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educazione

In flessione il mercato dei libri nel 2024

La sostituzione della 18app con le Carte Cultura e del Merito e il mancato finanziamento alle biblioteche per 30 milioni di euro sono alla radice della flessione del mercato dei libri di varia adulti e ragazzi nei canali trade nel 2024 (narrativa e saggistica a stampa venduta nelle librerie fisiche e online e nei supermercati): in assenza di queste due decisioni, il mercato sarebbe cresciuto a valore del 2,5% anziché calare dell’1,5%.

E’ quanto certifica un’analisi basata su dati di NielsenIQ-GfK, che è stata presentata di recente dall’Associazione Italiana Editori – AIE.

In particolare, AIE stima che nel 2024 le vendite di libri perse per effetto delle modifiche alle misure di sostegno alla domanda siano state pari a 62,7 milioni di euro.

Tale cifra avrebbe consentito al mercato librario di attestarsi a quota 1.596,5 milioni di euro anziché 1.533,8 milioni di euro, rispetto a un 2023 che si era chiuso a 1.557 milioni di euro.

E a sottolineare i motivi della flessione è stato il presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Innocenzo Cipolletta che ha spiegato che “l’analisi delle misure a sostegno della domanda di libri nel nostro Paese dal 2017 ad oggi ci dice due cose: la prima è che tali misure hanno avuto nel corso degli anni un effetto moltiplicatore, contribuendo a creare nuovi lettori e nuovi acquirenti.

La seconda è che hanno consentito al settore di attestarsi su un livello di vendite e di fatturato più alto, necessario per sostenere il processo di crescita ed evoluzione delle aziende e della filiera.

Quando tali misure vengono a mancare, il danno è quindi doppio.

Bene, quindi, il ripristino del fondo per le biblioteche per il 2025.”

L’Italia è in grande difficoltà rispetto a quanto accade a livello europeo.

Nel 2024 in Italia la vendita di libri per adulti e ragazzi nel mercato trade è stata di 103,987 milioni di copie, in calo del 2,3% rispetto all’anno precedente, pari a 2,458 milioni di copie comprate in meno.

A valore la flessione è dell’1,5%, pari a 23,2 milioni di euro di minori vendite rispetto a un mercato complessivo di 1.533,8 milioni di euro.

Il -1,5% dell’Italia a valore pone il Paese in coda rispetto alle maggiori editorie europee: la Germania cresce dello 0,9%, il Regno Unito cala dello 0,6%, la Francia cala dello 0,3%, la Spagna cresce del 9,8%.

La flessione del mercato è disomogenea rispetto alla dimensione degli editori: i gruppi e le case editrici con vendite superiori ai 5 milioni di euro sono in calo dello 0,1%, gli editori da un milione a 5 milioni di venduto sono calati del 9,3%, quelli sotto il milione del 2,5%.

E’ l’online ad essere particolarmente in crisi: nei 12 mesi i canali online hanno venduto 26,3 milioni di euro in meno di libri rispetto al 2023, sono 6,7 milioni di euro le minori vendite della grande distribuzione.

Le librerie, indipendenti e di catena, sono invece cresciute di 8,8 milioni di euro, ma non sono riuscite a intercettare completamente le minori vendite fatte registrare dall’e-commerce.

Tra i generi, cresce solo la narrativa italiana (3,2%) e straniera (0,9%), mentre il settore bambini e ragazzi è in flessione dello 0,8%, la saggistica generale del 2%, la manualistica del 4,1%, la saggistica specialistica del 5,1% e i fumetti del 5,5%.

Sono numeri che si riflettono nella top 10: sette i titoli di autori italiani presenti, di cui sei romanzi.

Ma il libro più venduto nel 2024 è un saggio (uscito a settembre).

Il digitale vale oltre 100 milioni e cresce.

Al mercato dei libri a stampa si aggiungono vendite nel digitale pari nel 2024 a 114,2 milioni di euro.

Le vendite riferite agli audiolibri (abbonamenti) sono pari a 30 milioni di euro, in crescita del 7,1% rispetto l’anno precedente, le vendite di ebook 84,2 milioni di euro, in crescita del 4%.

L’AIE ha anche stilato la classifica dei dieci titoli più venduti nel 2024: 1. Il dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia, A. Cazzullo, Harper Collins (Settembre 2024); 2. Un animale selvaggio, J. Dicker, La nave di Teseo (Marzo 2024); 3. La portalettere, F. Giannone, Nord (Gennaio 2023); 4. Tatà, V. Perrin, e/o (Novembre 2024); 5. L’età fragile, D. Di Pietrantonio, Einaudi (Novembre 2023); 6. L’orizzonte della notte, G. Carofiglio, Einaudi (Febbraio 2024); 7. Come l’arancio amaro, M. Palminteri, Bompiani (Giugno 2024); 8. Il canto dei cuori ribelli, T. Umrigar, Libreria Pienogiorno (Aprile 2024); 9. Domani, domani, F. Giannone, Nord (Giugno 2024); 10. Il passato è un morto senza cadavere, A. Manzini, Sellerio (Ottobre 2024).

Qui i dati dell’Ufficio Studi AIE: https://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda105-10237-2025.1.31/Presentazione_mercato_2024_Venezia_SUEM.pdf?IDUNI=0bsmfaq4msbsr24qjepxyxn2839.

Giovanni Caprio

Scuola: crescono gli alunni ‘non italiani’

SCUOLA. ISMU: GLI ALUNNI ‘NON ITALIANI’ RIPRENDONO AD AUMENTARE
44% EUROPEI, UN QUARTO AFRICANI, MENTRE NEET SONO DOPPIO ITALIANI

(DIRE) Roma, 17 feb. –

La ricostruzione fatta da Fondazione Ismu Ets rivela che, dopo il rallentamento degli ultimi anni, nell’anno scolastico 2022/23 è ripreso a crescere il numero degli alunni con cittadinanza non italiana (Cni), nati all’estero e nati in Italia, toccando le 914.860 presenze.

