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Medio Oriente

Il Messico riconosce la Palestina: un gesto storico di solidarietà

Con un’importante mossa diplomatica, la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha riconosciuto ufficialmente la Palestina come Stato, segnando un momento storico nelle relazioni internazionali. Sheinbaum, che gode di un indice di gradimento dell’80%, ha ribadito il suo impegno per i diritti umani dei palestinesi accogliendo l’ambasciatrice dell’Autorità Palestinese in Messico, Nadya Rasheed.

Durante un evento formale, l’ambasciatrice Rasheed ha espresso profonda gratitudine a nome del suo governo, definendo il riconoscimento del Messico una posizione coraggiosa di fronte alle continue tensioni globali. Il momento è stato immortalato da un’efficace fotografia che mostra Sheinbaum in piedi accanto a Rasheed, a simboleggiare la necessità di coraggio e gentilezza nell’affrontare i conflitti internazionali.

La mossa ha un significato particolare data l’ascendenza ebraica di Sheinbaum, che sfida le narrazioni prevalenti sulle fedeltà politiche e religiose nella diplomazia globale. La sua amministrazione ha apertamente criticato gli attacchi di Israele ai territori palestinesi, allineando il Messico ad altre nazioni che sostengono l’autodeterminazione palestinese.

Questo riconoscimento segna un cambiamento nella politica estera del Messico, rafforzando la sua posizione di nazione impegnata per la giustizia e la pace negli affari globali. Si prevede che la decisione scatenerà reazioni internazionali, influenzando potenzialmente altri Paesi a seguire l’esempio del riconoscimento dello Stato palestinese.

Pressenza New York

Due iniziative per la Palestina a Venezia

Sabato 22 marzo 2025 alle 14,30 davanti alla stazione di Santa Lucia presidio indetto dal Comitato Contro le Guerre e il razzismo di Marghera (VE) e Giovani Palestinesi d’Italia.

La convocazione del presidio è stata invocata da più parti della società civile veneziana scandalizzata dalla ripresa vergognosa degli attacchi contro la popolazione inerme di Gaza.

Dal 18 marzo, giorno in cui Israele ha ufficialmente rotto la tregua raggiunta con tanta difficoltà  il 19 gennaio 2025, sono morte quasi mille persone sotto i bombardamenti che spianano la via agli attacchi di terra. Le intenzioni del governo israeliano, forte dell’appoggio degli Usa e del silenzio dell’Unione Europea, in primis del governo italiano, sono inequivocabili: distruzione totale, pulizia etnica, annessione della Striscia di Gaza così come della Cisgiordania.

Tutti in piazza a gridare il nostro dissenso.

Lunedì 24 marzo 2025 alle 19 – Proiezione e cena sociale presso l’Associazione Culturale Spiazzi, Calle del Pestrin 3865, Sestiere di Castello

FROM GROUND ZERO è un film documentario composto di 22 micro storie girate da giovani registi di Gaza nel 2024 sotto la guida del loro maestro, il regista palestinese Rashid Masharawi.

Storie commoventi, disperate e resistenti che ci fanno entrare nella realtà di guerra dei Gazawi. 112 minuti di immagini che ci portano in un territorio raso a zero dalla violenza dell’attacco militare israeliano e dalla volontà sionista di conquista dal fiume al mare.

Il cinema è sempre uno strumento efficace di comunicazione, soprattutto quando si tratta di dare visibilità e parola a chi non ce l’ha, come è il caso dei palestinesi. Il genocidio continua grazie all’indifferenza dei governi, per la censura dei mezzi di informazione, per la complicità dell’Unione Europea.

L’iniziativa è organizzata a Venezia in collaborazione con Cinema senza Diritti (rassegna di cinema palestinese giunta all’ottava edizione), Comitato contro la guerra e il razzismo di Marghera e l’Associazione Spiazzi, che mette a disposizione la sua sede nel Sestiere di Castello.

Alla proiezione seguiranno dibattito e cena sociale con menù palestinese adatto anche a vegetariani.

Chi vuole fermarsi a cena è pregato di chiamare il numero 3408262072

Redazione Italia

Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia. Incontro a Piacenza

Mercoledì 12 marzo si è svolto a Piacenza, nella sala de “Il Samaritano”, un interessante incontro dal titolo “Palestina-Israele: violazione dei diritti umani e complicità dell’Italia”.

La serata, promossa da Salaam, Ragazzi dell’Olivo di Piacenza e da Amnesty International, sempre di Piacenza, ha avuto come ospiti Elisa Brunelli, giovane giornalista e autrice di diverse inchieste anche per Altreconomia e Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia. Il tutto è stato introdotto e moderato da Rita Casalini, affidataria di Salaam, Ragazzi dell’Olivo.

Di fronte a una platea di un centinaio di persone, le nostre ospiti ci hanno ben illustrato sia la terrificante situazione di Gaza sia quella, forse meno nota, della Cisgiordania occupata, anch’essa estremamente grave per la popolazione palestinese.

Tina Marinari ha presentato e ampiamente argomentato il rapporto ai A.I. “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza”. Ha illustrato il grande lavoro fatto da Amnesty Interntional per raccogliere prove – sia attraverso oltre 200 interviste, sia con immagini e video – che dimostrano l’intenzione genocidiaria di Israele nei confronti della popolazione palestinese di Gaza. Il tutto a partire da quanto viene enunciato nella Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite del 1948.

Elisa Brunelli ha illustrato – anche attraverso una serie di slide – la sua inchiesta “Il calibro dei coloni”. Questa ricerca – dati alla mano – dimostra il traffico di armi dall’Italia a Israele. Le ditte italiane Beretta e Fiocchi esportano in Cisgiordania armi che vengono acquistate dai coloni israeliani, che ne fanno ampiamente uso contro la popolazione palestinese. In ogni città o villaggio ci sono negozi dove si possono acquistare queste armi e addestrare le persone, compresi ragazzini.

Ricordiamo che l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele contravviene a decine e decine di risoluzioni ONU e che la Corte Internazionale di Giustizia l’ha dichiarata illegale il 19 luglio 2024

Sempre Elisa Brunelli ha parlato di un’altra sua inchiesta – “Il limbo dell’accoglienza anche per minori e feriti evacuati da Gaza” – dove viene denunciato che, a fronte delle dichiarazioni ufficiali del governo italiano sulla “generosità” nell’accogliere minori palestinesi feriti e/o gravemente malati per essere curati in ospedali italiani – nei fatti lo Stato italiano non ha fatto nulla (trasporto a parte): l’accoglienza e la presa in carico di queste famiglie sono state completamente scaricate su varie associazioni del terzo settore.

Oltre alla complicità dell’Italia nella vendita di armi ai coloni israeliani, Tina Marinari ha sottolineato la responsabilità del nostro Paese nel non aver fatto nulla di nulla, non solo in aiuto della popolazione di Gaza sottoposta da oltre 15 mesi a un assedio spaventoso, ma ancor meno sul piano diplomatico per ricercare e favorire trattative tra il governo israeliano, Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese per giungere non solo a tregue che fermino morti e distruzioni e liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma riescano a perseguire una soluzione di pace tra i due popoli, pace che per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia.

Ultima nota: una serata nel segno delle donne. La conduttrice nella sua introduzione ha citato la filosofa Hannah Arendt, secondo la quale le donne si conoscono e riconoscono per convergenza. L’unica soluzione per evitare l’identificazione per contrasto è non sentirsi parte di un popolo geografico, ma del popolo dei sofferenti e degli oppressi.

Chiara Casella, per le famiglie affidatarie di Salaam Ragazzi dell’Olivo, PiacenzaLidia Gardella, Amnesty International, Piacenza

Redazione Italia

La notte della democrazia turca

La Turchia non si ferma. 300 mila persone sono scese in piazza per protestare contro l’arresto del sindaco di Istanbul. La notte della democrazia è stata chiamata dai leader dell’opposizione questa impennata autoritaria del neo-sultano. Non solo a Istanbul ed Ankara, ma anche in tutte le principali città si sono avute mobilitazioni in difesa della democrazia, malgrado il divieto imposto dal governo.

Un clima ormai infuocato, dopo l’arresto di Ekrem Imamoglu, l’unico candidato dell’opposizione considerato in grado di sfidare Erdogan. Il neo-sultano, per la prima volta dall’inizio delle proteste, è intervenuto sottolineando: “non cederò al terrorismo di strada”.

Migliaia di persone si sono radunate ieri sotto il comune di Istanbul per il terzo giorno consecutivo, nonostante le manifestazioni politiche siano state vietate non solo nella città sul Bosforo ma anche ad Ankara e Smirne.

