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Ecologia ed Ambiente

I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

BRELLxit: I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica

L’8 febbraio il sistema energetico delle Repubbliche Baltiche si è sconnesso dalla rete russa collegandosi a quella europea.

In sé un atto strettamente tecnico e previsto da decenni ma che è finito per assumere un valore politico ben più profondo.

Immersi in una futuristica scenografia, i presidenti delle tre Repubbliche Baltiche, insieme al presidente polacco e della commissione europea Von der Leyen, celebrano la quasi simultanea sconnessione della rete energetica baltica dal sistema BRELL (condiviso con Russia e Bielorussia) per collegarsi all’Area Sincrona dell’Europa Continentale (CESA).

Un atto dovuto di integrazione europea e di sicurezza energetica che viene equiparato ad una seconda dichiarazione di indipendenza.

Il lungo cammino verso l’Europa elettrica

L’idea della sincronizzazione energetica fra Baltici ed Europea risale invece alla prima indipendenza, quando, in ottica europeista, ma anche e soprattutto per allontanarsi dalla Russia e dalle sue minacce in tema di sicurezza energetica, la questione fece il suo primo ingresso nel dibattito politico.

Fra il 1996 e il 1998 si realizzò quindi il primo studio di fattibilità, ‘Baltic ring’, dal quale emersero una lunga serie di sfide rispetto alla creazione di un mercato comune dell’elettricità con l’Europa, finendo per alimentare uno scetticismo che avrebbe congelato il dibattito fino al 2007.

Fu solo nel 2008, con la salita al potere in Lituania dei democristiani (TS-LKD), e Sekmokas ministro dell’Energia, che si riuscirono a rimuovere dal Ministero le vecchie autorità energetiche, principali oppositori alla sincronizzazione.

Ma ancor di più, sarà il coinvolgimento dell’Unione Europea a dare una prospettiva concreta a quella che fino a quel momento era rimasta solo un’idea.
In particolare attraverso la promozione e approvazione, nello stesso anno, del Piano di Interconnessione del Mercato Energetico del Baltico (BEMIP), ma che pure non fu sufficiente per superare gli ostacoli che il progetto portava con sé: l’opposizione della Polonia alla costruzione dell’interconnessione elettrica LitPol Link 2; della Russia, che avrebbe visto l’exclave di Kaliningrad isolata dalla propria rete, insieme a tutta una serie di questioni tecniche che portarono a dubitare anche la stessa Estonia.

I dubbi e le specifiche operative portarono a nuovi studi di fattibilità che rallentarono i lavori, tanto da portare le tre repubbliche a considerare anche progetti autonomi di sincronizzazione, e a non firmare il memorandum d’intesa del 2017.

A questo punto sarà, di nuovo, necessario il coinvolgimento dell’Unione Europea per mettere tutti d’accordo.
E succederà l’anno successivo, con Juncker ad oleare gli ingranaggi, quando finalmente le tre repubbliche e la Polonia sottoscrissero il piano d’azione per la sincronizzazione elettrica.

Uno dei più grandi risultati della diplomazia europea in tema di sicurezza energetica con destinazione 2025.

1,6 miliardi di euro dopo (di cui 1,23 dell’UE), l’8 febbraio di quest’anno, si sconnettono le interconnessioni fra il sistema delle Repubbliche dalla rete BRELL.

E dopo 24 ore di lavoro in autonomia, a garanzia di sicurezza del buon funzionamento del sistema baltico, si collega alla rete CESA, attraverso diverse interconnessioni fra Estonia e Finlandia e fra la Lituania con Polonia e Svezia.

Segnando ‘la fine di ogni residuo sovietico’ per i baltici, oltre che la completa integrazione europea della regione fino ad ora rimasta un’isola energetica.

Massima allerta

La posizione dei baltici e il loro passato hanno sicuramente contribuito a fare di questo atto ‘tecnico’ una necessità di sicurezza energetica a fronte di Mosca e della sua abitudine a ricattare chiunque sia ad essa legata energeticamente.

Eppure, al diminuire delle possibilità di ricatto energetico da parte di Mosca, aumenta parallelamente il rischio di sabotaggi e ripercussioni per l’altra abitudine russa di voler dimostrare che ogni tentativo di porre fine a una dipendenza da Mosca ha inevitabilmente delle conseguenze.

Conseguenze, di cui i danneggiamenti dei cavi nel mar Baltico sono chiari precedenti, che si sommano al rischio di altre forme di attacchi ibridi che Mosca è andata perfezionando negli anni, e che includono cyber attacchi e campagne di disinformazione che fanno sì che tutti rimangano in massimo stato di allerta nei baltici.

Ma non gira sempre tutto e solo intorno alla Russia

Tuttavia, non si può sempre e solo ridurre tutto in funzione della Russia, e farlo vorrebbe dire non solo sottostimare il lavoro (e il cospicuo finanziamento) delle Repubbliche e dell’UE.

Ma vorrebbe anche dire assegnare a Mosca un’importanza superiore a quella che già non si auto concede.

Una pratica che troviamo sia nelle parole di chi imputa le esitazioni e i ritardi a strumento di “mitigazione pragmatica” affine alla finlandizzazione della vicina scandinava.

Ma anche nelle dichiarazioni di media e politici che riducono la sincronizzazione come “risposta all’invasione dell’Ucraina della Russia”.

Quando, invece, l’annosa storia del progetto dovrebbe essere sufficiente per notare come sia ben precedente e indipendente dalle azioni russe più recenti, e confermato anche in un report dell’ICDS (International Centre for Defence and Security) in cui viene segnalato come, dopo il 2007, “rischi politici e preoccupazioni in tema di sicurezza sono stati completamente assenti nella discussione”, e i ritardi sono stati dovuti unicamente a considerazioni tecniche.

Provenienti, tra l’altro, da Estonia e Polonia, da sempre in prima linea nella militanza contro l’influenza di Mosca.

Una narrazione dannosa che si sostituisce al Cremlino nel costruire l’immagine di una Russia minacciosa e in funzione della cui forza gira il mondo, e che riduce a mera reazione anni di dialogo, sforzi e diplomazia europea per raggiungere questo risultato.

East Journal

Greenpeace e ReCommon in Cassazione domani

GREENPEACE ITALIA E RECOMMON: DOMANI LA CASSAZIONE STABILIRÀ SE IN ITALIA È POSSIBILE INTENTARE CAUSE CLIMATICHE

ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

Greenpeace International

San Cristoforo, un forte patto educativo per guardare al futuro

Coinvolgimento dal basso, e da parte di chi conosce bene il quartiere perché vi opera da più di settanta anni: da questa premessa nasce il documento di proposte per San Cristoforo elaborato da salesiani e laici della Salette.

Un documento che sottolinea, in premessa, la necessità di focalizzare l’attenzione soprattutto attorno al problema educativo, oltre che ad “un efficace inserimento lavorativo che tolga manovalanza alla mafia”.

Solo un patto educativo che metta insieme scuola, famiglie, associazioni, con particolare attenzione alle categorie svantaggiate, può promuovere un vero cambiamento del quartiere. E’ il motivo per cui nel documento si afferma che non basta investire in infrastrutture se non si individuano le figure che devono occuparsene e gestirle. E si sostiene che non si avranno risultati duraturi se non si investono risorse per moltiplicare le figure degli educatori: più insegnanti, più assistenti sociali, più psicologi.

Con un’avvertenza, quella di non utilizzare le risorse disponibili per interventi a pioggia su altre zone, magari contigue ma differenti, della città. E quindi la necessità di definire la zona di intervento e di individuare i cosiddetti ‘sottoquartieri’ che sono le aree a cui – come leggiamo nel documento – “la gente sente di appartenere”: Salette, Angeli Custodi, San Cristoforo, Passereddu, Tondicello, Acquicella, Fortino, Locu, Traforo, Zurria ex macello.

Non a caso, nel formulare le loro proposte, salesiani e laici della Salette ritengono che sia opportuno individuare tre hub dislocati nel quartiere, uno al centro, uno ad est (ex macello) e uno ad ovest (zona Fortino), in modo che tutti i sottoquartieri possano essere coinvolti ed usufruirne.

Il documento si sofferma poi sull’hub che potrebbe essere realizzato nella zona centrale del quartiere, proprio attorno alla Salette, riqualificando anche alcuni locali di proprietà del Comune, attualmente in abbandono.

In modo molto puntuale vengono individuati spazi e strutture da dedicare ad adolescenti e giovani, mentre altri spazi e locali dovrebbero essere predisposti per bambini della fascia 0-6, con aree da destinare anche alle mamme, e infine un polo di orientamento e formazione professionale.

Non mancano indicazioni, di carattere più generale, relative alla necessità di creare, all’interno del quartiere, anche un polo culturale e spazi aggregativi per migranti, anziani, disabili.

Argo, cento occhi su Catania

Leggi e scarica il documento di proposta a questo link

Vedi le altre proposte su San Cristoforo, presentate all’Amministrazione e pubblicate sul nostro sito: dal Comitato per il Parco Monte Po-Acquicella – da CGIL,Sunia,Auser – dal Comitato Cittadino Federico II

Redazione Sicilia

Più sicurezza? Solo fuori dal capitalismo

Oramai al centro dell’attenzione internazionale c’è solo una parola: sicurezza. Un termine coniugato in modo davvero malsano.

Sicurezza è dotarsi di sempre più armi e eserciti, difendere i confini dai poveracci che bussano all’Europa o agli USA, difendere la purezza della razza bianca, difendere identità nazionali che a volte sono pura invenzione, difendersi dall’avanzare della cosiddetta teoria gender.

In realtà l’esigenza di sicurezza è realmente sentita ma non è con le armi che ci si difende da attacchi esterni, dalla guerra. E ci sono ben altre minacce che dovrebbero essere avvertiti come veri attentati alla sicurezza dei cittadini e della nazione. Sentirsi insicuri perché la sanità pubblica non funziona più e chi non ha soldi non si può curare e invece di morire sotto un improbabile bombardamento ci lascia la pelle prima di arrivare a un pronto soccorso. Sentirsi insicuri perché la casa sta diventando un lusso soprattutto nelle grandi città come Milano svendute alle immobiliari, agli speculatori e all’overtourism che gentrifica i centri urbani. Sentirsi insicuri se si tratta di giovani perché non c’è lavoro e non c’è futuro. Sentirsi insicuri perché la scuola è ritenuta non un investimento fondamentale ma una voce di costo da ridurre. Sentirsi insicuri perché lo sconvolgimento climatico presenta uno scenario cupo e sono sempre di più le vittime e le distruzioni di alluvioni, incendi e dissesti idro-geologici. E si potrebbe continuare.

Questa è la vera mancanza di sicurezza di cui ci dovremmo occupare. Queste sono le autentiche minacce da cui dovremmo difendere. Invece la parola d’ordine è una sola: più armi! E poi è un’illusione pensare che più armi, più eserciti, mettano al riparo da eventuali attacchi esterni. E’ esattamente il contrario. Il potenziale nemico risponderà in modo simmetrico. Gli Stati che possono sentirsi più sicuri sono proprio quelli che investono meno in spese militari, pacifici, dialoganti, che presentano meno un volto aggressivo all’esterno.

