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Diritti Umani

Notizie dal Medio Oriente

Gaza

L’esercito israeliano è tornato a bombardare.
Sono stati uccisi tre poliziotti palestinesi mentre stavano organizzando il passaggio degli aiuti umanitari verso i campi di sfollati.
Un altro palestinese è spirato a Khan Younis in seguito alle pallottole sparate dai cecchini israeliani. 5 i feriti.

La protezione civile ha estratto da sotto le macerie 7 corpi, uccisi in bombardamenti precedenti.

Situazione umanitaria a Gaza

Gli ospedali di Gaza soffrono di una grave carenza di bombole di ossigeno.
I bombardamenti israeliani avevano mirato a distruggere tutte le 10 centrali di produzione. L’esercito israeliano sta impedendo l’ingresso delle unità di produzione di ossigeno, causando morte e sofferenza a migliaia di malati e di bambini prematuri.

Sono state bloccate le forniture di caravan e ridotto l’ingresso di camion carichi di tende.
Israele vuole ostacolare il ritorno dei palestinesi al nord di Gaza.

Cisgiordania

Deportazione della popolazione palestinese dei campi profughi di Jenin e Tulkarem.
Le operazioni militari israeliani contro le città e villaggi della Cisgiordania si estendono.
A el-Bira è stato ferito gravemente un bambino durante l’irruzione dei militari nella casa della sua famiglia. Sono 35 il numero totale degli arrestati durante i rastrellamenti di ieri.

Un gruppo di coloni ha invaso Duma e Aqraba, nella provincia di Nablus. Hanno sparato contro le finestre delle case per terrorizzare gli abitanti, distrutto auto e strutture agricole come serre e impianti per l’allevamento. Hanno rubato capi di bestiame. Poi si sono ritirati protetti dai soldati, che avevano assistito agli attacchi senza muovere un dito.

Trumpiate

Trattative per la seconda fase tra Hamas e Netanyahu ferme.
Il ricercato per crimini di guerra non intende avviare le trattative e sta ostacolando l’applicazione delle clausole del protocollo umanitario.
Ha detto ieri in un comizio che l’unica soluzione per la sicurezza di Israele è l’applicazione del piano Trump per la deportazione dei gazzawi.
“Ero a conoscenza del piano, prima della sua pubblicazione.
Con il presidente USA cambieremo il volto del Medio Oriente.
Non ci sarà posto per uno Stato palestinese”.

La visita del ministro degli esteri della Casa Bianca nella regione, iniziata da Tel Aviv, non promette bene per il futuro dei palestinesi.

Libano

Caccia israeliani hanno bombardato tre località libanesi del sud, uccidendo una donna.

La violazione della tregua è sistematica e non si annuncia imminente il ritiro israeliano, previsto dall’accordo entro il 18 febbraio.
La pressione militare israeliana è sostenuta dagli USA.

Il ministro degli esteri Rubio da Tel Aviv ha sollecitato il governo di Beirut a disarmare Hezbollah e ridurre l’influenza dell’Iran.

Il divieto, da parte del governo libanese, agli aerei civili iraniani di atterrare all’aeroporto di Beirut ha provocato scontri sulla strada di collegamento tra la capitale e lo scalo aereo.

Turchia-Kurdistan

Una delegazione del partito Dem è giunta ad Erbil, capoluogo del Kurdistan autonomo iracheno.
Gli esponenti del partito democratico dei popoli portano ai dirigenti curdi iracheni un messaggio di Ocalan per la soluzione della questione curda in Turchia.
Secondo diverse fonti, sarebbe imminente un’apparizione in video di Ocalan, dal suo carcere di Imrali, per lanciare un messaggio di pace.
Il ruolo dei due leader curdo-iracheni, Barzani e Talabani, è utile a causa dei loro buoni rapporti con Ankara.

Iraq e USA

Voci sempre più insistenti sostengono che il governo iracheno chiederà di prolungare la presenza militare USA per far fronte alle minacce possibili dalla Siria.
Non solo la rinascita dell’ISIS, ma lo stesso gruppo di potere a Damasco con i suoi trascorsi qaedisti potrebbe rappresentare un pericolo.
Fonti di Baghdad sottolineano che Al-Joulani, alias Ahmed Shara’, era il luogotenente del capo di Daiesh, Al-Baghdadi.

ANBAMED

“Ti senti come se fossi un subumano”

Firenze, 17 febbraio 2025
– Nel rapporto intitolato “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza”, Amnesty International documenta come, durante l’offensiva militare lanciata dopo gli attacchi mortali del 7 ottobre guidati nel sud di Israele da Hamas, Israele abbia scatenato inferno e distruzione contro la popolazione palestinese di Gaza senza freni, in modo continuativo e nella totale impunità.

Di questo parleremo con Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia, che presenterà il rapporto giovedì 20 febbraio dalle 18.30 al circolo ARCI delle Vie Nuove (viale Giannotti, 13, Firenze) in un evento organizzato da Amnesty International Circoscrizione Toscana, Arci Firenze, COSPE, Belle Parole, Circolo delle vie nuove, Assopace Palestina, Gli amici di Roberto Morrione e Amicizia italo-palestinese Onlus.

Il rapporto di Amnesty International Italia ha esaminato in dettaglio le violazioni commesse da Israele nella Striscia di Gaza lungo un arco temporale di nove mesi, tra il 7 ottobre 2023 e l’inizio di luglio del 2024.