È stato anche sciolto il consiglio esecutivo dell’Ordine degli avvocati di Istanbul, per “aver fatto propaganda per un’organizzazione terroristica” e “diffuso pubblicamente informazioni false”, dopo una causa intentata dai pubblici ministeri contro l’ordine che in gennaio aveva richiesto un’indagine sulla morte di due giornalisti provenienti dal sud-est della Turchia a maggioranza curda, uccisi nella Siria settentrionale. Sono 54 le persone arrestate per avere condiviso su internet messaggi riguardo all’arresto del sindaco. Sono stati bloccati dal governo gli accessi a X, Facebook, Instagram, YouTube e Whatsapp.

Il principale partito di opposizione turco, il Chp, ha convocato per il 6 aprile un congresso straordinario per la scelta del nuovo leader. La convocazione si è resa necessaria per bloccare il tentativo di Erdogan di commissariare il partito di opposizione, utilizzando la clava della procura con un’indagine su presunte irregolarità nel congresso del 2023.

L’offensiva giudiziaria di Erdogan contro Kerim Imamuglo è iniziata, tramite il ritiro della laurea (indispensabile per la candidatura politica, ndr) prima e la denuncia in procura poi, in seguito alla pubblicazione dei primi sondaggi che danno per vincente il candidato dell’opposizione. Il neo-sultano ha già coperto due mandati e secondo la costituzione non potrebbe ricandidarsi, ma per dribblare l’ostacolo potrebbe sciogliere il Parlamento e indire elezioni anticipate. Una clausola che aveva introdotto lui stesso nell’ultima modifica della Costituzione.

La campagna di repressione intanto continua a sconvolgere la Turchia, dopo l’arresto del sindaco di Istanbul. 343 arrestati nelle 12 grandi città dove si sono tenute le proteste contro l’operazione giudiziaria, messa in atto per impedire la candidatura del futuro sfidante di Erdogan nelle prossime elezioni presidenziali. Le manifestazioni si sono svolte in 43 città turche, dove la gente chiedeva esplicitamente le dimissioni del governo. L’opposizione ha accusato la polizia di usare le pallottole di gomma contro i manifestanti disarmati.

ANBAMED

Palestina: sconcertante silenzio internazionale di fronte allo sterminio

Il Comitato nazionale dell’ANPI lancia un appello a tutte le forze democratiche, alle istituzioni, ad ogni persona di buon senso e di buona volontà, perché in ogni modo e in ogni luogo si operi per contrastare la violentissima ripresa dello sterminio di palestinesi di Gaza da parte delle forze armate israeliane su ordine del loro governo.

Lo sterminio sta avvenendo in uno sconcertante silenzio internazionale, in particolare dell’Unione Europea e del nostro Paese, nonostante sia oramai evidente che l’obiettivo del governo israeliano è la deportazione dei palestinesi dalla striscia di Gaza e in alternativa il loro massacro, che la parte migliore della società israeliana si sta ribellando davanti a questa tragedia, che sono stati abbandonati al loro destino gli ostaggi israeliani ancora vivi nelle mani di Hamas rompendo il percorso di tregua, che lo spaventoso macello in corso avviene col pieno appoggio degli Stati Uniti.

Il silenzio dell’Italia e dell’Unione Europea davanti a ciò che sta avvenendo le condanna ad una incancellabile responsabilità storica e manifesta tragicamente ancora una volta la doppiezza della loro politica estera, ove si adottano in modo evidente due pesi e due misure quando sono calpestati nel modo più atroce i diritti umani.

Invitiamo con forza le istituzioni italiane e europee ad assumere ogni misura per contrastare questo massacro, compresa la cessazione di invio di armi, la sospensione di ogni accordo commerciale con Israele, che è subordinato dall’art. 2 del relativo trattato al rispetto dei diritti umani, la fermissima dichiarazione ai diplomatici israeliani della condanna nei confronti del governo del loro Paese.

Leggi tutto su www.anpi.it

ANPI Nazionale

Venezia, corteo contro il genocidio in Palestina

Grande partecipazione ieri, sabato 22 marzo, alla manifestazione contro il genocidio in Palestina. Grazie al capillare lavoro di informazione eseguito dal Comitato contro la Guerra e il Razzismo di Marghera, numerosa è stata la presenza della comunità bengalese e degli studenti.

Il presidio si è trasformato in un corteo ben organizzato, che è partito dalla stazione Santa Lucia ed è arrivato fino al Ponte di Rialto. Almeno 400 partecipanti, nonostante la manifestazione sia stata organizzata con pochissimo preavviso.

Slogan, striscioni e manifesti hanno comunicato a veneziani e turisti la solidarietà al popolo palestinese e la denuncia del genocidio in atto. Molti gli slogan, anche in inglese, contro il silenzio dell’Europa, la complicità dei governi e la politica assassina di Israele.

Rincuora constatare che le persone non sono disposte ad assuefarsi alla guerra, alle violazione dei diritti e delle leggi internazionali, che la gente non accetta di assistere indifferente allo sterminio di un popolo.

Maria Grazia Gagliardi

 

Redazione Italia

Turchia: continua a crescere la mobilitazione contro l’incarcerazione del principale rivale di Erdoğan

Centinaia di migliaia di turchi sono scesi in piazza sabato sera, 22 marzo, mentre il sindaco di Istanbul veniva arrestato con l’accusa di corruzione. L’opposizione promette di continuare la mobilitazione fino alla liberazione di Ekrem İmamoğlu.

Cresce la mobilitazione dell’opposizione turca nel quarto giorno di proteste, dopo l’arresto di Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul e principale rivale del “sultano” Recep Tayyip Erdoğan. Il sindaco di Istanbul è stato incarcerato domenica 23 marzo per una montatura di reati connessi all’accusa di collusione con il terrorismo kurdo.

La sera di sabato 22 marzo, mentre il sindaco, accusato di frode, corruzione e terrorismo (a causa della sua alleanza locale con il partito filo-curdo DEM, accusato di essere legato alla guerriglia curda PKK), compariva davanti al procuratore, un’enorme folla di suoi sostenitori si è radunata davanti al municipio di Istanbul. La folla, stipata e a volte quasi soffocante, scandiva slogan ostili al governo o ridicolizzava il presidente Erdoğan. Non lontano da lì, nei pressi dell’acquedotto romano di Valente, la polizia ha bloccato l’accesso al viale Atatürk, che conduce alla simbolica piazza Taksim, che i dimostranti più determinati hanno cercato di raggiungere nonostante i gas lacrimogeni e una raffica di proiettili di plastica.

Gli scontri con le forze dell’ordine sono stati tuttavia limitati; gli organizzatori hanno più volte invitato i manifestanti a non attaccarle. “Dobbiamo tenere a freno le nostre emozioni, non ha senso attaccare la polizia”, ha detto Ahmet, 29 anni, che si è presentato indossando la maglia della squadra di calcio Fenerbahçe e un cartello di lotta contro il “colpo di stato” del governo. “Hanno distrutto l’economia del Paese, ci hanno tolto le libertà e ora stanno calpestando il nostro diritto di voto”, si lamenta. Non è membro del CHP, il principale partito di opposizione, laico e nazionalista, a cui appartiene İmamoğlu, ma domenica 23 marzo ha intenzione di recarsi presso la sede del partito per votare simbolicamente, come previsto da settimane, per designare il sindaco di Istanbul come candidato presidenziale del CHP. Ma la strategia di nominare ufficialmente il sindaco di Istanbul come candidato per le elezioni presidenziali del 2028 per proteggerlo dal crescente numero di procedimenti legali contro di lui ha avuto l’effetto opposto.

I ragazzi di Gezi
(NB: contro la gentrificazione e la distruzione del parco di Gezi per volere di Erdogan, nel 2013 ci fu una mobilitazione durissima che durò mesi)
Il giorno prima erano state arrestate 343 persone in tutto il Paese, alcune durante le proteste, altre, giovani studenti, a casa la mattina del 22 marzo. Questi arresti non hanno scoraggiato gli studenti che sono il grosso dei manifestanti radunati. Questa generazione non ha quasi nessuna esperienza con le proteste di massa, eppure molti di questi studenti si sono presentati preparati, dotati di occhiali protettivi e maschere per affrontare i gas lacrimogeni.

Le ultime manifestazioni di massa nelle strade della Turchia risalgono al 2013, durante le cosiddette proteste di Gezi Park a Istanbul, dirette contro lo stesso Recep Tayyip Erdoğan, che durarono tre mesi e provocarono la morte di sette dimostranti.
“I ragazzi di Gezi sono cresciuti”, proclama un cartello tenuto da Ayten, una studentessa in infermieristica di 19 anni. Lo spirito umoristico e l’autoironia che caratterizzarono il movimento Gezi sono ancora presenti, dodici anni dopo, negli slogan e nei cartelli. “Sii quello che vuoi, ma non essere apolitico!” Proclama un altro cartello, che in realtà è una citazione del poeta e mistico sufi Mevlana, morto in Turchia nel 1237 e noto per la sua saggezza.

