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privatizzazione

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio