e i dazi doganali sui prodotti che varcano le mura e su cui solo Israele si arroga il diritto di commercio. Questi soldi servono, tra le altre cose, a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici che, secondo i dati 2018 del Palestinian Central Bureau of Statistics, rappresentano un terzo dei lavoratori palestinesi. A cadenza periodica Israele decide di trattenerli: migliaia di famiglie palestinesi rimangono senza stipendio.

Oppure gli assalti ai pescherecci palestinesi per limitarne il territorio di pesca del 40% rispetto agli accordi di Oslo (fonte Euro-Med Human Rights Monitor) così da far calare il numero di pescatori registrati a Gaza da 10.000 a 4.000 unità in soli 20 anni.

Non va meglio sul fronte dell’agricoltura dove “durante tutto l’anno, gli aerei israeliani spruzzano ripetutamente erbicidi sulle terre palestinesi lungo i confini, causando danni alle colture agricole” (fonte EMHRM). A questo si aggiunga il divieto per i contadini ad avvicinarsi alla recinzione entro i 1.000 – 1.500 metri per aggiungere un’ulteriore deprivazione del 35% di territorio coltivabile.

E potremmo parlare del giacimento di Meged, il cui petrolio scorre anche sotto la Cisgiordania ma che Israele rifiuta di condividere o il Gaza Marine, un giacimento di gas a 20 miglia dalla costa di Gaza il quale, “se sfruttato adeguatamente, […] potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese di gas e consentirebbe anche di effettuare esportazioni.” (fonte Geopop).

I palestinesi dunque sopravvivono in larga parte grazie agli aiuti umanitari distribuiti dall’UNRWA. Una distribuzione che non sottostando al controllo israeliano diventa disfunzionale alla politica pelecida. E così, con la scusa della manciata di lavoratori favorevoli a Hamas, su 30.000 impiegati, ecco spiegato il principale motivo della messa al bando e del susseguente tentativo di Israele di sostituirla con un’altra istituzione “rubinetto”, da poter chiudere su necessità politica.

Ma forse, alla tua domanda “cosa soffoca oggi il popolo palestinese”, la risposta più atavica e ciclica alla base dei genocidi è sempre la stessa: l’indifferenza del mondo.
L’indifferenza, complicità, propaganda, interessi economici dei potenti.
Quella stessa indifferenza che permise lo sterminio degli ebrei, nell’Europa nazista, oggi si ripresenta. E fra qualche decennio si ripresenteranno anche i ciclici memoriali, le cicliche giornate della memoria, le cicliche lacrime postume.

Chissà, forse fra venti anni ci sarà una bella stele in marmo a Gaza Riviere, luongo un Palestine Boulevard (magnanimamente concesso in terra d’Israele).
Di fronte al grattacielo edificato sopra una delle tante fosse comuni e, al largo, lo yacht dell’oligarca stipato di modelle e champagne. Nulla che la storia non abbia già visto.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

AUCLIS: “Nella Giornata Internazionale della Lingua Madre bisogna valorizzare i dialetti”

Oggi si celebra la Giornata Internazionale della Lingua Madre, istituita nel 1999 dall’Unesco per promuovere la diversità linguistica e culturale e il multilinguismo, che ha avuto la sua prima edizione nell’anno 2000.

La data che si scelse è significativa perché proprio un 21 febbraio, quello del 1952, alcuni studenti furono uccisi dalla polizia a Dacca, la capitale dell’attuale Bangladesh, mentre manifestavano per il riconoscimento della loro lingua materna, il bengalese, come una delle due lingue nazionali dell’allora Pakistan.

La Giornata sarà celebrata anche quest’anno con numerosi eventi in tutto il mondo. Anche in Sicilia avranno luogo iniziative e momenti celebrativi, alcuni dei quali riguardanti la lingua siciliana.

L’AUCLIS, l’associazione che riunisce le associazioni che si occupano di lingua e cultura siciliana, in questa occasione rende pubblico un elenco di regole ortografiche utili per scrivere in lingua siciliana.