Mi ricordo un’analisi degli anni 80. I due Stati più sicuri erano due piccole nazioni non allineate molto diverse tra loro: Svizzera e Albania. Per non parlare del Costarica, uno dei pochi Stati al mondo che abbia rinunciato all’esercito. La sicurezza in questo senso si costruisce, come affermava Pertini, in un modo molto semplice e solo apparentemente ingenuo: riempiendo i granai e svuotando gli arsenali. La più grave minaccia reale non solo per l’Europa ma per il mondo intero si chiama comunque crisi ambientale e climatica. Ma i padroni del mondo, quelli che detengono le leve della politica e dell’economia si muovono in direzione contraria.

Trump e Musk affogheranno nei loro miliardi e nella loro supponenza è chiaro ma come è possibile che non trascinino anche noi, anche quelli che verranno nella catastrofe? Le teorie economiste che tendono a salvare capre e cavoli (ambiente e crescita) hanno fallito. Soluzioni come i certificati verdi o le speranze messianiche riposte nella tecnologia non porteranno da nessuna parte. Se vogliano davvero salvarci il capitalismo non si modifica, si abbatte, perché è causa prima del disastro. Purtroppo sono esigue minoranze quelle sullo scenario politico che abbiano il coraggio di abbandonare l’idiozia della crescita infinita in un modo finito. Anche al centro e pure a sinistra la parolina magica crescita è prima o poi sulla bocca di tutti. Senza crescita non esiste capitalismo, ma senza uscita dal mito della crescita e dal modello capitalista non esisterà più…il mondo. E oltre a quelle economiciste che tendono a migliorare il capitalismo occorre diffidare anche dell’approccio individualista che vede nella semplice modifica dei comportamenti individuali la via d’uscita. Mantenere coerenza tra il dire e il fare, fare proprio l’invito di Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, adottare stili di vita frugali, ecc. è importante ma non deve far perdere di vista il fatto che il problema è politico e strutturale e che il vero obiettivo non può che essere il superamento del capitalismo. Magari tenendo presente come stella polare il comunismo dei beni comuni e non delle nazionalizzazioni in stile sovietico del filosofo giapponese Kohei Saito.

Ci sono interi settori, quelli che contribuiscono a concentrare la ricchezza e le leve del potere mediatico e economico nelle mani di pochi che dovrebbero essere invece di esclusivo possesso da parte dello Stato, della comunità: energia in primis.
E poi ovviamente sanità, scuola, servizi pubblici essenziali, acqua. Il potere capitalista dei soliti noti al servizio di Trump si può scardinare poi anche in modi che vedano i cittadini protagonisti diretti di scelte alternative nel campo dei social media, della messaggistica, di tutto ciò che riguarda il web. Capitalismo, riarmo e distruzione ambientale vanno a braccetto. Pace, disarmo e salvaguardia ambientale pure. Sta a noi scegliere per cosa impegnarci.

Giuseppe Paschetto

Roma, lancio della nuova campagna “il giusto prezzo”, stiamo soffocando

Siamo al fianco degli 1,3 milioni di imprenditori agricoli che hanno chiuso le attività agricole e dei consumatori affamati dalla GDO

Questa mattina, Ultima Generazione è tornata in azione per il lancio della nuova campagna “Il Giusto Prezzo”. Alle ore 9.05 sulla scalinata monumentale di accesso alla Camera dei Deputati in Piazza del Parlamento, 7 persone di Ultima Generazione, hanno sparso lungo la scalinata il contenuto di sacchetti pieni di cibo scartato dalla GDO (Grande Distribuzione Industriale), poi si sono sedute e messe dei sacchetti con i brand della GDO, per simulare il soffocamento di un sistema che strangola i produttori, lasciando loro la briciole del proprio lavoro, e affama i consumatori che non arrivano a fine mese. Hanno poi srotolando striscioni con scritto “Il giusto prezzo” e “Ultima Generazione”. Alle ore 9.15 sono arrivate le forze dell’ordine.

Le proteste degli agricoltori che stanno scuotendo il Paese dimostrano che il momento di agire è ora. Abbiamo un’opportunità storica per costruire una coalizione che possa cambiare il futuro dell’agricoltura italiana e garantire giustizia sociale e ambientale. Oggi su 100 euro di spesa solo 7 ritornano al produttore: serve un’alleanza di produttori e consumatori, entrambi vittime dell’inflazione climatica.

Fede, 18 anni, studente, ha dichiarato “Stiamo soffocando! Le lobby del sistema agroalimentare – la grande distribuzione, le multinazionali del cibo, la finanza speculativa – ci stanno rubando tutto! Controllano il mercato, decidono i prezzi, schiacciano gli agricoltori e ci svuotano le tasche quando andiamo a fare la spesa. Ci fanno pagare sempre di più, mentre chi lavora la terra prende solo briciole! Vogliamo il GIUSTO PREZZO! Per chi coltiva, per chi compra, per chi vuole un futuro senza essere soffocato da questo sistema malato! E non basta! La crisi climatica – siccità, alluvioni, grandinate – distrugge i raccolti, e chi ne paga il prezzo? NOI! I prezzi salgono, gli agricoltori chiudono, e intanto le lobby fanno profitti milionari! Dove sono quei soldi? Che fine hanno fatto? Li rivogliamo indietro! Perché il cibo deve essere un diritto, non un privilegio! Perché vogliamo sostenere chi produce cibo sano, locale, accessibile a tutti! “

AL VIA LA CAMPAGNA “IL GIUSTO PREZZO”

L’Italia sta affrontando una crisi agricola senza precedenti. Il prezzo dell’olio, della frutta e di altri generi alimentari di base è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Dietro questi aumenti ci sono fenomeni climatici estremi come siccità, alluvioni e grandinate, che stanno mettendo in ginocchio l’agricoltura italiana. Ma la crisi non colpisce solo i consumatori: anche gli agricoltori si trovano in difficoltà, schiacciati tra la crisi climatica e le logiche della grande distribuzione organizzata, che li costringe a vendere i loro prodotti a prezzi irrisori.

