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“Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo” – Dal 26 febbraio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW

Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo è un documentario Sky Original in due parti, prodotto da Sky e Palomar in associazione con Sky Studios in esclusiva dal 26 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. La docuserie di e con Roberto Saviano, racconta di un uomo che cambia pelle, sapendo restare straordinariamente fedele a sé stesso, e di 30 anni di indagini per far riemergere la verità sul suo omicidio.

Con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, il documentario è un viaggio intorno a una figura straordinaria, capace di trasformarsi in tante vite diverse attraversando epoche e forme di lotta differenti, col suo carisma e il suo bisogno di cambiare senza però smettere di obbedire allo stesso principio guida: il costante desiderio di curare sé stesso e il mondo.

Una storia che culmina col suo omicidio politico, i depistaggi e gli anni di ricerche che sono stati necessari per ottenere verità e giustizia, nel labirinto di incompetenze e occultamento delle prove.

Rostagno rappresenta uno spaccato della storia italiana per 20 anni, dal 1968 al 1988, attraversando le lotte giovanili del 1968, l’esperienza ai vertici di Lotta Continua, la fondazione del centro sociale milanese per l’attivismo politico e l’espressione creativa Macondo, l’appartenenza all’ashram di Osho a Pune, la creazione del suo ashram siciliano trasformato in centro di riabilitazione per tossicodipendenti, Samaan. Ha sempre fatto parte di qualcosa, senza mai essere inghiottito ed etichettato, senza perdere la sua originalità. Rostagno, in tutte le sue vite, è sempre stato un personaggio scomodo, perché ha gridato a piena voce le sue convinzioni, approdando perfino a RTC, una piccola televisione locale, reinventandosi giornalista e denunciando le collusioni tra mafia e politica locale. Dopo l’omicidio di Rostagno, avvenuto il 26 settembre 1988, le indagini hanno preso mille direzioni diverse.

Un lungo, doloroso ed estenuante slalom prima di accertare la verità: ad uccidere Mauro è stata la mafia, su cui Rostagno stava caparbiamente indagando, contro cui stava lottando con la sua ironia feroce e la sua intelligenza infaticabile.

Redazione Italia

“Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo” – Dal 26 febbraio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW

Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo è un documentario Sky Original in due parti, prodotto da Sky e Palomar in associazione con Sky Studios in esclusiva dal 26 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. La docuserie di e con Roberto Saviano, racconta di un uomo che cambia pelle, sapendo restare straordinariamente fedele a sé stesso, e di 30 anni di indagini per far riemergere la verità sul suo omicidio.

Con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, il documentario è un viaggio intorno a una figura straordinaria, capace di trasformarsi in tante vite diverse attraversando epoche e forme di lotta differenti, col suo carisma e il suo bisogno di cambiare senza però smettere di obbedire allo stesso principio guida: il costante desiderio di curare sé stesso e il mondo.

Una storia che culmina col suo omicidio politico, i depistaggi e gli anni di ricerche che sono stati necessari per ottenere verità e giustizia, nel labirinto di incompetenze e occultamento delle prove.

Rostagno rappresenta uno spaccato della storia italiana per 20 anni, dal 1968 al 1988, attraversando le lotte giovanili del 1968, l’esperienza ai vertici di Lotta Continua, la fondazione del centro sociale milanese per l’attivismo politico e l’espressione creativa Macondo, l’appartenenza all’ashram di Osho a Pune, la creazione del suo ashram siciliano trasformato in centro di riabilitazione per tossicodipendenti, Samaan. Ha sempre fatto parte di qualcosa, senza mai essere inghiottito ed etichettato, senza perdere la sua originalità. Rostagno, in tutte le sue vite, è sempre stato un personaggio scomodo, perché ha gridato a piena voce le sue convinzioni, approdando perfino a RTC, una piccola televisione locale, reinventandosi giornalista e denunciando le collusioni tra mafia e politica locale. Dopo l’omicidio di Rostagno, avvenuto il 26 settembre 1988, le indagini hanno preso mille direzioni diverse.