«Le seguenti dieci regole sono estrapolate dal siciliano letterario; per farlo, abbiamo considerato e analizzato – fa sapere l’AUCLIS nella sua nota – alcuni tra i più importanti autori di opere in prosa e poesia, di dizionari e di grammatiche di lingua siciliana. In particolare:

  • per i dizionari Siciliano-Italiano e Italiano-Siciliano Pasqualino-Rocca, Vincenzo Mortillaro, Salvatore Camilleri;
  • per le grammatiche della lingua siciliana: Innocenzo Fulci, Giuseppe Pitrè, Salvatore Camilleri, Vito Lumia, Gaetano Cipolla, Salvatore Russo;
  • per i testi di prosa e di poesie, i seguenti autori della letteratura in lingua siciliana: Giovanni Meli, Domenico Tempio, Giuseppe Fedele Vitale, Giuseppe Pitrè, Antonio Palomes, Nino Martoglio,
  • e i contemporanei (scelti numerosi, a dimostrazione della vitalità della koinè letteraria) di ogni parte di Sicilia: Nino Barone, Giovanna Cassarà, Giuseppina Cassarà, Alberto Criscenti, Rita Elia, Francesco Ferrante, Giuseppe Gerbino, Lina La Mattina, Euranio La Spisa, Antonino Magrì, Alessio Patti, Alfio Patti, Nino Pedone, Arcangela Rizzo.

Tutti questi autori e opere (e moltissimi altri che non abbiamo analizzato) concordano nelle dieci regole individuate, che vengono anche insegnate dal prof. Alfonso Campisi all’Università ‘La Manouba’ di Tunisi nelle lezioni accademiche del corso di Lingua e Cultura Siciliana».

Queste le regole diramate dall’AUCLIS:

1.  L’alfabeto della lingua siciliana è composto dalle seguenti 22 lettere: A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, Z. A queste 22 lettere va aggiunto il digramma DD quando esprime la occlusiva retroflessa sonora, esito del nesso etimologico -LL- (come in cuteddu); in questo caso va considerato come unica ‘lettera’ quando si effettua la divisione della parola in sillabe: cu-te-ddu. Le lettere K, X e Y sono state usate nell’alfabeto siciliano alcuni secoli addietro e, più recentemente, anche la Ç. La conoscenza di questo loro uso può essere utile nella lettura di testi in siciliano antico o di alcuni rari attuali toponimi e cognomi siciliani.

2.  Il rotacismo, cioè la trasformazione del suono della D – intervocalica o a inizio di parola – in R, fenomeno che avviene nel parlato in molte parti di Sicilia (ma non dovunque), non si evidenzia nello scritto dove rimane la D etimologica. Esempi: diri e non “riri”; dumani e non “rumani”; càdiri e non “càriri”.

3.  In siciliano la B e la G (e, in alcune zone anche la R e la D) in inizio di parola si pronunciano sempre doppie ma nella scrittura tale fenomeno della lingua parlata non si evidenzia; per cui si scrive bonu (e non “bbonu”), gebbia (e non “ggebbia”), rota (e “non rrota”), dui (e “non ddui”).

4.  Ogni qualvolta la parte iniziale di una parola, venendo a contatto nel parlato con la parte finale di quella che la precede, cambia di suono, tale cambiamento non viene evidenziato nella scrittura; pertanto, scriveremo tri cani (e non “tri ccani”), tri jorna (e non “tri gghiorna”), un jornu (e non “un gnornu”).

5.  Nel siciliano scritto di registro alto è preferibile usare sempre le forme intere. Per esempio, è preferibile usare come articoli determinativi lu, la, li, anziché le forme abbreviate ‘u, ‘a, ‘i.

6.  Quando si volesse scrivere un termine nella sua forma abbreviata (ove esistesse), si deve mettere l’apostrofo ad indicare la caduta di parte del termine intero:  su’ = sunnu; ‘ccattari = accattari. Se la forma intera non è più usata da nessuna parte, allora non c’è bisogno di mettere l’apostrofo: gnuranti (anziché ‘gnuranti).

