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Pace e Disarmo

Notizie dal Medio Oriente

Gaza

L’esercito israeliano è tornato a bombardare.
Sono stati uccisi tre poliziotti palestinesi mentre stavano organizzando il passaggio degli aiuti umanitari verso i campi di sfollati.
Un altro palestinese è spirato a Khan Younis in seguito alle pallottole sparate dai cecchini israeliani. 5 i feriti.

La protezione civile ha estratto da sotto le macerie 7 corpi, uccisi in bombardamenti precedenti.

Situazione umanitaria a Gaza

Gli ospedali di Gaza soffrono di una grave carenza di bombole di ossigeno.
I bombardamenti israeliani avevano mirato a distruggere tutte le 10 centrali di produzione. L’esercito israeliano sta impedendo l’ingresso delle unità di produzione di ossigeno, causando morte e sofferenza a migliaia di malati e di bambini prematuri.

Sono state bloccate le forniture di caravan e ridotto l’ingresso di camion carichi di tende.
Israele vuole ostacolare il ritorno dei palestinesi al nord di Gaza.

Cisgiordania

Deportazione della popolazione palestinese dei campi profughi di Jenin e Tulkarem.
Le operazioni militari israeliani contro le città e villaggi della Cisgiordania si estendono.
A el-Bira è stato ferito gravemente un bambino durante l’irruzione dei militari nella casa della sua famiglia. Sono 35 il numero totale degli arrestati durante i rastrellamenti di ieri.

Un gruppo di coloni ha invaso Duma e Aqraba, nella provincia di Nablus. Hanno sparato contro le finestre delle case per terrorizzare gli abitanti, distrutto auto e strutture agricole come serre e impianti per l’allevamento. Hanno rubato capi di bestiame. Poi si sono ritirati protetti dai soldati, che avevano assistito agli attacchi senza muovere un dito.

Trumpiate

Trattative per la seconda fase tra Hamas e Netanyahu ferme.
Il ricercato per crimini di guerra non intende avviare le trattative e sta ostacolando l’applicazione delle clausole del protocollo umanitario.
Ha detto ieri in un comizio che l’unica soluzione per la sicurezza di Israele è l’applicazione del piano Trump per la deportazione dei gazzawi.
“Ero a conoscenza del piano, prima della sua pubblicazione.
Con il presidente USA cambieremo il volto del Medio Oriente.
Non ci sarà posto per uno Stato palestinese”.

La visita del ministro degli esteri della Casa Bianca nella regione, iniziata da Tel Aviv, non promette bene per il futuro dei palestinesi.

Libano

Caccia israeliani hanno bombardato tre località libanesi del sud, uccidendo una donna.

La violazione della tregua è sistematica e non si annuncia imminente il ritiro israeliano, previsto dall’accordo entro il 18 febbraio.
La pressione militare israeliana è sostenuta dagli USA.

Il ministro degli esteri Rubio da Tel Aviv ha sollecitato il governo di Beirut a disarmare Hezbollah e ridurre l’influenza dell’Iran.

Il divieto, da parte del governo libanese, agli aerei civili iraniani di atterrare all’aeroporto di Beirut ha provocato scontri sulla strada di collegamento tra la capitale e lo scalo aereo.

Turchia-Kurdistan

Una delegazione del partito Dem è giunta ad Erbil, capoluogo del Kurdistan autonomo iracheno.
Gli esponenti del partito democratico dei popoli portano ai dirigenti curdi iracheni un messaggio di Ocalan per la soluzione della questione curda in Turchia.
Secondo diverse fonti, sarebbe imminente un’apparizione in video di Ocalan, dal suo carcere di Imrali, per lanciare un messaggio di pace.
Il ruolo dei due leader curdo-iracheni, Barzani e Talabani, è utile a causa dei loro buoni rapporti con Ankara.

Iraq e USA

Voci sempre più insistenti sostengono che il governo iracheno chiederà di prolungare la presenza militare USA per far fronte alle minacce possibili dalla Siria.
Non solo la rinascita dell’ISIS, ma lo stesso gruppo di potere a Damasco con i suoi trascorsi qaedisti potrebbe rappresentare un pericolo.
Fonti di Baghdad sottolineano che Al-Joulani, alias Ahmed Shara’, era il luogotenente del capo di Daiesh, Al-Baghdadi.

ANBAMED

“Ti senti come se fossi un subumano”

Firenze, 17 febbraio 2025
– Nel rapporto intitolato “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza”, Amnesty International documenta come, durante l’offensiva militare lanciata dopo gli attacchi mortali del 7 ottobre guidati nel sud di Israele da Hamas, Israele abbia scatenato inferno e distruzione contro la popolazione palestinese di Gaza senza freni, in modo continuativo e nella totale impunità.

Di questo parleremo con Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia, che presenterà il rapporto giovedì 20 febbraio dalle 18.30 al circolo ARCI delle Vie Nuove (viale Giannotti, 13, Firenze) in un evento organizzato da Amnesty International Circoscrizione Toscana, Arci Firenze, COSPE, Belle Parole, Circolo delle vie nuove, Assopace Palestina, Gli amici di Roberto Morrione e Amicizia italo-palestinese Onlus.

Il rapporto di Amnesty International Italia ha esaminato in dettaglio le violazioni commesse da Israele nella Striscia di Gaza lungo un arco temporale di nove mesi, tra il 7 ottobre 2023 e l’inizio di luglio del 2024.

L’organizzazione per i diritti umani ha intervistato 212 persone, tra le quali vittime e testimoni palestinesi, autorità locali di Gaza e operatori sanitari; ha condotto ricerche sul campo e analisi di un’ampia serie di prove materiali e digitali, comprese immagini satellitari; ha analizzato dichiarazioni di alti funzionari del governo e dell’esercito di Israele e di altri organismi ufficiali israeliani, rinvenendo sufficienti elementi per arrivare alla conclusione che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata.

“Il rapporto mostra che Israele ha compiuto atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio, con l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza.

Questi atti comprendono uccisioni, gravi danni fisici e mentali e la deliberata inflizione di condizioni di vita calcolate per causare la loro distruzione fisica.

Mese dopo mese, Israele ha trattato la popolazione palestinese di Gaza come un gruppo subumano non meritevole di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, che ha aggiunto: “Le nostre conclusioni devono servire a svegliare la comunità internazionale. Questo è un genocidio. Deve cessare ora”.

Dopo la presentazione del rapporto seguirà la proiezione di “Investigating War Crimes in Gaza”, il documentario di Al Jazeera sulle violazioni commesse dai soldati israeliani, curato da James Kleinfeld e introdotto da Richard Sanders, direttore dell’Unità investigativa di Al Jazeera.

Il reportage, realizzato dall’unità investigativa di Al Jazeera, denuncia i crimini di guerra israeliani nella Striscia di Gaza attraverso foto e video postati online dagli stessi soldati israeliani durante il conflitto durato un anno.

La I-Unit ha costruito un database di migliaia di video, foto e post sui social media e, dove possibile, ha identificato i post e le persone che vi compaiono.

Il materiale rivela una serie di attività illegali, dalle distruzioni, ai saccheggi, alla demolizione di interi quartieri e agli omicidi.

Il film racconta anche la storia della guerra attraverso gli occhi dei giornalisti palestinesi, degli operatori dei diritti umani e delle persone residenti della Striscia di Gaza.

Il documentario è in inglese con sottotitoli in italiano.

Sul sito di Amnesty una sintesi del Rapporto.

Amnesty International

Dodici ore di idee e proposte per la Pace nel terzo anniversario della guerra di Putin in Ucraina

Insieme contro tutte le guerre, la pulizia etnica e la corsa al riarmo

Un appuntamento di mobilitazione “virtuale” (ma con temi e proposte reali e concerti) promosso da cinque Reti della società civile italiana da tempo attive congiuntamente sul tema della Pace.

Sarà questa la proposta di Europe For Peace, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, Sbilanciamoci e Coalizione Assisi Pace Giusta in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa in Ucraina.

“Tre anni dell’invasione della Russia in Ucraina.
Tre anni di guerra. Tre anni di escalation militare.
Tre anni in cui l’Europa è piombata in una economia di guerra.
Tre anni di morti, distruzioni, milioni di sfollati.