Per affrontare questa emergenza e costruire un’alleanza tra agricoltori e famiglie italiane preoccupate per il futuro, oggi lanciamo la nostra nuova campagna: “Il Giusto Prezzo”.

COSA CHIEDIAMO?

PROTEGGERE I RACCOLTI: L’agricoltura italiana sta affrontando una crisi senza precedenti. Siccità, ondate di calore, grandinate e alluvioni devastano i campi, compromettendo raccolti e coltivazioni. Dobbiamo proteggere i raccolti e, per farlo, è necessario promuovere una transizione verso un nuovo sistema agricolo che sia resiliente e sostenibile economicamente ed ecologicamente.

AGGIUSTARE I PREZZI: Il costo degli alimenti nei supermercati sta diventando insostenibile, mentre ai produttori arriva solo una minima parte del prezzo finale. Chiediamo alle Istituzioni di intervenire immediatamente per garantire un giusto prezzo al cibo, equo per chi compra e per chi produce.

FAR PAGARE I RESPONSABILI: Chi rompe paga. Vogliamo che a finanziare questa transizione verso un sistema agricolo più sostenibile non siano le nostre tasse ma siano, piuttosto, gli extraprofitti dei reali responsabili della crisi attuale – la finanza, la GDO, i top manager delle multinazionali del cibo e l’industria del fossile.

PRESENTAZIONE ONLINE

Per approfondire il tema e discutere insieme le prossime azioni, ti invitiamo a partecipare al nostro incontro pubblico online il 23 febbraio. Sarà un’occasione per confrontarci, ascoltare esperti e costruire insieme un piano d’azione concreto.

Cartella stampa con foto e video dell’azione di oggi qui:

Cartella stampa su tutte le azioni organizzate da dicembre 2021 qui

PROSSIMI INCONTRI:

Ultima Generazione

Ravenna, noi siamo ancora qui: Rigassificatore, non sei il benvenuto

A pochi giorni dall’arrivo a Ravenna della famigerata nave rigassificatrice BW Singapore, la cui sagoma – per chissà quanto tempo – sarà l’elemento caratterizzante del panorama di Punta Marina e dell’intera nostra costa, il Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile” convoca il

presidio ambientalista a

MARINA DI RAVENNA

nei pressi del Molo Dalmazia

DOMENICA 23 FEBBRAIO 2025 alle ORE 14,30

  • Vengano assunti impegni precisi per la una “road map” sui tempi di dismissione del rigassificatore;
  • si istituisca un monitoraggio continuo e indipendente sulla qualità dell’aria, dell’ambiente marino, dell’assetto idrogeologico e dell’impatto sull’ambiente e sulla salute;
  • le Istituzioni prendano una ferma posizione per il taglio netto dei sussidi alle fonti fossili.

Uscire dalla camera a gas è necessario.

Uscire dalla camera a gas è possibile.

Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile

Redazione Italia

Verso la Giornata Nazionale della Cura delle Persone e del Pianeta

Dal 1986 il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani promuove l’impegno dei Comuni, delle Province e delle Regioni italiane per la pace, i diritti umani, la solidarietà e la cooperazione internazionale, attraverso: la promozione dell’educazione permanente alla pace e ai diritti umani nella scuola, l’organizzazione della Marcia per la pace Perugia-Assisi e delle Assemblee dell’Onu dei Popoli, la promozione della diplomazia delle città per la pace, il dialogo e la fratellanza tra i popoli, lo sviluppo della solidarietà internazionale e della cooperazione decentrata contro la miseria e la guerra, la promozione di un’informazione e comunicazione di pace, la campagna per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, l’impegno per la pace in Medio Oriente e nel Mediterraneo, la costruzione di un’Europa delle città e dei cittadini, strumento di pace e di giustizia nel mondo.

Il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani anche quest’anno promuove la Giornata nazionale della Cura delle Persone e del Pianeta, che è arrivata alla sua quarta edizione. Sabato 1° marzo sarà dedicato alla riscoperta e alla promozione del valore alla cura di noi e degli altri, della città e del pianeta in cui viviamo. “In un mondo in guerra, si legge nell’appello del Coordinamento, mentre siamo costretti a soffrire le conseguenze di decenni di  individualismo e incuria, come dice Papa Francesco, dobbiamo sviluppare una mentalità e una cultura del prendersi cura capace di sconfiggere l’indifferenza, lo scarto e la rivalità che purtroppo prevalgono.  Nell’ora della crisi più grande, la cura è la risposta più efficace. La cura reciproca è il modo più concreto che abbiamo per fronteggiare i problemi, ridurre le violenze e le sofferenze e cambiare le cose, qui e ora, senza aspettare che lo facciano altri, senza aspettare domani. Per questo la dobbiamo riscoprire, studiare e imparare, organizzare e promuovere.” Pensiamo alla cura degli ammalati e della salute di tutte e di tutti, alla cura dei più piccoli e delle giovani generazioni, alla cura dei più fragili e vulnerabili, degli anziani e delle persone e famiglie in difficoltà economiche, alla cura delle donne vittime di tante violenze e discriminazioni, alla cura del lavoro, dei lavoratori e delle lavoratrici,   alla cura della nostra economia, delle nostre città e quartieri, dell’ambiente e dei beni comuni che non sono solo nostri. Pensiamo ai popoli in guerra, a Gaza e nel resto della Palestina e del Medio Oriente, in Ucraina e nel resto del mondo, ai migranti, alle persone perseguitate dalle guerre, dall’oppressione, dalla miseria e dalle catastrofi ambientali.

