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numero_9

Bilancio n.9/2025

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FERRARA M.Marzocchi (pdf+gadget) €35,00

GAVINANA M.Guerrini (cartaceo) €55,00

POZZOMAGGIORE T.Pala (cartaceo+gadget) €65,00

BERLINO V.Cerasani (pdf) €25,00

GENOVA F.Novara (cartaceo+gadget) €65,00

PADOVA M.Mavolo (cartaceo) €55,00

VICENZA R.Comito (cartaceo) €55,00

LIVORNO C.Galatolo (cartaceo) €55,00

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BERLINO V.Cerasani €10,00

GENOVA F.Novara €35,00

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saldo precedente €18.031,69

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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Manifesti strappati. La polemica su Ventotene

L’attacco di Giorgia Meloni al Manifesto di Ventotene nel corso del dibattito alla Camera sul tema del piano di riarmo europeo ha avuto il merito di riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su un documento politico che, probabilmente, non sono in molti a conoscere.

Nelle ore successive al durissimo scontro che si è consumato in aula tra deputati di maggioranza e opposizione, moltissime testate ne hanno riportato ampi stralci o, addirittura, lo hanno pubblicato per intero.

Il Manifesto di Ventotene andrebbe letto, dall’inizio alla fine, per diversi motivi. Intanto, è sempre utile e interessante accostarsi al frutto di una elaborazione politica e teorica maturata nel drammatico contesto della seconda guerra mondiale e delle persecuzioni subite dagli antifascisti che lo redassero. In secondo luogo, è opportuno sapere di cosa si sta parlando specialmente adesso che il tema dell’Europa e del suo ruolo politico nello scenario internazionale sta animando il dibattito in Italia, anche e soprattutto per via della manifestazione europeista dello scorso 15 marzo (a tal proposito rimandiamo alla lettura dell’ottimo articolo di Massimo Varengo pubblicato in prima pagina su Umanità Nova n. 8 del 23/03/2025).

«Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto» – questo il titolo originale – è, in realtà, un testo profondamente incompreso. Tanto incompreso quanto strumentalmente utilizzato, nel corso dei decenni, per finalità che poco o nulla hanno a che fare con la visione ideale e politica dei suoi estensori: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Tre antifascisti di diversa estrazione ma tutti e tre accomunati da una postura radicalmente eterodossa e originale rispetto alle grandi narrazioni ideologiche del loro tempo e alle rispettive famiglie politiche di riferimento. È per questo che il loro Manifesto viene spesso definito come un documento visionario: concepire ed elaborare nelle sofferenze del confino, in piena guerra e in un momento in cui le sorti del conflitto sembravano arridere al nazismo e al fascismo, l’idea di un’Europa unita e federale che superasse e archiviasse per sempre la centralità degli stati-nazione, fu un atto estremamente coraggioso e lungimirante. Si voleva scardinare, infatti, tutto quello che fino a quel momento aveva creato i presupposti per l’affermazione dei totalitarismi e della carneficina bellica: il nazionalismo, il militarismo, l’autoritarismo fondato sulla volontà di sopraffazione. E furono sottoposte a profonda revisione critica anche le tradizionali formule con le quali intraprendere la trasformazione sociale in senso egualitario. Effettuando uno scarto teorico assolutamente inedito, gli estensori del Manifesto individuarono una nuova faglia che sarebbe stata necessaria, dopo la fine delle ostilità, a individuare la vera frattura tra posizioni conservative e posizioni progressiste: non più il maggiore o minore grado di democrazia o socialismo da istituire, ma la maggiore o minore disponibilità a impegnarsi per la creazione di un «solido stato internazionale».

È evidente che noi anarchici non abbiamo mai condiviso, né mai potremo farlo, un impianto ideologico di questo tipo, fondato comunque sull’esistenza di strutture statuali benché federaliste o sovranazionali. Il nostro è un federalismo libertario dove lo stato non c’è perché cede il passo a comunità autogestite che cooperano liberamente. Tra l’altro, la parola “anarchia” ricorre un paio di volte in quel testo con una connotazione neanche troppo positiva, e gli stessi anarchici confinati a Ventotene espressero a Ernesto Rossi tutte le loro perplessità, pratiche e teoriche, di fronte all’idea di un grande stato europeo. Ma non è questo il punto.