Tre anni di guerra alla natura e alle risorse del pianeta.
Tre anni di oblio della ragione e della politica, in balia della violenza delle armi, dell’arroganza e della prepotenza.
Tre anni di censura dell’informazione”, si legge nel testo di convocazione della “maratona” online di dibattiti, approfondimenti, informazioni, confronti che caratterizzerà il prossimo 24 febbraio del movimento pacifista italiano.

Con un obiettivo chiaro: “Cessate il fuoco è la priorità, oggi più di ieri.

Fermare la guerra in Europa per ristabilire giustizia e sicurezza condivisa con gli strumenti della politica e della diplomazia, nel quadro del diritto internazionale e non con nuovi ricatti, affari o accordi segreti”.

Tra i temi del ricco palinsesto che si va definendo in queste ore – oltre a interventi, testimonianze, tavole rotonde, collegamenti dalle città e dalle piazze di tutta Italia– sono previsti dibattiti e proposte sul perché di questa guerra in Europa (e sulle possibilità di evitarla), sui suoi costi umani, ambientali, ed economici.

Anche partendo dalla consapevolezza di trovarci tutti dentro un’economia di guerra, con un’Europa che corre verso un riarmo sempre già intenso.

E con la necessità di capire la direzione in cui stiamo andando (Sistema ONU o sistema Trump?) per poter individuare le modalità con cui costruire una Pace positiva e vera.

Il momento collettivo di confronto e approfondimento di lunedì 24 febbraio sarà il culmine di una serie di iniziative e eventi che i gruppi territoriali legati alle Reti promotrici organizzeranno anche nei giorni precedenti questa data simbolica.

L’auspicio, per le Reti promotrici, è che questi momenti possano diventare “occasione di mobilitazione e di riflessione per capire il perché e le responsabilità, per fare i conti con questa guerra europea, per ascoltare le voci della nonviolenza e per ribadire che esiste un’alternativa alla guerra: la politica di pace”.

L’iniziativa si svolgerà dalle ore 10:00 alle ore 22:00 di lunedì 24 febbraio, con diretta streaming sul canale YouTube di Rete Pace Disarmo, sulle pagine Facebook di Fondazione PerugiAssisi e Sbilanciamoci, e sulle piattaforme digitali delle organizzazioni facenti parte delle cinque Reti promotrici.

Rete Italiana Pace e Disarmo
Segreteria Nazionale c/o Casa per la Nonviolenza
via Spagna 8 – Verona

per contatti mail:
media@retepacedisarmo.org
328/3399267 (Francesco Vignarca – Coordinamento Campagne)

Rete Italiana Pace e Disarmo

Il Presidio di pace delle donne a Palermo compie tre anni

24 FEBBRAIO 2022 – 24 FEBBRAIO 2025: tre anni di guerra in Europa

Il Presidio di Pace delle donne inizia nel 2022 subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Noi, donne di diverse associazioni – progressiste, democratiche, antifasciste, femministe, nonviolente -abbiamo preso l’impegno da allora di testimoniare il nostro NO alla guerra e all’invio di armi con un presidio settimanale in piazza Vittorio Veneto a Palermo.

In questa piazza si trova il monumento dedicato ai martiri eroi della prima guerra mondiale. Abbiamo quindi scelto un luogo simbolico per significare che non vogliamo più né eroi né martiri. Prima di tutto la vita!

La scritta del nostro striscione, “Fuori la guerra dalla storia”, lanciata da Bertha von Suttner, pacifista austriaca, più di un secolo fa, rappresenta bene il nostro pensiero.

Siamo convinte che la guerra non sia necessaria e inevitabile, ma l’apice orrendo della logica della forza e del dominio del sistema patriarcale. Idealmente ci collochiamo in una tradizione di donne autorevoli che si sono spese per la pace e abbiamo portato in piazza le loro parole CONTRO TUTTE LE GUERRE e la militarizzazione della società e delle coscienze.

Da marzo 2023 il Presidio ha luogo ogni 24 del mese in piazza Vittorio Veneto, ma si sposta occasionalmente in altri luoghi o in altre date significative.
Il 24 novembre 2023, in rete e in piena condivisione con quello di Palermo, è nato un presidio anche a Caltanissetta.

I dati più recenti sono allarmanti: negli ultimi cinque anni il numero dei conflitti nel mondo è raddoppiato, nel solo 2024 gli episodi di violenza politica sono aumentati del 25% rispetto all’anno precedente e una persona su otto nel mondo è stata coinvolta in situazioni di conflitto. Sono dati che forniscono un quadro terribile di un mondo che diventa sempre più pericoloso, di un mondo dipendente dalla guerra.

Questo mese vogliamo ricordare, tra le decine di conflitti in corso, oltre a quelli a noi più vicini (Ucraina, Palestina), anche i più dimenticati (Kurdistan, Congo…) o ignorati (Sudan) dove le donne sono oggetto di violenze particolari, nonché i luoghi dove sono loro ferocemente negati i diritti primari (Iran, Afghanistan…).
Il presidio, nato dalle donne, è aperto a tutti/e coloro che condividano le nostre PAROLE di PACE.

Il 24 febbraio 2025 dalle ore 17.00 alle 19.00 siamo a piazza Ruggero Settimo (Politeama).

UDIPALERMO – Le Rose Bianche – Donne CGIL Palermo – Coordinamento Donne ANPI – Emily – Governo di Lei – CIF – Le Onde – Arcilesbica – Donne della Comunità dell’Arca – Donne del Movimento nonviolento – Donne del Circolo Laudato si’

Redazione Palermo

Presenza di pace a Torino

Da 155 settimane (tre anni), ogni sabato alle 11, in piazza Carignano di Torino, dall’inizio della guerra di Ucraina, poi di Gaza, si radunano con ogni tempo diverse decine di persone, per una “Presenza di Pace”: un’ora di letture, informazioni, riflessioni, proposte, collegamenti internazionali, contro le varie guerre in corso. Si termina con un minuto di silenzio per tutte le vittime.

In molte altre città d’Italia ogni settimana si tengono simili manifestazioni non clamorose né chiassose, ma serie e tenaci.

L’iniziativa è del coordinamento AGiTe, cui aderiscono molte associazioni locali che sono contro le armi nucleari, messe al bando dall’Onu nel trattato del 2017, che proibisce non solo l’uso, ma la semplice detenzione di tali armi, in vigore per tutti i paesi dal gennaio 2021. L’Italia, con la Nato, deplorevolmente non ha ancora voluto aderire a questo impegno contro la guerra.

Chiediamo ai media locali (giornali, tv, radio…) che hanno finora mancato completamente di dare notizia di informare su questa tenace e seria testimonianza della volontà popolare di pace.

Coordinamento AGiTe

Combattenti per la Pace, una legge minaccia le Ong israeliane per la pace e i diritti umani

Siamo profondamente preoccupati per un nuovo pericoloso sviluppo legislativo che minaccia il nostro movimenti come Combattenti per la Pace e altre organizzazioni per la pace e i diritti umani in Israele.

Il Comitato ministeriale per la legislazione del governo israeliano ha appena approvato una legge che modifica la Legge sulle Associazioni (1980) , imponendo severe restrizioni finanziarie e operative alle ONG che ricevono finanziamenti da enti governativi stranieri. Se approvata, questa legge limiterà drasticamente la nostra capacità di operare, mettendo a tacere le voci che si attivano per la pace, i diritti umani e la cooperazione binazionale.

Questa proposta di legge non limita solo i finanziamenti, ma è anche un tentativo di impedire alle ONG di accedere alla revisione giudiziaria in questioni riguardanti i diritti umani e alle petizioni contro istituzioni governative. La bozza afferma infatti:

“Un tribunale non deve prendere in considerazione alcuna richiesta presentata da una ONG il cui finanziamento principale proviene da un ente statale straniero, se non è finanziato dallo Stato di Israele.”

Ciò significa che le ONG che si affidano a finanziamenti internazionali, ovvero la stragrande maggioranza delle organizzazioni israeliane per i diritti umani, perderebbero la possibilità di presentare ricorso ai tribunali israeliani. Si tratta di un attacco diretto alla democrazia, che priva la società civile di uno dei suoi strumenti più importanti per difendere i diritti umani.

