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Perché abbiamo bisogno di una legge nazionale sul fine vita

La legge della Regione Toscana sul suicidio medicalmente assistito (SMA), approvata dall'assemblea l’11 febbraio scorso (n. 5/2025), può finalmente entrare in vigore, dopo la sospensione causata dal ricorso presentato da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega al Collegio di garanzia, organo ausiliario regionale. Il ricorso chiedeva di valutare se, «in assenza di una legge statale che assicuri la necessaria uniformità», la norma sul suicidio risultasse «conforme allo Statuto della Regione Toscana» con riguardo al «riparto di competenze legislative previsto in Costituzione». Lo scorso 13 marzo, il Collegio ha deciso all'unanimità che la legge «non presenta le violazioni statutarie prospettate e che dunque, in relazione ai profili contestati, è conforme allo Statuto».

Questo è l’ultimo atto della travagliata questione del suicidio assistito, ma dev’essere ancora scritto il capitolo conclusivo: la redazione di una legge nazionale che recepisca le condizioni poste dalla Corte costituzionale e definisca una procedura certa per poter accedere a tale pratica. Per verificare a quale punto siamo, è necessario ripercorrere i passaggi essenziali.

La legge n. 219 del 2017

La legge n. 219 del 2017, intitolata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, contiene alcune importanti norme sul fine vita. Essa riconosce ad ogni individuo capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, inclusi quelli di idratazione e nutrizione. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dalla persona malata, ma la legge non gli consente di metterle a disposizione trattamenti diretti non ad eliminare le sue sofferenze, bensì a determinarne la morte. Chi invece procedesse in questo senso, sarebbe imputabile del reato di cui all’art. 580 c.p., che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio.

La Corte Costituzionale

Nel 2018, la Corte di Assise di Milano aveva sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 580 c.p.. La pronuncia traeva origine dalla vicenda di Fabiano Antoniani, detto DJ Fabo, accompagnato in Svizzera per la procedura del suicidio assistito da Marco Cappato, che poi si era autodenunciato, dando inizio al processo per il reato di aiuto al suicidio.

La Corte costituzionale (ordinanza n. 207/2018) aveva affermato che se, in base alla legge n. 219/2017, il valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione di una persona di lasciarsi morire con l’interruzione dei trattamenti sanitari, «non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto» a morire. «L’attuale assetto normativo concernente il fine vita» - aveva rilevato la Consulta - «lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione». In particolare, quelle in cui si trovi una persona «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Si tratta, infatti, di ipotesi nelle quali l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare».

La Corte aveva, quindi, deciso di rinunciare provvisoriamente a dichiarare l’illegittimità della norma penale, fissando «la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580» al 24 settembre 2019, termine entro cui il Parlamento avrebbe dovuto adeguare la disciplina vigente ai quattro criteri indicati. Insomma, i giudici avevano emesso una dichiarazione di incostituzionalità differita, ossia accertata, ma non ancora efficace, formulando un monito “a tempo” alle Camere.

La sentenza Cappato

Decorso inutilmente il tempo dato al Parlamento per legiferare, e preso atto dell’inerzia di quest’ultimo, la Consulta ha deciso di intervenire sul fine vita (sentenza n. 242 del 2019), dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi (…) agevola l’esecuzione del proposito di suicidio» nel rispetto delle quattro condizioni individuate nell’ordinanza del 2018. Con una successiva sentenza (n. 135 del 2024), la Corte ha poi ampliato la portata del requisito del trattamento di sostegno vitale, includendo tutte quelle procedure che, indipendentemente dal loro grado di complessità tecnica e di invasività, sono compiute da familiari o caregivers, e in assenza delle quali il paziente morirebbe.

I giudici costituzionali, tuttavia, non hanno prescritto un limite di tempo entro cui il servizio sanitario fosse tenuto a rispondere alle persone che hanno diritto di porre fine alla propria vita. In altre parole, tale diritto è riconosciuto, ma non è esercitabile se non con procedure e tempi tortuosi e incerti. Questo è il motivo per cui l’Associazione Luca Coscioni ha promosso a livello nazionale la campagna “Liberi Subito” con raccolta firme per proposte di legge regionali che garantiscano il percorso di richiesta di suicidio medicalmente assistito e i controlli necessari in tempi certi, adeguati e definiti. Da questa campagna è sorta la proposta d’iniziativa popolare approvata dalla Regione Toscana.

La legge toscana sul suicidio assistito

La legge toscana recepisce le condizioni fissate dalla Corte costituzionale nelle sentenze del 2019 e del 2024 per poter ricorrere al SMA.

La richiesta va presentata dall’interessato, direttamente o tramite un suo delegato, all’azienda sanitaria locale. Tale richiesta sarà, quindi, analizzata da una commissione istituita all’interno della stessa ASL. Entro il termine massimo di 20 giorni essa dovrà redigere una relazione per comunicare la decisione finale alla struttura sanitaria e al paziente. Questo termine potrà essere sospeso per una sola volta e per non più di 5 giorni al fine di eseguire ulteriori accertamenti clinici. La documentazione dovrà poi essere inoltrata al Comitato etico locale, tenuto a pronunciarsi entro 7 giorni. In caso di parere favorevole, la commissione dell’ASL avrà ulteriori 10 giorni di tempo per definire le concrete modalità di attuazione del suicidio assistito, assicurando al paziente la più completa autonomia al momento dell’assunzione del farmaco letale. Egli potrà sospendere ovvero annullare in qualunque momento la procedura, fino all’ultimo momento. Saranno a carico dell’ASL i costi inerenti al supporto, l’assistenza e i mezzi – farmaci compresi – necessari per mettere in atto il suicidio assistito, così che esso sia accessibile a tutti, indipendentemente dalle loro capacità economiche.