Ci preme piuttosto sottolineare, da anarchici, che non ci è mai sfuggito il valore intrinseco di quella proposta politica finalizzata, comunque, a sparigliare le carte da molti punti di vista. Una proposta alimentata da un afflato internazionalista che, di fatto, non ha mai trovato realizzazione e che, anzi, fu soffocato sul nascere appena finita la guerra con la divisione del mondo in blocchi.

E allora, diciamo le cose come stanno. Nonostante lo consideri ufficialmente come un suo documento fondativo, l’Unione europea non ha mai espresso in alcun modo le istanze profonde di quel Manifesto. Non ci pare proprio, infatti, che questa istituzione – così come la conosciamo – possa considerarsi la felice realizzazione di quanto prefigurato a Ventotene più di ottant’anni fa. L’Unione europea dei burocrati, del potere finanziario, delle politiche di austerità che hanno affamato la Grecia (e non solo), delle direttive che distruggono le economie, della brutale repressione dei migranti, dei centri per il rimpatrio, dei morti in mare, delle frontiere, del coinvolgimento nelle guerre di mezzo mondo e dell’attuale corsa agli armamenti, è qualcosa di molto diverso da quegli Stati uniti d’Europa immaginati da Spinelli, Rossi e Colorni. Eppure, nonostante tutto, i partecipanti alla piazza del 15 marzo agitavano il Manifesto di Ventotene preso in regalo con Repubblica, rivendicando a gran voce la necessità di spendere un mare di soldi pubblici per armare fino ai denti gli eserciti di ogni stato europeo così come vorrebbe Ursula von der Leyen.

Quanto a Meloni, in molti hanno sottolineato la superficialità e la malafede con la quale ha strumentalmente citato alcuni passaggi che le facevano comodo per svilire il contenuto del Manifesto di Ventotene e buttarla in caciara. Si tratta, guarda caso, di quelle parti che esprimono molto chiaramente la matrice socialista e progressista di chi lo scrisse. Quell’Europa federale concepita a Ventotene era un ambito politico improntato all’equità e alla giustizia sociale tanto che a Giorgia Meloni ha fatto molta impressione – tra le altre cose – il riferimento alla «dittatura del partito rivoluzionario». Evidentemente, la presidente del consiglio non ha letto il passaggio successivo in cui si chiarisce che quel partito creerà «le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato». In quel testo, la parola «partito» va intesa come «schieramento» o, meglio, come «movimento» e non indica, di certo, il partito unico di un regime totalitario, magari dal retrogusto sovietico. Si tratta, piuttosto, di quella avanguardia – più culturale che politica – che dovrà incaricarsi di creare le condizioni affinché il nuovo paradigma europeista, refrattario a ogni tipo di autoritarismo di impronta nazionale, diventi la nuova cornice condivisa per garantire un futuro di pace, libertà e giustizia sociale.

«Questa non è la mia Europa» ha chiarito Meloni, credendo così di delegittimare il Manifesto di Ventotene. E noi aggiungiamo che ha perfettamente ragione. Quella non è la sua Europa perché Meloni non è neanche in grado di affrontare una tale complessità teorica. Né possiamo dimenticare che la presidente del consiglio, dopotutto, raccoglie l’eredità politica di quella banda di criminali che trascinò il nostro paese nella dittatura e nella guerra mandando al confino anche gli autori di quel documento.

È chiaro a tutti e non deve sorprendere che l’Europa di Spinelli, Rossi e Colorni non sia quella di Meloni. Ma è altrettanto chiaro che non sia nemmeno quella di Michele Serra, del Partito democratico o di Ursula von der Leyen.

 

Alberto La Via

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Convocazione Assemblea Antimilitarista

ASSEMBLEA ANTIMILITARISTA

Reggio Emilia, 6 aprile

L’assemblea antimilitarista si riunirà domenica 6 aprile dalle ore 10:00 presso il circolo Berneri, in via Don Minzoni 1/d a Reggio Emilia

con il seguente ordine del giorno:

1) report dalle assemblee locali;

2) riarmo europeo, spese militari, economia di guerra, anche alla luce dell’evoluzione degli scenari internazionali;

3) Propaganda di guerra: militarizzazione del linguaggio, rilancio della cultura nazionalista, occupazione delle scuole, asservimento dei corpi e delle coscienze in vista di un allargamento del conflitto.