Tale numero corrisponde all’11,2% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane (8.158.138) dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado.

Per quanto riguarda la provenienza, gli studenti sono originari di circa 200 Paesi diversi.

In particolare, il 44% è di origine europea; più di un quarto è di origine africana; attorno al 20% asiatica e quasi l’8% dell’America Latina.

La cittadinanza più numerosa è rappresentata dalla Romania, con quasi 149mila studenti. Seguono: Albania (118mila presenze) e Marocco (114mila).

I dati del 2022/23 confermano poi che la maggioranza degli studenti con Cni è concentrata nelle regioni settentrionali, a seguire nel Centro e nel Mezzogiorno.

La Lombardia accoglie un quarto degli alunni con background migratorio (231.819 unità), seguita da Emilia-Romagna (111.811), Veneto (99.604), Lazio (83.716) e Piemonte (81.762).

In Emilia-Romagna gli studenti con cittadinanza non italiana rappresentano il 18,4% della popolazione scolastica regionale, il valore più elevato a livello nazionale.

Segue la Lombardia con il 17,1% di alunni con Cni ogni 100 iscritti nelle scuole di diverso ordine e grado.

La provincia italiana con il maggior numero di alunni con Cni rimane Milano (82.396), seguita da Roma (66.385), Torino (40.605) e Brescia (33.362).

Negli ultimi 30 anni poi è diminuita la percentuale di scuole senza allievi con Cni ed è aumentato il numero di istituti con percentuali rilevanti.

Dal 2002/03 al 2022/23 si è passati dal 43,1% del totale di istituti dove gli alunni con Cni erano assenti al 15,5%.

Nello stesso periodo di tempo, le scuole con una percentuale di alunni con background migratorio inferiore al 30% sono cresciute dal 56,9% al 73,3%.

Un aumento più contenuto ha riguardato le scuole con oltre il 30% di alunni con Cni, inesistenti nel 2002/03 e arrivate a rappresentare nel 2022/23 il 7,9% del totale delle scuole italiane.

Il Rapporto Ismu rivela che in 15 anni sono triplicati gli alunni con Cni nati in Italia da genitori immigrati, passando da 588.986 del 2020/21 a 598.745 nel 2022/23, quasi 10mila unità in più.

Dalla prima rilevazione dell’anno scolastico 2007/08 ad oggi, il gruppo è passato da circa 200mila a quasi 600mila e rappresenta il 65,4% degli alunni con Cni.

Cresce l’incidenza delle seconde generazioni: più dei due terzi degli alunni censiti come non italiani sono costituiti dalle cosiddette seconde generazioni.

L’incidenza percentuale di questo gruppo sul totale degli alunni con Cni cresce in tutti i livelli scolastici e ne costituisce attualmente la maggioranza: nelle scuole dell’infanzia, i nati in Italia ogni 100 alunni con background migratorio sono 81; 69 alla primaria, 63 alle secondarie di primo grado e 50 in quelle di secondo grado.

Permane il problema del ritardo scolastico.

Dai primi dati del 2005/06 si è ridotto progressivamente, ma nel complesso rimane ancora elevato, soprattutto nelle secondarie di secondo grado, dove quasi la metà degli studenti di origine immigrata è in ritardo di uno o più anni (48,0%).

Preoccupano anche la lontananza dal sistema di istruzione/formazione/lavoro e l’abbandono scolastico precoce.

Nel 2022 gli Elet (Early leaver from education and training) nati all’estero, cioè i giovani che si sono fermati alla scuola secondaria di primo grado, sono ancora il 28,7% dei 18-24enni stranieri, cioè il triplo degli autoctoni, che scendono al 9,7%.

I giovani in condizione di Neet (Not in Education, Employment or Training, cioè che non studiano né lavorano) tra i 15 e i 29 anni sono il 29% del totale, circa il doppio degli italiani (17,9%).

Agenzia DIRE

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

Il liceo Rosa sciopera e scende in piazza

Partecipata la manifestazione sotto l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte contro il dimensionamento del Liceo Rosa con sedi a Susa e Bussoleno

CGIL e CUB hanno indetto al Rosa uno sciopero con una piattaforma che non lascia dubbi:
– L’esclusione, anche per gli anni futuri al 2025/2026, di ogni ipotesi di dimensionamento riguardanti l’Istituto
– La nomina di un Dirigente scolastico titolare dal 1° settembre 2025
– La tempestiva sostituzione del Dirigente reggente con l’affidamento della reggenza ad altro Dirigente scolastico

Massimiliano Rebuffo, segretario provinciale della CGIL-FLC, ha dichiarato che l’adesione allo sciopero è stata dell’80%.

La Dirigente reggente alla quale si fa riferimento nelle rivendicazioni è la Giaccone, Dirigente dell’Istituto Ferrari di Susa che nel 2022 è stata nominata reggente del Rosa. Nel comunicato stampa la CGIL-FLC spiega chiaramente la motivazione: “si è incrinato il rapporto con la comunità educante”.

Piattaforma pienamente condivisa con il comitato di cittadini “Insieme per il Rosa” i cui esponenti ci hanno ribadito con forza le rivendicazioni espresse in questo loro comunicato, anch’esso estremamente esplicito.

Alla manifestazione hanno partecipato i lavoratori (docenti e non docenti) del Rosa, genitori, studenti, molti esponenti del comitato “Insieme per il Rosa”. Una delegazione ha chiesto di parlare con Stefano Suraniti, dirigente dell’USR, il quale ha risposto – secondo quanto dichiarato al microfono da Rebuffo – rendendosi disponibile a ricevere solo genitori, studenti e lavoratori non sindacalizzati, in sostanza si è rifiutato di ricevere i rappresentanti sindacali.

