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Cisgiordania

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

A che punto è la notte?

Genocidio a Gaza
La carneficina israeliana a Gaza continua. Ieri sono stati uccisi due pescatori palestinesi mentre tentavano di guadagnarsi da vivere e sfamare le loro famiglie. Dopo la loro uccisione, le loro barche sono state colpite da raffiche di mitra e affondate. Il numero totale dei civili uccisi o scomparsi dall’inizio dell’aggressione ha superato la cifra di 65 mila. I feriti invece sono stati 111. 676.

Cisgiordania
Mentre continua l’offensiva su Jenin, due attacchi sono stati sferrati dall’esercito israeliano a Nablus e Tulkarem. Al campo di Askar è stato assassinato Adel Bashkar, 19 anni, colpito da una pallottola al torace. Al campo profughi di Nour Shams, invece, sono stati assassinati tre giovani palestinesi.

Dall’inizio dell’offensiva militare israeliana (21 gennaio), mirante alla cacciata dei palestinesi dalla loro terra per annetterla, a Tulkarem sono stati assassinati 11 civili, comprese due donne di cui una incinta all’ottavo mese ed un bambino di 7 anni. Nei comunicati militari israeliani, ripresi senza verifica dai giornalisti, scudo mediatico dell’occupazione, tutte le vittime sarebbero terroristi. Anche il bambino di 7 anni e la donna incinta all’ottavo mese.

Dall’inizio della guerra contro la popolazione di Gaza, in Cisgiordania l’offensiva israeliana ha ucciso assassinato 916 civili, di cui 183 bambini, e ferito oltre 7 mila persone. Dall’inizio del 2024, gli assassinati sono stati 81, di cui 11 bambini.
Scambio prigionieri e trattative

Avviene oggi il 6° scambio di prigionieri tra Hamas e Netanyahu

3 ostaggi in mano di Hamas e Jihad islamica sono stati consegnati, a Khan Younis, alla Croce rossa internazionale, nella consueta forma pubblica con palco, doni e ringraziamenti. I tre israeliani sono apparsi in buona forma dopo 480 giorni di prigionia. Nel pomeriggio saranno rilasciati 369 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane.

Egitto e Lega araba
Il 20 febbraio si terrà a Riad un vertice di 5 paesi arabi (Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Qatar). All’ordine del giorno: come far fronte al criminale piano Trump di occupare Gaza e cacciarne la popolazione, per farne un affare immobiliare con lunga manus israeliana.

Tutti i paesi della conferenza sono legati mani e piedi alla politica imperialista degli USA. Dipendono dalla Casa Bianca per la fornitura di armi, per la protezione militare con la presenza di basi militari sul loro territorio (tranne Il Cairo) e per il sostegno politico e diplomatico in quanto questi paesi non hanno una legittimità democratica interna. Solo mettendosi insieme, ossequiosi alla corte del tycoon, potranno trovare la forza di ammorbidire le intenzioni di Trump e schivare le minacce di Tel Aviv.
Alla conclusione dell’incontro di Riad si conosceranno ufficialmente gli elementi della proposta egiziana per la ricostruzione di Gaza senza cacciarne la popolazione.

Conferenza di Doha
Si terrà a Doha (17-18-19 febbraio 2025) una conferenza palestinese, convocata da diverse realtà sia palestinesi che arabe, per discutere della rappresentanza popolare. È un’iniziativa che appare animata da intenzioni positive per realizzare una nuova unità palestinese, per rafforzare la risposta ai piani del sionismo religioso, rappresentato dal governo Netanyahu, di annessione totale della Palestina storica.

Ci sono migliaia di articoli di commento e di opinioni apparsi sulla stampa araba, ma non si evince da chi sia stata convocata. Malgrado le buone intenzioni, il rischio è che ci si perda in accuse reciproche tra le varie organizzazioni politiche, facendo cadere la rappresentanza politica del popolo palestinese intestata all’OLP.
Il fatto che ad ospitare l’assise sia Doha è un indice grave di condizionamento islamista della conferenza e delle sue eventuali risoluzioni. Il mancato coinvolgimento di Al-Fatah, l’organizzazione che detiene attualmente la gestione di OLP e ANP, è un dato pericoloso. Infatti sia Al-Fatah sia l’ANP hanno pubblicato comunicati di fuoco contro l’iniziativa definita “sospetta”.

Siria
Dalla Russia sono arrivati a Damasco su un cargo militare 300 miliardi di lire libanesi. Il governo siriano stampa la propria valuta in Russia. La Banca centrale siriana potrà affrontare la crisi di liquidità. È anche un segnale di distensione nelle relazioni tra Damasco e Mosca.

Rimane grave la situazione nel nord e nord est del paese. Oltre agli attacchi delle milizie islamiste filoturche, con il silenzio-assenso dei nuovi padroni di Damasco, la stessa aeronautica turca continua a martellare Kobane e le province autonome del Rojava. Alle attività belliche contro le zone autonome curde si aggiungono gli attacchi terroristici jihadisti.
Il campo profughi el-Hol dove sono raccolte le famiglie dei terroristi di Daesh (ISIS) rischia la chiusura. L’amministrazione Trump ha annunciato che non coprirà più i costi di gestione, mentre la maggior parte dei paesi europei si rifiutano di riprendersi indietro i loro cittadini.

ANBAMED

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

A che punto è la notte?

Genocidio a Gaza
La carneficina israeliana a Gaza continua. Ieri sono stati uccisi due pescatori palestinesi mentre tentavano di guadagnarsi da vivere e sfamare le loro famiglie. Dopo la loro uccisione, le loro barche sono state colpite da raffiche di mitra e affondate. Il numero totale dei civili uccisi o scomparsi dall’inizio dell’aggressione ha superato la cifra di 65 mila. I feriti invece sono stati 111. 676.

Cisgiordania
Mentre continua l’offensiva su Jenin, due attacchi sono stati sferrati dall’esercito israeliano a Nablus e Tulkarem. Al campo di Askar è stato assassinato Adel Bashkar, 19 anni, colpito da una pallottola al torace. Al campo profughi di Nour Shams, invece, sono stati assassinati tre giovani palestinesi.

Dall’inizio dell’offensiva militare israeliana (21 gennaio), mirante alla cacciata dei palestinesi dalla loro terra per annetterla, a Tulkarem sono stati assassinati 11 civili, comprese due donne di cui una incinta all’ottavo mese ed un bambino di 7 anni. Nei comunicati militari israeliani, ripresi senza verifica dai giornalisti, scudo mediatico dell’occupazione, tutte le vittime sarebbero terroristi. Anche il bambino di 7 anni e la donna incinta all’ottavo mese.

Dall’inizio della guerra contro la popolazione di Gaza, in Cisgiordania l’offensiva israeliana ha ucciso assassinato 916 civili, di cui 183 bambini, e ferito oltre 7 mila persone. Dall’inizio del 2024, gli assassinati sono stati 81, di cui 11 bambini.
Scambio prigionieri e trattative

Avviene oggi il 6° scambio di prigionieri tra Hamas e Netanyahu

3 ostaggi in mano di Hamas e Jihad islamica sono stati consegnati, a Khan Younis, alla Croce rossa internazionale, nella consueta forma pubblica con palco, doni e ringraziamenti. I tre israeliani sono apparsi in buona forma dopo 480 giorni di prigionia. Nel pomeriggio saranno rilasciati 369 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane.

Egitto e Lega araba
Il 20 febbraio si terrà a Riad un vertice di 5 paesi arabi (Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Qatar). All’ordine del giorno: come far fronte al criminale piano Trump di occupare Gaza e cacciarne la popolazione, per farne un affare immobiliare con lunga manus israeliana.

Tutti i paesi della conferenza sono legati mani e piedi alla politica imperialista degli USA. Dipendono dalla Casa Bianca per la fornitura di armi, per la protezione militare con la presenza di basi militari sul loro territorio (tranne Il Cairo) e per il sostegno politico e diplomatico in quanto questi paesi non hanno una legittimità democratica interna. Solo mettendosi insieme, ossequiosi alla corte del tycoon, potranno trovare la forza di ammorbidire le intenzioni di Trump e schivare le minacce di Tel Aviv.
Alla conclusione dell’incontro di Riad si conosceranno ufficialmente gli elementi della proposta egiziana per la ricostruzione di Gaza senza cacciarne la popolazione.

Conferenza di Doha
Si terrà a Doha (17-18-19 febbraio 2025) una conferenza palestinese, convocata da diverse realtà sia palestinesi che arabe, per discutere della rappresentanza popolare. È un’iniziativa che appare animata da intenzioni positive per realizzare una nuova unità palestinese, per rafforzare la risposta ai piani del sionismo religioso, rappresentato dal governo Netanyahu, di annessione totale della Palestina storica.

