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Cassazione

Greenpeace e ReCommon in Cassazione domani

GREENPEACE ITALIA E RECOMMON: DOMANI LA CASSAZIONE STABILIRÀ SE IN ITALIA È POSSIBILE INTENTARE CAUSE CLIMATICHE

ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

Greenpeace International

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ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

Greenpeace International

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ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

Greenpeace International

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L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
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L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
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L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

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L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

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ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

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GREENPEACE ITALIA E RECOMMON: DOMANI LA CASSAZIONE STABILIRÀ SE IN ITALIA È POSSIBILE INTENTARE CAUSE CLIMATICHE

ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

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ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

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