Il “divide et impera” non ha tuttavia funzionato (a meno che lo scopo non fosse in realtà quello di non confrontarsi): non è salito nessuno, il patto tra lavoratori, studenti, cittadini e sindacati ha tenuto.

I manifestanti hanno scandito alcuni slogan: “Fateci Fateci Fateci salire”, “Non chiude la bocca, il Norby (Norberto Rosa n.d.r.) non si tocca”, “Tout le monde déteste la Giaccone”, e sono stati apposti dei post-it sul portone della sede dell’USR con le richieste scritte dai ragazzi.

Fabrizio Maffioletti

La guerra dei bambini, disagi e traumi che aumentano la conflittualità

Si è svolto il 19 febbraio presso la Sala Capitale di Palazzo Vecchio, l’interessante incontro La guerra dei bambini, disagi e traumi che aumentano la conflittualità” organizzato in collaborazione fra il Comune di Firenze (Commissioni Consiliari 7 e 9), il Laboratorio Permanente per la Pace del Quartiere 5 e Auser.

Dopo l’introduzione della Presidente Commissione 7 Stefania Collesei, sono seguiti gli interventi del Prof. Mario Matteini, professore di didattica della storia, curatore del video “Testimonianze di vita attraverso sogni e disegni di bambini israeliani e palestinesi“, della  Presidente Commissione 9 Beatrice Barbieri,  dell’Insegnante Elisabetta Cavalero con i suoi alunni della Scuola Montagnola, della Dott.ssa Eleonora Boscolo e la  Dott.ssa Sandra Caciagli del Laboratorio Permanente per la Pace e della Dott.ssa Elisabetta Innocenti, neuropsichiatra infantile Ospedale Meyer. Presente l’Assessora alla Educazione, Formazione professionale, Cultura della memoria e della legalità, Pari opportunità Benedetta Albanese che ha portato il suo saluto istituzionale.

Stefania Collesei ha rimarcato che lavorare con i bambini è importante, è la strada per dimostrare che un’altra strada è possibile, a partire proprio dai bambini. E’ per questo che il consiglio comunale ha preso diverse iniziative per incontrare realtà di gruppi e associazioni che insieme vogliono lavorare per abbattere il muro della guerra. Mentre in Italia da 80 anni abbiamo avuto la fortuna di non vivere direttamente l’esperienza della guerra, un periodo in cui i bambini sono nati e potuti crescere in tempo di pace, nel video sono stati presentati i momenti dei conflitti vissuti dai bambini palestinesi e israeliani, bambini che non hanno mai conosciuto la pace nella loro vita. Per questo sono importanti le iniziative di associazioni e gruppi informali che a Firenze hanno sviluppato in modo costante iniziative, anche in collaborazione con la commissione, per difendere il valore della pace e la difesa della vita a partire dai bambini, gridando l’orrore dei 17.000 bambini morti solo in Palestina a partire dal 7 ottobre dove sono morti bambini israeliani.

Beatrice Barbieri ha ricordato la sua presenza e rapporto con i ragazzi della scuola e la loro importanza in questo percorso in un momento in cui si è sempre di più sentito parlare della guerra, fino, alla paura di essere coinvolti anche da noi dalla guerra e, in certi momenti, ad assuefarsi a questa stessa parola. In un colloquio un alunno ha fatto la constatazione che “se non ci fosse la guerra non si parlerebbe nemmeno della pace”! Concludendo lui stesso che “una volta assaporata la bellezza della pace non ha senso andare a ricercare la guerra”! Per questo è necessario arricchirsi di cose belle! 

L’assessora Albanese ha ringraziato per l’organizzazione di questa iniziativa con i bambini, dei piccoli cittadini, ma i più importanti che possano abitare queste stanza, perché loro saranno gli adulti di domani, parte integrante di questo percorso di “costruttori di pace”, per il quale non esiste una ricetta, se non l’impegno attraverso le azioni, il pensiero, le parole.  Albanese ha sottolineato che In questo sogno, in questo percorso da fare assieme, il punto di vista e il contributo dei bambini è importante! 

Il Prof. Matteini ha presentato il video che fa parte del progetto “La vita e la storia” con l’obiettivo di favorire la conoscenza della storia a partire da testimonianze di vita. Il video rappresenta i sogni ed i disegni dei bambini israeliani e palestinesi, bambini che non hanno mai conosciuto la pace nella loro vita e ci aiuta a comprendere i conflitti vissuti da loro, ma anche da tutti quelli che vivono in situazioni di conflitto e di guerra. La prospettiva cerca di andare al di là delle ragioni e dei torti, non perché non ci siano responsabilità e si debba rinunciare ai propri giudizi e le proprie valutazioni, ma significa cercare quel terreno comune che eviti di cadere nelle tifoserie contrapposte che impediscono la conoscenza e la capacità di ascolto dell’altro.