7.  In alcune zone e in alcuni casi la R che precede un’altra consonante viene pronunciata I (‘vocalizzazione’), in altre zone scompare e, in entrambi i casi, la consonante che segue viene pronunciata doppia; questi fenomeni del parlato non saranno considerati nella scrittura, dove rispetteremo l’etimologia, per cui scriveremo, ad esempio, portu e non “pottu” o “puoittu”.

8.  In alcune zone della Sicilia esiste nel parlato la dittongazione metafonetica o quella incondizionata; nessuna di esse trova riscontro nella scrittura per cui si scrive fora e non “fuora”, bonu e non “buonu”, “buanu” o “buenu”.

9.  Tranne i monosillabi, nessuna parola in siciliano termina per O o E, a meno che non siano accentate.

10.  Si scrive sempre una sola Z – tranne in pochissime eccezioni – quando ad essa seguano due vocali come in tutte le parole terminanti in -zioni o in -zia e ziu (azioni, predicazioni, binidizioni etc.; dilizia, pasturizia, rigulizia etc.; cardinaliziu, fattiziu etc.).

 

Associazioni Unite per la Cultura e la Lingua Siciliana (AUCLIS)

Redazione Sicilia

È finita la battaglia per la libertà di Maysoon Majidi, non quella del popolo Kurdo

Maysoon Majidi prima di tutto è una giovane kurda, poi attivista e regista, fuggita dal regime islamico dell’Iran, uno dei regimi occupanti del Kurdistan, che è stato sacrificato e diviso per la volontà dell’Occidente che nel primo dopoguerra ha modificato la carta geografica e i confini del Medioriente, creando alcuni paesi e sacrificandone altri. Così il Kurdistan è stato diviso tra Iraq, Iran, Turchia e Siria e in seguito il popolo kurdo è stato sempre perseguitato. Per questo ha dovuto scegliere tra rimanere sottomesso o combattere, scegliendo di combattere; da quel momento sono iniziate la resistenza e la lotta del popolo kurdo e in un secolo i Kurdi sono stati attaccati anche con armi chimiche, uccisi in massa subendo un genocidio.

Ancora oggi quando si parla di bombardamento chimico e di genocidio, l’attenzione si rivolge subito e giustamente, a Hiroshima e alla Shoah; purtroppo la storia drammatica e la sofferenza dei Kurdi, come di altri popoli che hanno subìto genocidi negli ultimi anni, sono sistematicamente dimenticate, nel silenzio assordante delle istituzioni e dell’opinione pubblica. I Kurdi hanno vissuto la crudeltà di tutti i regimi che hanno governato e governano tuttora il Kurdistan. In Turchia ci chiamano i “turchi della montagna”, in Siria non abbiamo neanche il diritto di avere i documenti di identità, in Iraq non potevamo avere posti di lavoro se non eravamo del partito del Al-Bath, ci hanno mandato via dalle nostre case e hanno trasferito al nostro posto gli arabi per cambiare la demografia delle città kurde; in Iran eravamo considerati inesistenti: chi uccide un kurdo andrà in paradiso (fatwa di Khomeyni durante la preghiera del venerdì). In nessuno di questi stati occupanti si può parlare il kurdo, a differenza della Regione del Kurdistan autonomo in Iraq, regione federale dal 1990 dopo la guerra del Golfo, quando la lingua kurda è diventata la seconda lingua ufficiale del paese, ma ciò non vuol dire che sia tutto rose e fiori.