Perché questo è importante

Esclude qualsiasi possibilità di azione legale contro le violazioni dei diritti umani, negando giustizia a chi ne ha più bisogno.

Riduce al silenzio la società civile, interrompendo il sostegno internazionale alle organizzazioni che lavorano per la pace, la giustizia e l’uguaglianza.

Compromette la democrazia, conferendo al governo il potere incontrollato di limitare le voci di dissenso.

Approfondirà e consoliderà l’occupazione, eliminando uno degli ultimi baluardi rimasti sulle politiche governative che perpetuano violazioni dei diritti umani e violenze.

Cosa significa questo per i palestinesi

Più accaparramenti di terre e più demolizioni – Con meno sfide legali, Israele sarà libero di espandere gli insediamenti e confiscare le terre palestinesi a un ritmo ancor più veloce.

Maggiore violenza da parte dei coloni e dei militari – Abolendo quei pochi dispositivi vigenti, aumenteranno gli attacchi contro le comunità palestinesi senza alcun controllo.

Minore consapevolezza internazionale: le organizzazioni per i diritti umani saranno messe a tacere, rendendo più difficile denunciare le realtà quotidiane dell’occupazione.

Fine degli sforzi di pace di base: gruppi come “Combattenti per la Pace” che promuovono l’incontro di israeliani e palestinesi per un’azione nonviolenta, perderanno un sostegno fondamentale.

Come potete aiutare

Abbiamo urgente bisogno del vostro supporto per fermare questa pericolosa proposta prima che diventi legge. Ecco cosa potete fare:

Contattare i rappresentanti delle vostre amministrazioni e il vostro governo centrale, esortandoli a esprimersi contro questa legge e a esercitare pressioni diplomatiche su Israele affinché protegga la società civile.

Aumentare la consapevolezza condividendo queste informazioni con le vostre reti, le organizzazioni per i diritti umani e i contatti dei media. Più attenzione riceve questo problema, più difficile sarà che passi inosservato.

Continuare a sostenere il nostro lavoro: ora più che mai abbiamo bisogno della vostra solidarietà per sostenere il nostro movimento di fronte a queste minacce.

Questa legge non riguarda solo la limitazione delle ONG israeliane: è un attacco diretto ai diritti dei palestinesi, all’accesso alla giustizia e al movimento per la pace. Paralizzando la società civile, il governo israeliano garantirebbe che l’occupazione militare e l’espansione dei coloni continuino senza controllo, con meno ostacoli alla resistenza.

È tempo di agire. Insieme, possiamo difendere il diritto di co-resistere all’oppressione, sostenere la pace e costruire un futuro giusto per tutti.

In solidarietà,

Combattenti per la pace

https://www.facebook.com/c4peace
https://x.com/cfpeace
https://cfpeace.org/

Redazione Italia

Oltre 230 organizzazioni globali chiedono ai governi che producono i caccia F-35 di smettere di armare Israele

Oltre 230 organizzazioni della società civile globale hanno chiesto con una lettera congiunta ai governi che fanno parte del programma del cacciabombardiere Joint Strike Fighter di interrompere immediatamente tutti i trasferimenti di armi a Israele, inclusi i caccia F-35. Organizzazioni della società civile di tutto il mondo hanno intrapreso azioni legali per mettere i propri governi di fronte alle proprie responsabilità sul programma F-35 e sulla complicità nei crimini di Israele a Gaza.

Negli ultimi mesi, le Forze Armate di Israele (IDF) hanno utilizzato caccia F-35 per effettuare bombardamenti sui civili palestinesi di Gaza. Tra i vari episodi, è stato accertato come nel luglio 2024 un F-35 sia stato utilizzato per sganciare tre bombe da 2.000 libbre in un attacco alla cosiddetta “zona sicura” di Al-Mawasi a Khan Younis, uccidendo 90 palestinesi.

Nonostante tutti i Paesi partner del programma Joint Strike Fighter abbiano l’obbligo legale di fermare le esportazioni di armi verso Israele, i governi di tali Stati continuano a consentire il trasferimento di parti dei cacciabombardieri F-35. Gli esecutivi hanno assunto posizioni incoerenti, affermando ad esempio che le licenze di armamento verso Israele siano state sospese, ma consentendo al contempo i trasferimenti nell’ambito delle licenze esistenti o la fornitura “indiretta” attraverso gli Stati Uniti d’America o altri partner dell’F-35. Un movimento globale di cause legali intraprese dalla società civile è dunque cresciuto in tutti i Paesi che partecipano al programma F-35, per evidenziare le responsabilità dei decisori politici (e amministrativi) al riguardo del trasferimento di caccia e componenti F-35 a Israele.

Il programma dei caccia F-35 è emblematico della complicità dell’Occidente nei crimini di Israele contro i Palestinesi“, sottolinea Katie Fallon, responsabile advocacy della Campaign Against Arms Trade che ha coordinato il lavoro sulla lettera congiunta. “Questi jet sono stati determinanti nei 466 giorni di bombardamenti israeliani su Gaza e in violazioni che includono crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Dopo il cessate il fuoco limitato recentemente raggiunto il governo degli Stati Uniti d’America, partner principale del programma F-35, ha minacciato Gaza di una pulizia etnica di massa e di uno sfollamento forzato. Questo programma d’armamento fornisce il consenso materiale e politico di tutti i partner occidentali affinché questi crimini continuino”.

Le organizzazioni firmatarie della lettera congiunta, pur accogliendo con favore il limitato cessate il fuoco temporaneo, sottolineano come gli ultimi 15 mesi abbiano dimostrato con devastante chiarezza che Israele non si impegna a rispettare il diritto internazionale. È quindi imperdonabile che i nostri governi continuino a fornire trasferimenti di armi a Israele, implicandosi potenzialmente in crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nel dicembre 2024 un’indagine di Amnesty International ha concluso che Israele ha commesso e sta commettendo un genocidio contro i palestinesi di Gaza, mentre Human Rights Watch ha riferito che “le autorità israeliane sono responsabili del crimine contro l’umanità di sterminio e di atti di genocidio”.

“Il ruolo dell’Italia come partner di secondo livello nel programma Joint Strike Fighter (e come unico Paese in Europa a ospitare sul proprio territorio un impianto di assemblaggio finale del caccia F-35) desta grande preoccupazione nella società civile italiana impegnata per la Pace. C’è infatti il fondato timore che la presenza della FACO (Final Assembly and Check Out) a Cameri (Nord Italia) possa configurare vari livelli di coinvolgimento nella fornitura di parti di ricambio e attività di manutenzione dell’F-35 a Israele” evidenzia Francesco Vignarca, Coordinatore Campagne della Rete Italiana Pace Disarmo. “C’è quindi il rischio che l’Italia svolga un ruolo di complicità o di facilitazione nei confronti di Israele e delle sue strutture militari rispetto alle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario in atto a Gaza e in Cisgiordania. Inoltre, ciò smentirebbe e vanificherebbe la decisione presa dal Governo italiano nell’ottobre 2023 di interrompere le forniture militari a Israele.”

Di seguito il testo della lettera congiunta inviata alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani e al Ministro della Difesa Guido Crosetto.

Lettera congiunta di organizzazioni della società civile internazionale sull’invio di armamenti ad Israele, in particolare per quanto riguarda il Programma JSF del Cacciabombardiere F-35

Vi scriviamo come gruppo di organizzazioni dei Paesi partner del programma globale del cacciabombardiere F-35 – insieme ad altre organizzazioni che sostengono questa nostra presa di posizione – per chiedere ai nostri governi di fermare immediatamente tutti i trasferimenti di armi, diretti e indiretti, a Israele compresi quelli relativi agli aerei da combattimento F-35, i loro componenti e le loro parti di ricambio.