“La mia generazione è stata a lungo accusata di essere apolitica, amorfa”, spiega l’autrice ventunenne, “ma è un caso grave. Siamo politicizzati, la maggior parte dei miei compagni di classe è scesa in piazza e coloro che hanno troppa paura di farlo ci sostengono sui social media”.
I parallelismi con il movimento Gezi sono evidenti ovunque, forse anche nelle debolezze del movimento. La folla è infatti composta più da ragazzi istruiti provenienti dalle classi medie e alte che da quelli della classe operaia, e la gioventù curda, senza dubbio scettica riguardo a certi slogan nazionalisti, non è presente in gran numero.

Coraggio contagioso
Mentre tutti i partecipanti hanno chiesto l’anonimato, Ilker Köklük, 48 anni, ha insistito nel rivelare la sua identità: “Mi rifiuto di avere paura”, ha dichiarato il regista e drammaturgo. Le nostre richieste sono le stesse del tempo di Gezi: la protezione delle nostre libertà, delle minoranze, della natura, della cultura, di tutto ciò che è bello e che loro stanno attaccando”. “Non sono riusciti a creare una loro cultura, quindi stanno attaccando gli artisti”, aggiunge, poiché la repressione scatenata da mesi contro attivisti dell’opposizione, avvocati e giornalisti colpisce anche il mondo della cultura, compresi attori e attrici mainstream delle serie TV turche.

La famosa regista e produttrice cinematografica Ayse Barim è stata arrestata a gennaio per aver partecipato alle proteste di Gezi 12 anni fa, e alcuni dei suoi attori di alto profilo devono affrontare accuse di falsa testimonianza per essersi rifiutati di testimoniare contro di lei. Tuttavia, vuole restare fiduciosa: “Questa volta siamo più numerosi rispetto all’inizio di Gezi e, come allora, vediamo che il coraggio è contagioso, anche nelle roccaforti conservatrici della Turchia, sul Mar Nero o nell’Anatolia centrale, la gente marcia contro il governo”, osserva.

A poche strade di distanza, nel conservatore quartiere di Fatih, i negozianti siedono a sorseggiare il tè, restando svegli fino a tardi come al solito in questa notte di Ramadan. “Tutti questi giovani eccitati sono privi di adrenalina, fanno spettacolo e poi se ne vanno a casa”, liquidano con disprezzo i sostenitori del governo. “È illegale contestare una decisione del tribunale in questo modo, ma non sono favorevole al fatto che la polizia li disperda con la violenza; alla fine si stancheranno da soli”, ha affermato uno di loro. “Se necessario, il nostro Stato saprà come tagliare le teste che si alzano”, aggiunge un altro, in tono più minaccioso.

Davanti al municipio, la maggior parte dei dimostranti afferma di essere consapevole di giocare una delle sue ultime carte. “Se non vinciamo questa volta, non ci saranno più elezioni in questo Paese, o almeno saranno solo di facciata, come in Russia”, si preoccupa uno di loro. Su un palco improvvisato sul tetto di un autobus, oratori e musicisti si alternano. Prende posto il cantante e scrittore Zülfü Livaneli, quasi ottantenne. Ironicamente, cosa che sfugge ai manifestanti più giovani, l’artista aveva tentato di entrare in politica negli anni Novanta, prima di essere sconfitto alle elezioni comunali di Istanbul del 1994 da un certo Recep Tayyip Erdoğan, che avrebbe forgiato un destino nazionale basato su questa vittoria. Tre anni dopo, il leader islamista divenuto sindaco di Istanbul fu condannato a quattro mesi di carcere e gli fu interdetto a vita ogni impegno politico. Una sanzione che ebbe un forte impatto sulla sua popolarità e lo aiutò nella sua definitiva conquista del potere nel 2002.

Il parallelo con İmamoğlu è ovvio. Un destino simile attende forse il suo moderno rivale?
Sul palco, lo sfortunato Zülfü Livaneli si è lanciato nell’esecuzione di una delle sue canzoni più note, cantata in coro dal pubblico: “Ey Özgürlük”. Una canzone che non è altro che la messa in musica di una poesia scritta nel 1942, durante l’occupazione, dal poeta comunista francese Paul Eluard: “Nei miei quaderni di scuola. Sulla mia scrivania e sugli alberi. Sulla sabbia sulla neve. Scrivo il tuo nome […] E con il potere di una parola. Sto ricominciando la mia vita. Sono nato per conoscerti. Per darti un nome Libertà.”

Ma la fugace speranza della notte durò poco.
La domenica mattina Istanbul si è svegliata con il rumore dei clacson e delle pentole che sbattevano contro le finestre. Dopo quattro giorni di custodia della polizia, il sindaco della città è stato trasferito al carcere di Silivri, un sobborgo di Istanbul, tristemente famoso per essere il luogo in cui viene trattenuto un gran numero di prigionieri politici del Paese.