Il popolo kurdo, circa 40 milioni di persone, ancora oggi viene definito’ minoranza’ ed è senza una nazione. I diritti dei Kurdi sono calpestati da tutti e anche da coloro che si definiscono difensori dei diritti umani e dei valori di giustizia, che siano politici, giornalisti o attivisti. Per tornare al caso di attualità di Maysoon Majidi, tutti i media parlano in nome della difesa della libertà e dei diritti, ed invece sono i primi che li calpestano, senza che se ne rendano conto; infatti generalizzano il suo caso riferendosi alla norma del velo obbligatorio e alle leggi repressive per le donne in Iran. Riporto anche come esempio la vicenda della giovane kurda Jina Amini (che è stata la scintilla per accendere la rivoluzione “Jin Jyan Azadi” in Iran), che ancora oggi spesso viene chiamata “Mahsa”, il nome che le è stato dato dal regime per obbligo, perché i kurdi non possono avere o essere registrati con il nome kurdo. Nominarla come Mahsa rappresenta la negazione dei diritti della persona “Jina” e del popolo kurdo.

Quando si parla del regime islamico dell’Iran, della politica religiosa nel dominio assoluto, sia l’Occidente che gli stessi cittadini iraniani parlano di repressione nei quaranta anni di potere, che ha reso obbligatorio l’uso del foulard e ha limitato i diritti delle donne. Questo è vero fino a certo punto, perché democrazia e giustizia non c’erano nemmeno durante i regimi precedenti: è vero che lo shah, il sovrano di Persia, l’amico dell’Occidente, non obbligava l’uso del foulard, però non c’erano la democrazia, le libertà fondamentali e il rispetto dei diritti della persona; i kurdi erano sempre perseguitati. Ricordiamo che il carcere di Evrin era stato costruito per i kurdi, per i comunisti e per altri popoli (minoranze) oppositori in Iran. Oggi ad Evrin, dove è stata detenuta Cecilia Sala, si trovano anche tanti iraniani. I Kurdi, quindi, subiscono ingiustizia e repressione sin da quando il Kurdistan è stato smembrato, operazione che ha fatto sì che fuggissero e si rifugiassero in Europa e nel mondo.

Quindi Maysoon Majidi era ed è una dei milioni di Kurdi che si sono allontanati per salvarsi la vita e per avere la libertà; anche lei è dovuta scappare in Europa perché non ha trovato la sicurezza nemmeno in quella parte del Paese che oggi viene chiamato “Regione del Kurdistan autonomo in Iraq”, dove Maysoon si era recata per poter continuare la sua lotta e dove ha subìto gravi minacce. E’ scappata da un regime criminale e finita in un carcere italiano perché considerata ingiustamente scafista; in un paese libero invece di trovare la libertà “è caduta dalla bocca del lupo e finita nella bocca del leone”, come dice un proverbio kurdo.

Però non abbiamo mai perso la fiducia nella giustizia italiana. Maysoon da donna kurda ed attivista ha resistito e ha cercato di difendersi per avere la giustizia che non ha avuto in patria, con l’aiuto di tante persone, associazioni e anche di alcuni politici che le sono stati vicini. Ed è stata finalmente assolta!
Quello che importa sottolineare è che durante tutta l’assurda vicenda, ma anche dopo, Maysoon e il popolo kurdo continuano a subire ingiustizie e negazione dei diritti senza che vi sia alcuna attenzione dei media; c’è stato chi ha cercato purtroppo di strumentalizzare la vicenda di Maysoon per motivi politici e partitici.

E’ vero, tanti hanno difeso Maysoon ma allo stesso tempo tanti continuano a non riconoscere la sua identità di persona: alcuni giornali noti, conduttori televisivi che l’hanno intervistata e politici di chiara fama ancora oggi scrivono “ Maysoon, attivista iraniana, attivista kurda iraniana”, anzichè scrivere ‘attivista kurda’, punto e basta, o ‘attivista del Kurdistan occupato dall’Iran’, oppure ‘attivista di Rojhalat’; in questo modo, anche per ignoranza, negano l’identità e i diritti del popolo kurdo.
Ecco perché, tristemente, la storia del popolo kurdo è “la storia di uno Stato mai nato”.

Gulala Salih, donna Kurda, scrittrice e presidente di UDIK “ Unione donne Italiane e kurde”

Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)