Attorno alla carogna: scontro governo/magistratura e crisi dello Stato
“Più si alimenta la polemica più aumenta la nostra determinazione perché è un mandato elettorale che ci ha chiesto il popolo di attuare”: sono le parole testuali pronunciate dal ministro Nordio all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso l’Unione delle Camere Penali, il 7 febbraio, riferendosi alla riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere in magistratura.
In poche parole, per quanto zoppicanti nella forma, il ministro Nordio, torturatore, fra gli altri, di Alfredo Cospito, ci restituisce l’immagine dello scontro istituzionale che contrappone il governo fascista all’insieme dei magistrati.
Lo scontro è uno scontro di potere a più livelli.
C’è innanzi tutto uno scontro fra il potere esecutivo e il potere giudiziario. La separazione dei poteri è una caratteristica dello Stato liberale, e consiste nell’attribuzione di ciascuna funzione dello stato (legislativa, amministrativa e giudiziaria) a ordini separati: la funzione legislativa al Parlamento, quella amministrativa al governo e quella giudiziaria alla magistratura, ciascuno indipendente nel proprio ambito. Lo scontro sulla divisione delle carriere in magistratura è quindi uno scontro che rischia di mettere in pericolo l’impalcatura dello Stato.
In realtà la separazione dei poteri è tale solo in situazione di normalità, una situazione in cui tutti e tre i poteri, ciascuno nel proprio ambito, concorrono alla realizzazione del bene comune. Anche questa è una formulazione di comodo e si identifica con il bene della classe dominante.
Il modo di produzione capitalista sconvolge continuamente gli equilibri provvisori che si formano all’interno della società: la spinta all’accumulazione crescente, che si traduce in una spinta costante ad aumentare ed accelerare la produzione, riduce sempre più le quote di reddito destinate al consumo, trasformandole in capitale pronto ad essere investito.
La funzione della finanza pubblica è quella di garantire la trasformazione di masse crescenti di denaro in capitale. A fonte di questa massa di denaro devono esistere masse di beni e servizi di valore equivalente sottratti al consumo dei ceti popolari e destinati a trasformarsi in mezzi di produzione.
La normalità capitalista, quindi, si manifesta come continua rivoluzione degli strumenti di produzione, dei rapporti di produzione, di tutto l’insieme dei rapporti sociali. Questa rivoluzione travolge dunque anche l’ordinamento istituzionale, risultato di un compromesso fra le varie forze sociali e le loro rappresentanze politiche, espressione di un equilibrio che non esiste più e viene continuamente travolto. L’appello alla Costituzione, di conseguenza, è solo il segno della sconfitta delle forze che ad essa si richiamano: se avessero la forza di sconfiggere la reazione non si appellerebbero alla Costituzione ma la applicherebbero per schiacciare i loro avversari.
Le classi privilegiate hanno bisogno di un governo forte, cioè hanno bisogno che il potere esecutivo sottometta sia il potere legislativo che quello giudiziario, per impedire che entrambi diventino focolai di resistenza all’accelerazione capitalistica. In quest’ottica le principali riforme sono già state fatte; il governo Meloni non ha bisogno di modificare la Costituzione perché nella pratica è già stata vuotata di contenuto dai governi che lo hanno preceduto. Ma in realtà il governo forte è il primo nemico di sé stesso.
Così come il governo, per quanto sia servo e protettore dei capitalisti, tende, come ogni servo ed ogni protettore, ad emanciparsi ed a dominare il protetto, così le varie componenti dello stato sono in perpetua guerra tra di loro per la spartizione dei fondi e per ritagliarsi fette più o meno ampie di dominio. Una volta che si erge la competitività a valore della società, va da sé che la competizione si estenda in ogni angolo, minando alla radice quella gerarchia tra vincitori e vinti che si vorrebbe stabilita una volta per tutti.
Ecco che alle ragioni socio economiche dello scontro fra poteri e fra organi dello stato se ne aggiunge un’altra, che è intrinseca all’organizzazione gerarchica e la rende incapace di assolvere altro compito che non sia quello di assicurare il dominio violento, brutale, arbitrario di pochi sulle masse. Un dominio che è tanto più traballante quanto più fa ricorso alla violenza.
Tiziano Antonelli
Immagine: fotografia di CA
L'articolo Attorno alla carogna: scontro governo/magistratura e crisi dello Stato proviene da .