Yann Pouzols, 23 marzo 2025

https://www.mediapart.fr/journal/international/230325/en-turquie-la-mobilisation-contre-l-incarceration-du-principal-rival-d-erdogan-continue-prendre-de

Redazione Italia

Cisgiordania nord“Sfollamenti e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”

Cisgiordania nord, MSF: “Sfollamenti di massa e distruzione. Aumentare la risposta umanitaria”
40.000 persone sfollate da gennaio a Jenin, Tulkarem e Nur Shams

24 marzo 2025 – Medici Senza Frontiere (MSF) lancia un allarme sulle decine di migliaia di persone sfollate nel nord della Cisgiordania, che non hanno un riparo sicuro, servizi essenziali né accesso all’assistenza sanitaria.

Dopo il cessate il fuoco di gennaio 2025 a Gaza, Israele ha avviato l’operazione militare Iron Wall nei territori occupati della Cisgiordania, costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case e lasciandole in una situazione estremamente precaria.

Israele deve interrompere immediatamente questi trasferimenti forzati e la risposta umanitaria deve essere intensificata per raggiungere chi ne ha bisogno.

“Non si vedevano sfollamenti forzati dei campi e una distruzione di questa portata da decenni.
Le persone non possono tornare nelle proprie case: l’accesso ai campi è stato bloccato dalle forze israeliane, le abitazioni e le infrastrutture sono state distrutte.
I campi sono diventati mucchi di macerie e polvere” spiega Brice de la Vingne, direttore delle operazioni di MSF per la Cisgiordania. “Israele deve fermare tutto questo ed è necessaria una maggiore risposta umanitaria”.

Dall’inizio della guerra a Gaza, nell’ottobre 2023, le forze israeliane hanno intensificato l’uso della violenza fisica estrema contro i palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania, come denunciato da MSF nel rapporto “Inflicting harm and denying care”.

Da ottobre 2023 in Cisgiordania sono stati uccisi 930 palestinesi, tra cui 187 bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

L’accesso alle cure mediche è stato gravemente compromesso, come riportato dai team di MSF sul campo, che hanno assistito a un’oppressione sistematica verso operatori sanitari e pazienti da parte di Israele.

La situazione è peggiorata ulteriormente dopo il cessate il fuoco a Gaza e l’avvio dell’operazione Iron Wall, che ha portato allo svuotamento dei 3 principali campi profughi del nord della Cisgiordania – Jenin, Tulkarem e Nur Shams – provocando lo sfollamento forzato di oltre 40.000 palestinesi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA).

“L’esercito [israeliano] ha fatto irruzione in casa nostra e ci ha ordinato di evacuarla. Non ci hanno permesso di portare via nulla – nemmeno i documenti.
Ci hanno solo detto: ‘Fuori’” racconta Issam, 55 anni, paziente di MSF sfollato dal campo di Nur Shams. “Essere sfollati è una grande sofferenza, un’angoscia silenziosa. Ti si annida nel cuore un dolore profondo e gli occhi si riempiono di lacrime, ma facciamo il possibile per trattenerle”.

Lo stato di salute mentale dei pazienti è allarmante: molte persone soffrono di stress, ansia e depressione a causa della violenza e dell’imprevedibilità delle incursioni e degli sfollamenti.
“Le persone non sanno cosa sia successo alle proprie case, ha subito perdite immense, incluso il senso stesso della propria esistenza” dice Mohammad, 30 anni, promotore della salute per MSF in Cisgiordania.

“I droni sorvolano le case, ordinando ai residenti di uscire. Di solito distruggono qualcosa, ma mai così tanto, una cosa del genere non era mai successa prima” racconta Abdel, residente del campo di Jenin.

MSF forniva supporto nei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, ma ha dovuto adattare le sue attività a causa dello sfollamento della popolazione e degli alti rischi per la sicurezza.

Oggi, i team MSF sono quotidianamente presenti a Tulkarem e Jenin con cliniche mobili, per offrire assistenza medica alle persone sfollate.
Le cliniche mobili di MSF trattano anche patologie croniche come diabete e ipertensione, aggravate dalla mancanza di accesso ai farmaci, ma anche infezioni respiratorie e disturbi muscolo-scheletrici.
I team di MSF distribuiscono inoltre kit igienici e pacchi alimentari per sostenere le persone costrette a fuggire e prive di risorse o beni personali.
MSF sta fornendo anche acqua all’ospedale Khalil Suleiman di Jenin, il principale della zona, colpito da frequenti interruzioni idriche a causa dei danni subiti durante le operazioni militari.