Dopo 466 giorni di offensiva militare israeliana a Gaza, accogliamo con favore il cessate il fuoco limitato entrato in vigore il 19 gennaio e chiediamo ai nostri governi di sostenere ogni sforzo per porre fine in modo permanente alle atrocità in corso. Gli ultimi 15 mesi hanno dimostrato con devastante chiarezza che Israele non si impegna a rispettare il diritto internazionale. La fragilità del cessate il fuoco a Gaza evidenzia il rischio di ulteriori violazioni e dunque la necessità di interrompere le esportazioni di armi verso Israele, compresi gli F-35. Ciò è sottolineato anche dal continuo uso illegale da parte di Israele di aerei da combattimento militari nella Cisgiordania occupata, in particolare a Jenin.

I Paesi partner del programma F-35 non sono riusciti, individualmente e collettivamente, a impedire che questi aerei venissero utilizzati per commettere gravi violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, in particolare con evidente chiarezza nei Territori Palestinesi occupati, compresi crimini internazionali, nonostante le prove schiaccianti a riguardo. Gli Stati non sono stati disposti a rispettare i loro obblighi legali internazionali e/o hanno sostenuto che la struttura del programma F-35 implica l’impossibilità di applicare controlli nei confronti di qualsiasi utente finale, rendendo così l’intero programma incompatibile con il diritto internazionale.

Il bombardamento e la distruzione senza precedenti di Gaza da parte di Israele hanno portato a incommensurabili sofferenze umane, devastazioni ambientali e catastrofi umanitarie. La Corte internazionale di giustizia (CIG) ha ordinato a Israele misure provvisorie per prevenire il genocidio contro il popolo palestinese a Gaza nel gennaio 2024. Nel dicembre 2024, un’indagine di Amnesty International ha concluso che Israele ha commesso e sta commettendo un genocidio contro i palestinesi di Gaza e Human Rights Watch ha riferito che “le autorità israeliane sono responsabili del crimine contro l’umanità di sterminio e di atti di genocidio”.

Un cessate il fuoco temporaneo non significa la fine delle violazioni del Diritto internazionale da parte di Israele né annulla il rischio consolidato che i trasferimenti di armi a Israele possano essere utilizzati per commettere o facilitare tali violazioni. Ciò include, ma non si limita a, l’occupazione e l’annessione in corso di Israele dei territori palestinesi, che la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha già concluso essere illegale.

Israele ha ucciso più di 46.707 persone a Gaza e si stima che i resti di altre 10.000 persone siano ancora sotto le macerie. Almeno il 90% dei palestinesi di Gaza è stato sfollato con la forza, in condizioni inadatte alla sopravvivenza umana. Le forze israeliane hanno ripetutamente attaccato obiettivi civili, tra cui siti di distribuzione degli aiuti, tende, ospedali, scuole e mercati. Circa il 69% di tutte le strutture di Gaza sono state distrutte o danneggiate dai bombardamenti. Nonostante queste realtà devastanti e i crimini sul terreno, i nostri Governi hanno continuato a rifornire militarmente Israele attraverso il programma F-35.

IL PROGRAMMA F-35

I governi di alcuni Paesi partner del Programma F-35 – in particolare Canada, Danimarca, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito – hanno limitato alcune esportazioni di sistemi d’armamento verso Israele a causa del rischio che queste armi vengano utilizzate da Israele per commettere violazioni del diritto internazionale a Gaza. Nel settembre 2024, il governo britannico ha ritenuto di “non poter concludere altro che” per alcune esportazioni di armi del Regno Unito verso Israele, tra cui i caccia F-35, esiste un chiaro rischio che possano essere utilizzate per commettere o facilitare una grave violazione del diritto umanitario internazionale a Gaza. È allarmante che, nonostante queste inconfutabili ammissioni, ci sia stato uno sforzo concertato per sostenere il trasferimento di componenti al programma F-35, consentendo un continuo trasferimento diretto e indiretto a Israele.

I Paesi partner dell’F-35 hanno presentato una serie di posizioni incoerenti che consentono di continuare a esportare parti e componenti dell’F-35 verso Israele, dichiarando tra l’altro che le licenze di esportazione di armi verso Israele sono state sospese e consentendo al contempo i trasferimenti nell’ambito delle licenze esistenti o la fornitura “indiretta” attraverso gli Stati Uniti o altri partner dell’F-35. Il Regno Unito ha sostenuto che, per ragioni di pace e sicurezza internazionale, ha disatteso i propri criteri di autorizzazione all’esportazione di armi e gli obblighi legali internazionali per continuare a esportare componenti per il programma F-35, consentendo il successivo trasferimento a Israele, sostenendo che si tratta di una “questione di tale gravità che avrebbe prevalso su qualsiasi […] ulteriore prova di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”. In effetti, a questo punto si può ritenere che non sussistano circostanze per cui questa fornitura di componenti per l’F-35 verrebbe sospesa.

Questi cacciabombardieri hanno operato a Gaza armati di munizioni tra cui bombe da 2.000 libbre (esplosivi con un raggio letale fino a 365 metri, un’area equivalente a 58 campi da calcio). Nel giugno 2024, un rapporto delle Nazioni Unite ha identificato queste bombe come utilizzate in casi “emblematici” di attacchi indiscriminati e sproporzionati a Gaza che “hanno portato a un alto numero di vittime civili e a una diffusa distruzione di oggetti civili”.

Il 2 settembre 2024, proprio il giorno in cui il governo britannico ha annunciato un’esenzione per i componenti dell’F-35, l’ONG danese Danwatch ha rivelato che un F-35 è stato utilizzato a luglio per sganciare tre bombe da 2.000 libbre in un attacco contro una cosiddetta “zona sicura” ad Al-Mawasi, a Khan Younis, uccidendo 90 palestinesi. Questo bombardamento segue lo schema degli attacchi israeliani a Gaza in violazione del diritto umanitario internazionale.

OBBLIGHI LEGALI E FUTURI SVILUPPI

Tutti i partner del programma F-35 sono Stati parte del Trattato sul commercio di armi (ATT), ad eccezione degli Stati Uniti, che ne sono solamente firmatari. Gli Stati firmatari dell’ATT sono tenuti a prevenire i trasferimenti diretti e indiretti di attrezzature e tecnologie militari, comprese parti e componenti, qualora vi sia il rischio assoluto che tali attrezzature e tecnologie possano essere utilizzate per commettere o facilitare una grave violazione del diritto internazionale umanitario (DIU) o del diritto internazionale dei diritti umani.

Questi e altri obblighi vincolanti sono contenuti negli articoli 6 e 7 dell’ATT. Gli Stati sono inoltre vincolati dall’obbligo di garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario ai sensi dell’articolo comune 1 della Convenzione di Ginevra e del diritto internazionale umanitario consuetudinario, che impone agli Stati di “astenersi dal trasferire armi se si prevede, sulla base di fatti o della conoscenza di modelli passati, che tali armi saranno utilizzate per violare le Convenzioni”.

Tutti gli Stati partner del Programma F-35 hanno una legislazione aggiuntiva che rafforza questi obblighi internazionali a livello nazionale o europeo. I continui trasferimenti di armi al governo israeliano sono contrari alla legge statunitense, che ad esempio vieta il trasferimento di aiuti militari a governi che limitano la fornitura di assistenza umanitaria statunitense. Inoltre, tutti i partner dell’F-35 hanno ratificato o aderito alla Convenzione sul genocidio e si sono impegnati a “prevenire e punire” il crimine di genocidio.

Questi obblighi sono rafforzati dai pronunciamenti della Corte internazionale di giustizia, che nell’aprile 2024 ha ricordato agli Stati parte della Convenzione sul genocidio i loro obblighi internazionali in materia di trasferimento di armi alle parti di un conflitto armato, per evitare il rischio che tali armi possano essere utilizzate per violare la Convenzione (paragrafo 24). Nel luglio 2024, la Corte internazionale di giustizia ha chiarito che gli Stati non devono aiutare o assistere Israele nella sua occupazione illegale del territorio palestinese occupato, anche attraverso rapporti economici o commerciali. La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel novembre 2024.

RISPOSTE LEGALI E POLITICHE

In tutte le giurisdizioni dei Paesi partner del Programma F-35, interventi legali e politici hanno cercato di far rispettare gli obblighi legali nazionali e internazionali dei governi per fermare le esportazioni di armi verso Israele, comprese le parti per i caccia F-35. Sono state avviate cause legali in Australia, Canada, Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti.

