Nella giornata del 16 febbraio, anniversario della strage di via Mariti, si è svolto a Firenze un presidio molto partecipato, che ha visto presenti, oltre ai sindacati di base fiorentini promotori dell’iniziativa, varie realtà, tra cui il comitato “ex panificio”, da anni attivo contro le speculazioni dell’area di via Mariti, speculazioni che avevano dato luogo alla costruzione del supermercato Esselunga e all’installazione del cantiere della strage, ora chiuso. Presente, fra gli altri, anche il Coordinamento regionale Toscano della sanità, Medicina democratica e l’associazione delle familiari vittime della strage ferroviaria di Viareggio. Anche la moglie di Luigi Coclite, uno degli operai rimasti uccisi, ha voluto partecipare all’iniziativa con un breve e toccante intervento. Al termine del presidio il corteo si è mosso percorrendo la zona intorno al cantiere di via Mariti, con l’impegno di proseguire, oltre la terribile ricorrenza, nella lotta contro le speculazioni, contro lo sfruttamento, per una reale sicurezza, perché non ci siano più morti né infortuni sul lavoro
Gli infortuni sul lavoro nell’ultimo decennio hanno avuto numeri da guerra, una guerra da lavoro e sul lavoro: 17000 morti, circa un milione infortuni con lesioni gravi: mani, gambe, corpi immolati sull’altare del profitto.
Nei primi 10 mesi del 2024 ci sono stati 890 morti sul lavoro, 2,5 % in più rispetto all’anno precedente.
Il 16 febbraio 2024, un anno fa, la strage nel cantiere Esselunga di via Mariti: 5 morti, non cinque numeri ma cinque nomi che vogliamo ricordare: Mohamed Toukabri (54 anni), Mohamed El Farhane (24 anni), Taoufik Haidar (45 anni), Bouzekri Rahimi (56 anni), Luigi Coclite (60 anni).
Solo in questi giorni, dopo un anno, compaiono i primi indagati, con il sequestro di Rdb ITA, azienda costruttrice della trave che ha ceduto e schiacciato i lavoratori, e avviso di garanzia a tre figure apicali della stessa, oltre che al dirigente dei lavori strutturali, attribuendo alle caratteristiche della trave il fattore determinante la strage. Non pensiamo che ci si possa limitare a questo, ma occorre approfondire le responsabilità dei datori di lavoro delle imprese affidatarie e della committenza dell’opera. Quello che emerge dalle testimonianze rese pubbliche è anche la pressione della committenza per accelerare i lavori e consegnare l’edificio in tempi brevissimi: l’urgenza di aprire l’ennesimo e inutile centro commerciale, a brevissima distanza da tanti altri, in un’area – quella dell’ex panificio militare – di demanio pubblico, che già da tempo il quartiere chiedeva fosse destinato ad uso pubblico e che invece è stata svenduta al privato di turno per il profitto di pochi a danno della collettività.
Anche in questa strage emerge la giungla di appalti e subappalti: emerge che in quella mattina almeno tre ditte diverse stavano lavorando sopra e sotto la trave collassata, che addirittura quattro degli operai morti risultavano dipendenti di una ditta, la Maifredi SPA di Brescia, ma “prestati” con distacco alla ditta Go Costruzioni di Villongo Bergamo.
In questa catena di appalti e subappalti può essere garantito il rispetto delle norme di sicurezza? Innanzitutto, chi dovrebbe controllare questo, dal momento che, ad esempio, gli organi pubblici addetti a tali controlli non hanno il personale sufficiente? Da anni dobbiamo fare i conti con tagli e blocco di assunzioni che hanno interessato tutto il settore sanitario e anche quello della prevenzione sui luoghi di lavoro, che si trova attualmente ad operare con il 50% di personale in meno (da 5000 nel 2008 a 2500 ora), con interventi spesso basati su verifiche esclusivamente documentali che rendono la verifica della sicurezza sul luogo di lavoro un mero atto burocratico.
Ma anche la legislazione introdotta negli anni Novanta, per quanto non completamente soddisfacente, è andata via via modificandosi, perdendo progressivamente efficacia: la capacità dei lavoratori di autotutelarsi, introdotta dalla legge 626/94 con la figura del RLS (Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) è andata nel tempo annullandosi, imbrigliando questa figura sempre più e limitandone le prerogative, legge dopo legge.
Le aziende dovrebbero fare dei corsi di formazione/informazione sui rischi lavorativi individuati nel D.V.R., dovrebbero redigere il DUVRI (documento dei rischi da interferenze) con tutte le ditte che operano per individuare le interferenze tra i vari lavoratori degli appalti e descrivere come vanno gestite. Trattandosi di un documento “dinamico”, tutte le volte che si inserisce una nuova ditta andrebbe aggiornato, ma in realtà spesso questo non succede. Le aziende si limitano a dare informazioni cartaceee che i lavoratori devono firmare, talvolta anche senza comprenderle, dato che spesso non parlano italiano, nonostante ci sia l’obbligo che i lavoratori comprendano quello che c’è scritto. Ma si sa, i corsi alle aziende costano!
Ci si è preoccupati non tanto di far rispettare la legge punendo con multe ed altro le aziende che non la rispettavano, ma è stata scelta la strada di premiare con finanziamenti quelle aziende che invece si comportavano bene, introducendo la patente a crediti rilasciata semplicemente per autocertificazione. Con il decreto 103 del luglio 2024 si è introdotto l’obbligo del preavviso per i controlli relativi alla sicurezza: un’ispezione annunciata per far trovare tutto in regola.
Si è introdotta la responsabilità del lavoratore, eliminando quella del datore di lavoro, portando a credere che tante delle stragi e infortuni sono causate dall’errore umano.
E nella catena di appalti e subappalti la committenza esce sempre pulita e fuori da ogni responsabilità, come nel caso di Esselunga e dei morti sul lavoro di via Mariti.
È necessaria una netta inversione di rotta per diminuire gli infortuni sul lavoro: spezzare la catena degli appalti, diminuire carichi e ritmi di lavoro, lottare per cambiare tutti gli aspetti peggiorativi nella attuale legislazione sulla sicurezza del lavoro, ristabilire l’indipendenza degli RLS, costringere a fare le assunzioni di personale negli organi di vigilanza.
E per la strage del cantiere Esselunga di via Mariti, dopo un anno di estenuante convivenza con l’ecomostro della morte, il quartiere chiede la revisione totale del progetto e la destinazione dell’area a parco pubblico intitolato alle vittime del lavoro, in un quartiere attanagliato da una sempre più asfissiante cementificazione che provoca, fra l’altro, rischi ambientali sempre maggiori, come stiamo vedendo con le ripetute alluvioni.
Basta opere inutili, le nostre vite valgono più dei vostri profitti
Paola e Maurizio
Nell’immagine: un momento della manifestazione di Firenze
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