Medecins sans Frontieres

Notizie dal Medio Oriente

Genocidio a Gaza

Un gruppo di soccorso sanitario della Mezzaluna rossa è assediato a Rafah dall’esercito israeliano e non si conosce da oltre 24 ore la sorte dei suoi membri.
A Khan Younis è stato bombardato l’ospedale Nasser, provocando l’uccisione di 5 persone.
L’offensiva generalizzata israeliana in corso, per terra, aria e mare, ha portato il numero totale delle vittime dell’aggressione contro la popolazione di Gaza a superare i 50 mila uccisi e 113 mila feriti.

Situazione umanitaria

Il commissario dell’Unrwa, Philippe Lazzarini ha denunciato la situazione drammatica nella quale si trovano gli abitanti di Gaza:
“Sono trascorse tre settimane da quando le autorità israeliane hanno vietato l’ingresso di rifornimenti a Gaza.
Niente cibo, niente medicine, niente acqua, niente carburante.
Un assedio serrato, più lungo di quello attuato nella prima fase della guerra.
La popolazione di Gaza dipende per la propria sopravvivenza dagli aiuti internazionali che arrivano tramite il territorio israeliano.
Ogni giorno che passa senza l’arrivo degli aiuti significa che più bambini vanno a letto affamati, le malattie si diffondono e la privazione aumenta.
Ogni giorno senza cibo avvicina Gaza a una grave crisi alimentare.
Vietare gli aiuti è una punizione collettiva contro la popolazione civile”.

Cisgiordania: pulizia etnica e deportazione

Inasprimento dell’offensiva su Jenin e Tulkarem con l’arrivo di nuovi rinforzi militari, distruzione di interi quartieri e la deportazione degli abitanti nativi.
A Jenin ieri sono stati demoliti con bulldozer e dinamite 66 difici residenziali con 300 appartamenti.
A Tulkarem, gli abitanti di 12 case sono stati costretti ad abbandonarle, con un preavviso di 4 ore. Irruzioni e rastrellamenti hanno riguardato ieri Nablus, Betlemme, Qalqilia e Ramallah.

Il numero totale degli arrestati ieri è stato di 54 attivisti.
Sono stati rinnovati gli arresti amministrativi di altri 65 detenuti senza accuse e senza processi, alcuni dei quali si trovavano in carcere da 3 anni.
Il governo israeliano ha approvato il riconoscimento di 13 colonie selvagge.
Un’azione illegale dal punto di vista delle leggi internazionali.

Prigionieri

Un minorenne palestinese di 17 anni è morto nel carcere israeliano di Megiddo.
Era stato arrestato all’età di 16 anni, nell’agosto 2024, senza accuse e senza processo sulla base dell’arresto amministrativo.
Waleed Khaled Ahmad era di Selwad, vicino a Ramallah.
Il suo corpo è rimasto in ostaggio all’esercito israeliano, per non far conoscere le cause del decesso. È il 63esimo prigioniero palestinese morto in carcere israeliano sotto le torture degli aguzzini nazisti, dall’inizio della guerra contro la popolazione di Gaza.

Israele

Il governo israeliano ha approvato la formazione di una commissione militare per l’applicazione del “piano Trump” per Gaza.
La commissione ha il compito di creare le condizioni per la deportazione della popolazione di Gaza.
Per addolcire l’immagine brutale del crimine di guerra e contro l’umanità, si parla di trasferimento volontario verso altri paesi.
La stampa di Tel Aviv afferma che l’organismo che il governo israeliano ha votato per sfollare i palestinesi ha come obiettivo il trasferimento di cinquantamila abitanti di Gaza al mese, indicando che l’esercito avrebbe facilitato l’uscita di tutti i residenti di Gaza che lo desiderano per congiungersi con i parenti all’estero il prima possibile.

Turchia

Manifestazioni oceaniche ad Istanbul in molte altre città turche in seguito al pronunciamento della Corte penale per il trasferimento in carcere di Ekerim Imamoglu, sindaco di Istanbul e futuro sfidante di Erdogan nelle prossime elezioni anticipate.
Il neo sultano vuole vincere facile, togliendo di scena tutti i possibili sfidanti capaci di sconfiggerlo.
Imamoglu ha respinto tutte le accuse di corruzione rivoltegli.
Prima della sua incarcerazione ha rivolto un appello alla gente del suo partito di scendere in piazza per difendere la democrazia. “è un’onta nella storia della nostra democrazia, ma insieme cancelleremo questa vergogna”.