Un lungo, doloroso ed estenuante slalom prima di accertare la verità: ad uccidere Mauro è stata la mafia, su cui Rostagno stava caparbiamente indagando, contro cui stava lottando con la sua ironia feroce e la sua intelligenza infaticabile.

Redazione Italia

“Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo” – Dal 26 febbraio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW

Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo è un documentario Sky Original in due parti, prodotto da Sky e Palomar in associazione con Sky Studios in esclusiva dal 26 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. La docuserie di e con Roberto Saviano, racconta di un uomo che cambia pelle, sapendo restare straordinariamente fedele a sé stesso, e di 30 anni di indagini per far riemergere la verità sul suo omicidio.

Con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, il documentario è un viaggio intorno a una figura straordinaria, capace di trasformarsi in tante vite diverse attraversando epoche e forme di lotta differenti, col suo carisma e il suo bisogno di cambiare senza però smettere di obbedire allo stesso principio guida: il costante desiderio di curare sé stesso e il mondo.

Una storia che culmina col suo omicidio politico, i depistaggi e gli anni di ricerche che sono stati necessari per ottenere verità e giustizia, nel labirinto di incompetenze e occultamento delle prove.

Rostagno rappresenta uno spaccato della storia italiana per 20 anni, dal 1968 al 1988, attraversando le lotte giovanili del 1968, l’esperienza ai vertici di Lotta Continua, la fondazione del centro sociale milanese per l’attivismo politico e l’espressione creativa Macondo, l’appartenenza all’ashram di Osho a Pune, la creazione del suo ashram siciliano trasformato in centro di riabilitazione per tossicodipendenti, Samaan. Ha sempre fatto parte di qualcosa, senza mai essere inghiottito ed etichettato, senza perdere la sua originalità. Rostagno, in tutte le sue vite, è sempre stato un personaggio scomodo, perché ha gridato a piena voce le sue convinzioni, approdando perfino a RTC, una piccola televisione locale, reinventandosi giornalista e denunciando le collusioni tra mafia e politica locale. Dopo l’omicidio di Rostagno, avvenuto il 26 settembre 1988, le indagini hanno preso mille direzioni diverse.

Un lungo, doloroso ed estenuante slalom prima di accertare la verità: ad uccidere Mauro è stata la mafia, su cui Rostagno stava caparbiamente indagando, contro cui stava lottando con la sua ironia feroce e la sua intelligenza infaticabile.

Redazione Italia

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero

La mediocrità del male. Insegnare la storia tra genocidi, apartheid e nazionalismi del passato senza capire il presente

Come docente di Storia e Filosofia in un Liceo di provincia del Mezzogiorno, di quelli che solitamente non fanno notizia se non per l’inspiegabilmente palesarsi – secondo i media – tra le studentesse e gli studenti di qualche genio inatteso oppure per spiacevoli episodi di cronaca, sono profondamente in imbarazzo in questi giorni a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista.

Ciò che dovrei raccontare ai ragazzi e alle ragazze in relazione agli inizi del secolo scorso è che la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura” come quella marocchina ad esempio, che diventarono lentamente di portata mondiale.

Ciò che dovrei spiegare è che le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui dovrei anche esprimere un’inoppugnabile e contrita condanna morale, sebbene uno fosse stato votato democraticamente dal popolo e l’altro sostenuto da papi e da sovrani, gettarono l’Europa e poi il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina.

Ai miei studenti e alle mie studentesse dovrei raccontare, inoltre, con sdegno e commozione, dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, vuoi con consapevolezza vuoi per indifferenza, che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, allo sterminio di interi gruppi di persone largamente riconducibile a categorie razziali, culturali, etniche e religiose.

Eppure, mi sono sentito profondamente in imbarazzo nei giorni passati a raccontare che alla fine della carneficina operata in modo sistematico e deliberato dai nazifascisti, quando i sovietici scoperchiarono il vaso di Pandora e scoprirono i campi di concentramento, si pensò che una Corte Penale Internazionale potesse definire in maniera chiara i termini di un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione, affinché non potessero più avvenire tali disegni abominevoli per l’umanità.