Il focus del video è l’infanzia traumatizzata dalla guerra, un aspetto che è vissuta su tutti i fronti, ma che in certi casi non è tenuta nella giusta considerazione e viene quasi considerata un effetto collaterale al servizio di scopi politici. Così in questa disumanizzazione le prime vittime sono proprio i bambini. Per questo vanno considerati tutti i bambini, non solo per il numero dei morti, ma anche per l’impatto psicologico, la paura degli attentati e degli attacchi, le ferite e amputazioni subite, la perdita dei genitori o dei propri cari, la percezione della insicurezza degli adulti e della impossibilità di offrire loro protezione: tutti aspetti e traumi diretti e indiretti che incidono pesantemente sulla loro formazione e crescita. Questo non riguarda solo i bambini Palestinesi, Israeliani, ucraini: secondo un rapporto dell’Unicef i bambini che si trovano in aree di conflitto sono 473 milioni, quasi uno su cinque! Una percentuale quasi raddoppiata rispetto al 1990. I bambini siriani vissuti sotto i bombardamenti sono circa 6 milioni e per molti di loro il sogno era morire per poter andare in paradiso, per poter vivere una vita in pace e ritrovare i propri amici morti prima. Nel video è stato possibile vedere e ascoltare altri fattori che incidono pesante mente sulla vita e la crescita dei bambini, fattori che fanno parte della loro quotidianità. Uno di questi è il richiamo costante alla guerra che si presenta nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, questi richiami li vediamo nelle immagini dei bambini palestinesi dei campi profughi che per andare a scuola camminano attraverso i muri tappezzati con disegni dei martiri e dei morti, in altre foto bambini israeliani che si esercitano con le armi, a difendersi dall’arrivo dei missili, anche con l’utilizzo dei rifugi all’interno degli stessi campi giochi, oppure accompagnati da maestri e genitori armati.

Un ultimo fattore che incide pesantemente sulla crescita e formazione dei bambini è ovviamente l’istruzione su cui sia israeliani che palestinesi dedicano una grande attenzione e fanno scelte simili, a partire dai testi scolastici, negando l’esistenza dell’altro, attraverso meccanismi di distorsione della verità storica, con la sua cancellazione dalle mappe e dalle cartine aumentando ancora l’alimentazione dell’odio e della violenza. Così ai danni individuali causati dall’esperienza della guerra, si sommano questi effetti a lungo termine sulla coscienza e il modo di pensare dei bambini. Questa esperienza del passato e del presente influirà per decenni su intere generazioni che verranno spinti a immaginare così’ un futuro con la guerra al centro, facendo sì che sia più facile pensare alla guerra come soluzione che non la pace. Il radicamento di questo pensiero tenderà a entrare nella mentalità collettiva tanto da farci diventare incapaci di pensare e attivare la soluzione della pace. David Grossman già nel 2021 diceva “Un’intera generazione di bambini, a Gaza e a Ashkelon, presumibilmente crescerà e vivrà con il trauma dei missili, dei bombardamenti e delle sirene. A voi bambini, sulle cui coscienze questo conflitto ha inciso davvero, io sento il bisogno di chiedere scusa, perché non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana a cui ogni bambino di questo mondo ha diritto.

Dopo gli interventi delle rappresentanti del Laboratorio permanente per la pace del Q5, Sandra Caciagli e Eleonora Boscolo e gli interessanti spunti e informazioni della Dott.ssa Elisabetta Innocenti, neuropsichiatra infantile dell’Ospedale Meyer, l’incontro si è poi concluso con il laboratorio dei bambini della Scuola primaria Montagnola che hanno disegnato le emozioni, le riflessioni e le proposte su quanto è loro arrivato dalle immagini e dalle parole del video ed alcuni di questi sono stati presentati da loro stessi alla fine.

Video che è stato proiettato all’incontro

Paolo Mazzinghi

Petizione Novara-Pellai: “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”.

Il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai, il 10 settembre 2024, hanno lanciato nei sulla piattaforma Change.org una raccolta firme molto importante dal titolo “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”. La motivazione, secondo i promotori, è che la popolazione si sta avviando sempre più verso un uso precoce se non precocissimo all’uso dello smartphone e dei social. “Essere sempre connessi – secondo i promotori – danneggia il sonno, i rapporti sociali, l’attenzione, e può dare dipendenza”. Come ha dichiarato Pellai (che sull’argomento ha scritto più di un libro, l’ultimo è “Allenare alla vita”) in un’intervista a La Repubblica :«Non possiamo più rimanere in silenzio. Nessuno ha niente contro la tecnologia, il tema è l’autogestione del minore. I dati ci dicono che non ha l’abilità per difendersi dalla tecnologia, torniamo ai vecchi cellulari usati solo per comunicare» – aggiungendo «Tra gli 11 e i 14 anni, il funzionamento della parte emotiva del cervello di un adolescente è potentissimo. Si vede bene nel film Inside out 2: si schiaccia il bottone della pubertà e il cervello emotivo diventa esplosivo. È affamato di divertimento, di eccitazione, di dopamina. Tra i dieci e i 14 anni si ha la massima vulnerabilità nei confronti dell’ingaggio dopaminergico, che è tanto presente nell’online. Il cervello cognitivo matura più tardi». Sui social «Non vengono proposti soltanto documentari, ma una serie di esperienze. E da un’architettura che non parla al cervello che pensa, ma a quello che sente» – incalcava Pellai – «A partire dal 2012, gli indicatori di salute mentale in età evolutiva sono sempre andati peggiorando proprio quando i cellulari sono diventati smartphone. Prima avevamo uno strumento di comunicazione», mentre ora abbiamo avuto in mano strumenti di connessione che ci tengono attivi tutto il giorno. Nella vita online vengono fortemente sviluppati quattro aspetti: la deprivazione di sonno, la deprivazione sociale, la frammentazione dell’attenzione, la stimolazione a fare sempre più cose nella vita virtuale senza riuscire a smettere. Questo è un male nell’età evolutiva perché il cervello per svilupparsi e strutturarsi ha bisogno di stare di più nella vita reale.
Nella petizione si chiede di proibire i social media prima dei 16 anni poiché, prima di questa età, sviluppa un’ansia performativa, una riduzione dell’autostima e un senso di inadeguatezza rispetto alla propria immagine. Affermava Pellai: «Non possiamo più non dire che i social media non rappresentano un fattore di rischio per la salute degli adolescenti. Non è un’opinione». Per questi motivi, vista la poca risonanza mediatica che continua ad avere questa petizione, ci sembra giusto rilanciarla affinchè raggiunga più adesioni possibile. Riportiamo qui di seguito il testo:

Se è vero che spesso le tecnologie migliorano la qualità della vita, questo non accade quando si parla di educazione nella prima infanzia e nella scuola primaria. I bambini e le bambine che utilizzano strumenti tecnologici e interagiscono con gli schermi subiscono due danni:
– Uno diretto, legato alla dipendenza.
– Uno indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita.
È ormai chiaro che prima dei 14 anni avere uno smartphone personale possa essere molto dannoso così come aprire, prima dei 16 anni, un proprio profilo personale sui social media.
La nostra non è una presa di posizione anti-tecnologica ma l’accoglimento di ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato: ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale.
Simili comportamenti in età prescolare portano ad alterazioni della materia bianca in quelle aree cerebrali fondamentali per sostenere l’apprendimento della letto-scrittura.
I fatti lo dimostrano: nelle scuole dove lo smartphone non è ammesso, gli studenti socializzano e apprendono meglio. Prima dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi.
Anche nelle scuole bisogna essere coerenti con quello che ci dicono le neuroscienze. Smartphone e tablet devono essere usati solo dai docenti per arricchire le proposte didattiche senza prevedere, in classe o a casa e almeno fino ai 15 anni, alcun uso autonomo degli studenti.

APPELLO
Chiediamo quindi al Governo italiano di impegnarsi per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16. Aiutiamo le nuove generazioni.

Possibilità di sottoscrivere il testo al seguente link: https://www.change.org/p/stop-smartphone-e-social-sotto-i-14-e-16-anni-ogni-tecnologia-ha-il-suo-giusto-tempo

Primi Firmatari
Daniele Novara, pedagogista e counselor – direttore del CPPP
Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta
Manuela Andretta, magistrato Corte d’Appello di Milano
Laura Beltrami, pedagogista, formatrice e counselor
Lorella Boccalini, pedagogista, formatrice e counselor
Anna Boeri, formatrice, counselor, psicodrammatista
Silvia Bonino, psicologa e psicoterapeuta
Francesco Cappa, pedagogista, università Bicocca-Milano
Lorenza Comi, pedagogista, formatrice e counselor
Emanuela Cusimano, pedagogista e counselor
Cristina Dell’Acqua Grecista, grecista e insegnante
Teresa De Pascale, magistrato della Corte d’appello di Milano
Idor De Simone, medico optometrista
Roberto Farnè, pedagogista, università Bologna
Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva , università La Sapienza, Roma
Brunella Fiore, Università Bicocca-Milano
Michele Gagliano, educatore e formatore
Secondo Giacobbi, psicoanalista
Antonella Gorrino, pedagogista e formatrice
Giovanni Grandi, filosofia morale, università di Trieste
Luca Grion, filosofia morale, università di Udine
Ivano Giuseppe Gamelli, pedagogista, università Bicocca-Milano
Natalia Imarisio, magistrato della Corte d’Appello di Milano
Simone Lanza, insegnante
Fabrizio Lertora, esperto di processi organizzativi e collaborativi
Ivo Lizzola, pedagogista, università Bicocca-Milano
Federica Lucchesini, direttrice rivista “Gli Asini”
Massimo Lussignoli, pedagogista, formatore e counselor
Luigi Luzi, magistrato della Procura della Repubblica di Milano
Raffaele Mantegazza, pedagogista università Bicocca-Milano
Luca Milani, magistrato del Tribunale di Milano
Monica Minciu, università di Torino
Diego Miscioscia, psicologo e psicoterapeuta
Pietro Moscianese, magistrato della Procura della Repubblica per i minori di Milano
Paola Nicolini, psicologa dello sviluppo e dell’educazione, università di Macerata
Alberto Oliverio, neurobiologo, università La Sapienza, Roma
Paolo Orio, Associazione italiana elettrosensibili
Vanja Paltrinieri, pedagogista, formatrice e counselor
Francesca Parola, magistrato della Procura della Repubblica di Busto Arsizio
Elena Passerini, formatrice e psicogrammista
Eva Pattis, analista junghiana
Elisabetta Romoli, insegnante
Maria Teresa Pepe, pedagogista, formatrice e counselor
Laura Petrini, formatrice e consulente educativa
Filippo Sani, formatore, sociologo, pedagogista e counselor
Donatella Savio, pedagogista
Barbara Tamborini, psicopedagogista
Bruno Tognolini, scrittore
Sergio Tramma, pedagogista, università Bicocca-Milano
Silvia Vegetti Finzi, psicologa e scrittrice, università di Pavia
Marta Versiglia, pedagogista
Michele Zappella, neuropsichiatra infantile
Luigi Zoja, psicoanalista

UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Stefano Accorsi, attore *
Silvia Avallone, scrittrice e poetessa
Marco Bonini, attore *
Valeria Bruni Tedeschi, attrice e regista *
Francesca De Martino, attrice *
Paolo Calabresi, attore e conduttore *
Maria Pia Calzone, attrice *
Paola Cortellesi, attrice e regista *
Pierfrancesco Favino, attore *
Anna Foglietta, attrice *
Claudia Gerini, attrice *
Valeria Golino, attrice e regista *
Edoardo Leo, attore e regista *
Valentina Lodovini, attrice *
Giorgio Marchesi, attore *
Vinicio Marchioni, attore *
Paola Minaccioni, attrice e conduttrice radiofonica *
Carlotta Natoli, attrice *
Claudia Pandolfi, attrice *
Vittoria Puccini, attrice *
Luisa Ranieri, attrice e conduttrice televisiva *
Alba Rohrwacher, attrice *
Francesco Bolo Rossini, attore e regista *
Fabrizia Sacchi, attrice *
Vanessa Scalerà, attrice *
Greta Scarano, attrice *
Stefano Scherini, attore *
Francesco Scianna, attore *
Pietro Sermonti, attore *
Tiberio Timperi, giornalista e conduttore
Thomas Trabacchi, attore *
Luca Zingaretti, attore *