L’organizzazione per i diritti umani ha intervistato 212 persone, tra le quali vittime e testimoni palestinesi, autorità locali di Gaza e operatori sanitari; ha condotto ricerche sul campo e analisi di un’ampia serie di prove materiali e digitali, comprese immagini satellitari; ha analizzato dichiarazioni di alti funzionari del governo e dell’esercito di Israele e di altri organismi ufficiali israeliani, rinvenendo sufficienti elementi per arrivare alla conclusione che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata.

“Il rapporto mostra che Israele ha compiuto atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio, con l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza.

Questi atti comprendono uccisioni, gravi danni fisici e mentali e la deliberata inflizione di condizioni di vita calcolate per causare la loro distruzione fisica.

Mese dopo mese, Israele ha trattato la popolazione palestinese di Gaza come un gruppo subumano non meritevole di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, che ha aggiunto: “Le nostre conclusioni devono servire a svegliare la comunità internazionale. Questo è un genocidio. Deve cessare ora”.

Dopo la presentazione del rapporto seguirà la proiezione di “Investigating War Crimes in Gaza”, il documentario di Al Jazeera sulle violazioni commesse dai soldati israeliani, curato da James Kleinfeld e introdotto da Richard Sanders, direttore dell’Unità investigativa di Al Jazeera.

Il reportage, realizzato dall’unità investigativa di Al Jazeera, denuncia i crimini di guerra israeliani nella Striscia di Gaza attraverso foto e video postati online dagli stessi soldati israeliani durante il conflitto durato un anno.

La I-Unit ha costruito un database di migliaia di video, foto e post sui social media e, dove possibile, ha identificato i post e le persone che vi compaiono.

Il materiale rivela una serie di attività illegali, dalle distruzioni, ai saccheggi, alla demolizione di interi quartieri e agli omicidi.

Il film racconta anche la storia della guerra attraverso gli occhi dei giornalisti palestinesi, degli operatori dei diritti umani e delle persone residenti della Striscia di Gaza.

Il documentario è in inglese con sottotitoli in italiano.

Sul sito di Amnesty una sintesi del Rapporto.

Amnesty International

Verità per la morte di Navalny

Russia, Amnesty International:

“A un anno di distanza, chiediamo verità e assunzione di responsabilità per la morte di Navalny”

In occasione del primo anniversario della morte in carcere dell’oppositore politico e prigioniero di coscienza russo Aleksei Navalny, la segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard ha dichiarato:

“È passato un anno da quando Aleksei Navalny, prigioniero di coscienza e voce instancabile contro la corruzione e la repressione, ha perso la vita in una delle prigioni più remote della Russia.

Questa data è un’occasione per ricordare a Putin che le domande sulla sua morte non finiranno e che la richiesta di assunzione di responsabilità resta più forte che mai.

Il Cremlino sbaglia a pensare che il ricordo di Navalny svanirà e che si possa evitare un’indagine approfondita sulla sua morte.

L’unico modo per far emergere la verità è un’inchiesta condotta da esperti internazionali indipendenti e imparziali.
Il mondo non deve esigere niente di meno”.

“Navalny ha incarnato coraggio e resilienza.
Con il suo impegno ha portato speranza e unito migliaia di persone che hanno osato opporsi ai soprusi di potere e alle violazioni dei diritti umani.

Ha sfidato uno status quo caratterizzato dalla repressione e dalla sistematica messa a tacere degli oppositori politici e delle minoranze”.

“Lo stato russo non è riuscito a scalfire Navalny con la detenzione ingiusta, la tortura e l’isolamento ripetuto.

Nemmeno la sua morte ha cancellato il suo lascito di resistenza, che continua a ispirare chi crede in un futuro migliore.

Onoriamo la sua memoria restando al fianco di tutte le persone che, nonostante la crescente repressione, continuano a battersi per la verità, la giustizia e la libertà”.

“Tra queste persone ci sono Antonina Favorskaya, Sergei Karelin, Konstantin Gabov e Artyom Kriger, che rischiano il carcere con l’accusa di ‘partecipazione a un’associazione estremista’ per il loro lavoro nei progetti giornalistici e di informazione fondati da Navalny.

La loro resilienza rappresenta i valori per cui Aleksei ha lottato.

Siamo indignati per la condanna a otto anni inflitta a Daniel Kholodny per le stesse accuse arbitrarie di ‘estremismo’, per il solo fatto di aver lavorato come direttore informatico di uno dei canali di informazione di Navalny”.

“Condanniamo con fermezza anche la persecuzione giudiziaria degli avvocati di Navalny – Aleksei Lipster, Vadim Kobzev e Igor Sergunin – in carcere a loro volta con accuse di ‘estremismo’ semplicemente per aver difeso il loro cliente.

Amnesty International ne chiede l’immediata e incondizionata scarcerazione e invita la comunità internazionale a intensificare la pressione sul governo russo affinché ponga fine a questi e altri procedimenti giudiziari di matrice politica”.

Amnesty International

Una grande e partecipata manifestazione di immigrati e italiani per le strade di Tortona in ricordo di Ange Jordan Tchombiap

Alcuni momenti della manifestazione di ieri 16 febbraio a Tortona, in ricordo di Ange Jordan Tchombiap, organizzata dalla comunita’ camerunense.