Nel Regno Unito, Al-Haq e Global Legal Action Network stanno portando il governo britannico davanti alla Corte Suprema con un ricorso giudiziario che contesta la decisione di escludere i componenti per il programma globale F-35 dalla sospensione del settembre 2024 di circa 30 licenze di armi a Israele. Nel novembre 2024, la Corte Suprema dei Paesi Bassi è stata consigliata dal suo avvocato generale di confermare la sentenza della Corte d’Appello dell’Aia che ordinava al governo olandese di bloccare l’esportazione di parti dell’F-35 dai Paesi Bassi a Israele. La sentenza fa seguito a una causa intentata da Oxfam Novib, PAX e The Rights Forum.

In Australia, Al Haq, il Centro Al Mezan per i Diritti Umani e il Centro Palestinese per i Diritti Umani, rappresentati dal Centro Australiano per la Giustizia Internazionale, hanno presentato un esposto chiedendo al Ministro della Difesa di revocare tutti i permessi di esportazione in corso o in essere verso Israele, anche attraverso gli Stati Uniti. Di conseguenza, il governo ha intrapreso una revisione che ha rivelato che l’Australia aveva fatto “decadere” o “modificare” 16 licenze di esportazione verso Israele. I gruppi continuano a essere preoccupati per l’assenza di trasparenza in relazione a questa revisione, compreso il fatto se le parti dell’F-35 siano state o meno prese in considerazione. Altri casi sono in corso nei Paesi partner dell’F-35 Canada e Danimarca, oltre che in Germania e Belgio.

CONCLUSIONI

L’incapacità di tutte le nazioni partner del programma di armamento JSF per il caccia F-35 di applicare i propri obblighi legali nazionali, regionali o internazionali interrompendo la fornitura di parti e componenti dell’F-35 a Israele ha portato a danni devastanti e irreparabili per i palestinesi di Gaza. Questo fallimento indica che le nazioni partner non sono effettivamente in grado o non sono disposte ad applicare i loro presunti regimi di controllo delle esportazioni di armi, oppure che hanno scelto di applicare la legge in modo selettivo, escludendo i palestinesi dalla propria  protezione.

Chiediamo a tutti gli Stati partner del programma F-35 di fare tutto ciò che è in loro potere per allineare il programma Joint Strike Fighter agli opportuno obblighi legali e di interrompere immediatamente il trasferimento diretto e indiretto di parti e componenti di F-35 a Israele.

LISTA COMPLETA DELLE ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE

Australia (Partner del Programma F-35)

  1. Amnesty International Australia
  2. AusRelief
  3. Australian Centre for International Justice
  4. Australia Palestine Advocacy Network (APAN)
  5. Australian Social Workers for Palestine
  6. Canberra Palestine and Climate Justice
  7. Central West New South Wales for Palestine & We Vote for Palestine
  8. Coalition for Justice and Peace in Palestine
  9. Disrupt Wars
  10. Free Gaza Australia
  11. Free Palestine Melbourne
  12. Independent and Peaceful Australia Network (IPAN)
  13. Independent & Peaceful Australia Network (IPAN) Geelong & Vic Southwest
  14. Inner West for Palestine
  15. Institute of non-violence
  16. Jewish Council of Australia
  17. Jews Against the Occupation ’48
  18. Just Peace
  19. Knitting Nannas, Central Coast and Midcoast
  20. Medical Association for Prevention of War
  21. Mums for Palestine
  22. Neptune’s Pirates
  23. No Weapons for Genocide
  24. Northern Rivers Friends of Palestine
  25. Palestine Action Group Muloobinba
  26. Palestine Network Shining Waters Region (PalNet SW), The United Church of Canada
  27. People’s Climate Assembly
  28. Rising Tide
  29. Settlement Services Australia
  30. Social and Ecological Justice Commission (United Church of Canada)
  31. Sydney Peace Foundation
  32. Quakers Australia
  33. Wage Peace

Austria

  1. Yante – Youth, Art, and Levante

Belgio 

  1. Al-Haq Europe
  2. Vredesactie 

Canada (Partner del Programma F-35)

  1. Al Huda Institute Canada
  2. Amnesty International Canadian Section
  3. Arab Left Forum
  4. Bathurst Street United Church
  5. The Canadian BDS Coalition & International BDS Allies
  6. Canadian Foreign Policy Institute
  7. Canadian Lawyers for International Human Rights
  8. Canadian Muslim Healthcare Network
  9. Canadians for Justice and Peace in the Middle East
  10. Canadians for Justice and Peace in the Middle East Saskatoon Chapter (CJPME Sask chapter)
  11. Collectif de Québec pour la paix / Quebec City Collective for Peace
  12. Health Workers Alliance for Palestine
  13. Independent Jewish Voices Canada
  14. IslamicFamily
  15. Just Peace Advocates/Mouvement Pour Une Paix Juste
  16. Justice For All Canada
  17. Labour Against the Arms Trade
  18. Manitoba Healthcare Workers for Palestine
  19. Mennonite Church Manitoba Palestine Israel Network
  20. Ontario Palestinian Rights Association (OPRA)
  21. Oxfam-Québec
  22. Palestinian and Jewish Unity (PAJU)
  23. Project of Heart
  24. Project Ploughshares
  25. Solidarité Sherbrooke-Gaza
  26. RightonCanada
  27. United Network for Justice and Peace in Palestine and Israel (UNJPPI)

Danimarca (Partner del Programma F-35)

  1. ActionAid Denmark
  2. Amnesty International Danmark
  3. Oxfam Denmark

Francia

  1. Amnesty International France

Italia (Partner del Programma F-35)

  1. Rete Italiana Pace e Disarmo
  2. Accademia Apuana della Pace
  3. Amnesty International Italia
  4. ARCI-Italy
  5. Ass. Adl Zavidovici
  6. Associazione Percorsi di pace
  7. Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani aps
  8. AssoPacePalestina
  9. Beati i costruttori di pace (Blessed Are the Peacemakers)
  10. Center for Research and Elaboration on Democracy (CRED)
  11. Centro Studi Sereno Regis
  12. CIPAX Centro interconfessionale per la pace
  13. Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti (CNCA)
  14. COSPE NGO
  15. Diritto Diretto
  16. Emmaus Italia
  17. Fondazione Finanza Etica
  18. Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo
  19. MIR (Movimento internazionale della Riconciliazione)
  20. Movimento Nonviolento
  21. Scuola di Pace del Comune di Senigallia
  22. Un Ponte Per

India

  1. Gig Worker Association

Iraq

  1. Al-Taqwa Association for Women and Children’s Rights

Irlanda

  1. Anti Racism World Cup

Jamaica

  1. Kingston and St Andrew Action Forum

Giordania 

  1. Campaign Against Gaza Genocide

Libano

  1. Al-Jana Center
  2. KAFA (enough) Violence & Exploitation
  3. Permanent Peace Movement
  4. WILPF Lebanon

Marocco

  1. Association Mains Libres

Messico

  1. Centro de Estudios Ecuménicos

Nepal 

  1. Path
  2. Women for Peace and Democracy Nepal (WPD Nepal)

Paesi Bassi (Partner del Programma F-35)

  1. Amnesty International Netherlands
  2. Feminists of Maastricht
  3. Oxfam Novib
  4. PAX
  5. The Rights Forum
  6. Stop Wapenhandel
  7. Transnational Institute

Norvegia (Partner del Programma F-35)

  1. Amnesty International Norway
  2. The Association of Norwegian NGOs for Palestine
  3. Changemaker
  4. Fagforbundet – Norwegian Union of Municipal and General Employees
  5. Jødiske Stemmer for Rettferdig Fred  (Jewish Voices. – Norway)
  6. NTL OsloMet Metropolitan University (trade union)
  7. The Palestine Committee of Norway
  8. Palestinas Venner OsloMert
  9. Sosialistisk Venstreparti

Palestina

  1. Al-Haq
  2. Al Mezan Center for Human Rights
  3. International Committee to Support the Rights of the Palestinian People
  4. The Palestinian Initiative for the Promotion of Global Dialogue and Democracy-MIFTAH
  5. Palestinian Working Woman Society for Development PWWSD