Il 1 marzo, migliaia di studenti e insegnanti, di ogni parte d’Italia, usciranno dalle loro scuole per andare a conoscere e ringraziare le persone che si prendono cura di noi e degli altri nei loro luoghi di lavoro e volontariato: pronto soccorso, ospedali, case per anziani, centri specializzati di cura, mense, empori Caritas, centri di accoglienza dei migranti, centri antiviolenza e case delle donne ma anche sedi della rai, comuni, province, tribunali, librerie, canili. Alcuni studenti e insegnanti faranno esperienza diretta di cura degli altri o dell’ambiente (ad esempio: servire ad una mensa per i poveri e senzatetto, ripulire, riordinare e abbellire uno spazio pubblico segnato dall’incuria, dall’abbandono o dall’inverno). Altri ancora costruiranno la mappa della città della cura andando a scoprire e “illuminare” le persone, le pratiche e i luoghi di cura del territorio che contribuiscono al nostro ben-essere personale e collettivo. I partecipanti alla Giornata promuoveranno la cultura della cura raccontando in tempo reale, sui social network, gli incontri e le cose viste e sentite, amplificando così le voci e le storie delle persone incontrate, le loro attività e le loro idee sulla cura #iohocura.

Il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani invita tutti i Sindaci e i Presidenti degli Enti Locali e delle Regioni ad aderire formalmente alla Giornata Nazionale della Cura delle persone e del pianeta, a registrare e diffondere  video-messaggi per dare valore alla cura e promuovere la cura della comunità e del territorio; a consegnare agli alunni/studenti della propria città il “Quaderno degli esercizi di cura”: un originale strumento di educazione civica per sviluppare l’attenzione, il rispetto, la responsabilità, la presenza, l’ascolto, la comprensione, l’empatia, l’uso delle parole, il dono, la generosità e il coraggio (https://www.cittaperlapace.it/doc.php?tipo=percorsi&id=47). 

Qui per approfondire: https://www.cittaperlapace.it/index.php#

Giovanni Caprio

Prodotti fitosanitari: gli effetti sulla biodiversità sono più dannosi del previsto

I prodotti fitosanitari sono utilizzati principalmente in agricoltura per controllare la diffusione dei parassiti. Tuttavia, tali prodotti possono anche danneggiare molte specie di animali, piante e funghi non bersaglio utili. Quanto siano dannosi e finora sconosciuti gli effetti reali dei diversi pesticidi su una varietà di gruppi di organismi è stato dimostrato da un meta-studio internazionale realizzato con la partecipazione del Leibniz Institute for the Analysis of Biodiversity Change (LIB). La sintesi dei 1.705 lavori di ricerca sul tema è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications.

Gli autori dello studio precisano che, con la crescente domanda di cibo e l’aumentare della resistenza dei parassiti ai prodotti fitosanitari, è necessaria una migliore valutazione del rischio. I prodotti fitosanitari possono ora essere rilevati in quasi tutti gli ecosistemi in varie miscele e concentrazioni. Tuttavia, le conoscenze degli effetti sugli organismi non bersaglio non erano ancora disponibili in modo completo.

Per la realizzazione di questo meta-studio, ricercatori proveninenti da tutto il mondo hanno raccolto per oltre dieci anni 1.705 lavori scientifici basati su standard di raccolta e analisi dei dati trasversali. Lo studio fornisce un quadro completo sull’argomento ed è stato creato sotto la guida di scienziati cinesi dello Shanghai Key Laboratory of Chemical Biology, School of Pharmacy, East China University of Science and Technology, Shanghai, Cina. Infatti, gli autori sottolineano che le conoscenze, ottenibili dalla sintesi quantitativa dei lavori, sono indispensabili per creare un quadro nazionale e internazionale per la gestione critica dei prodotti fitosanitari.

I nuovi pesticidi sono più dannosi del previsto per tutti gli organismi

I ricercatori presentano una sintesi degli effetti di 471 diversi agenti pesticidi su 830 specie di organismi non bersaglio (piante, animali e microrganismi) a diversi livelli della catena alimentare. Di conseguenza, tutti gli organismi, compresi gli impollinatori, i pesci e gli anfibi, mostrano reazioni negative nella loro crescita, riproduzione, comportamento e sopravvivenza. Anche i funghi e le piante ne risentono.

Nelle analisi basate su esperimenti condotti in laboratorio e sul campo, l’effetto dei pesticidi di nuova generazione (quelli attualmente autorizzati nell’UE) era simile a quello dei pesticidi più vecchi. Secondo gli autori, sarebbe difficile trovare prove del fatto che lo sviluppo e l’approvazione di nuovi principi attivi ridurrebbero i rischi.

«La procedura di autorizzazione dei pesticidi è complessa e laboriosa, quindi è ancora più sorprendente che il nostro studio riconosca che gli effetti dei prodotti fitosanitari sono molto più ampi e profondi di quanto si pensasse in precedenza», afferma Christoph Scherber, vicedirettore del LIB e direttore del Centro per il monitoraggio della biodiversità e la ricerca sulla preservazione della natura. «Ad esempio, gli erbicidi usati per combattere alcune piante hanno un effetto negativo sugli insetti e gli insetticidi hanno a loro volta effetti negativi sulla crescita delle piante».

L’agroecologia come soluzione alla crisi

«È doveroso mettere in discussione l’uso standard dei prodotti fitosanitari, visti i numerosi effetti collaterali. Ormai sappiamo da molti studi che la biodiversità in agricoltura può anche ridurre le infestazioni parassitarie senza dover accettare effetti collaterali indesiderati. La co-coltura di colture e animali domestici, ma anche la diversificazione dei sistemi di coltivazione agricola, come nella coltivazione mista, supportano la biodiversità. Le strisce fiorite, le aree incolte e le siepi offrono agli antagonisti naturali basi vitali e possono anche essere efficaci contro l’erosione del vento e dell’acqua», afferma Scherber.

«In questo modo, un’agricoltura diversificata può portare a un controllo più efficiente delle specie di parassiti erbivori e contribuire alla stabilità del raccolto», conclude Christoph Scherber.

In altre parole, i metodi agroecologici, come quelli utilizzati nell’agricoltura rigenerativa e nell’agricoltura biologica, offrono una via percorribile per uscire dalla crisi della biodiversità causata dalla monocoltura e dall’agroindustria.

Link allo studio “Pesticides have negative effects on non-target organisms” pubblicato su Nature Communications

Traduzione dal tedesco di Filomena Santoro. Revisione di Maria Sartori.

Pressenza Muenchen

Il Congo è ricco da morire

Solidarietà alla popolazione della Repubblica Democratica del Congo
Corteo a Palermo Sabato 22 febbraio con appuntamento alle ore 15.30 a piazza Crispi

15 febbraio 2024
La Repubblica Democratica del Congo è il secondo paese per estensione dell’Africa dopo l’Algeria, con una superficie di 2.345.410 kmq, circa otto volte l’Italia, con una popolazione di 91.994.000 abitanti all’incirca, secondo una stima del 2017.

La Repubblica Democratica del Congo sta attraversando una fase critica, caratterizzata da intensi conflitti armati, crisi umanitarie e instabilità politica, con l’occupazione della città di Goma e delle altre città da parte del Movimento 23 Marzo (M23), apertamente sostenuto dal Ruanda come si evidenzia da diversi rapporti delle Nazioni Unite.

In questo momento buio sorgono varie domande e perplessità, soprattutto, riguardo al mutismo elettivo dell’Occidente, particolarmente, dell’Unione Europea, la quale un anno fa, firmò un accordo con il regime di Kagame, detto “Memorandum of Understading”, volto a garantire la fornitura di minerali in grado di assicurare la doppia transizione verde e digitale, inoltre, essenziale per settori strategici come quello della difesa e l’aerospaziale.

Secondo la ONG Global Witness, il 90% del tantalio esportato dal Ruanda proviene in realtà dalla RDC. Non solo l’UE, quasi tutte le organizzazioni sia pubbliche che private sono consapevoli che, spesso, questi minerali provengono dall’estrazione illegale, dal commercio illecito, dal trasporto al di fuori dei canali ufficiali e dalla tassazione dei minerali prodotti.

Ultimamente il gruppo ribelle dell’M23, sostenuto dal Ruanda, ha intensificato le sue operazioni militari nell’est del Congo, causando oltre tremila vittime e migliaia di feriti solo nella città di Goma. Gli ospedali sono affollati e anche i campi profughi sono stati attaccati. L’incursione dei ribelli dell’M23 nel paese si è concentrata proprio su aree dense di miniere per l’estrazione di oro, coltan, stagno, tantalio e altri minerali e terre rare.

Ma i ribelli proseguono la loro offensiva verso la provincia del Sud Kivu ed attualmente hanno occupato alcuni dei suoi territori: l’aeroporto di Kavumo, il lago Kivu e la città di Bukavu, capoluogo della provincia. Ciò costituisce una totale violazione del Diritto Internazionale, dei Diritti Umani e del Diritto Internazionale umanitario.

Quello delle risorse minerarie e naturali è un punto dolente nell’attuale crisi sociopolitica della Repubblica Democratica del Congo. In effetti, non si può comprendere a pieno la storia della repubblica democratica del Congo e la situazione sociopolitica in cui si trova oggi, senza prestare attenzione all’esistenza di una grande diversità di ricche risorse minerarie e naturali che questo paese detiene.

La parte orientale del Congo – che è al centro dei conflitti armati – presenta una fascia ricca di risorse, mentre il Katanga (al sud) e il Kasai (in centro) contengono in particolare rame, diamanti, cobalto, uranio. Nel Kivu ed in Ituri si ricavano, soprattutto l’oro e il coltan, oltre al legname pregiato e al gas e petrolio che si trovano nei grandi laghi.

Da tempo, il Governo congolese e i funzionari degli organismi internazionali e delle Nazioni Unite puntano il dito contro il Ruanda, accusandolo di sostenere e supportare i ribelli dell’M23 per impadronirsi delle miniere e contrabbandare poi le materie prime. Per molti anni il Ruanda si è nascosto dietro le smentite. Nessuno osava mettere in dubbio la versione ruandese. Ma ormai una serie di rapporti degli esperti delle Nazioni Unite puntano il dito senza esitazioni contro il Ruanda.

