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Il capitalismo della conoscenza

Il tempo si è velocizzato. Tutto corre.

Naturalmente trascina anche noi.

I ragazzi delle superiori spesso si annoiano: in genere finiscono per “fare i compiti”, ma conoscono 5G e sono tentati di farsi fare le ricerche.

Restano ignoranti, ma le vecchie generazioni facevano le ricerche sulla Treccani; quando si è imposto Internet non c’era preparazione per insegnare come fare ricerche non solo sul pc, ma sul cellulare.

Lo smartphone è diventato un oggetto di culto, non quello che in realtà è uno strumento prezioso, frutto dell’ingegnosità umana, ma che è uno strumento che “serve” e va usato per ciò che giova, non per tutti i contatti futili che ha generato.

Capisci di più se stai dentro le chat, se mandi migliaia di whatsapp non necessarie, per “restare in contatto” con tanti che chiami “amici” anche se non li conosci e non li vedrai mai ?

O ancora se pratichi gli scambi, anche di insulti, di oscenità, di politica, di odio e comunque viscerale dei social?

Il capitalismo odierno imprigiona il tempo.

Già Zuckenberg e Bezos, prima di Elon Musk, in vent’anni hanno messo insieme patrimoni che nessuno aveva mai immaginato, costruiti da quanti non si rendono conto che, ogni tastino che pigiano, loro ci guadagnano.

Cinquant’anni fa i progressisti reagivano all’”imperialismo delle multinazionali”.

Nessuno ha percepito che non lo chiamiamo “imperialismo”, ma domina non solo le condizioni di vita – anche se ieri l’impiegata della casa di fronte ha ricevuto il licenziamento via what’s up – ma le coscienze.

Da quando Musk collabora con la presidenza Tramp, anche gli altri boss del digitale si sono allineati e Zuckerberg ha tolto il controllo di sicurezza a Facebook e Istagram.

A prescindere dalle tante considerazioni che si possono fare sull’abuso delle nuove tecnologie, è evidente che siamo entrati nel capitalismo della conoscenza.

Purtroppo imprevedibile, anche se Mc Luhan ha pubblicato ‘Il mezzo è il messaggio’ nel 1964 e abbiamo visto intristire la sezioni di partito a partire dall’arrivo della televisione.

Ovviamente adesso si comprende che non bisognava preferire “Lascia o raddoppia” alla relazione del segretario, ma che bisognava trovare i modi di rinnovare l’interesse per un fare politica che non è concorrenziale all’ uso del tempo libero.

Da diversi anni succede che persone che usano le tecnologie quotidianamente per ragioni di lavoro, nella pausa pranzo telefonano ad Amazon per farsi portare una pizza in ufficio invece di andare sanamente al bar dell’angolo e la sera si fanno un gioco elettronico.

Sono molti i modi con cui si usano male le cose buone che scienza e tecnologia ci forniscono e ci obbligano a cambiare l’approccio al mondo.

Perché la conoscenza è davvero il modo con cui il progresso – o il regresso – vengono condizionati dalle masse: per capire le dinamiche trasformative occorre capirle.

Non nel senso di essere laureati in cosmologia per capire che siamo in ritardo nel chiedere che la politica europea si affretti ad approvare regole sull’uso dello spazio da quando siamo condizionati dai satelliti.

I fumetti sono sempre stati pieni di guerre stellari, ma incominciamo a pensare che ci si potrebbe anche arrivare se è vero che Elon Mask ha regalato la copertura dalle interferenze russe all’Ucraina (se Trump gli dicesse di toglierla, cambierebbe la trattativa per por fine alla guerra con la Russia).

La quale, a sua volta, con o senza satelliti nella precedente elezione di Trump aveva appoggiato la sua candidatura contro quella dei democratici.

Non una grande novità: per strumentalizzare il popolo bastava Menenio Agrippa che incartò le proteste della plebe nel 494 a.C. raccontando la storia che il corpo “non sa”, solo la testa “sa”: e quelli che “sanno” comandano.

Abbiamo avuto le ideologie, non ci hanno aiutato se bastano i social a farmi votare o non votare: perché dovremmo farlo se “sono tutti uguali”, “è tutto un magna-magna”, “non ce l’hanno fatta nemmeno “i Cinque Stelle” che avevano sconfitto la povertà”.

Siamo vulnerabili e per primi sono vulnerabili i movimenti di buona volontà privi di fiducia delle istituzioni e più attrezzati alla protesta che alla ricerca di uscire dal disagio e rifare la coscienza delle Istituzioni.

Che Pierpaolo Pasolini sempre complicato definiva “commoventi”.

Sono arrivata adesso a capire l’emozione di vedere che a nessuno sta a cuore il Parlamento, dove vive la rappresentanza degli interessi del popolo sovrano che a sua volta vota il governo e l’opposizione di cui siamo i responsabili.

Le elezioni politiche del 2022 ci hanno dato un governo votato da due terzi dell’elettorato.

Un terzo non è “rappresentato” e non ne prova dispiacere: non si cura del diritto di cittadinanza in un tempo in cui i diritti vanno rideclinati, non peggiorati se l’Italia – ma non solo l’Italia – va a destra.

Sconfortati e indifferenti non possono perdere la coscienza della libertà.

Che, anche se è sempre individuale prima di essere collettiva, fino a quando sarà difesa dalla libertà di stampa se i giornali perdono pubblico e la lettura elettronica è diversa.

Dobbiamo difenderla prima di qualunque censura o riduzione o cambio di direzioni, bisogna sentirsi liberi perché vogliamo prevenire.

( riceviamo e pubblichiamo dalla giornalista Giancarla Codrignani )

Redazione Italia