Svizzera 

  1. Control Arms

Sri Lanka

  1. Forum on Disarmament and Development 

Turchia 

  1. Worldwide Lawyers Association

Regno Unito (Partner del Programma F-35)

  1. ActionAid UK
  2. Action For Humanity
  3. Action on Armed Violence
  4. Amnesty International UK
  5. Anglican Pacifist Fellowship
  6. Bahrain Institute for Rights and Democracy (BIRD)
  7. Bank Better
  8. Boycott Bloody Insurance
  9. British Arab Nursing and Midwifery Association
  10. British Palestinian Committee
  11. Cambridge Branch – Communist Party of Britain
  12. Cambridge Stop the War Coalition
  13. Cambridgeshire Keep Our NHS Public
  14. Campaign Against Arms Trade
  15. Campaign against Misrepresentation in Public Affairs, Information and the News (CAMPAIN)
  16. Campaign for Nuclear Disarmament
  17. Coal Action Network
  18. Common Wealth
  19. Conflict and Environment Observatory
  20. Council for Arab-British Understanding
  21. Cuba Solidarity Campaign
  22. Embrace the Middle East
  23. FairSquare
  24. ForcesWatch
  25. Gaza Genocide Emergency Committee (Glasgow)
  26. Glasgow Palestine Human Rights Campaign
  27. Global Justice Now
  28. Global Legal Action Network
  29. Health Workers 4 Palestine
  30. Independent Catholic News
  31. International Centre for Justice for Palestinians
  32. International Solidarity Movement Scotland
  33. The Iona Community
  34. Jewish Network for Palestine
  35. Merseyside Pax Christi
  36. National Justice and Peace Network, England and Wales
  37. Omega Research Foundation
  38. Palestine Action
  39. Palestine House
  40. Palestine Solidarity Campaign
  41. Pax Christi England and Wales
  42. The Peace and Justice Project
  43. Richmond & Kingston Palestine Solidarity Campaign
  44. Sabeel-Kairos UK
  45. Saferworld
  46. Scientists for Global Responsibility (SGR)
  47. Scotland Against Criminalising Communities
  48. Shadow World Investigations
  49. Thanet 4 Palestine
  50. Tipping Point UK
  51. War on Want
  52. United Tech and Allied Workers
  53. Women in Black Edinburgh
  54. Women in Black London
  55. Workers for a Free Palestine

Stati Uniti d’America (Capofila del Programma F-35)

  1. Action Corps
  2. American Friends Service Committee
  3. Amnesty International USA
  4. Art Forces
  5. Association for Investment in Popular Action Committees
  6. Austin For Palestine Coalition
  7. Center for Civilians in Conflict (CIVIC)
  8. Center for Constitutional Rights
  9. Doctors Against Genocide
  10. Episcopal Peace Fellowship Palestine Israel Network
  11. Fellowship of Reconciliation
  12. Friends of Sabeel North America (FOSNA)
  13. Global Centre for the Responsibility to Protect (GCR2P)
  14. Global Ministries of the Christian Church (Disciples of Christ) and United Church of Christ
  15. Green Mountain Solidarity With Palestine
  16. Green Mountain Veterans For Peace
  17. Honor the Earth
  18. Indiana Center for Middle East Peace
  19. KinderUSA
  20. Madison-Rafah Sister City Project
  21. The Middle East Children’s Alliance for Peace
  22. National Lawyers Guild- Palestine Sub Committee
  23. New Mexico Jews for a Free Palestine
  24. A New Policy
  25. Nonviolence International
  26. Palestine Justice Network of the Presbyterian Church (U.S.A.)
  27. Palestinian Youth Movement
  28. Peace Action
  29. People’s Arms Embargo
  30. RepresentUS New Mexico
  31. Safe Skies Clean Water Wisconsin
  32. Santa Fe Democratic Socialists of America
  33. Security in Context
  34. Showing Up for Racial Justice (SURJ) Northern New Mexico chapter
  35. Tech Justice Law Project
  36. USA Palestine Mental Health Network
  37. Vermont and New Hampshire Chapter of the National Lawyers Guild
  38. Will Miller Social Justice Lecture Series
  39. WESPAC Foundation, Inc.

Organizzazioni Internazionali

  1. Al-Haq Europe
  2. Cairo Institute for Human Rights Studies
  3. Center for Civilians in Conflict (CIVIC)
  4. Emergent Justice Collective
  5. Human Rights Watch
  6. International Coalition to Stop Genocide in Palestine
  7. Oxfam International
  8. Pax Christi International
  9. United Methodists for Kairos Response (UMKR)
  10. War Resisters’ International
  11. Women’s International League for Peace and Freedom
  12. World BEYOND War

 

 

Rete Italiana Pace e Disarmo

I Miserabili, ovvero dell’inevitabile tracollo dell’UE

E così ci siamo finalmente arrivati. Dopo tanto vociare sul ruolo “centrale” dell’Europa nel confronto scontro con l’Oriente, dopo l’autoesaltazione per aver sostenuto e affiancato l’Ucraina contro la “vile aggressione”, dopo i miliardi spesi in armi e aiuti vari all’Ucraina per costruire  l’illusione di una possibile vittoria contro la Russia perché “…oggi l’Ucraina e domani i cavalli dei Cosacchi che si abbeverano a piazza S.Pietro”, dopo la genuflessione totale sia dei “centrodestri” che dei “centrosinistri” di fronte agli affari USA nella speranza di un posticino al tavolo delle ricostruzioni/speculazioni, ecco che arriva Trump a sconvolgere le aspettative e a sparigliare le carte di un mazzo al quale già dall’inizio mancavano le figure più importanti.

Eppure i segnali di una fine ingloriosa della politica imperiale della globalizzazione c’erano tutti, dal protagonismo sempre più forte della Cina al ruolo sempre più centrale dei BRICS, dalla fine del monopolio USA delle tecnologie più avanzate alle possibilità sempre più concrete di dedollarizzare gli scambi economici e finanziari di una parte consistente del mondo, dalla rinnovata importanza delle materie prime, dal grano alle terre rare, e degli stati che le detengono al rafforzamento di imperialismi che tendono ad autonomizzarsi dagli USA in particolare nel Medio Oriente come Turchia , Israele, Arabia Saudita ed Emirati.

Insomma uno scenario da fine Impero che domina lo scacchiere internazionale da una decina d’anni e nel quale gli USA di Biden hanno cercato di forzare la mano spostando il confine della Nato sempre più ad est, distribuendo sanzioni economiche a Russia, già da prima della guerra, Cina, Iran, Venezuela e chiunque non facesse riferimento a quel complesso quadro ideologico politico economico e militare chiamato ”Occidente”.

Di tutto questo si è invece reso perfettamente conto il nuovo inquilino della casa bianca che con la praticità del palazzinaro tirchio di fronte alle pareti del palazzo UE che scricchiolano ha chiesto l’aumento dell’affitto (arrivare al 5% di spese militari comprando armi ovviamente dagli USA) e al concorrente forte preferisce offrire un accordo piuttosto che una guerra. Anche con Ucraina e Palestina l’atteggiamento è uguale: ”Ti ho dato miliardi adesso mi prendo da uno le terre rare e dall’altro la costa di Gaza per farne la Saint Tropez del Medio Oriente”. E così mentre i bimbiminkia (per usare il linguaggio istituzionale italiano) si dividono tra chi piagnucola e chi cerca di arruffianarsi Papi mollando gli altri, i Grandi si preparano ad una nuova Yalta.

Era possibile un’altra e meno ingloriosa fine? Assolutamente si, come per tre anni abbiamo urlato nei pochissimi spazi di comunicazione mainstream che ci hanno concesso chiamandoci comunque traditori, Putiniani, filo Hamas, sciocchi pacifisti senza senso pratico, zecche rosse (compreso sua Santità il Papa) o neonazi. Gli spazi per un intervento diplomatico importante c’erano tutti tant’è che l’Inghilterra, primo vassallo di Biden, ha dovuto mettersi di traverso per impedirlo (i servizi UK sono fortemente sospettati di essere gli autori del sabotaggio che ha distrutto il gasdotto che dalla Russia forniva la Germania), ma si è preferito sacrificare la vita di centinaia di migliaia di Ucraini, nonché le condizioni delle fasce di popolazione economicamente più deboli di tutta Europa in nome dell’ ennesima guerra contro il male assoluto.