L’amara costatazione è che la pace, nella RD del Congo, è costantemente confrontata alle minacce da parte di questi ribelli, apertamente sostenuti da Kigali, che li fornisce ogni tipo di supporto, affiancandoli, persino, con un nutrito numero di militari Ruandesi.

La sfida della pace richiede coraggio, impegno costante e una visione condivisa. Ma notiamo che nonostante il coinvolgimento diretto del Ruanda nelle atrocità commesse in Congo, l’Unione Europea continua a finanziare Kigali, rendendosi così complice di tali crimini, ovvero, della carneficina che si sta perpetrando nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

È il tempo del coraggio; è tempo di difendere i diritti dei bambini e delle donne Congolesi; è tempo di agire a favore della giustizia e della pace. Anche i Congolesi hanno diritto ad autodeterminarsi. La Repubblica Democratica del Congo, infatti, conformemente alle norme di Diritto Internazionale, chiede il rispetto della propria sovranità e della sua integrità territoriale.

Chiediamo che tacciano le armi e che la Comunità Internazionale abbia il coraggio di emanare delle risoluzioni contro il Ruanda, il quale deliberatamente miete morte e sparge sangue in Congo.

Chiediamo, inoltre, che il Ruanda sia espulso tra gli Stati contribuenti dei peacekeepers, perché è inconcepibile che uno Stato impegnato in missioni di peacekeeping violi consapevolmente i Diritti umani, il Diritto Internazionale umanitario e il Diritto Internazionale che esso stesso è chiamato a difendere.

I promotori: CGIL Palermo, Donne di Benin City, Movimento Right 2B Sicilia, Altrico Ody, Mondo Africa, Associazione Africa Solidale Oltre il Mediterraneo, Diaspore per la Pace, Injs, Arci Palermo

Redazione Palermo

Pedemontana. Un appello sale dalla Brianza che ama: “Fermarla è possibile!”

L’autostrada pedemontana è un progetto di cui si parla da ormai oltre sessant’anni. Un articolo dell’Eco di Bergamo del 20 dicembre 2017 ne riassume per sommi capi la storia: “La prima ipotesi di tracciato compare nei Piani territoriali del 1963, nel frattempo il tracciato è salito e sceso manco un folle elettrocardiogramma: da Bergamo a Biella, poi da Trezzo a Saronno, poi da Usmate a Saronno tagliando fuori la Bergamasca. Tutto a livello di ipotesi, perché solo nel 1982 l’Anas inserisce l’opera nel Piano decennale della viabilità di grande comunicazione: 19 anni solo per questo primo passo.

Nel 1985 si sfiora il risibile quando la Regione sposta tutto ancora più a Nord: da Dalmine a Como e Varese attraversando il lecchese con tanti saluti a Milano. Che la prende male e mette sul tavolo l’ipotesi della Gronda intermedia Castellanza-Saronno-Vimercate-Trezzo: in pratica dal nulla si passa a due autostrade a pochi chilometri di distanza. Sempre sulla carta, beninteso, ma tanto basta per far imbestialire ambientalisti e comitati vari.

Nel 1990 arriva il passaggio-chiave, l’assegnazione della concessione alla società Pedemontana, all’epoca divisa equamente tra Milano-Serravalle e società Autostrade: nel frattempo tra Pedemontana e Gronda intermedia si trova la soluzione ibrida un po’ di qua e un po’ di là, la si ribattezza Pedegronda e il tracciato ritorna più verso il milanese: da Dalmine a Vimercate e da qui a Legnano. Peccato che quest’ultima sia fuori dalla concessione, e allora nuovo cambio in corsa fino all’attuale Sistema Pedemontano. È il 1999 e sembra quasi fatta, ma per mettere d’accordo tutti (vabbè, quasi…) servirà ancora una decina d’anni.”

Come ricorda l’Eco di Bergamo, il 6 febbraio 2010 nel paese natale di Umberto Bossi, Cassano Magnago, viene posata la prima pietra dell’opera. Previsto anche un cronoprogramma ormai superato senza esito: “agosto 2013 i primi lotti, dicembre 2014 l’opera intera, tutto in prospettiva Expo 2015. Che è abbondantemente passato”.

Il progetto è composto da cinque tratte, di cui le prime due, da Varese a Lentate sul Seveso, alle porte della Brianza monzese, sono già realizzate. Per quel che riguarda le restanti tratte, le problematiche sono numerose, e tanti sono i comitati locali che da decenni ormai cercano di fare informazione e di opporsi alla devastazione del territorio. Qui i lavori veri e propri non sono avviati, ma alcuni cantieri propedeutici hanno presto il via destando preoccupazione e sdegno nella cittadinanza.

La tratta B2 cade tutta nella provincia di Monza e Brianza e andrà a convertire un tratto della attuale Milano-Meda, una superstrada gratuita, in autostrada a pagamento. Già così la cosa non sembra andare incontro alle esigenze delle persone che abitano il territorio; occorre anche aggiungere che lungo questo tracciato, sepolta dalla terra e dagli anni, giace la diossina del disastro dell’ICMESA del 1976. Nel 2012, quasi per caso, alcune analisi portarono a constatare che i terreni sono ancora altamente compromessi e inquinati dalla diossina, così è stato dato mandato a Pedemontana di procedere alla bonifica prima di avviare i lavori. A novembre 2024 sono iniziati i lavori propedeutici alla bonifica secondo una logica di “gestione del rischio” che genera inquietudine. I comitati locali a gran voce stanno dicendo da tempo che “se non è a rischio zero non è bonifica”. Sabato 22 febbraio 2025 si terrà proprio a Seveso una “passeggiata della vergogna” per reclamare il rischio zero (in allegato la locandina dell’iniziativa).