Una grande e partecipata manifestazione di immigrati e italiani, come non se ne vedevano da anni, ha attraversato le strade di Tortona con musiche, balli e slogan per chiedere giustizia per Jordan. Non solo, ma anche per affermare i valori della solidarietà, ddll’accoglienza, dell’antirazzismo e dell’antifascismo e per dire che la sicurezza tanto sbandierata dal Sindaco si crea con lavoro sicuro e non precario, sicurezza sulle strade, mobilita’ sostenibile e accoglienza per chi fugge da guerre e miseria. Da questo punto di vista, la scuola avrebbe un ruolo importante da svolgere, se solo lo volesse.

La manifestazione si è conclusa nei giardini del Comune di Tortona. Ci saremmo aspettati che il Sindaco, Federico Chiodi, fosse venuto a salutare i partecipanti presentandosi con la fascia tricolore e dicendo due parole per la tragica fine di questo ragazzo.
Niente di tutto questo è accaduto, solo silenzio, nessuna risposta alla nostra richiesta di proclamare un giorno di lutto cittadino e di transennare l’area dove Jordan è stato ucciso.

È invece accaduto qualcosa di molto grave: con sorpresa, le autorità hanno concesso sabato 15 febbraio lo spazio antistante alla stazione Fs agli eredi di Mussolini ed Hitler per raccogliere le firme per l’espulsione degli immigrati. Un’iniziativa provocatoria e una risposta alle nostre sollecitazioni. Tanto per dire da che parte stanno.
VERGOGNA!

A cura del Presidio Permanente di Castelnuovo Scrivia

Redazione Italia

La Corte Penale Internazionale apre uno spiraglio di giustizia per le donne afghane

Il procuratore capo della CPI Karim Khan ha richiesto a fine gennaio un mandato di arresto per i leader dei Talebani, accusati di aver commesso il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere. Un atto importante per le donne perseguitate e per certi versi inedito ma che per essere efficace richiede che i Paesi occidentali e i firmatari dello Statuto di Roma rinnovino il sostegno alla Corte. Il commento del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane.

Il 23 gennaio 2025 il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Khan ha lanciato un forte atto d’accusa nei confronti dei Talebani: ha richiesto l’arresto del leader supremo, Mullah Hibatullah Akhundzada, e per il suo giudice capo, Abdul Hakim Haqqani, perché ritenuti responsabili del crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.

La documentata accusa sta in due lunghi e dettagliati documenti che danno il quadro dei crimini commessi dai Talebani in questi ultimi tre anni e mezzo e del ruolo diretto dei due accusati nell’architettare e sostenere la sistematica violazione dei diritti delle donne e delle persone Lgbtqi+, persecuzione commessa almeno dal 15 agosto 2021 e fino a oggi in tutto il territorio dell’Afghanistan.

È una decisione storica: per la prima volta una richiesta di indagine della CPI è incentrata sul crimine di persecuzione di genere come reato principale, e non solo per le azioni persecutorie contro le donne e le ragazze ma anche per quelle messe in atto nei confronti delle persone Lgbtqi+.

Un atto coraggioso, che supera i tentennamenti e le politiche contraddittorie dell’Onu e degli Stati cosiddetti democratici che rifiutano formalmente il riconoscimento del governo talebano ma intanto invitano i propri esponenti ai convegni internazionali e con loro fanno affari.

Finalmente qualcosa si muove anche a livello istituzionale in difesa delle donne afghane e del loro diritto all’esistenza. Qualcuno si è accorto della loro quotidiana insopportabile sofferenza e, andando oltre le astratte dichiarazioni in difesa dei diritti umani, si è esposto con un atto concreto.

Di fronte all’assoluta impermeabilità del governo talebano alle ingiunzioni delle istituzioni internazionali che richiedono il ritiro dei provvedimenti e il ripristino dei diritti delle donne, la risposta non può essere quella di cancellare il problema dalle agende politiche e recedere dalle pressioni per ingraziarsi i Talebani con concessioni commerciali e aiuti economici. E nemmeno quella di scommettere su una divisione del fronte talebano per poterne appoggiare gli esponenti più moderati, perché non ci sono Talebani cattivi e Talebani buoni: sono tutti comunque fondamentalisti.

La provata continuata oppressione delle donne in quanto genere e delle persone che non si conformano alla visione del mondo dei Talebani sarebbe stata meglio definita dal termine “apartheid di genere” (Adg), con il quale ormai da tutti viene nominata la persecuzione sistematica delle donne che avviene in Afghanistan, e in modo meno eclatante anche in altri Paesi. Ma la Cpi non poteva usare questo termine perché l’Adg non è un reato previsto dallo Statuto di Roma, che contempla l’apartheid basato sulla discriminazione etnica ma non sul genere.

Sebbene la CPI abbia cercato di aggiornare e integrare il reato di persecuzione di genere, l’Adg rimane una definizione più ampia e comprensiva di tutte le sfaccettature e gli aspetti politici che le differenze di genere comprendono. Perciò da varie parti si avanza la richiesta di rivedere lo Statuto di Roma integrandolo con il crimine specifico di Adg. Anche il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda) si unisce a questa richiesta nella sua “Campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere” già avviata da novembre 2024.

Nel settembre dello scorso anno Canada, Germania, Australia e Paesi Bassi, seguiti successivamente da altre 20 nazioni, hanno annunciato la loro intenzione di deferire i Talebani presso il più alto tribunale delle Nazioni Unite, la Corte di Giustizia Internazionale, per le diffuse violazioni dei diritti umani contro le donne nel mancato rispetto della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) di cui l’Afghanistan è firmatario. La procedura è in corso, vedremo nei prossimi mesi come andrà avanti.