Non voglio qui assolvere Putin dalle sue indiscutibili colpe bensì sottolineare ancora una volta che la guerra non può mai essere la soluzione neanche per la Russia che dovrà comunque rendere conto al suo popolo delle centinaia di migliaia di giovani soldati mandati a morire nonché di un continuo irrigidimento di un regime che lascia sempre meno spazi alla possibilità di opporsi. E adesso? Direi che siamo alla frutta, poiché mentre oggi a Riad si riuniscono gli inviati di Trump e Putin per stendere un’ipotesi di accordo peraltro senza Zelenski, alcuni leader europei si sono riuniti ieri a Parigi su invito di Macron, presidente in bilico, per stilare una posizione comune per partecipare ai negoziati. Risultato? Assolutamente nessuno, zero totale poiché è ormai chiara la frattura tra chi, Meloni in testa, preferisca accreditarsi nel modo migliore, cioè supinamente, al nuovo imperatore e chi vorrebbe  che la guerra continuasse ma non può permetterselo.

Saremo quindi costretti ancora una volta ad una sudditanza senza scampo?

Forse è troppo presto per dirlo, l’unica cosa certa è che un campo avverso alla pace è andato irrimediabilmente in crisi mostrando tutte le sue fragilità e questo apre sicuramente scenari che potrebbero rivelarsi importanti ma soprattutto proficui per il ruolo che potrebbero assumere i movimenti pacifisti e non solo. I 150 miliardi di euro bruciati dalla UE in aiuti militari all’Ucraina sono fondi tolti alla sanità, alla scuola pubblica, alla previdenza, agli investimenti pubblici e devono diventare una leva per rilanciare piattaforme sindacali e sociali in tutta Europa che mobilitino il mondo dei lavori e i movimenti per impedire questa volta ulteriori aumenti delle spese militari volte a rilanciare velleità imperiali della UE a scapito delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di cittadini.

I sondaggi sul favore che incontravano le politiche guerrafondaie in Italia e non solo, nonostante gli sforzi dei miseri “giornalistoni” che li proponevano, non riuscivano a nascondere maggioranze contrarie all’invio di armi, così come le recenti elezioni europee hanno mostrato una distanza sempre più abissale tra i partiti presenti e il popolo che per metà non ha votato sottolineando in questo modo la non rappresentatività di un quadro politico istituzionale quasi completamente allineato sulla guerra e sulle scelte economico-politiche che ne conseguono. Questa maggioranza pacifista deve oggi riprendere la parola e tornare protagonista della scena ed ha un solo modo per farlo: creare lotta, comunicazione, comunità.

Redazione Italia

La lotta per la Groenlandia (Parte III)

Si intensifica il dibattito dell’UE sull’invio di soldati in Groenlandia. L’Artico è già oggi teatro di una crescente rivalità militare tra Stati Uniti e Russia.

Il dibattito sull’invio di soldati in Groenlandia si sta intensificando nell’Unione Europea. Dopo la proposta del Presidente del Comitato militare dell’UE, anche il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha dichiarato che “se sono in gioco i nostri interessi”, si potrebbe prendere in considerazione il dispiegamento di truppe sull’isola, che appartiene allo Stato UE della Danimarca. Barrot ha sottolineato che l’Artico nel suo complesso è diventato una “nuova area di conflitto”.

In effetti, la rivalità sta aumentando, soprattutto tra l’Occidente e la Russia. La Russia dispone oggi di quasi una dozzina di basi militari nella regione artica per proteggere il suo fianco settentrionale, il porto della sua flotta settentrionale e le fonti di petrolio e di gas che vi si trovano.

Gli Stati Uniti gestiscono nove basi militari in Alaska e utilizzano la base spaziale di Pituffik in Groenlandia. Nel maggio 2019, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dichiarato che l’Artico è un’“arena” per le lotte di potere globali; il Presidente Donald Trump voleva acquistarlo. Il fatto che abbia fallito allora contribuisce a spiegare le sue attuali richieste di annessione estremamente aggressive.

Porto Rico con la neve

Per la prima volta dopo gli sforzi compiuti negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, nel 2019 gli Stati Uniti hanno puntato ad annettere la Groenlandia. Nel maggio 2019, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato in un discorso a una riunione del Consiglio Artico a Rovaniemi, nel nord della Finlandia, che l’Artico era diventato un’“arena” per di competizione globale: “Stiamo entrando in una nuova era di attività strategica nell’Artico”[1]

Nell’agosto 2019, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato di voler acquistare la Groenlandia. La mossa ha scatenato reazioni incredule e talvolta inorridite in Danimarca in generale e nella stessa Groenlandia. “Spero che sia uno scherzo”, ha dichiarato Martin Lidegaard, presidente della Commissione Affari Esteri del parlamento danese – si tratta di ‘un pensiero terribile e grottesco’[2].

‘La Groenlandia non è in vendita’, ha annunciato il primo ministro groenlandese Kim Kielsen. Di conseguenza, i piani di Trump non avrebbero portato a nulla. Il capo del Centro per gli studi militari dell’Università di Copenaghen, Henrik O. Breitenbauch, ha dichiarato che non si fa commercio di persone e Paesi. Inoltre, l’interesse della popolazione groenlandese a diventare una sorta di “Porto Rico con la neve” era probabilmente piuttosto limitato[3].

“Ci prendiamo la Groenlandia”

Il 22 dicembre 2024, Trump ha nuovamente annunciato di voler incorporare la Groenlandia negli Stati Uniti.[4] Il 7 gennaio 2025, ha esplicitamente ribadito che non escluderà la coercizione economica o militare per raggiungere questo obiettivo.[5]

Come nel 2019, in Danimarca e nella stessa Groenlandia si sono sentiti sgomento e aperto rifiuto. Facendo riferimento alla storica discriminazione razziale contro la popolazione indigena dell’Alaska, gli Inuit, Pipaluk Lynge, membro del parlamento groenlandese, ha dichiarato: “Sappiamo come trattano gli Inuit in Alaska”. Rivolgendosi agli Stati Uniti, Lynge ha aggiunto: “Rendeteli ‘great’ prima di cercare di invaderci”[6]

I primi tentativi del governo danese di smorzare le richieste con concessioni all’amministrazione Trump – come la promessa di espandere un aeroporto in Groenlandia per i caccia F-35 statunitensi – sono falliti. In una conversazione telefonica con il primo ministro danese Mette Frederiksen la scorsa settimana, Trump non solo ha insistito per incorporare la Groenlandia negli Stati Uniti, secondo quanto riferito, ma ha anche minacciato misure coercitive specifiche, come i dazi.[7] “Avremo la Groenlandia”, ha affermato Trump nel fine settimana; se la Danimarca non è disposta a cedere il suo territorio, questo sarebbe “un atto molto ostile”[8].

Sistemi di allerta rapida per l’Artico

Trump insiste nella rivendicazione, anche se gli Stati Uniti hanno già un notevole spazio di manovra militare in Groenlandia e la Danimarca si è offerta di ampliarlo. Washington e Copenaghen hanno un accordo militare relativo alla Groenlandia dal 1951, che consente alle forze armate statunitensi di utilizzare, tra le altre cose, una base militare situata molto a nord-ovest dell’isola. Ancora oggi è conosciuta come base aerea di Thule, ma da diversi anni si chiama ufficialmente base spaziale di Pituffik.

Oltre a una stazione di sorveglianza spaziale, vi si trovano anche radar e sistemi di allarme rapido. Questi erano già utilizzati durante la Guerra Fredda per rilevare eventuali bombardieri e missili sovietici in avvicinamento. Il percorso attraverso la Groenlandia è il più breve dalla Russia agli Stati Uniti a causa della curvatura della terra.

Oggi gli esperti sottolineano che le strutture della base spaziale di Pituffik non sono probabilmente in grado di rilevare in tempo i moderni missili ipersonici russi; per questo, dicono, “nuove strutture di ricognizione dovrebbero essere posizionate anche in Groenlandia”[9]. Peter Viggo Jakobsen, professore del Royal Danish Defence College, ha affermato che gli Stati Uniti “hanno ottenuto in larga misura ciò che volevano militarmente in Groenlandia chiedendo gentilmente”[10].