Nel frattempo, sulla tratta C, che attraverserà il cuore della Brianza, da Desio a Vimercate impattando su Macherio, Lissone, Lesmo, Arcore, con l’obiettivo di raggiungere (ma non ricongiungersi con) la tangenziale est, tra la Velasca e Usmate Velate, si possono osservare ampie distese verdi tutte cintate con la rete rossa di cantierizzazione, uno spettacolo desolante.

Il giorno di San Valentino Fridays for future ha lanciato qui una campagna per dichiarare il proprio amore per la Brianza con un’azione semplice e alla portata di chiunque: dotarsi un piccolo lucchetto su cui scrivere il proprio messaggio d’amore per poi apporlo sulla rete dei cantieri (foto allegate – qui i link alle pagine social che promuovono l’azione: https://www.facebook.com/share/p/16791uoPfL/ ; https://www.instagram.com/p/DGDrbGkt_Qu/?igsh=MWZ0cWg3dzhqb253dA==). Lo slogan dell’azione è “I love Brianza – Al vostro progetto mettiamo il lucchetto”. Fridays for future invita a emulare il gesto per esprimere il proprio dissenso contro questa immensa colata di cemento che andrà a coprire le già ridotte e per questo preziosissime aree verdi della zona.

Nel frattempo, nella zona di Arcore – località che sappiamo essere ben nota per altre ragioni – le ruspe sono già al lavoro su un’area boschiva del parco dei Colli Briantei dove (chissà se e tra quanto) l’autostrada dovrebbe passare. Circa una cinquantina di alberi di mezzo secolo di vita sono già stati abbattuti. Sono molte le persone della zona che conoscono e amano questi boschi, vedere questo scempio ha scosso gli animi, generando dolore e frustrazione nei più, e anche qualche tentativo di azione diretta e di interposizione pacifica che è riuscita in un caso a interrompere i lavori e a silenziare le ruspe, seppur solo temporaneamente (https://www.mbnews.it/2025/02/attivista-ferma-ruspe-pedemontana-boschi-bernate-arcore/).

La tratta D-breve è l’ultima arrivata. Non ancora approvata né finanziata. Dal 2021 Regione Lombardia lavorava all’insaputa di tutti alla modifica del progetto, amministrazioni comunali interessate incluse. Al posto della D-lunga (18 km), che avrebbe dovuto andare fino a Dalmine, spunta la D-breve (9 km). Arrivata la tratta C a Vimercate l’autostrada devierebbe verso sud per raggiungere Agrate e congiungersi con la TEEM. Otto corsie di autostrada che correrà parallela alla A51 (tangenziale est), gratuita, mentre Pedemontana avrà tariffe da capogiro: da Lentate ad Agrate, un percorso di circa 30 km, si spenderebbero 20 euro di pedaggio.

Il nuovo tracciato non è una variante ma una nuova opera che nulla ha a che fare con l’originale collegamento est-ovest di Pedemontana. I motivi del cambio: i costi troppo elevati che portano a ripiegare su questo tracciato D-breve, più corto, e la difficoltà a passare in territori fortemente urbanizzati come quelli della provincia di Bergamo (questa la versione ufficiale…).

La tratta D-breve invaderà per oltre il 76% il Parco P.A.N.E., un grande Plis nella Brianza est, di 4.065 ettari, che coinvolge 23 comuni. Verrebbe consumato suolo per un totale di 442.580 mq (l’equivalente di 62 campi da calcio). All’interno un bosco di pregio (il bosco della Bruciata), tantissime specie animali e vegetali, alcune delle quali protette, e tre ordini di terrazzi delle tre fasi glaciali che sono il risultato delle diverse ere geologiche. Insomma, un vero e proprio museo geologico e naturalistico a cielo aperto.

In questa parte della Brianza un intero territorio si è unito per opporsi allo scempio. Oltre a una grande opera di sensibilizzazione da parte dei cittadini, qui l’azione istituzionale è ancora possibile e così dieci comuni del vimercatese, con amministrazioni di opposte appartenenze politiche, hanno avviato un’azione legale contro quegli enti che continuano a sostenere il progetto e che stanno violando tra le altre cose, il leale principio di collaborazione tra enti. L’ultimo atto giuridico è una diffida nel proseguire con la realizzazione della tratta D-breve inviata a gennaio dai dieci comuni a Regione Lombardia, CIPESS, Ministero delle Infrastrutture, Ministero dell’Ambiente, Cal e Apl (tutta la documentazione disponibile sul sito del Comune di Agrate e di Vimercate).

L’obiettivo dei movimenti e dei comitati lungo tutto il tracciato di Pedemontana è di intercettare il dissenso e dare fiducia nelle concrete possibilità di intervento praticando azione diretta. Non è facile né scontato, perché molte persone hanno tendenza a sentirsi impotenti di fronte ai cantieri all’opera. Molte ma non tutte: per alcune persone infatti il gioco è tutto da giocare, finché ci sono alberi e parchi da difendere.

Come qualcuno ha detto: “Dire che l’opera è disastrosa ma ormai non c’è più nulla da fare, sarebbe come se, a suo tempo, qualcuno avesse detto ‘eh ormai i lager sono costruiti cosa fai, non li usi?’”

Laddove la politica istituzionale si muove in direzione opposta rispetto al bene comune, c’è sempre margine per intervenire come singole persone, cittadine e cittadini, desiderose di allearsi con la natura e difenderla.

Fridays for Future Brianza

Fridays For Future