(*) Fanno parte di UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Presentazione dell’appello dei pedagogisti – smartphone fuori legge prima dei 14 anni https://www.youtube.com/live/P2n6bTcR6mA
Presentazione in Senato della petizione “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni” https://www.youtube.com/watch?v=K59SYPgS5Fg

Ulteriori approfondimenti
https://www.orizzontescuola.it/stop-ai-cellulari-in-classe-mercoledi-al-senato-la-presentazione-della-petizione-con-novara-e-pellai/
https://www.agensir.it/italia/2024/09/13/no-smartphone-agli-under-14-alberto-pellai-puo-diventare-una-trappola-che-crea-dipendenza/

 

Redazione Italia

Richiesta di esonero da attività scolastiche che prevedono la partecipazione delle Forze Armate

Considerata la sempre più invasiva presenza delle Forze Armate e di Polizia all’interno delle scuole che l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università monitora e denuncia quotidianamente come inaccettabile invasione di campo in un clima generale caratterizzato da una crescente propaganda militare e da una folle corsa agli armamenti, proponiamo ai genitori e alle genitrici che come noi ripudiano la guerra un agile strumento da presentare alle scuole all’atto di iscrizione dei propri figli e delle proprie figlie o in qualsiasi altro momento dell’anno si ritenga opportuno al fine di contribuire ad arginare quella che noi consideriamo una pericolosa frana culturale.

Non è attraverso l’idea di una “cultura della difesa” che si può tutelare l’educazione delle giovani generazioni e il loro percorso educativo che deve essere improntato alle idee di pace e convivenza tra i popoli.

Invitiamo inoltre genitori e genitrici a segnalare episodi di militarizzazione delle scuole al seguente indirizzo mail (osservatorionomili@gmail.com) e a informarsi sulle nostre attività sul sito dell’Osservatorio (https://osservatorionomilscuola.com/).

Clicca qui per scaricare la versione editabile della richiesta di esonero per i/le propri/e figli/e.

OGGETTO: RICHIESTA DI ESONERO DA ATTIVITÀ SCOLASTICHE CHE PREVEDANO LA PARTECIPAZIONE DIRETTA O INDIRETTA DI POLIZIA DI STATO, ARMA DEI CARABINIERI, GUARDIA DI FINANZA, POLIZIA PENITENZIARIA, POLIZIA LOCALE, FORZE ARMATE ITALIANE E/O DI ALTRE NAZIONI.

Al/lla Dirigente Scolastico/a
Al Consiglio d’Istituto
Uff. protocollo dell’Istituto…………………………

Gentile Dirigente, Gentili membri del Consiglio di Istituto,
con la presente, io/noi sottoscritt……. genit…… esercenti la potestà genitoriale dell’alunno/a ……………………….. iscritto/a alla classe …..……… presso il Vostro Istituto, presentiamo la seguente dichiarazione.

CONSIDERATI

– la nota MIUR, prot. n. 4469 del 14 settembre 2017, che fornisce linee guida per l’educazione alla pace e alla cittadinanza glocale;

–  l’art.1 comma 7 lettera d della Legge 107/2015, che indica tra gli obiettivi prioritari delle scuole lo sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso l’educazione interculturale e alla pace;

– la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176 in particolare il preambolo dove si afferma: «In considerazione del fatto che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà»; l’art. 3: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»; l’art. 29: «Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità: b) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite»;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

– L’educazione familiare impartita a nostra/o figlia/o è fortemente improntata alla pace e alla cultura di pace;

– l’educazione alla pace è, a mio/nostro avviso, incompatibile con attività scolastiche che prevedano il coinvolgimento diretto o indiretto della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria, della Polizia Locale, delle Forze Armate italiane, delle forze armate di altre nazioni e di corpi o istituzioni europee e internazionali che svolgono attività militari così come di enti e soggetti ad essi collegati;

– sono/siamo fortemente contrari/o/a all’esposizione e alla diffusione nella scuola di mio/a/nostro/a figlio/a di materiale promozionale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria, della Polizia Locale, delle Forze Armate italiane e di altre nazioni e di organizzazioni internazionali, e di qualsiasi materiale finalizzato a propagandare le attività belliche e militari, l’arruolamento e la vita militare (anche al fine di orientare e condizionare le future scelte professionali di mio/a/nostro/a figlio/a);

– sono/siamo fortemente contrari/o/a alla partecipazione di mio/a/nostro/a figlio/a a manifestazioni militari, all’organizzazione di visite guidate, a percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO), a iniziative di orientamento, presso strutture militari (quali basi militari, sedi di forze militari nazionali e non, caserme, ecc..) siano esse italiane o appartenenti ad altre nazioni e organismi internazionali (ad esempio basi statunitensi o basi NATO);

–  sono/siamo fortemente contrari/a/o alla realizzazione nella scuola di mio/a/nostro/a figlio/a di progetti in partenariato con strutture militari o aziende (italiane e non) coinvolte nella produzione di materiale bellico; esprimo/iamo contrarietà anche per quelle iniziative che, prevedendo obiettivi formativi fondamentali come la prevenzione della violenza di genere, delle varie forme di dipendenza, o la semplice divulgazione della cultura scientifica in vari ambiti o l’approfondimento di periodi o fatti storici o sociali, siano svolte da esponenti delle FF.AA. o di P.S., in quanto la loro trattazione in chiave pedagogica ed educativa è di stretta competenza delle istituzioni e del personale scolastico;