Ci sono migliaia di articoli di commento e di opinioni apparsi sulla stampa araba, ma non si evince da chi sia stata convocata. Malgrado le buone intenzioni, il rischio è che ci si perda in accuse reciproche tra le varie organizzazioni politiche, facendo cadere la rappresentanza politica del popolo palestinese intestata all’OLP.
Il fatto che ad ospitare l’assise sia Doha è un indice grave di condizionamento islamista della conferenza e delle sue eventuali risoluzioni. Il mancato coinvolgimento di Al-Fatah, l’organizzazione che detiene attualmente la gestione di OLP e ANP, è un dato pericoloso. Infatti sia Al-Fatah sia l’ANP hanno pubblicato comunicati di fuoco contro l’iniziativa definita “sospetta”.

Siria
Dalla Russia sono arrivati a Damasco su un cargo militare 300 miliardi di lire libanesi. Il governo siriano stampa la propria valuta in Russia. La Banca centrale siriana potrà affrontare la crisi di liquidità. È anche un segnale di distensione nelle relazioni tra Damasco e Mosca.

Rimane grave la situazione nel nord e nord est del paese. Oltre agli attacchi delle milizie islamiste filoturche, con il silenzio-assenso dei nuovi padroni di Damasco, la stessa aeronautica turca continua a martellare Kobane e le province autonome del Rojava. Alle attività belliche contro le zone autonome curde si aggiungono gli attacchi terroristici jihadisti.
Il campo profughi el-Hol dove sono raccolte le famiglie dei terroristi di Daesh (ISIS) rischia la chiusura. L’amministrazione Trump ha annunciato che non coprirà più i costi di gestione, mentre la maggior parte dei paesi europei si rifiutano di riprendersi indietro i loro cittadini.

ANBAMED

Cisgiordania, le ricadute del conflitto sulle scuole cristiane

La guerra ha duramente colpito il sistema educativo nei territori palestinesi, negli istituti dell’area risultano iscritti 22 mila allievi di cui 8 mila cristiani.
Lo scenario delineato durante un recente convegno a Il Cairo
(da Vatican news)

In una Terra Santa gravemente ferita le scuole cristiane, principali custodi della convivenza, sono le vittime collaterali del conflitto in atto nei territori palestinesi.

E’ uno degli aspetti emersi nel corso del convegno al Cairo delle scuole cristiane del Medio Oriente.

Nonostante le numerose difficoltà da superare per entrare e uscire dalla Cisgiordania, per le insegnanti e le direttrici scolastiche di Ramallah e Betlemme questo incontro cairota rappresenta una boccata d’aria fresca.

«Fa bene sentirsi sostenute, in rete», osserva Samia Alama, insegnante di matematica nella scuola femminile delle suore di San Giuseppe, a Betlemme.

E’ esausta, ma con una determinazione incrollabile nel voler sostenere le sue allieve in questo periodo di guerra.
La sua collega Tina Hazboun, docente dell’università di Betlemme, ammette: «Siamo costrette a sorridere, nonostante la tristezza».

Gli effetti della guerra sulle scuole

La guerra scoppiata il 7 ottobre 2023 non ha risparmiato il sistema educativo palestinese.

«Ci vuole molta pazienza», spiega suor Silouane, che coordina l’insegnamento del francese nelle 10 scuole latine dei Territori palestinesi.

Le scuole in Cisgiordania aprono e chiudono a seconda dei combattimenti, della frequenza delle incursioni o del numero di vittime.

Inoltre, se durante la notte le forze di occupazione israeliane istituiscono posti di blocco, alcuni studenti non possono più recarsi a scuola: «Un giorno c’è scuola, un giorno no, a volte all’appello mancano gli studenti, altre volte i professori», osserva suor Silouane.

Le scuole cristiane nei territori

Nelle 65 scuole cristiane dei territori palestinesi sono inscritti 22 mila allievi, di cui 8 mila cristiani.

Prima dell’offensiva israeliana, nella Striscia di Gaza c’erano quattro scuole cristiane, di cui due del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Quella della Sacra Famiglia è stata parzialmente distrutta durante l’offensiva militare e tanti professori e genitori degli studenti sono stati uccisi, «anche alcuni studenti cristiani», dice sospirando la religiosa francese.

Nonostante il cessate il fuoco in vigore dal 15 gennaio, la guerra non è scomparsa dalla quotidianità degli alunni.