4) prossime iniziative dell’assemblea;

5) varie ed eventuali.

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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Manifesti strappati. La polemica su Ventotene

L’attacco di Giorgia Meloni al Manifesto di Ventotene nel corso del dibattito alla Camera sul tema del piano di riarmo europeo ha avuto il merito di riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su un documento politico che, probabilmente, non sono in molti a conoscere.

Nelle ore successive al durissimo scontro che si è consumato in aula tra deputati di maggioranza e opposizione, moltissime testate ne hanno riportato ampi stralci o, addirittura, lo hanno pubblicato per intero.

Il Manifesto di Ventotene andrebbe letto, dall’inizio alla fine, per diversi motivi. Intanto, è sempre utile e interessante accostarsi al frutto di una elaborazione politica e teorica maturata nel drammatico contesto della seconda guerra mondiale e delle persecuzioni subite dagli antifascisti che lo redassero. In secondo luogo, è opportuno sapere di cosa si sta parlando specialmente adesso che il tema dell’Europa e del suo ruolo politico nello scenario internazionale sta animando il dibattito in Italia, anche e soprattutto per via della manifestazione europeista dello scorso 15 marzo (a tal proposito rimandiamo alla lettura dell’ottimo articolo di Massimo Varengo pubblicato in prima pagina su Umanità Nova n. 8 del 23/03/2025).

«Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto» – questo il titolo originale – è, in realtà, un testo profondamente incompreso. Tanto incompreso quanto strumentalmente utilizzato, nel corso dei decenni, per finalità che poco o nulla hanno a che fare con la visione ideale e politica dei suoi estensori: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Tre antifascisti di diversa estrazione ma tutti e tre accomunati da una postura radicalmente eterodossa e originale rispetto alle grandi narrazioni ideologiche del loro tempo e alle rispettive famiglie politiche di riferimento. È per questo che il loro Manifesto viene spesso definito come un documento visionario: concepire ed elaborare nelle sofferenze del confino, in piena guerra e in un momento in cui le sorti del conflitto sembravano arridere al nazismo e al fascismo, l’idea di un’Europa unita e federale che superasse e archiviasse per sempre la centralità degli stati-nazione, fu un atto estremamente coraggioso e lungimirante. Si voleva scardinare, infatti, tutto quello che fino a quel momento aveva creato i presupposti per l’affermazione dei totalitarismi e della carneficina bellica: il nazionalismo, il militarismo, l’autoritarismo fondato sulla volontà di sopraffazione. E furono sottoposte a profonda revisione critica anche le tradizionali formule con le quali intraprendere la trasformazione sociale in senso egualitario. Effettuando uno scarto teorico assolutamente inedito, gli estensori del Manifesto individuarono una nuova faglia che sarebbe stata necessaria, dopo la fine delle ostilità, a individuare la vera frattura tra posizioni conservative e posizioni progressiste: non più il maggiore o minore grado di democrazia o socialismo da istituire, ma la maggiore o minore disponibilità a impegnarsi per la creazione di un «solido stato internazionale».

È evidente che noi anarchici non abbiamo mai condiviso, né mai potremo farlo, un impianto ideologico di questo tipo, fondato comunque sull’esistenza di strutture statuali benché federaliste o sovranazionali. Il nostro è un federalismo libertario dove lo stato non c’è perché cede il passo a comunità autogestite che cooperano liberamente. Tra l’altro, la parola “anarchia” ricorre un paio di volte in quel testo con una connotazione neanche troppo positiva, e gli stessi anarchici confinati a Ventotene espressero a Ernesto Rossi tutte le loro perplessità, pratiche e teoriche, di fronte all’idea di un grande stato europeo. Ma non è questo il punto.

Ci preme piuttosto sottolineare, da anarchici, che non ci è mai sfuggito il valore intrinseco di quella proposta politica finalizzata, comunque, a sparigliare le carte da molti punti di vista. Una proposta alimentata da un afflato internazionalista che, di fatto, non ha mai trovato realizzazione e che, anzi, fu soffocato sul nascere appena finita la guerra con la divisione del mondo in blocchi.