E, così, abbiamo preso in mano i documenti, come bisogna fare nello studio attivo della storia. Abbiamo letto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951 e abbiamo scoperto insieme che nell’articolo II c’è scritto: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

E, tuttavia, oltre all’imbarazzo è montata una forte sensazione di spaesamento giacché, leggendo i giornali che gli editori più ricchi mandano nelle scuole, nonché le notizie mainstream diffuse da pennivendoli prezzolati, non si è colta la minima reazione di condanna nei confronti di chi, approfittando dello squilibrio internazionale, si è sperticato nel dichiarare grandiose imprese di conquista di altri territori sovrani, come, che ne so, la Groenlandia o Panama o il Canada.

Leggendo i giornali arrivati a scuola non si è colta la minima condanna nei confronti dei fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare degli unici democratici del continente asiatico, gli israeliani, con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove, smistandolo un po’ in Egitto, un po’ in Giordania, un po’ in Siria. Così come non si leggono sui giornali dichiarazioni di condanna della folle corsa al riarmo, che pure viene sbandierata ai quattro venti, richiedendo ai vari Stati di raggiungere il 2% del PIL (per l’UE), il 3% (per la NATO) o il 5% (per Trump).

Del resto, da docente di Storia, ma anche di Filosofia, non posso esimermi di far leggere alle ragazze e ai ragazzi, discutendoli con loro, passi significativi de La banalità del male di Hannah Arendt, quelli in cui si sostiene che il male alberga perlopiù nella gente comune, nell’esecuzione disinteressata e amorale di un ordine militare, nella mediocrità, che smette di essere un valore, come era in passato la mediocritas o μετριότης oraziana, e diventa indifferente e colpevole depauperamento etico, ideologico, valoriale.

Di tutto ciò, da docente ed educatore, sento inesorabilmente tutto il peso di un presente che sfugge alle categorie politiche, giuridiche e morali che abbiamo unanimemente condannato nel passato e che non trova adeguato riconoscimento nelle narrazioni alle quali generalmente accedono i ragazzi e le ragazzi.

Immaginatevi il mio imbarazzo, da docente di storia, nel riferire che è Amnesty International a decretare che è in corso una pulizia etnica, un genocidio in sostanza, ai danni del popolo di Gaza, ma di ciò nei giornali non si deve parlare. Immaginatevi il volto smarrito dei ragazzi e delle ragazze che hanno sentito dell’esistenza di un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità nei confronti di Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale – quella stessa che aveva condannato in nome dell’umanità i crimini nazisti – nel constatare, leggendo il Corriere della Sera, che questi sia stato invitato in Polonia per il 27 gennaio in occasione dell’ottantesimo anniversario della Shoah in totale spregio, non tanto nei confronti di quella Corte, ma della stessa umanità, quella che dovrebbe avere a cuore la tragica morte di 45.000 gazawi di cui la metà bambini e bambine innocenti e 100.000 feriti. Non solo, come spiegare, poi, che lo stesso Netanyahu può liberamente recarsi negli USA, che non riconoscono la Corte Penale Internazionale, oppure che il Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, possa incontrarlo in Israele, ribadire la vicinanza del nostro Paese e, al contempo, attaccare la Corte Penale Internazionale.

Davanti a tutto ciò, l’imbarazzo e lo spaesamento lasciano il posto alla nausea, al disgusto, alla consapevolezza di essere all’interno di una bolla cognitiva che non riesce a riconoscere i diritti umani e il valore della vita, cioè il bene, e coltiva programmaticamente il male. Si ha quasi la sensazione, da educatore e da docente, di essere davanti alla sistematica distruzione dei valori che devono costruire solidarietà e fraternità per il futuro dell’umanità in nome di una violenza che la fa sempre più da padrona, anche perché i pochi riottosi si stagliano su una palude di accidiosi, di inetti, di indifferenti.

Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi arraffone violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco, costretta a vivere una sorta di shock culturale in un mare di pescecani.

Michele Lucivero