Lontano dai radar dei media, le incursioni israeliane e la chiusura di strade in Cisgiordania si sono addirittura moltiplicate.
«La guerra non finirà mai, c’è il boato dei missili, ci sono la paura e l’angoscia», racconta suor Silouane.

I traumi sui bambini

La guerra ha inevitabili conseguenze sulla salute mentale degli studenti.

«Stiamo vivendo una situazione critica per gli allievi e le loro famiglie», spiega Naela Rabah, direttrice della scuola greco-cattolica di Ramallah, un istituto misto del Patriarcato melchita di Gerusalemme.

«Non si tratta solo di fare lezione, noi cerchiamo di prenderci cura degli studenti anche a livello psicologico».

L’immensa stanchezza del vivere quotidiano è palpabile in Naela Rabah: «La depressione non colpisce solo gli studenti e le loro famiglie, ma anche i professori», confessa. Eppure l’energica direttrice non si risparmia per garantire il benessere dei suoi allievi.

Stessa considerazione per le due insegnanti e amiche della scuola delle suore di San Giuseppe a Betlemme: «Le ragazze ci chiedono: “Perché imparare quando non c’è futuro?”», dicono, commosse ma battagliere.

«Bisogna fare in modo che i bambini abbiano voglia di restare in Palestina», affermano.
Perciò Tina Hazboun ha creato un programma speciale per le donne nella filiera tecnologica, una garanzia di motivazione e di emancipazione nella loro terra.

I dati dell’Unicef

Secondo l’Unicef, i bambini scolarizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono 782.000, ma secondo il ministero dell’Istruzione locale, da ottobre 2023, tra l’8 e il 20% delle scuole dei territori palestinesi occupati sono state chiuse.

Se la situazione politica resta ufficialmente fuori dalle aule, nell’orario scolastico sono previsti momenti di dialogo, individuali o in gruppo, a seconda dei bisogni dei bambini.

«Lavoriamo molto su come capire gli altri, su come comunicare con le persone che hanno opinioni diverse dalle nostre, su come accettare gli altri …», spiega Naela Rabah, direttrice dell’istituto di Ramallah che accoglie, come tutte le scuole cristiane, bambini di tutte le confessioni.

«In tutto il Medio Oriente, bisogna imparare a praticare la non violenza, cioè come reagire nei conflitti, a non cedere alla rabbia, a trovare soluzioni di pace, a dialogare, ad accompagnare l’altro», aggiunge suor Silouane.

Scuole di dialogo

A Betlemme, culla del cristianesimo ma anche della convivenza religiosa, l’istituto San Giuseppe accoglie 800 allieve, di cui 50% musulmane, e «non c’è nessun problema», spiega semplicemente Samia Alama, «i musulmani sono abituati a parlare con noi».

Le scuole non sono “zone protette” e non vengono quindi risparmiate dalle difficoltà economiche generate dalla guerra.

Soprattutto a Betlemme, da un giorno all’altro i pellegrini non sono più arrivati, e la maggior parte dei genitori degli alunni lavorava proprio nel settore del turismo o dei pellegrinaggi.

Alcuni non riescono più a pagare le rette scolastiche, già ridotte al minimo.

Questo clima economico sfavorevole grava sul morale dei genitori e di conseguenza su quello dei bambini e degli adolescenti.

Questi ultimi hanno tante aspirazioni, ma «sono realisti, vedono bene che molte porte sono chiuse» osserva rattristata suor Silouane, «bisognerà convivere con questa realtà».

Redazione Italia

A che punto è la notte?

Genocidio a Gaza
La carneficina israeliana a Gaza continua. Ieri sono stati uccisi due pescatori palestinesi mentre tentavano di guadagnarsi da vivere e sfamare le loro famiglie. Dopo la loro uccisione, le loro barche sono state colpite da raffiche di mitra e affondate. Il numero totale dei civili uccisi o scomparsi dall’inizio dell’aggressione ha superato la cifra di 65 mila. I feriti invece sono stati 111. 676.

Cisgiordania
Mentre continua l’offensiva su Jenin, due attacchi sono stati sferrati dall’esercito israeliano a Nablus e Tulkarem. Al campo di Askar è stato assassinato Adel Bashkar, 19 anni, colpito da una pallottola al torace. Al campo profughi di Nour Shams, invece, sono stati assassinati tre giovani palestinesi.