Intanto, il 28 novembre scorso Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico hanno esortato il procuratore della CPI a indagare sulle violazioni sistematiche e continue dei diritti delle donne e delle ragazze da parte dei Talebani.

Accogliendo la loro richiesta, a fine gennaio, il procuratore, che aveva già annunciato la ripresa delle indagini sulla situazione in Afghanistan dopo un periodo di differimento, ha presentato le richieste di arresto per i due Talebani.

I giudici della CPI hanno tempo tre mesi per decidere se accogliere la richiesta. Se i mandati venissero emessi, i due uomini potrebbero essere arrestati in qualsiasi Paese membro della Corte, anche se, data la loro propensione a rimanere all’interno di Paesi amici, gli arresti e i processi sono in realtà una prospettiva lontana.

Potrebbe sembrare quindi un atto con scarse ricadute pratiche. Tuttavia, anche se questi mandati non dovessero portare all’arresto immediato e al perseguimento dei leader Talebani, avrebbero comunque l’effetto di danneggiare la loro posizione politica di fronte all’opinione pubblica mondiale. Rappresenterebbero un passo significativo nella lotta contro il riconoscimento internazionale del governo talebano, in un momento in cui molti Stati e l’Onu stesso si stanno adoperando per trovare giustificazioni umanitarie ed economiche che permettano di riconoscere al governo talebano il diritto a rientrare di fatto nella comunità internazionale nonostante la loro visione fondamentalista, condannata a parole da tutti gli Stati ma subita nei fatti in nome del pragmatismo.

La presa di posizione della CPI ci costringe a ricordare che è ancora viva la tragedia delle donne in Afghanistan, un Paese uscito dai radar mediatici sulla spinta di altre catastrofi più recenti e dalla consapevolezza che l’opinione pubblica spesso facilmente dimentica le tragedie appena escono dall’immediato presente. Ma soprattutto dovrebbe rendere evidente ai politici e alle istituzioni mondiali che impegnarsi con il governo dei Talebani, convocarli ai convegni internazionali, mediare con loro significa dare credibilità a un governo di criminali.

Per le donne vittime della persecuzione di genere la prospettiva aperta dalla CPI rappresenta una speranza di riconoscimento della gravità della loro sofferenza e del loro coraggio, ma se la giustizia vuole essere giusta non deve dimenticare le responsabilità dei Paesi occidentali. Nei vent’anni di guerra e occupazione le forze della coalizione, Stati Uniti in testa, si sono macchiate di numerosi atti di violenza e torture sulla popolazione civile.

Human rights watch (Hrw) e Amnesty international ricordano giustamente che tutte le vittime sono uguali e hanno uguale diritto al riconoscimento e al risarcimento, perciò la CPI non deve limitarsi a prendere in considerazione le vittime recenti del governo talebano ma deve invece riconsiderare le responsabilità di tutti gli attori in campo colpevoli di atti di barbarie, violenze, torture e ingiustizie che hanno provocato numerosissime vittime civili.

L’Afghanistan ha aderito nel 2003 al Trattato di Roma che ha istituito la CPI. Era il 2006 quando venne avviato un esame preliminare sui possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan dalle varie parti, cioè l’esercito degli Stati Uniti e la Cia, le forze di sicurezza afghane e la rete dei Talebani e degli Haqqani. Ma fu solo nel 2017 che l’allora procuratore Fatou Bensouda chiese ai giudici della Camera preliminare di autorizzare l’indagine ufficiale.

Passarono anni di immobilismo in attesa che si decidesse quale ambito di inchiesta fosse consentito effettuare. E quando nel 2023 è stato concesso di includere nelle indagini anche i recenti “nuovi attori” oltre ai responsabili dei venti anni precedenti, Khan ha deciso di concentrare le sue inchieste sui Talebani e sull’Iskp, escludendo di fatto la Cia, l’esercito statunitense e le forze della Repubblica afghana dalla sua competenza, considerando troppo oneroso condurre ricerche su casi di così ampia portata.

Una decisione forse realistica ma che ha creato una “gerarchia nelle vittime” determinata dall’identità del presunto autore, invece che dalla portata e gravità dei crimini. “Un insulto a migliaia di vittime di crimini commessi dalle forze governative afghane e dalle forze statunitensi e della Nato”, come l’ha giustamente definita un’attivista afghana.

La CPI sta affrontando in questi giorni una pressione significativa a livello internazionale, che potrebbe avere conseguenze sulle sue indagini e sulla sua stessa esistenza. Gli Stati parte dello Statuto di Roma che governa la Corte, tra cui l’Italia, dovrebbero confermare l’importanza di questa istituzione e supportare concretamente l’esercizio del suo mandato indipendente, garantendole con il sostegno e l’assistenza pratica la possibilità di espandere le sue indagini in Afghanistan.

Beatrice Biliato fa parte del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda)

 

altreconomia

San Cristoforo, un forte patto educativo per guardare al futuro

Coinvolgimento dal basso, e da parte di chi conosce bene il quartiere perché vi opera da più di settanta anni: da questa premessa nasce il documento di proposte per San Cristoforo elaborato da salesiani e laici della Salette.

Un documento che sottolinea, in premessa, la necessità di focalizzare l’attenzione soprattutto attorno al problema educativo, oltre che ad “un efficace inserimento lavorativo che tolga manovalanza alla mafia”.

Solo un patto educativo che metta insieme scuola, famiglie, associazioni, con particolare attenzione alle categorie svantaggiate, può promuovere un vero cambiamento del quartiere. E’ il motivo per cui nel documento si afferma che non basta investire in infrastrutture se non si individuano le figure che devono occuparsene e gestirle. E si sostiene che non si avranno risultati duraturi se non si investono risorse per moltiplicare le figure degli educatori: più insegnanti, più assistenti sociali, più psicologi.

Con un’avvertenza, quella di non utilizzare le risorse disponibili per interventi a pioggia su altre zone, magari contigue ma differenti, della città. E quindi la necessità di definire la zona di intervento e di individuare i cosiddetti ‘sottoquartieri’ che sono le aree a cui – come leggiamo nel documento – “la gente sente di appartenere”: Salette, Angeli Custodi, San Cristoforo, Passereddu, Tondicello, Acquicella, Fortino, Locu, Traforo, Zurria ex macello.

Non a caso, nel formulare le loro proposte, salesiani e laici della Salette ritengono che sia opportuno individuare tre hub dislocati nel quartiere, uno al centro, uno ad est (ex macello) e uno ad ovest (zona Fortino), in modo che tutti i sottoquartieri possano essere coinvolti ed usufruirne.

Il documento si sofferma poi sull’hub che potrebbe essere realizzato nella zona centrale del quartiere, proprio attorno alla Salette, riqualificando anche alcuni locali di proprietà del Comune, attualmente in abbandono.

In modo molto puntuale vengono individuati spazi e strutture da dedicare ad adolescenti e giovani, mentre altri spazi e locali dovrebbero essere predisposti per bambini della fascia 0-6, con aree da destinare anche alle mamme, e infine un polo di orientamento e formazione professionale.

Non mancano indicazioni, di carattere più generale, relative alla necessità di creare, all’interno del quartiere, anche un polo culturale e spazi aggregativi per migranti, anziani, disabili.

Argo, cento occhi su Catania

Leggi e scarica il documento di proposta a questo link

Vedi le altre proposte su San Cristoforo, presentate all’Amministrazione e pubblicate sul nostro sito: dal Comitato per il Parco Monte Po-Acquicella – da CGIL,Sunia,Auser – dal Comitato Cittadino Federico II

Redazione Sicilia

27 febbraio 2025, mobilitazione nazionale dei lavoratori migranti: ora basta, non possiamo più aspettare!

Venerdì 14 febbraio si è tenuta un’importante assemblea online dei lavoratori migranti, con centinaia di persone che si sono collegate da tutta Italia per denunciare le violazioni dei diritti che subiscono quotidianamente nei centri di accoglienza, nei luoghi di lavoro, davanti agli uffici Immigrazione ed, in definitiva, nella vita quotidiana.

Ora basta, non possiamo più aspettare! Vogliamo permesso di soggiorno e regolarizzazione per tutte e tutti i lavoratori migranti. 

In un comunicato del CNEL, di seguito riportato, si fa il punto sul ruolo fondamentale dei lavoratori migranti. ma la realtà va anche oltre: in Italia tra centri di accoglienza, insediamenti informali, e persone mai emerse si trovano almeno altre 800.000 persone in attesa di una risposta dal nostro Paese.

MIGRANTI, RUOLO DETERMINANTE NEGLI SCENARI DEMOGRAFICI

Al 1° gennaio 2024 si contano ufficialmente in Italia 5.307.598 stranieri residenti, che rappresentano il 9% della popolazione complessiva. Per oltre il 70% sono cittadini non comunitari. Tra il 2001 e il 2011 gli stranieri si sono cresciuti di quasi 3 milioni, giungendo a superare largamente i 4 milioni di residenti. Se si considera che nello stesso periodo la popolazione in Italia è cresciuta nel suo complesso di circa 3 milioni di unità, è evidente come tale slancio sia del tutto imputabile proprio al contributo della componente straniera. Non a caso, quando nel decennio 2012-2022 l’apporto degli stranieri è stato meno incisivo (circa 700 mila) la popolazione complessiva residente in Italia ha iniziato a ridursi. La popolazione straniera, quindi, ha avuto un ruolo determinante negli scenari demografici. È anche del tutto chiaro quale potrà essere, nei prossimi decenni, il contributo positivo dei flussi migratori, se adeguatamente governati.

Molti cittadini, in attesa di definire la propria posizione, sono costretti a vivere in una condizione di precarietà e ricattabilità per periodi molto lunghi, a volte anche anni. La maggioranza di queste persone si trova nella condizione obbligata di accettare qualsiasi proposta che le permette un minimo salario: lavoro nero, lavoro grigio, sfruttamento, prostituzione e criminalità sono le proposte che la nostra società offre a questa moltitudine di donne e uomini.

A fronte di decreti flussi, click day, promesse di lavoro, sponsor ed altro, la verità che quotidianamente i lavoratori stranieri si trovano di fronte è una situazione di totale precarietà: non espellibili perché in attesa di una risposta, ma non idonei a chiedere una residenza, un conto corrente, un’assistenza sanitaria.

Le lunghe code che siamo ormai abituati a vedere di fronte a tutte le Questure o Uffici Immigrazione sono il risultato di una politica governativa che da oltre vent’anni vede i migranti come un problema di ordine pubblico, non una risorsa.

Sono ormai sempre più frequenti le dichiarazioni o le produzioni di dati, forniti da parte imprenditoriale, che denunciano il calo demografico in Italia e il conseguente calo di forza lavoro in determinati settori produttivi: agricoltura, edilizia, servizi alla persona, ristorazione.

L’incapacità di vedere la migrazione come un fattore positivo da includere nel tessuto della nostra società è palese, con politici di destra e di sinistra che hanno fatto demagogia sulla pelle di persone in fuga da guerre, miseria, persecuzioni per ottenere una manciata di voti in più. Il flusso migratorio dai Paesi extraeuropei è ormai da molti anni un fatto strutturale, del quale la nostra classe politica deve prendere atto.

Per questo, dopo aver visitato decine di centri di accoglienza, aver parlato con migliaia di lavoratori migranti, averli assistiti sindacalmente e supportati nel riconoscimento dei loro diritti minimi, oggi congiuntamente con le comunità dei migranti e con le associazioni di solidarietà, ritorniamo nelle piazze italiane per rivendicare sempre con maggiore forza.

Vogliamo:

– Regolarizzazione di tutti i lavoratori migranti.

– Velocizzazione del rilascio dei documenti, primo fra tutti il permesso di soggiorno

– Il riconoscimento della residenza, della tessera sanitaria e dell’accesso ai conti correnti bancari assistito.

Per questi motivi il 27 febbraio abbiamo indetto una giornata di mobilitazione nazionale davanti a tutte le prefetture. A Roma abbiamo chiesto un incontro al Ministero degli Interni e saremo dalle 15 in Piazza dell’Esquilino.

Per adesioni e contatti: usb@usb.it

Unione Sindacale di Base

Stati Uniti, decine di proteste contro le politiche di Trump e Musk

In seguito al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici predisposto dal nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk e voluto da Trump, in alcune zone degli Stati Uniti si sono registrate proteste contro le politiche del fondatore di Tesla e del presidente della Casa Bianca. In particolare, centinaia di persone si sono radunate davanti alle concessionarie Tesla a New York, Kansas City e in tutta la California per protestare contro i tagli del DOGE. Gli organizzatori hanno riferito di almeno 37 dimostrazioni in uno sforzo coordinato attraverso gli hashtag social TeslaTakedown e TeslaTakover, con i manifestanti che hanno agitato cartelli con le scritte “Detronizzate Musk”, “Nessuno ha votato Elon Musk” e “Fermate il colpo di Stato”. In alcuni Stati democratici, inoltre, sono partite le rivendicazioni contro le politiche riguardanti i diritti all’aborto e delle persone transgender.

Attraverso il DOGE, istituito per ridurre la burocrazia statunitense, Musk ha finora licenziato più di 9.500 dipendenti federali che si occupavano di tutto, dalla gestione dei terreni federali all’assistenza dei veterani militari. I licenziamenti si aggiungono ai circa 75.000 lavoratori che hanno accettato una buonuscita offerta da Musk e Trump. Il presidente statunitense ha affermato che il governo federale è saturo e che troppi soldi vengono persi a causa di sprechi e frodi. Il governo ha circa 36 trilioni di dollari di debito e ha avuto un deficit di 1,8 trilioni di dollari l’anno scorso: c’è un accordo bipartisan sulla necessità di riforme. Tuttavia, l’ondata di licenziamenti ha causato proteste sia tra i dipendenti licenziati che tra i cittadini: molti lavoratori pubblici hanno affermato di sentirsi traditi dallo Stato che hanno servito per anni.

Trump e Musk hanno chiuso quasi completamente alcune agenzie governative come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Quest’ultimo era uno dei pochi uffici rimasti dalla crisi del 2008 con lo scopo di aiutare finanziariamente i cittadini comuni, ma è accusato dai repubblicani di abuso di potere. In risposta alla chiusura di queste Agenzie, è nata una nuova rete di dipendenti federali organizzata per contrastare i tagli nel settore pubblico, chiamata Federal Unionists Network (FUN).

Chris Dols, uno dei membri fondatori, ritiene che l’attacco al CFPB abbia chiarito qual è il vero obiettivo di Musk e Trump. «[Il CFPB] è la protezione dei consumatori contro le frodi», ha affermato, aggiungendo che «I truffatori se la sono presa con l’agenzia anti-truffa». In altre parole, secondo Dols, se Trump e Musk si preoccupassero davvero di ridurre gli sprechi e le frodi e di migliorare la vita dei lavoratori rafforzerebbero ed espanderebbero la portata del CFPB, anziché tagliarla.

Alcuni manifestanti, soprattutto negli Stati di stampo più “progressista” come la California, hanno messo in dubbio la legittimità di Elon Musk, sostenendo che nessuno lo ha votato e radunandosi fuori dalle concessionarie Tesla per protesta. Più di una trentina di eventi contro l’oligarca sudafricano naturalizzato statunitense sono andati in scena in varie parti degli USA, come riportato sul sito Action Network, dove si invitano le persone che possiedono delle Tesla o azioni della società a disinvestire, vendere il proprio veicolo e unirsi alle proteste. Le dimostrazioni seguono le notizie di incendi dolosi e danneggiamenti dei saloni Tesla in Oregon e Colorado. Alcuni investitori temono che il sostegno di Musk a Trump possa influenzare le vendite e sottrarre tempo allo sviluppo del marchio automobilistico: a gennaio le azioni Tesla hanno intrapreso una rapida discesa e anche le vendite risultano in calo.

La Casa Bianca ha affermato che Musk opera come dipendente governativo speciale non retribuito. Tale qualifica è riservata ufficialmente a coloro che lavorano per il governo per 130 giorni o meno in un anno. Fino ad ora, il DOGE ha chiuso l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e sta cercando di chiudere il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Inoltre, come parte di una lotta alle politiche “woke“, Musk ha affermato che il suo team ha «risparmiato ai contribuenti oltre 1 miliardo di dollari in folli contratti DEI (diversità, equità e inclusione)».

L'Indipendente

Per una Calabria aperta e solidale

Pubblichiamo il manifesto integrale dell’iniziativa di cui abbiamo dato notizia qualche giorno fa in un precedente articolo: Carovana per una Calabria aperta e solidale

Il manifesto, le proposte (e il programma https://bit.ly/42TVVEK)
MEMORIA, VERITA’ E GIUSTIZIA PER CUTRO E LE ALTRE STRAGI
CAROVANA PER UNA CALABRIA APERTA E SOLIDALE
CON CARAVANA ABRIENDO FRONTERAS E CAROVANE MIGRANTI

Nel luglio del 2023, ad un anno della strage del Barrio Chino la Carovana Abriendo Fronteras era a Melilla. Tra i testimoni una madre messicana che cerca i suoi quattro figli, la sorella di uno scomparso nel naufragio di Cutro per sottolineare con forza come siamo di fronte a crimini di sistema, ad una “cartografia dell’impunità’. Melilla, Ceuta, Ciudad Juárez, Pylos, Cutro e ancora una volta in Calabria, Roccella Jonica,

Sono tanti di più i luoghi delle necropolitiche globali; in questi luoghi anche tristemente simbolici si affinano gli strumenti della negazione, dell’occultamento dei corpi insieme a quelli dei diritti delle famiglie e delle comunità. Roccella Jonica, in ultimo ne è un buon esempio.

Le istituzioni italiane terrorizzate dall’effetto Cutro sulla opinione pubblica hanno nascosto, disperso cadaveri in luoghi diversi, hanno depistato l’informazione, hanno impunemente maltrattato le famiglie disorientate; inoltre si prosegue nell’ostacolare i soccorsi in mare ed a criminalizzare le navi umanitarie.

Nella Carovana verso i Balcani dello scorso luglio, abbiamo raccolto tante storie che purtroppo confermano questa guerra ai Popoli in movimento. Gli attivisti locali lungo la rotta, i gruppi internazionali, da No Name Kitchen al Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino misurano ogni giorno questa offensiva militare e politica contro le persone in cammino.
Tenteremo di legare queste diverse esperienze con il fine di comprendere se possiamo costruire insieme una piattaforma di richieste ai soggetti istituzionali che possano ottenere Verità e Giustizia per i/le desaparecidos del regime di frontiera.

In questi dieci anni di accompagnamento delle madri tunisine che cercano i loro famigliari dispersi non abbiamo mai ben compreso il ruolo dell’ufficio del Commissario straordinario di Governo per le persone scomparse. Sul sito si legge addirittura che collabora con le omologhe autorità spagnole (Centro spagnolo nazionale per le persone scomparse, C.N.DES).

Qui si dovrebbero incanalare le richieste dei famigliari che cercano persone scomparse affinché le istituzioni coinvolte rispettino una procedura chiara ed inequivocabile nel trattamento dei dati e delle informazioni.

Nella recente Carovana verso i Balcani abbiamo espresso la volontà di conoscere meglio l’esperienza spagnola che si sta misurando con la realizzazione di un database degli scomparsi. Entre Mares, una realtà di base delle Canarie, si ostina nel dare un nome ai morti nell’Oceano coprendo il vuoto delle istituzioni.

Una volta di più la rivendicazione di questa Carovana, nei confronti delle Istituzioni, è di procedere, con i famigliari, le associazioni di migranti, gli attivisti alla costruzione di un codice di comportamento vincolante in presenza di un naufragio o di un corpo non identificato.

Le prime ore che seguono l’evento sono le più delicate ed in questa fase è indispensabile raccogliere più informazioni possibili:
-Deve essere una consuetudine il prelievo del DNA sui corpi senza vita e su quello dei famigliari che rivendicano la scomparsa di un loro caro, questo unitamente alla raccolta dei dati ante e post mortem utili all’identificazione delle salme;
– Deve essere garantita la possibilità, anche posteriormente, di identificare i corpi e di seppellirli secondo la volontà e il credo espresso dalle famiglie;
– Certo deve essere l’impegno dei Governi per il rimpatrio delle salme;
– Le sepolture, dei corpi non immediatamente rivendicati dalle famiglie, devono essere effettuate garantendo la tracciabilità per un eventuale futuro riconoscimento o rimpatrio;
– Al contrario di quanto abbiamo misurato in diverse occasioni gli enti coinvolti devono garantire una accoglienza degna ed adeguata ai sopravvissuti ed ai famigliari. Questo significa pensare ai costi di viaggio, vitto, alloggio ed al supporto medico e psicologico.
-I famigliari devono essere informati in ogni fase dell’identificazione per la doverosa comparazione del profilo genetico.