E allora, diciamo le cose come stanno. Nonostante lo consideri ufficialmente come un suo documento fondativo, l’Unione europea non ha mai espresso in alcun modo le istanze profonde di quel Manifesto. Non ci pare proprio, infatti, che questa istituzione – così come la conosciamo – possa considerarsi la felice realizzazione di quanto prefigurato a Ventotene più di ottant’anni fa. L’Unione europea dei burocrati, del potere finanziario, delle politiche di austerità che hanno affamato la Grecia (e non solo), delle direttive che distruggono le economie, della brutale repressione dei migranti, dei centri per il rimpatrio, dei morti in mare, delle frontiere, del coinvolgimento nelle guerre di mezzo mondo e dell’attuale corsa agli armamenti, è qualcosa di molto diverso da quegli Stati uniti d’Europa immaginati da Spinelli, Rossi e Colorni. Eppure, nonostante tutto, i partecipanti alla piazza del 15 marzo agitavano il Manifesto di Ventotene preso in regalo con Repubblica, rivendicando a gran voce la necessità di spendere un mare di soldi pubblici per armare fino ai denti gli eserciti di ogni stato europeo così come vorrebbe Ursula von der Leyen.

Quanto a Meloni, in molti hanno sottolineato la superficialità e la malafede con la quale ha strumentalmente citato alcuni passaggi che le facevano comodo per svilire il contenuto del Manifesto di Ventotene e buttarla in caciara. Si tratta, guarda caso, di quelle parti che esprimono molto chiaramente la matrice socialista e progressista di chi lo scrisse. Quell’Europa federale concepita a Ventotene era un ambito politico improntato all’equità e alla giustizia sociale tanto che a Giorgia Meloni ha fatto molta impressione – tra le altre cose – il riferimento alla «dittatura del partito rivoluzionario». Evidentemente, la presidente del consiglio non ha letto il passaggio successivo in cui si chiarisce che quel partito creerà «le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato». In quel testo, la parola «partito» va intesa come «schieramento» o, meglio, come «movimento» e non indica, di certo, il partito unico di un regime totalitario, magari dal retrogusto sovietico. Si tratta, piuttosto, di quella avanguardia – più culturale che politica – che dovrà incaricarsi di creare le condizioni affinché il nuovo paradigma europeista, refrattario a ogni tipo di autoritarismo di impronta nazionale, diventi la nuova cornice condivisa per garantire un futuro di pace, libertà e giustizia sociale.

«Questa non è la mia Europa» ha chiarito Meloni, credendo così di delegittimare il Manifesto di Ventotene. E noi aggiungiamo che ha perfettamente ragione. Quella non è la sua Europa perché Meloni non è neanche in grado di affrontare una tale complessità teorica. Né possiamo dimenticare che la presidente del consiglio, dopotutto, raccoglie l’eredità politica di quella banda di criminali che trascinò il nostro paese nella dittatura e nella guerra mandando al confino anche gli autori di quel documento.

È chiaro a tutti e non deve sorprendere che l’Europa di Spinelli, Rossi e Colorni non sia quella di Meloni. Ma è altrettanto chiaro che non sia nemmeno quella di Michele Serra, del Partito democratico o di Ursula von der Leyen.

 

Alberto La Via

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Convocazione Assemblea Antimilitarista

ASSEMBLEA ANTIMILITARISTA

Reggio Emilia, 6 aprile

L’assemblea antimilitarista si riunirà domenica 6 aprile dalle ore 10:00 presso il circolo Berneri, in via Don Minzoni 1/d a Reggio Emilia

con il seguente ordine del giorno:

1) report dalle assemblee locali;

2) riarmo europeo, spese militari, economia di guerra, anche alla luce dell’evoluzione degli scenari internazionali;

3) Propaganda di guerra: militarizzazione del linguaggio, rilancio della cultura nazionalista, occupazione delle scuole, asservimento dei corpi e delle coscienze in vista di un allargamento del conflitto.

4) prossime iniziative dell’assemblea;

5) varie ed eventuali.

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Bilancio n.9/2025

ENTRATE

PAGAMENTO COPIE

TARANTO C.Cassetta €110,00

Totale €110,00

ABBONAMENTI

ESTE A.Degan (pdf) €25,00

FOLIGNO S.Viola (cartaceo+gadget) €65,00

FERRARA M.Marzocchi (pdf+gadget) €35,00

GAVINANA M.Guerrini (cartaceo) €55,00

POZZOMAGGIORE T.Pala (cartaceo+gadget) €65,00

BERLINO V.Cerasani (pdf) €25,00

GENOVA F.Novara (cartaceo+gadget) €65,00

PADOVA M.Mavolo (cartaceo) €55,00

VICENZA R.Comito (cartaceo) €55,00

LIVORNO C.Galatolo (cartaceo) €55,00

Totale €500,00

ABBONAMENTI SOSTENITORI

TARANTO C.Cassetta €80,00

Totale €80,00

SOTTOSCRIZIONI

POZZOMAGGIORE T.Pala €15,00

TARANTO C.Cassetta €10,00

BERLINO V.Cerasani €10,00

GENOVA F.Novara €35,00

FOLLONICA F.Bucci a/m F.Schirone €40,00

Totale €110,00

TOTALE ENTRATE €800,00

USCITE

Stampa n° 8 -€611,00

Spedizione n° 8 -€370,63

TOTALE USCITE -€981,63

saldo n. 9 -€181,63

saldo precedente €18.031,69

SALDO FINALE €17.850,06

IN CASSA AL 19/03/2025 €19.493,45

Da Pagare

Stampa n° 9 -€611,00

Spedizione n° 9 -€372,10

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Tra REMS, carceri e CPR

Violenze e abusi di Stato

Disumano sovraffollamento, abuso di psicofarmaci, altissimi tassi di suicidio e continue violenze da parte delle guardie verso detenut3. Questo è lo scenario italiano nei CPR e nelle carceri, mentre i nuovi manicomi stanno pian piano riaprendo in forma privata, alle spalle della legge Basaglia. Signor3, vi presento il lavoro a pieno regime del governo in camicia nera e del trio della morte Meloni-Nordio-Schillaci!

Partiamo prima da alcune considerazioni generali su salute mentale e carceri. Le sottilissime e dispotiche linee delineate dalla medicina, dagli stati, dalle chiese e dalla società tra comportamento normale e anormale, criminale e legale, malvagio e retto, accettabile o no, sono tra gli strumenti oppressivi più importanti del biopotere su cui si regge gran parte del sistema in cui viviamo e contro cui gli anarchici saranno sempre scettici e antagonisti.

Negli anni il potere ha sempre cercato di definire e categorizzare gli esseri umani così da poter avere un controllo su di loro perché, se io decido cosa e chi sei, allora io ho il controllo su di te, sulla tua anima, sul tuo corpo, sulle tue azioni e pure sul tuo territorio, e sarò solo io a decidere se siano accettabili o no i tuoi comportamenti e punirti o premiarti di conseguenza. Così, questo sistema ha contribuito fortemente a mettere esseri umani gli uni contro gli altri, uomini contro donne, bianchi contro neri, cristiani contro musulmani, ecc… Queste linee oppressive definiscono i contorni e le forme delle nazioni, delle città, dei corpi, delle menti, fino ad arrivare a definire quali emozioni siano accettabili e quali no.

Così, con questo chiaro intento dell’oppressore di mettere gli esseri umani dentro scatole sempre più piccole, sia fisiche che mentali, negli anni la medicina e, in particolare, la psichiatria di Stato si è adoperata a fare la sua parte e a ridefinire sempre di più la normalità, in una narrativa tutta a favore della classe dominate. Tra gli esempi più classici e più razzisti della medicina psichiatrica abbiamo la “drapetomania” (la mania di fuggire), un presunto disturbo mentale descritto dal medico statunitense Samuel Cartwright nel 1851, caratterizzato dai continui tentativi di fuga degli schiavi afroamericani dalle coltivazioni. Davvero non ci si capacitava come queste persone volessero a tutti i costi scappare dai loro padroni! Cose da pazzi!

La psichiatria è stata sempre usata per favorire strutture di categorizzazione di tendenza razzista e fortemente politicizzata in favore del dominatore di turno. Troviamo le figure degli psichiatri militari e accademici in tutte le colonie francesi, inglesi, italiane e anche sioniste/israeliane a giustificare la violenza dell’occupazione. Apre a Betlemme il primo manicomio nel 1922 sotto il regime britannico, che introduce per la prima volta pratiche psichiatriche coercitive per studiare la mente “indigena” e i suoi presunti deficit. Nel 1948 fu la volta dell’apertura di Kfar Shaul Mental Health Center, in seguito al massacro di Deir Yassin. In questo ultimo caso, i coloni sionisti crearono una struttura psichiatrica in alcune delle abitazioni che i palestinesi dovettero abbandonare. Come le prigioni, anche gli ospedali psichiatrici sono delle priorità per poter portare avanti il progetto fascista di colonizzazione dei corpi e delle menti, sia in “pace” che in guerra.

Più o meno nello stesso periodo storico, nel 1952, prende vita in America (e poi in tutto il mondo) il mostro a quattro teste: il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (voluto da quattro grosse istituzioni americane) considerato ancora oggi la bibbia dei professionisti della salute mentale. Per intenderci, lo stesso manuale che fino al 1974 (DSM-II) considerava l’omosessualità un disturbo mentale!

Questo manuale, operando apparentemente su piani diversi, ma in realtà con scopi molto simili, in parallelo allo sviluppo e l’ampliamento continuo del Codice penale e civile negli ultimi sessant’ anni, definisce sempre di più e con maglie sempre più strette, il normale dal patologico, il permissibile dal non. Così, come il numero di reati si fa sempre più grande, aumenta anche il numero di diagnosi di salute mentale che passano da 106 nel 1952 (DSM-I), a 297 nel DSM-IV TR, fino a ben 370 con l’ultimo DSM IV TR (2022). In contemporanea, solo negli ultimi 2 anni sono stati introdotti 24 nuove fattispecie di reato penale in Italia.

Paul Goodman (psicoterapeuta anarchico) negli anni Ottanta spiegava bene che in questa società malata, alienante e oppressiva sia i crimini che i problemi di salute mentale non sono altro che due facce della stessa medaglia. Riteneva il legame tra criminalità e sintomi di salute mentale profondamente intrecciato con le circostanze sociali, sostenendo che molti giovani nel provare ad adattarsi alla disumana realtà manifestano i loro problemi attraverso comportamenti che la società spesso criminalizza, anziché capirli come reazioni ad un disagio sociale e psicologico più profondo. Ma il fattore comune determinante di tutte le problematiche di salute fisica e mentale, come pure di quelle legate ad atti “criminali”, è sempre e solo lo stesso: la povertà.

Allora, guardiamo un po’ la situazione in Italia riprendendo statistiche dell’Associazione Antigone: al momento, abbiamo circa 62.000 detenut3 su un totale di circa 48.000 posti (tutta da discutere la questione legata a come e su che basi l’ingegneria biomedico-sociale possa decidere di quanti metri quadri minimi abbia bisogno una persona per sopravvivere senza impazzire). Arriviamo a tassi di sovraffollamento anche del 184%, con una media nazionale del 145%. La corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato già più volte l’Italia, con un costo finanziario e morale. Molte persone sono convinte che senza le carceri avremmo pericolosissimi criminali in giro (al pari di Berlusconi, Trump e Netanyahu?) e invece non è così, perché moltissim3 sono in carcere per reati minori, il 33% ha pene inferiori ai 5 anni e il 70% è in attesa di giudizio. Alcune persone spesso sono in carcere in seguito a episodi isolati che non rispecchiano la loro vera natura o carattere. Per non parlare poi degli errori giudiziari. Inoltre, circa il 32% sono considerat3 tossicodipendenti, e il 76% sono malat3, affette da condizioni fisiche e psicologiche/psichiatriche (o meglio, psicosociali).

Ci vengono a dire che le prigioni “rieducano”, e invece no, anzi! Abbiamo un tasso di recidiva del 70% circa, non c’è nessuna riduzione di “criminalità”. Per chi durante la detenzione viene inserit3 in percorsi educativi, formativi e attività professionalizzanti la recidiva crolla drasticamente, ma queste realtà sono estremamente rare in Italia e comunque anch’esse sono in parte coercitive. Il carcere non è un deterrente neanche per i giovani, i quali, come gli adulti commettono “reati” sulla base delle loro condizioni di vita, marginalità, violenza, ingiustizie e povertà. Neanche per i minorenni il giustizialismo fascista si arresta, sebbene i reati dei minori negli ultimi dieci anni non siano cresciuti il numero di minori in detenzione sia aumentato.

Consideriamo ora la situazione dei detenuti stranieri e del razzismo delle carceri. Il carcere, oltre ad essere il simbolo vivente della violenza dello Stato è anche la rappresentazione fisica del razzismo. Nei centri di detenzione del Trentino il 61% sono stranieri, in Valle D’Aosta il 60%, in Liguria il 52%, in Lombardia il 45%, ma nella popolazione italiana gli stranieri costituiscono solo il 9%. Un simile fenomeno di disparità statistica lo si registra anche nelle carceri minorili.

Passando ad esaminare suicidi e uso di psicofarmaci, nelle carceri nel 2024 si sono registrati 88 suicidi su 243 decessi; 70 nel 2023; 85 nel 2022; 70 nel 2021. Sempre nel 2024, 1.800 detenut3 hanno cercato di togliersi la vita. Le condizioni disumane e disumanizzanti, il sovraffollamento, le continue violenze carcerarie, la poca speranza per il futuro, così pure la mancanza di supporto psicosociale sono enormi fattori di rischio che portano le persone all’ultimo atto estremo di dissenso e liberazione, il suicidio. Inoltre, nelle carceri si usano da sempre quantitativi preoccupanti di psicofarmaci di vario tipo, come ulteriore mezzo di controllo e contenimento senza un reale monitoraggio o piano terapeutico clinico. In particolare c’è un chiaro abuso dei seguenti farmaci:

Nozinam (fortissimo “antipsicotico” levomepromazina) che crea anche allucinazioni e viene spesso dato a persone con dipendenze; non ha alcuna efficacia terapeutica, ma serve solo a sedare. Molto usato anche il Rivotril – clonazepam – benzodiazepina, un “antipsicotico”, che tra gli effetti collaterali conosciuti ha anche quello di portare a comportamenti suicidari. Abbiamo poi Valium – diazepam – benzodiazepina –, quando le benzodiazepine sono sconsigliate dall’OMS perché portano velocemente a forme di dipendenza da queste. E infine vi è un largo impiego di stabilizzanti dell’umore vari, sotto il nome di SSRI (inibitori selettivi del reuptake di serotonina).

In questi istituti penitenziari che sono quasi ospedali psichiatrici, dove circa il 40% delle persone detenute soffre di problemi di salute mentale, spendiamo circa 2 milioni di euro l’anno in psicofarmaci, mentre le strutture che dovrebbero supportare le persone con “diagnosi psichiatriche”, le REMS (i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari), hanno una lista di attesa di circa 750 persone.

Abbiamo poi i costi di queste strutture detentive. Ogni detenut3 costa circa 140 euro al giorno, 8 milioni al giorno in Italia complessivamente, circa 3,3 MILIARDI l’anno! Tutti questi soldi tuttavia non servono per il mantenimento de3 detenut3 perché quasi il 95% della somma è usata per mandare avanti l’ISTITUZIONE TOTALE carceraria (stipendi, auto, ecc…).

Mentre il contratto sociale con lo Stato prevede che l’esistenza di questo sia giustificabile sulla base della protezione verso i cittadini, è in realtà evidente, oggi e nella storia, che tutti gli Stati sono abusanti e violenti verso i loro cittadini. Mettendoci in continuo pericolo economico, portandoci in situazioni belliche, lasciando che multinazionali inquinino i territori in modo irreparabile con rischi enormi per l’ecosistema, appoggiando costantemente le industrie del farmaco invece che favorire la prevenzione, svendendo beni comuni a favore di privati senza scrupoli. Le carceri sono l’esempio più evidente del fatto che sono gli Stati i veri serial killer, i violentatori e gli stupratori seriali, attraverso contesti di “rieducazione” basati sulla repressione, sull’alienazione, sulla violenza, sulla paura e sul contenimento fisico e biopsicologico. Dobbiamo superare l’idea che gli Stati con i loro strumenti siano i salvatori e i protettori dei cittadini! Tutte le carceri vanno chiuse adesso!

 

Gabriele Cammarata

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