Basi militari nell’Artico

Un’eventuale annessione della Groenlandia e un’espansione della presenza militare statunitense sull’isola aggraverebbero in modo significativo le tensioni militari nell’Artico. Gli Stati Uniti mantengono attualmente nove basi militari in Alaska, oltre alla base spaziale di Pituffik in Groenlandia.

La Russia, invece, ha aumentato le sue basi militari nelle regioni settentrionali fino a quasi una dozzina. È nella penisola di Kola, per la precisione, che si trova la base della Flotta del Nord, che contiene parte della capacità di secondo colpo nucleare delle forze armate russe. Le regioni artiche della Russia ospitano anche grandi riserve di petrolio e, soprattutto, di gas naturale. Entrambe devono essere protette dagli attacchi in caso di guerra, motivo per cui Mosca dichiara la sua presenza militare nell’Artico come chiaramente difensiva.[11]

Tuttavia, la Russia ha recentemente ampliato le sue manovre nelle acque artiche e, secondo i rapporti, le ha spostate sempre più verso la Norvegia, il che aumenta il suo spazio di manovra ma è classificato come azione offensiva in Occidente. Nell’Artico sta inoltre cooperando con la Cina, non a livello militare, ma ad esempio nello scambio di dati satellitari per la comunicazione e la navigazione[12].

Un segnale forte

Nel frattempo, si discute anche dello stazionamento di forze dell’UE in Groenlandia. A fine gennaio, il presidente del Comitato militare dell’UE, il generale austriaco Robert Brieger, ha dichiarato che sarebbe “abbastanza sensato” “prendere in considerazione lo stazionamento di soldati dell’UE” in Groenlandia: “Sarebbe un segnale forte”. [13.

Durante una breve visita a Parigi del primo ministro danese Mette Frederiksen, il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha dichiarato che l’Artico è diventato una “nuova area di conflitto” in cui “l’interferenza straniera” deve essere deplorata.  “Se i nostri interessi sono in gioco”, allora il dispiegamento di militari in Groenlandia sarà preso in considerazione. [14]

La Danimarca ha ora iniziato ad armarsi a livello nazionale nella sua provincia autonoma. Come annunciato lunedì, Copenaghen intende spendere 14,6 miliardi di corone danesi – poco meno di due miliardi di euro – per acquistare, tra l’altro, tre navi da guerra in grado di affrontare l’Artico e due droni a lungo raggio che possono essere utilizzati per voli di sorveglianza estensivi. Inoltre, ci saranno esercitazioni militari più intense rispetto al passato sul terreno artico [15].

Le parti precedenti di questa serie di articoli si possono leggere ai seguenti link:  La lotta per la Groenlandia (I)   La lotta per la Groenlandia (II) 

NOTE:

  • [1] Michael R. Pompeo: Looking North: Sharpening America’s Arctic Focus. 2027-2021.state.gov 06.05.2019.
  • [2], [3] Martin Selsoe Sorensen: “La Groenlandia non è in vendita”: Trump’s Talk of a Purchase Draws Derision. nytimes.com 16.08.2019.
  • [4] Rebecca Falconer: Trump suggerisce che gli Stati Uniti dovrebbero diventare proprietari della Groenlandia. axios.com 23.12.2024.
  • [5] Seb Starcevic: Trump rifiuta di escludere l’uso della forza militare per prendere la Groenlandia e il Canale di Panama. politico.eu 07.01.2025.
  • [6] Seb Starcevic, Eric Bazail-Eimil, Jack Detsch: La visita di Donald Trump Jr. è stata “inscenata”, dice il legislatore groenlandese. politico.eu 09.01.2025.
  • [7] Richard Milne, Gideon Rachman, James Politi: Donald Trump in una telefonata infuocata con il primo ministro danese sulla Groenlandia. ft.com 24.01.2025.
  • [8] Richard Milne: Donald Trump ridicolizza la Danimarca e insiste che gli Stati Uniti prenderanno la Groenlandia. ft.com 26.01.2025.
  • [9] Michael Paul: Grönlands arktische Wege zur Unabhängigkeit. SWP-Studio 2024/S 22. Berlino, 02.10.2024.
  • [10] Julian Staib: Perché Trump vuole la Groenlandia. Frankfurter Allgemeine Zeitung 09.01.2025.
  • [11] Colin Wall, Njord Wegge: La minaccia artica russa: conseguenze della guerra in Ucraina. csis.org 25.01.2023.
  • [12] Majid Sattar, Friedrich Schmidt, Julian Staib, Jochen Stahnke: La lotta per l‘artico. Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.01.2025.
  • [13] EU-Militärchef für Stationierung von Soldaten auf Grönland. rnd.de 26.01.2025.
  • [14] Théo Bourgery-Gonse: La Francia pensa di inviare truppe UE in Groenlandia. euractiv.com 28.01.2025.
  • [15] Billy Stockwell, James Frater, Eve Brennan: La Danimarca aumenta la spesa per la difesa dell’Artico di 2 miliardi di dollari dopo l’interesse di Trump per la Groenlandia. edition.cnn.com 27.01.2025.

Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid.

GERMAN-FOREIGN-POLICY.com

Officina Siciliana di Nonviolenza: un progetto didattico

Ieri è stato presentato a Palermo il programma 2025 dell’Officina Siciliana di Nonviolenza. Questa proposta è il frutto di quasi due anni di lavoro tra varie persone e associazioni che intendono offrire alla città di Palermo e alla Sicilia un luogo dove ci si può formare ai valori della Pace e alle pratiche di risoluzione nonviolenta dei conflitti. Ecco il calendario degli incontri:

• 15 marzo
Conflitti: Strumenti base per l’analisi e la gestione

Casa dell’equità e della Bellezza, Via Nicolò Garzilli n.43/a – Palermo

Ore 9,00/13,00 – 14,00/ 18,00
Animatore dell’incontro: Manfredi Sanfilippo

• 12 Aprile
Comunicazione nonviolenta e gestione nonviolenta dei conflitti a partire da Pat Patfort

Fondazione Parrino, Via Brigata Aosta n.15 – Palermo

Ore 9,00/13,00 -14,00/18,00
Animatore dell’incontro: Augusto Cavadi

• 17 maggio
Metodi e Tecniche nonviolente nella presa di decisioni

Fondazione Parrino, Via Brigata Aosta n.15 – Palermo

Ore 9,00/13,00 -14,00/18,00
Animatore dell’incontro: Andrea Cozzo

• 21 giugno
Donne che disarmano. Come e perché la nonviolenza riguarda il femminismo

Biblioteca delle donne, Via Lincoln n.121 – Palermo

Ore 9,00/13,00 – 14,00/17,00
Animatrice dell’incontro: Monica Lanfranco

• 20 settembre
Casi storici di risoluzione nonviolenta di conflitti

Fondazione Parrino, Via Brigata Aosta n.15 – Palermo

Ore 9,00/13,00 – 14,00/18,00
Animatore dell’incontro: Rosario Greco

• 18 ottobre
La nonviolenza nella Storia: figure ed esperienze del ‘900
Casa dell’equità e della Bellezza, Via Nicolò Garzilli n.43/a – Palermo

Ore 9,00/13,00 – 14,00/18,00
Animatore dell’incontro: Enzo Sanfilippo

• 15 novembre
Esperienze e pratiche di nonviolenza oggi

Fondazione Parrino, Via Brigata Aosta n.15 – Palermo

Ore 9,00/13,00 – 14,00/18,00
Animatore dell’incontro: Marco Siino

È suggerita la partecipazione a tutti e sette gli incontri • Costo per la partecipazione all’intero ciclo: euro 60 • Iscrizione all’intero ciclo con pagamento entro il 10 marzo: € 50 • Costo per la partecipazione ad un singolo incontro: euro 10 • Una delle associazioni promotrici di Officina siciliana di nonviolenza certificherà la partecipazione con attestato • Sconto del 50% per gli studenti.

info e adesioni: officinadinonviolenza.sicilia@gmail.com

cell. 339 6947 146

Redazione Sicilia