Hussam Abu Safiya

L’avvocata Geed Qassem ha visitato il dott. Abu Safiya nel carcere israeliano il giorno 19 marzo.
“La visita è durata soltanto 17 minuti. Ho notato che ci sono evidenti segni di torture sul corpo.
Un occhio nero e diverse rotture non curate alle costole ed alle dita”.

ANBAMED

Stop alla strage di innocenti a Gaza. Spegniamo il Colosseo

Appello
al Ministro della Cultura, Alessandro Giuli 
al Sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri
al Consiglio Comunale di Roma Capitale

Rivolgiamo un appello urgente al Ministro della Cultura Alessandro Giuli, al Sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, ai Consiglieri comunali di Roma Capitale affinché le luci del Colosseo vengano spente per un’ora, in segno di lutto per le decine di migliaia di civili inermi e di bambine e bambini uccisi nei raid israeliani in Palestina.

Dopo una breve pausa è ripreso il genocidio a Gaza, dove la situazione umanitaria è disperata, mentre in Cisgiordania gli assalti dell’IDF e dei coloni non si sono mai fermati. Gli attacchi aerei israeliani su Gaza degli ultimi giorni hanno già causato un migliaio di vittime, tra le quali centinaia di bambini e bambine. Queste sono state le ore più letali per i più piccoli nella Striscia. Una pulizia etnica che sembra non avere fine.

Le operazioni militari hanno isolato oltre centomila bambini, facendoli rimanere senza cibo, né acqua, né assistenza, esponendoli a gravi rischi sanitari e alla fame. Inoltre continuano i raid israeliani contro i presidi sanitari che forniscono cure essenziali e sono già due gli ospedali distrutti negli ultimi giorni.

È una situazione di grande sofferenza e impunità, dove i più vulnerabili, come bambini e bambine, persone anziane, malate e disabili, stanno pagando il prezzo più alto con la complicità degli Usa e nell’indifferenza colpevole dell’UE.

Ci auguriamo che questo appello venga accolto dal Ministro della Cultura e dal Sindaco del Comune di Roma Capitale per sensibilizzare l’opinione pubblica e spingere le autorità politiche a tutti i livelli a intervenire per porre fine a questa tragica situazione. Spegniamo una luce per accendere le coscienze.

Non dobbiamo rimanere in silenzio.

Associazioni e singoli cittadini possono sottoscrivere e rilanciare questo appello scrivendo alle seguenti mail:

segreteria_cg@comune.roma.it

ministro.segreteria@cultura.gov.it

Promuovono ( in aggiornamento) :

Rete #nobavaglio
Assopacepalestina
Lea laboratorio ebraico antirazzista
Emergency
Arci nazionale
Amnesty International Italia
Fnsi
Articolo 21
Pressenza
Associazione Senzaconfine
Mediterranea
Peacelink
US Citizens for Peace and Justice Roma
Usigrai
InLiberaUscita
Circolo Laudato Si’ Busto Arsizio” San Francesco”
Coalizione Italiana contro la pena di morte onlus Napoli
Anpi Roma
Giuristi democratici
Un ponte per
Magistratura democratica
Movimento giustizia e pace in Medioriente
CGIL Roma e Lazio
Movimento agende rosse di Salvatore Borsellino
Aprilia Libera odv
Legambiente Roma e Lazio
Coordinamento solidarietà alla Palestina Anzio Nettuno
Cospe Ong
Associazione Culturale Livorno Palestina
Reti di pace Laboratorio Monteverde
Abbasso la guerra odv
Pax Christi Tradate
Stampa romana
Fiom Cgil Roma e Lazio
Festival del cinema dei diritti umani di Napoli
AOI-Cooperazione e Solidarietà Internazionale
Reti di Giustizia. Il sociale contro le mafie APS
Legambiente “Le Rondini” di Anzio e Nettuno
Movimento Donne in Nero Roma.
Laboratorio salute popolare
Associazione genitori Appio Claudio
Comitato varesino per la Palestina
Rete romana di solidarietà con il popolo palestinese
Medici Senza Frontiere Italia
Cnca Lazio
Fondazione Lelio e Lisli Basso Onlus
Scomodo
Rete italiana pace e disamo

Per comunicare le adesioni scrivere alla mail nobavaglio.org@gmail.com

Rete #NOBAVAGLIO