I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica
BRELLxit: I paesi baltici sono entrati nell’Europa elettrica
L’8 febbraio il sistema energetico delle Repubbliche Baltiche si è sconnesso dalla rete russa collegandosi a quella europea.
In sé un atto strettamente tecnico e previsto da decenni ma che è finito per assumere un valore politico ben più profondo.
Immersi in una futuristica scenografia, i presidenti delle tre Repubbliche Baltiche, insieme al presidente polacco e della commissione europea Von der Leyen, celebrano la quasi simultanea sconnessione della rete energetica baltica dal sistema BRELL (condiviso con Russia e Bielorussia) per collegarsi all’Area Sincrona dell’Europa Continentale (CESA).
Un atto dovuto di integrazione europea e di sicurezza energetica che viene equiparato ad una seconda dichiarazione di indipendenza.
Il lungo cammino verso l’Europa elettrica
L’idea della sincronizzazione energetica fra Baltici ed Europea risale invece alla prima indipendenza, quando, in ottica europeista, ma anche e soprattutto per allontanarsi dalla Russia e dalle sue minacce in tema di sicurezza energetica, la questione fece il suo primo ingresso nel dibattito politico.
Fra il 1996 e il 1998 si realizzò quindi il primo studio di fattibilità, ‘Baltic ring’, dal quale emersero una lunga serie di sfide rispetto alla creazione di un mercato comune dell’elettricità con l’Europa, finendo per alimentare uno scetticismo che avrebbe congelato il dibattito fino al 2007.
Fu solo nel 2008, con la salita al potere in Lituania dei democristiani (TS-LKD), e Sekmokas ministro dell’Energia, che si riuscirono a rimuovere dal Ministero le vecchie autorità energetiche, principali oppositori alla sincronizzazione.
Ma ancor di più, sarà il coinvolgimento dell’Unione Europea a dare una prospettiva concreta a quella che fino a quel momento era rimasta solo un’idea.
In particolare attraverso la promozione e approvazione, nello stesso anno, del Piano di Interconnessione del Mercato Energetico del Baltico (BEMIP), ma che pure non fu sufficiente per superare gli ostacoli che il progetto portava con sé: l’opposizione della Polonia alla costruzione dell’interconnessione elettrica LitPol Link 2; della Russia, che avrebbe visto l’exclave di Kaliningrad isolata dalla propria rete, insieme a tutta una serie di questioni tecniche che portarono a dubitare anche la stessa Estonia.
I dubbi e le specifiche operative portarono a nuovi studi di fattibilità che rallentarono i lavori, tanto da portare le tre repubbliche a considerare anche progetti autonomi di sincronizzazione, e a non firmare il memorandum d’intesa del 2017.
A questo punto sarà, di nuovo, necessario il coinvolgimento dell’Unione Europea per mettere tutti d’accordo.
E succederà l’anno successivo, con Juncker ad oleare gli ingranaggi, quando finalmente le tre repubbliche e la Polonia sottoscrissero il piano d’azione per la sincronizzazione elettrica.
Uno dei più grandi risultati della diplomazia europea in tema di sicurezza energetica con destinazione 2025.
1,6 miliardi di euro dopo (di cui 1,23 dell’UE), l’8 febbraio di quest’anno, si sconnettono le interconnessioni fra il sistema delle Repubbliche dalla rete BRELL.
E dopo 24 ore di lavoro in autonomia, a garanzia di sicurezza del buon funzionamento del sistema baltico, si collega alla rete CESA, attraverso diverse interconnessioni fra Estonia e Finlandia e fra la Lituania con Polonia e Svezia.
Segnando ‘la fine di ogni residuo sovietico’ per i baltici, oltre che la completa integrazione europea della regione fino ad ora rimasta un’isola energetica.
Massima allerta
La posizione dei baltici e il loro passato hanno sicuramente contribuito a fare di questo atto ‘tecnico’ una necessità di sicurezza energetica a fronte di Mosca e della sua abitudine a ricattare chiunque sia ad essa legata energeticamente.
Eppure, al diminuire delle possibilità di ricatto energetico da parte di Mosca, aumenta parallelamente il rischio di sabotaggi e ripercussioni per l’altra abitudine russa di voler dimostrare che ogni tentativo di porre fine a una dipendenza da Mosca ha inevitabilmente delle conseguenze.
Conseguenze, di cui i danneggiamenti dei cavi nel mar Baltico sono chiari precedenti, che si sommano al rischio di altre forme di attacchi ibridi che Mosca è andata perfezionando negli anni, e che includono cyber attacchi e campagne di disinformazione che fanno sì che tutti rimangano in massimo stato di allerta nei baltici.
Ma non gira sempre tutto e solo intorno alla Russia
Tuttavia, non si può sempre e solo ridurre tutto in funzione della Russia, e farlo vorrebbe dire non solo sottostimare il lavoro (e il cospicuo finanziamento) delle Repubbliche e dell’UE.
Ma vorrebbe anche dire assegnare a Mosca un’importanza superiore a quella che già non si auto concede.
Una pratica che troviamo sia nelle parole di chi imputa le esitazioni e i ritardi a strumento di “mitigazione pragmatica” affine alla finlandizzazione della vicina scandinava.
Ma anche nelle dichiarazioni di media e politici che riducono la sincronizzazione come “risposta all’invasione dell’Ucraina della Russia”.
Quando, invece, l’annosa storia del progetto dovrebbe essere sufficiente per notare come sia ben precedente e indipendente dalle azioni russe più recenti, e confermato anche in un report dell’ICDS (International Centre for Defence and Security) in cui viene segnalato come, dopo il 2007, “rischi politici e preoccupazioni in tema di sicurezza sono stati completamente assenti nella discussione”, e i ritardi sono stati dovuti unicamente a considerazioni tecniche.
Provenienti, tra l’altro, da Estonia e Polonia, da sempre in prima linea nella militanza contro l’influenza di Mosca.
Una narrazione dannosa che si sostituisce al Cremlino nel costruire l’immagine di una Russia minacciosa e in funzione della cui forza gira il mondo, e che riduce a mera reazione anni di dialogo, sforzi e diplomazia europea per raggiungere questo risultato.