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Centri di accoglienza in Albania, governo Meloni vs magistratura

Continua il braccio di ferro tra il governo Meloni e la magistratura sulle funzioni e l’operatività dei due centri di accoglienza in Albania. Aperti nell’ottobre dello scorso anno, sono rimasti tutt’oggi fermi a causa degli stop arrivati dalle toghe italiane e di Bruxelles. Il governo Meloni sta cercando in tutti i modi alternative per aggirare le restrizioni, anche a rischio di contraddirsi e di incappare in ulteriori forzature.

Le origini dei due centri

Facciamo un passo indietro. Le due strutture per migranti aperte in Albania nell’ottobre del 2024 sono il principale risultato di un protocollo d’intesa firmato tra il governo Meloni e l’Albania del premier Rama nel novembre del 2023. Secondo quanto previsto dal documento, i centri avrebbero dovuto essere già aperti a maggio del 2024, ma una serie di imprevisti ha fatto slittare la loro messa in funzione di ben 5 mesi. Ma al di là di questi contrattempi, che comunque hanno avuto un costo economico, il problema fondamentale sta nel fatto che ad oggi i centri sono ancora vuoti. Infatti, ogni volta che il governo Meloni ha provato a inviare delle persone nelle strutture è arrivato lo stop della magistratura italiana. La base giuridica di questi stop è costituita da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre scorso che ha modificato i parametri che consentono di definire “sicuro” un dato Paese, rendendoli più restrittivi.

Dal momento che lo scopo dei due centri in Albania è proprio quello di accogliere i migranti che, provenendo da un Paese ritenuto sicuro vanno sottoposti a una procedura accelerata di esame della richiesta di asilo, in più di un caso il governo Meloni ha dovuto fare un passo indietro rispetto alla decisione di trattenere dei migranti. Ad esempio, alcuni cittadini provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh soccorsi dalla Marina Militare italiana in acque internazionali non sono stati più mandati in Albania nonostante l’iniziale volontà del governo proprio perché le modifiche di Bruxelles hanno reso questi due Paesi non più classificabili come sicuri.

La contromossa del governo Meloni

Stante la necessità da parte del governo di mettere in funzione i due centri e di dimostrarne la tanto sbandierata efficacia, ecco il primo tentativo di aggirare l’ostacolo legale: spostare con un decreto-legge la competenza sui trattenimenti dalle sezioni immigrate dei tribunali alle Corti d’Appello. Ma il tentativo è subito fallito a causa del fatto che molti dei magistrati che operano nelle sezioni immigrazione dei tribunali ordinari operano anche in Corte d’Appello a causa della carenza di personale di quest’ultima. L’ultima decisione in tal senso da parte della Corte d’Appello è del 31 gennaio: 43 persone che secondo il governo Meloni dovevano essere indirizzate e trattenute nei centri in Albania sono state portate alla fine in Italia.

Secondo tentativo

Nelle ultime settimane un’ipotesi sul tavolo del governo è stata ed è tuttora quella di convertire la funzioni dei due centri di Gjader e Shengjin da centri di prima accoglienza e soccorso a CPR, ovvero Centri per il Rimpatrio. A dire il vero il centro di Shengjin lo è già in parte, dato che su 1.024 posti totali 144 sono proprio destinati a chi è in attesa di rimpatrio. Se dovessero però diventare entrambi dei CPR al 100% vorrebbe dire che ad entrarci sarebbero tutte quelle persone transitate sul territorio italiano a cui è stata negata la richiesta d’asilo e sono dunque sottoposte ad una procedura forzosa di rimpatrio. Una situazione di questo tipo significherebbe di fatto contraddire clamorosamente lo scopo iniziale dei due centri dichiarato proprio dallo stesso governo Meloni: impedire l’accesso al territorio italiano a chi, sempre secondo quanto ritenuto dal governo, non è meritevole di protezione in quanto proveniente da un Paese classificato come “sicuro”.

Peccato che chi finisce in un CPR è necessariamente transitato sul territorio italiano, ecco perché dunque la pista della conversione pare essersi un po’ più raffreddata negli ultimi giorni. Per non tacere poi dell’automatica violazione dell’articolo 2 del protocollo d’intesa con l’Albania, il quale riporta che le persone destinate ai due centri devono essere “esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione Europea», cioè in acque internazionali. Se queste persone venissero trovate dalla Marina Militare italiana in acque italiane dovrebbero essere portate sul territorio italiano perché secondo quanto previsto dal Regolamento di Dublino è il Paese di primo arrivo che deve obbligatoriamente esaminare la richiesta di protezione. Il cosiddetto “effetto positivo deterrente” dei due centri definito dal governo Meloni verrebbe meno: chi finisce in questi centri dovrebbe necessariamente aver prima transitato sul territorio italiano.

Un’altra opzione considerata, infine, ma dismessa quasi subito per la sua evidente inapplicabilità è stata quella di spostare la giurisdizione dei centri da quella italiana a quella albanese. Il ragionamento di fondo è semplice: non facendo parte dell’Unione Europea l’Albania non è tenuta a mantenere gli stessi standard dell’Italia in materia di diritti dei migranti. E sì che la Meloni aveva garantito più volte che non ci sarebbero mai stati problemi da questo punto di vista, dato che i due centri sono proprio sotto la giurisdizione italiana.

Sviluppi futuri

Nonostante le controindicazioni mostrate sopra, il governo Meloni appare ancora saldo nel suo intento di rendere i due centri in Albania dei CPR. Nei suoi incontri con i vertici delle istituzioni europee a Bruxelles, così come nelle dichiarazioni pubbliche, continua a manifestare questa volontà. Fattore importante a questo punto sarà la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea attesa dopo il 25 febbraio. A seguito di maggiori chiarimenti da parte dei tribunali italiani, la Corte Europea infatti fornirà una lista rivisitata dei parametri necessari a considerare come “sicuro” un Paese, valutazioni che forniranno un orientamento decisivo rispetto alle scelte dei tribunali stessi, indipendentemente dalla volontà e dagli espedienti del governo Meloni.

 

Redazione Italia