Dall’inizio dell’offensiva militare israeliana (21 gennaio), mirante alla cacciata dei palestinesi dalla loro terra per annetterla, a Tulkarem sono stati assassinati 11 civili, comprese due donne di cui una incinta all’ottavo mese ed un bambino di 7 anni. Nei comunicati militari israeliani, ripresi senza verifica dai giornalisti, scudo mediatico dell’occupazione, tutte le vittime sarebbero terroristi. Anche il bambino di 7 anni e la donna incinta all’ottavo mese.

Dall’inizio della guerra contro la popolazione di Gaza, in Cisgiordania l’offensiva israeliana ha ucciso assassinato 916 civili, di cui 183 bambini, e ferito oltre 7 mila persone. Dall’inizio del 2024, gli assassinati sono stati 81, di cui 11 bambini.
Scambio prigionieri e trattative

Avviene oggi il 6° scambio di prigionieri tra Hamas e Netanyahu

3 ostaggi in mano di Hamas e Jihad islamica sono stati consegnati, a Khan Younis, alla Croce rossa internazionale, nella consueta forma pubblica con palco, doni e ringraziamenti. I tre israeliani sono apparsi in buona forma dopo 480 giorni di prigionia. Nel pomeriggio saranno rilasciati 369 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane.

Egitto e Lega araba
Il 20 febbraio si terrà a Riad un vertice di 5 paesi arabi (Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Qatar). All’ordine del giorno: come far fronte al criminale piano Trump di occupare Gaza e cacciarne la popolazione, per farne un affare immobiliare con lunga manus israeliana.

Tutti i paesi della conferenza sono legati mani e piedi alla politica imperialista degli USA. Dipendono dalla Casa Bianca per la fornitura di armi, per la protezione militare con la presenza di basi militari sul loro territorio (tranne Il Cairo) e per il sostegno politico e diplomatico in quanto questi paesi non hanno una legittimità democratica interna. Solo mettendosi insieme, ossequiosi alla corte del tycoon, potranno trovare la forza di ammorbidire le intenzioni di Trump e schivare le minacce di Tel Aviv.
Alla conclusione dell’incontro di Riad si conosceranno ufficialmente gli elementi della proposta egiziana per la ricostruzione di Gaza senza cacciarne la popolazione.

Conferenza di Doha
Si terrà a Doha (17-18-19 febbraio 2025) una conferenza palestinese, convocata da diverse realtà sia palestinesi che arabe, per discutere della rappresentanza popolare. È un’iniziativa che appare animata da intenzioni positive per realizzare una nuova unità palestinese, per rafforzare la risposta ai piani del sionismo religioso, rappresentato dal governo Netanyahu, di annessione totale della Palestina storica.

Ci sono migliaia di articoli di commento e di opinioni apparsi sulla stampa araba, ma non si evince da chi sia stata convocata. Malgrado le buone intenzioni, il rischio è che ci si perda in accuse reciproche tra le varie organizzazioni politiche, facendo cadere la rappresentanza politica del popolo palestinese intestata all’OLP.
Il fatto che ad ospitare l’assise sia Doha è un indice grave di condizionamento islamista della conferenza e delle sue eventuali risoluzioni. Il mancato coinvolgimento di Al-Fatah, l’organizzazione che detiene attualmente la gestione di OLP e ANP, è un dato pericoloso. Infatti sia Al-Fatah sia l’ANP hanno pubblicato comunicati di fuoco contro l’iniziativa definita “sospetta”.

Siria
Dalla Russia sono arrivati a Damasco su un cargo militare 300 miliardi di lire libanesi. Il governo siriano stampa la propria valuta in Russia. La Banca centrale siriana potrà affrontare la crisi di liquidità. È anche un segnale di distensione nelle relazioni tra Damasco e Mosca.

Rimane grave la situazione nel nord e nord est del paese. Oltre agli attacchi delle milizie islamiste filoturche, con il silenzio-assenso dei nuovi padroni di Damasco, la stessa aeronautica turca continua a martellare Kobane e le province autonome del Rojava. Alle attività belliche contro le zone autonome curde si aggiungono gli attacchi terroristici jihadisti.
Il campo profughi el-Hol dove sono raccolte le famiglie dei terroristi di Daesh (ISIS) rischia la chiusura. L’amministrazione Trump ha annunciato che non coprirà più i costi di gestione, mentre la maggior parte dei paesi europei si rifiutano di riprendersi indietro i loro cittadini.

ANBAMED