Secondo alcuni esponenti della maggioranza, la legge della Toscana - come qualunque legge che regolasse il fine vita a livello regionale - sarebbe incostituzionale. La tutela della salute, cui è riconducibile il fine vita, rientra nell’art. 117, comma 3, della Costituzione, ai sensi del quale la potestà legislativa concorrente delle Regioni va esercitata nel rispetto dei principi fondamentali la cui definizione è riservata alla legislazione dello Stato. L’incostituzionalità della legge toscana deriverebbe dalla mancanza di una legge statale, mancanza che impedirebbe siano soddisfatte le preminenti esigenze di eguaglianza in tema di salute sull’intero territorio nazionale. Questa obiezione non tiene conto del fatto che i principi essenziali cui l’azione regionale si deve attenere sono stati enunciati nella citata pronuncia della Corte costituzionale del 2019, avente valore di legge. Peraltro, una normativa nazionale non esiste a causa dell’inerzia del Parlamento, come detto, e sarebbe assurdo che ciò bloccasse l’intervento del legislatore regionale, teso a garantire sul proprio territorio un diritto già pienamente riconosciuto dalla Corte.

La bozza di legge nazionale

In materia di morte volontaria medicalmente assistita sono stati presentati nei mesi scorsi cinque disegni di legge (nn. 65, 104, 124, 570 e 1083).

Il 3 dicembre scorso è stata deliberata la costituzione in Senato di un Comitato ristretto per la redazione di un testo unificato, che il 5 marzo scorso è stato presentato dai relatori delle Commissioni 2a (Giustizia) e 10a (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) in sede redigente. La bozza di legge non è ancora stata pubblicata, ma è necessario parlarne sin d’ora. Infatti, secondo quanto risulta dalle prime anticipazioni e dalle stesse dichiarazioni dei relatori, Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia), il testo elaborato dal Comitato ristretto rappresenta un passo indietro rispetto a quanto stabilito dalla Consulta. Il testo si fonda su due principi: il valore della vita come «diritto inviolabile e indisponibile» e «l'eccezionalità del ricorso al fine vita sulla base delle condizioni stabilite dalla Corte costituzionale nelle sentenze in persona già inserita in un percorso di cure palliative».

Già il solo fatto di richiamare il principio dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita nell’ambito di una disciplina che, regolando il fine vita, intende dare garanzie alla libertà di scelta dei cittadini, pare voler ridimensionare la portata delle previsioni normative. Ma, soprattutto, aggiungere alle quattro condizioni poste dalla Corte costituzionale nella citata sentenza del 2019 anche un quinto paletto, vale a dire l’obbligo per la persona che vuole ricorrere al suicidio di essere inserita in un percorso di cure palliative, rende la legge regressiva rispetto a quanto stabilito dalla Consulta.

Per cure palliative si intendono gli «interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali (…) finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici» (legge n. 38/2010). Esse sono un adempimento cui è tenuto il sistema sanitario, nonché un diritto per il cittadino. Ma per quest’ultimo non possono costituire anche un obbligo, cioè una condizione per accedere al SMA. Ciò sarebbe contrario all’articolo 32 della Costituzione, che sancisce il diritto alla cura, ma anche quello a non essere curati. Dunque, se questa previsione fosse mantenuta, la legge nascerebbe incostituzionale. 

Perché serve una legge nazionale

Serve una legge del Parlamento perché la pratica del SMA sia disciplinata in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, in conformità alla pronuncia della Consulta, e sia completa delle disposizioni procedurali che rendano esigibile il diritto al suicidio assistito. Oggi, infatti, se nessun medico fosse disposto a concorrere al SMA, esso non potrebbe essere realizzato, nonostante la sentenza costituzionale del 2019. Tale sentenza afferma che «resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato» (paragrafo 6, “considerato in diritto”). L’assenza di obblighi per il personale sanitario in questa materia è ribadita anche nella legge regionale toscana, ove si afferma che l’assistenza è prestata «su base volontaria» (art. 4 quater, comma 1). 

Dunque, se non si vuole che il diritto al SMA resti solo sulla carta, occorrerebbe che il legislatore nazionale introducesse una norma simile a quella contenuta nella legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (l. n. 194 del 1978, art. 9, comma 4), che impone a enti ospedalieri e case di cura autorizzate di assicurare «in ogni caso» l'espletamento di quanto previsto. Una disposizione di questo tipo non eliminerebbe il rischio che il diritto stenti ad essere attuato in concreto, come accade anche per l’aborto. Ma, considerata la resistenza ideologica che l’elaborazione della legge sul fine vita ha finora incontrato da parte di ogni maggioranza, se una tale norma non ci fosse le difficoltà di realizzazione sarebbero più che un mero rischio.

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