Caravana Abriendo Fronteras, Asociación Sociocultural Entre Mares, Proyecto Puentes de Esperanza,  Red. Regional de Familias Migrantes, Cofamicenh, Socorro Guzmán, Colectivo Memoria, Verdad y Justicia Acapulco, Fornelli in Lotta, Language Aid Mem.Med – Memoria Mediterranea, Rete Antirazzista Catanese, Rete 26 Febbraio, Re.Co.Sol – Rete delle Comunitaà, YaBasta, Restiamo Umani, Ana Enamorado, Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino, Nova Koinè, XII Marcha Por La Dignidad – Tarajal, No Olvidamos, Action For Festival delle Migrazioni Acquaformosa – Associazione don V. Matrangolo, Colectivo “Sigo Tus Huellas, Hasta Encontrarte” Buscando Desaparecidos, Huellas de la Memoria, Melting Pot Europa, Asociación Sociocultural Entre Mares

#HastaEncontrarles
#lenzuolimemoriamigrante
#CommemorAction

dalla pagina fb del Forum Antirazzista di Palermo

 

Redazione Sicilia

Combattenti per la Pace, una legge minaccia le Ong israeliane per la pace e i diritti umani

Siamo profondamente preoccupati per un nuovo pericoloso sviluppo legislativo che minaccia il nostro movimenti come Combattenti per la Pace e altre organizzazioni per la pace e i diritti umani in Israele.

Il Comitato ministeriale per la legislazione del governo israeliano ha appena approvato una legge che modifica la Legge sulle Associazioni (1980) , imponendo severe restrizioni finanziarie e operative alle ONG che ricevono finanziamenti da enti governativi stranieri. Se approvata, questa legge limiterà drasticamente la nostra capacità di operare, mettendo a tacere le voci che si attivano per la pace, i diritti umani e la cooperazione binazionale.

Questa proposta di legge non limita solo i finanziamenti, ma è anche un tentativo di impedire alle ONG di accedere alla revisione giudiziaria in questioni riguardanti i diritti umani e alle petizioni contro istituzioni governative. La bozza afferma infatti:

“Un tribunale non deve prendere in considerazione alcuna richiesta presentata da una ONG il cui finanziamento principale proviene da un ente statale straniero, se non è finanziato dallo Stato di Israele.”

Ciò significa che le ONG che si affidano a finanziamenti internazionali, ovvero la stragrande maggioranza delle organizzazioni israeliane per i diritti umani, perderebbero la possibilità di presentare ricorso ai tribunali israeliani. Si tratta di un attacco diretto alla democrazia, che priva la società civile di uno dei suoi strumenti più importanti per difendere i diritti umani.

Perché questo è importante

Esclude qualsiasi possibilità di azione legale contro le violazioni dei diritti umani, negando giustizia a chi ne ha più bisogno.

Riduce al silenzio la società civile, interrompendo il sostegno internazionale alle organizzazioni che lavorano per la pace, la giustizia e l’uguaglianza.

Compromette la democrazia, conferendo al governo il potere incontrollato di limitare le voci di dissenso.

Approfondirà e consoliderà l’occupazione, eliminando uno degli ultimi baluardi rimasti sulle politiche governative che perpetuano violazioni dei diritti umani e violenze.

Cosa significa questo per i palestinesi

Più accaparramenti di terre e più demolizioni – Con meno sfide legali, Israele sarà libero di espandere gli insediamenti e confiscare le terre palestinesi a un ritmo ancor più veloce.

Maggiore violenza da parte dei coloni e dei militari – Abolendo quei pochi dispositivi vigenti, aumenteranno gli attacchi contro le comunità palestinesi senza alcun controllo.

Minore consapevolezza internazionale: le organizzazioni per i diritti umani saranno messe a tacere, rendendo più difficile denunciare le realtà quotidiane dell’occupazione.

Fine degli sforzi di pace di base: gruppi come “Combattenti per la Pace” che promuovono l’incontro di israeliani e palestinesi per un’azione nonviolenta, perderanno un sostegno fondamentale.

Come potete aiutare

Abbiamo urgente bisogno del vostro supporto per fermare questa pericolosa proposta prima che diventi legge. Ecco cosa potete fare:

Contattare i rappresentanti delle vostre amministrazioni e il vostro governo centrale, esortandoli a esprimersi contro questa legge e a esercitare pressioni diplomatiche su Israele affinché protegga la società civile.

Aumentare la consapevolezza condividendo queste informazioni con le vostre reti, le organizzazioni per i diritti umani e i contatti dei media. Più attenzione riceve questo problema, più difficile sarà che passi inosservato.

Continuare a sostenere il nostro lavoro: ora più che mai abbiamo bisogno della vostra solidarietà per sostenere il nostro movimento di fronte a queste minacce.

Questa legge non riguarda solo la limitazione delle ONG israeliane: è un attacco diretto ai diritti dei palestinesi, all’accesso alla giustizia e al movimento per la pace. Paralizzando la società civile, il governo israeliano garantirebbe che l’occupazione militare e l’espansione dei coloni continuino senza controllo, con meno ostacoli alla resistenza.

È tempo di agire. Insieme, possiamo difendere il diritto di co-resistere all’oppressione, sostenere la pace e costruire un futuro giusto per tutti.

In solidarietà,

Combattenti per la pace

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https://x.com/cfpeace
https://cfpeace.org/

Redazione Italia