– sono/siamo fortemente contrari/o/a alla partecipazione di mio/a/nostro/a figlio/a ad attività di PCTO e orientamento che prevedano la presenza di personale militare o di aziende (italiane e non) coinvolte nella produzione di materiale bellico;

Tutte tali attività sono, a mio/nostro avviso, in palese conflitto con la funzione istituzionale e costituzionale della scuola;

TUTTO CIO’ PREMESSO

Io/noi sottoscritto/i CHIEDIAMO all’Istituzione Scolastica e al/alla Dirigente Scolastico/a, in qualità di rappresentante legale della scuola, che per la durata dell’intero percorso scolastico mio/a/nostro/a figlio/a sia esentato da ogni genere di attività che preveda il coinvolgimento di forze armate o di polizia o connesse con il mondo militare anche con riguardo al settore industriale delle armi, non ravvisandone alcuna le finalità educativa;


DIFFIDIAMO

dal discriminare mio/a/nostro/a figlio/a in base a questa scelta autonoma operata dai genitori in quanto suoi rappresentanti legali;

e CHIEDIAMO

l’organizzazione di proposte alternative qualora la scuola preveda le attività di cui sopra.

Ci riserviamo, infine, di promuovere tutte le opportune azioni, anche legali, a tutela dei nostri diritti e di quelli di mio/a/nostro/a figlio/a.

Restiamo in attesa di una tempestiva risposta da parte dell’Istituzione Scolastica.

Cordiali saluti,

Luogo ……………………………. Data ……………..

Firme…………………………………………….

………………………………………

N.B.: (parte da non inviare) Tale allegato va protocollato alla segreteria della scuola o inviato tramite PEC, all’atto dell’iscrizione o successivamente. Si chiede, cortesemente, di dare informativa dell’invio a osservatorionomili@gmail.com

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

In flessione il mercato dei libri nel 2024

La sostituzione della 18app con le Carte Cultura e del Merito e il mancato finanziamento alle biblioteche per 30 milioni di euro sono alla radice della flessione del mercato dei libri di varia adulti e ragazzi nei canali trade nel 2024 (narrativa e saggistica a stampa venduta nelle librerie fisiche e online e nei supermercati): in assenza di queste due decisioni, il mercato sarebbe cresciuto a valore del 2,5% anziché calare dell’1,5%.

E’ quanto certifica un’analisi basata su dati di NielsenIQ-GfK, che è stata presentata di recente dall’Associazione Italiana Editori – AIE.

In particolare, AIE stima che nel 2024 le vendite di libri perse per effetto delle modifiche alle misure di sostegno alla domanda siano state pari a 62,7 milioni di euro.

Tale cifra avrebbe consentito al mercato librario di attestarsi a quota 1.596,5 milioni di euro anziché 1.533,8 milioni di euro, rispetto a un 2023 che si era chiuso a 1.557 milioni di euro.

E a sottolineare i motivi della flessione è stato il presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Innocenzo Cipolletta che ha spiegato che “l’analisi delle misure a sostegno della domanda di libri nel nostro Paese dal 2017 ad oggi ci dice due cose: la prima è che tali misure hanno avuto nel corso degli anni un effetto moltiplicatore, contribuendo a creare nuovi lettori e nuovi acquirenti.

La seconda è che hanno consentito al settore di attestarsi su un livello di vendite e di fatturato più alto, necessario per sostenere il processo di crescita ed evoluzione delle aziende e della filiera.

Quando tali misure vengono a mancare, il danno è quindi doppio.

Bene, quindi, il ripristino del fondo per le biblioteche per il 2025.”

L’Italia è in grande difficoltà rispetto a quanto accade a livello europeo.

Nel 2024 in Italia la vendita di libri per adulti e ragazzi nel mercato trade è stata di 103,987 milioni di copie, in calo del 2,3% rispetto all’anno precedente, pari a 2,458 milioni di copie comprate in meno.

A valore la flessione è dell’1,5%, pari a 23,2 milioni di euro di minori vendite rispetto a un mercato complessivo di 1.533,8 milioni di euro.

Il -1,5% dell’Italia a valore pone il Paese in coda rispetto alle maggiori editorie europee: la Germania cresce dello 0,9%, il Regno Unito cala dello 0,6%, la Francia cala dello 0,3%, la Spagna cresce del 9,8%.

La flessione del mercato è disomogenea rispetto alla dimensione degli editori: i gruppi e le case editrici con vendite superiori ai 5 milioni di euro sono in calo dello 0,1%, gli editori da un milione a 5 milioni di venduto sono calati del 9,3%, quelli sotto il milione del 2,5%.

E’ l’online ad essere particolarmente in crisi: nei 12 mesi i canali online hanno venduto 26,3 milioni di euro in meno di libri rispetto al 2023, sono 6,7 milioni di euro le minori vendite della grande distribuzione.

Le librerie, indipendenti e di catena, sono invece cresciute di 8,8 milioni di euro, ma non sono riuscite a intercettare completamente le minori vendite fatte registrare dall’e-commerce.

Tra i generi, cresce solo la narrativa italiana (3,2%) e straniera (0,9%), mentre il settore bambini e ragazzi è in flessione dello 0,8%, la saggistica generale del 2%, la manualistica del 4,1%, la saggistica specialistica del 5,1% e i fumetti del 5,5%.

Sono numeri che si riflettono nella top 10: sette i titoli di autori italiani presenti, di cui sei romanzi.

Ma il libro più venduto nel 2024 è un saggio (uscito a settembre).

Il digitale vale oltre 100 milioni e cresce.

Al mercato dei libri a stampa si aggiungono vendite nel digitale pari nel 2024 a 114,2 milioni di euro.

Le vendite riferite agli audiolibri (abbonamenti) sono pari a 30 milioni di euro, in crescita del 7,1% rispetto l’anno precedente, le vendite di ebook 84,2 milioni di euro, in crescita del 4%.

L’AIE ha anche stilato la classifica dei dieci titoli più venduti nel 2024: 1. Il dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia, A. Cazzullo, Harper Collins (Settembre 2024); 2. Un animale selvaggio, J. Dicker, La nave di Teseo (Marzo 2024); 3. La portalettere, F. Giannone, Nord (Gennaio 2023); 4. Tatà, V. Perrin, e/o (Novembre 2024); 5. L’età fragile, D. Di Pietrantonio, Einaudi (Novembre 2023); 6. L’orizzonte della notte, G. Carofiglio, Einaudi (Febbraio 2024); 7. Come l’arancio amaro, M. Palminteri, Bompiani (Giugno 2024); 8. Il canto dei cuori ribelli, T. Umrigar, Libreria Pienogiorno (Aprile 2024); 9. Domani, domani, F. Giannone, Nord (Giugno 2024); 10. Il passato è un morto senza cadavere, A. Manzini, Sellerio (Ottobre 2024).

Qui i dati dell’Ufficio Studi AIE: https://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda105-10237-2025.1.31/Presentazione_mercato_2024_Venezia_SUEM.pdf?IDUNI=0bsmfaq4msbsr24qjepxyxn2839.

Giovanni Caprio

Scuola: crescono gli alunni ‘non italiani’

SCUOLA. ISMU: GLI ALUNNI ‘NON ITALIANI’ RIPRENDONO AD AUMENTARE
44% EUROPEI, UN QUARTO AFRICANI, MENTRE NEET SONO DOPPIO ITALIANI

(DIRE) Roma, 17 feb. –

La ricostruzione fatta da Fondazione Ismu Ets rivela che, dopo il rallentamento degli ultimi anni, nell’anno scolastico 2022/23 è ripreso a crescere il numero degli alunni con cittadinanza non italiana (Cni), nati all’estero e nati in Italia, toccando le 914.860 presenze.

Tale numero corrisponde all’11,2% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane (8.158.138) dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado.

Per quanto riguarda la provenienza, gli studenti sono originari di circa 200 Paesi diversi.

In particolare, il 44% è di origine europea; più di un quarto è di origine africana; attorno al 20% asiatica e quasi l’8% dell’America Latina.

La cittadinanza più numerosa è rappresentata dalla Romania, con quasi 149mila studenti. Seguono: Albania (118mila presenze) e Marocco (114mila).

I dati del 2022/23 confermano poi che la maggioranza degli studenti con Cni è concentrata nelle regioni settentrionali, a seguire nel Centro e nel Mezzogiorno.

La Lombardia accoglie un quarto degli alunni con background migratorio (231.819 unità), seguita da Emilia-Romagna (111.811), Veneto (99.604), Lazio (83.716) e Piemonte (81.762).

In Emilia-Romagna gli studenti con cittadinanza non italiana rappresentano il 18,4% della popolazione scolastica regionale, il valore più elevato a livello nazionale.

Segue la Lombardia con il 17,1% di alunni con Cni ogni 100 iscritti nelle scuole di diverso ordine e grado.

La provincia italiana con il maggior numero di alunni con Cni rimane Milano (82.396), seguita da Roma (66.385), Torino (40.605) e Brescia (33.362).

Negli ultimi 30 anni poi è diminuita la percentuale di scuole senza allievi con Cni ed è aumentato il numero di istituti con percentuali rilevanti.

Dal 2002/03 al 2022/23 si è passati dal 43,1% del totale di istituti dove gli alunni con Cni erano assenti al 15,5%.

Nello stesso periodo di tempo, le scuole con una percentuale di alunni con background migratorio inferiore al 30% sono cresciute dal 56,9% al 73,3%.

Un aumento più contenuto ha riguardato le scuole con oltre il 30% di alunni con Cni, inesistenti nel 2002/03 e arrivate a rappresentare nel 2022/23 il 7,9% del totale delle scuole italiane.

Il Rapporto Ismu rivela che in 15 anni sono triplicati gli alunni con Cni nati in Italia da genitori immigrati, passando da 588.986 del 2020/21 a 598.745 nel 2022/23, quasi 10mila unità in più.

Dalla prima rilevazione dell’anno scolastico 2007/08 ad oggi, il gruppo è passato da circa 200mila a quasi 600mila e rappresenta il 65,4% degli alunni con Cni.

Cresce l’incidenza delle seconde generazioni: più dei due terzi degli alunni censiti come non italiani sono costituiti dalle cosiddette seconde generazioni.

L’incidenza percentuale di questo gruppo sul totale degli alunni con Cni cresce in tutti i livelli scolastici e ne costituisce attualmente la maggioranza: nelle scuole dell’infanzia, i nati in Italia ogni 100 alunni con background migratorio sono 81; 69 alla primaria, 63 alle secondarie di primo grado e 50 in quelle di secondo grado.

Permane il problema del ritardo scolastico.

Dai primi dati del 2005/06 si è ridotto progressivamente, ma nel complesso rimane ancora elevato, soprattutto nelle secondarie di secondo grado, dove quasi la metà degli studenti di origine immigrata è in ritardo di uno o più anni (48,0%).

Preoccupano anche la lontananza dal sistema di istruzione/formazione/lavoro e l’abbandono scolastico precoce.

Nel 2022 gli Elet (Early leaver from education and training) nati all’estero, cioè i giovani che si sono fermati alla scuola secondaria di primo grado, sono ancora il 28,7% dei 18-24enni stranieri, cioè il triplo degli autoctoni, che scendono al 9,7%.

I giovani in condizione di Neet (Not in Education, Employment or Training, cioè che non studiano né lavorano) tra i 15 e i 29 anni sono il 29% del totale, circa il doppio degli italiani (17,9%).

Agenzia DIRE

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia