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Argomento

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Evo Morales sostiene di essere candidabile, la legge dice di no

«Siamo pienamente abilitati a presentarci alle elezioni. È impressionante il sostegno che stiamo ricevendo: sono sicuro che vinceremo le elezioni col 60%!». A parlare alla ristretta cerchia di militanti giunti dalle più remote province del paese, è Evo Morales, già presidente dello Stato plurinazionale della Bolivia e da più di due anni diretto avversario dell’attuale presidente Luis Lucho Arce Catacora. Non ci sarebbe niente di strano in quest’affermazione se non fosse che Evo e Lucho fanno parte, perlomeno ancora formalmente, dello stesso partito: il Movimento al socialismo-Strumento per la sovranità dei popoli (Mas-Ipsp).

Da due anni Evo sta spaccando il partito giungendo alla creazione di quel che è stato definito un Mas-parallelo rispetto a quello istituzionale e riconosciuto giuridicamente. In queste settimane, però, Morales è messo alle strette dalla giustizia: il tribunale di Tarija lo ha accusato di violenza sessuale su di una minorenne, fatto che risalirebbe attorno a due lustri fa. L’ex presidente non si sta presentando in tribunale, nonostante le convocazioni, e su di lui ora pende un mandato di cattura: obbligato al domicilio presso la sua residenza, non può uscire dalla regione del Chiapare in cui si sente protetto da settori politici, sindacali e dell’associazionismo legati alla realtà dei cocaleros che pure presiede.

Un outsider?
Il personaggio vicino a Evo che sta emergendo in questa circostanza è Andronico Rodriguez, giovane esponente del Mas-Ipsp, vicepresidente del Senato, è sostenitore della fazione anti Lucho. È lui a rappresentare il volto nuovo della fazione evista nonché la possibile cerniera tra le due correnti politiche. Tuttavia, sebbene la stampa boliviana abbia diffuso notizie che prevederebbero un possibile accordo di pacificazione nel partito prevedendo Arce candidato alla presidenza e Rodriguez come vice, lo stesso senatore si è detto indisponibile al tandem. «Ci sono state speculazioni e informazioni false che hanno attribuito il mio nome addirittura come candidato alla presidenza», ha dichiarato Andronico Rodriguez l’8 febbraio [2025] in un comizio dei sostenitori di Morales tenutosi nella città di Cochabamba, «il movimento popolare che si è unito attorno al nome di Evo Morales lo sosterrà [ancora] alla presidenza in vista delle prossime elezioni». Come a volersi smarcare dalle ricostruzioni della stampa, ha ribadito il proprio sostegno all’ex presidente. Chissà, però, che non succeda il contrario: in fondo alcune dichiarazioni servono in determinate circostanze specifiche ma lasciano il tempo che trovano nel lungo periodo. Succede così anche in Italia, d’altra parte.

Divisioni interne ed esterne
«È evidente che ci sia uno scontro tra gruppi di potere. Poche persone vorrebbero far naufragare il percorso che fece nascere lo strumento politico. Non so, davvero, come mai Evo Morales voglia tornare al potere costi quel che costi, giungendo a voler dividere e spaccare il Mas, così come le organizzazioni sociali che ne fanno parte», ha dichiarato raggiunta al telefono Julia Damiana Ramos Sanchez, vice presidente della direzione nazionale del Mas-Ipsp e direttrice esecutiva delle Bartolinas (l’organizzazione femminile del partito) della regione di Tarija. Già deputata nel primo esecutivo Morales, successivamente ministra, Ramos Sanchez conosce bene quel che orbita socialmente e politicamente attorno all’ex presidente: «C’è stato un referendum nel 2016» – ha aggiunto – «e il risultato ha espresso chiaramente come Evo non possa continuare ad essere candidato all’infinito, tanto più che non può farlo legalmente data la Costituzione». Costituzione che lo stesso Morales modificò una volta al potere, così come mutò anche lo status giuridico della Bolivia divenuto «Stato Plurinazionale» al fine di valorizzare ogni componente indigena e originaria del paese.

Ma questo ora a Evo non importa più
Vuole tornare al potere a tutti i costi e per farlo incita parti di organizzazioni sociali a lui fedeli di bloccare le principali strade del paese, di scendere in piazza quasi giornalmente, di diffondere notizie false tramite Radio Kawsachun Coca. Da settimane militanti a lui vicini stanno raggiungendo il suo domicilio, riunendosi con lui presso i locali della Seis federaciones, per «dimostrargli l’affetto e il sostegno politico». Una settimana fa una porzione consistente dei presidenti delle municipalità del dipartimento della capitale politica (La Paz) hanno riconosciuto Evo come candidato alla presidenza alle prossime elezioni che si terranno in agosto. Per dare un’idea dello scontro in atto: il 22 gennaio dello scorso anno i blocchi stradali messi in atto dai sostenitori dell’ex presidente sono durati più di due mesi e avevano paralizzato le principali arterie autostradali. Secondo l’Istituto boliviano per il commercio estero, in quei giorni il paese «perse circa 75 milioni di dollari al giorno». Un dato nefasto per la Bolivia che sta affrontando una crisi economica che si riflette in ogni ambito della vita delle persone: produttiva e sociale.

«In Bolivia c’era crisi ieri, c’è oggi e ci sarà domani: non è una novità. Evo sta utilizzando la situazione per scopi politici e soprattutto per coprire le accuse pendenti nei suoi confronti», ha spiegato da El Alto, alla periferia del mondo, don Riccardo Giavarini, direttore generale della Fundacion Munacim Kullakita. Bergamasco di Telgate, missionario laico, è in Bolivia dal 1977 ma sacerdote dal 2023, dopo aver ripreso gli studi di teologia interrotti a seguito della vita matrimoniale con Bertha Blanco (tra le fondatrici del Mas-Ipsp) venuta a mancare nel 2020 a causa del Covid.

La violenza è ovunque
L’accusa più grave a cui Morales deve far fronte è quella di abuso sessuale di una minorenne (come s’è accennato sopra): il tribunale della città di Tarija ha sancito che non può allontanarsi dal paese ed è stato anche emanato un ordine di cattura nei suoi confronti. Sollecitato per tre volte a presentarsi in tribunale, Morales ha sempre disertato l’aula. «Il punto è che Evo è dipendente dall’abuso di donne e di ragazze minorenni in termini di tratta e traffico», tuona Giavarini, che di questi argomenti ne sa qualcosa dato il suo impegno quotidiano con la struttura che dirige.

Il quotidiano boliviano «La Razon», che pure sarebbe vicino alle istanze del Mas-Ipsp, nell’edizione di lunedì 3 febbraio [2025] ha pubblicato numeri piuttosto eloquenti riguardo lo sfruttamento minorile nel paese: «In 11 anni si sono registrati 6.001 matrimoni tra uomini e ragazze minorenni la cui età si aggira tra i 16 e i 17 anni». Ancora: «nel 6,06% dei casi registrati l’età dello sposo è fino a tre volte superiore a quella della sposa». Una situazione evidentemente esplosiva che rappresenta, purtroppo, un costume diffusissimo nel paese.

«Nel carcere minorile di Qalauma [nella città di Viacha] i delitti riconducibili alla violenza sessuale sono tra i più commessi», afferma Giavarini «manca una vera educazione sessuale, alla reciprocità e non vengono veicolati messaggi ed esempi positivi da parte delle istituzioni (che siano governative o scoladtiche); si sono naturalizzati dei comportamenti che vedono la figura femminile solo come strumento di piacere maschile. La donna non è vista come portatrice di soggettività, partecipazione, dignità e uguaglianza: qui a El Alto le ragazzine popolano i locali notturni».

La situazione, dunque, sembra non possa giungere ad una soluzione rapida. Anzi. Lo scontro tra fazioni del Mas-Ipsp, così come quello delle organizzazioni sociali ad esso legate, parrebbe essere destinato ad una recrudescenza sempre maggiore: sulle elezioni che si terranno ad agosto aleggia lo spettro di nuovi scontri sociali, com’è avvenuto per il tentato golpe dello scorso anno e per la Marcia per la vita a cui hanno partecipato i sostenitori di Morales il 14 gennaio [2025] terminata in scontri, lanci di molotov da parte dei manifestanti e lacrimogeni da parte della forza pubblica. La Bolivia, secondo paese al mondo per colpi di stato (35, dietro al Cile che ne vanta 36), non ha ancora trovato una stabilità nella democrazia.

Marco Piccinelli

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Evo Morales sostiene di essere candidabile, la legge dice di no

«Siamo pienamente abilitati a presentarci alle elezioni. È impressionante il sostegno che stiamo ricevendo: sono sicuro che vinceremo le elezioni col 60%!». A parlare alla ristretta cerchia di militanti giunti dalle più remote province del paese, è Evo Morales, già presidente dello Stato plurinazionale della Bolivia e da più di due anni diretto avversario dell’attuale presidente Luis Lucho Arce Catacora. Non ci sarebbe niente di strano in quest’affermazione se non fosse che Evo e Lucho fanno parte, perlomeno ancora formalmente, dello stesso partito: il Movimento al socialismo-Strumento per la sovranità dei popoli (Mas-Ipsp).

Da due anni Evo sta spaccando il partito giungendo alla creazione di quel che è stato definito un Mas-parallelo rispetto a quello istituzionale e riconosciuto giuridicamente. In queste settimane, però, Morales è messo alle strette dalla giustizia: il tribunale di Tarija lo ha accusato di violenza sessuale su di una minorenne, fatto che risalirebbe attorno a due lustri fa. L’ex presidente non si sta presentando in tribunale, nonostante le convocazioni, e su di lui ora pende un mandato di cattura: obbligato al domicilio presso la sua residenza, non può uscire dalla regione del Chiapare in cui si sente protetto da settori politici, sindacali e dell’associazionismo legati alla realtà dei cocaleros che pure presiede.

Un outsider?
Il personaggio vicino a Evo che sta emergendo in questa circostanza è Andronico Rodriguez, giovane esponente del Mas-Ipsp, vicepresidente del Senato, è sostenitore della fazione anti Lucho. È lui a rappresentare il volto nuovo della fazione evista nonché la possibile cerniera tra le due correnti politiche. Tuttavia, sebbene la stampa boliviana abbia diffuso notizie che prevederebbero un possibile accordo di pacificazione nel partito prevedendo Arce candidato alla presidenza e Rodriguez come vice, lo stesso senatore si è detto indisponibile al tandem. «Ci sono state speculazioni e informazioni false che hanno attribuito il mio nome addirittura come candidato alla presidenza», ha dichiarato Andronico Rodriguez l’8 febbraio [2025] in un comizio dei sostenitori di Morales tenutosi nella città di Cochabamba, «il movimento popolare che si è unito attorno al nome di Evo Morales lo sosterrà [ancora] alla presidenza in vista delle prossime elezioni». Come a volersi smarcare dalle ricostruzioni della stampa, ha ribadito il proprio sostegno all’ex presidente. Chissà, però, che non succeda il contrario: in fondo alcune dichiarazioni servono in determinate circostanze specifiche ma lasciano il tempo che trovano nel lungo periodo. Succede così anche in Italia, d’altra parte.

Divisioni interne ed esterne
«È evidente che ci sia uno scontro tra gruppi di potere. Poche persone vorrebbero far naufragare il percorso che fece nascere lo strumento politico. Non so, davvero, come mai Evo Morales voglia tornare al potere costi quel che costi, giungendo a voler dividere e spaccare il Mas, così come le organizzazioni sociali che ne fanno parte», ha dichiarato raggiunta al telefono Julia Damiana Ramos Sanchez, vice presidente della direzione nazionale del Mas-Ipsp e direttrice esecutiva delle Bartolinas (l’organizzazione femminile del partito) della regione di Tarija. Già deputata nel primo esecutivo Morales, successivamente ministra, Ramos Sanchez conosce bene quel che orbita socialmente e politicamente attorno all’ex presidente: «C’è stato un referendum nel 2016» – ha aggiunto – «e il risultato ha espresso chiaramente come Evo non possa continuare ad essere candidato all’infinito, tanto più che non può farlo legalmente data la Costituzione». Costituzione che lo stesso Morales modificò una volta al potere, così come mutò anche lo status giuridico della Bolivia divenuto «Stato Plurinazionale» al fine di valorizzare ogni componente indigena e originaria del paese.

Ma questo ora a Evo non importa più
Vuole tornare al potere a tutti i costi e per farlo incita parti di organizzazioni sociali a lui fedeli di bloccare le principali strade del paese, di scendere in piazza quasi giornalmente, di diffondere notizie false tramite Radio Kawsachun Coca. Da settimane militanti a lui vicini stanno raggiungendo il suo domicilio, riunendosi con lui presso i locali della Seis federaciones, per «dimostrargli l’affetto e il sostegno politico». Una settimana fa una porzione consistente dei presidenti delle municipalità del dipartimento della capitale politica (La Paz) hanno riconosciuto Evo come candidato alla presidenza alle prossime elezioni che si terranno in agosto. Per dare un’idea dello scontro in atto: il 22 gennaio dello scorso anno i blocchi stradali messi in atto dai sostenitori dell’ex presidente sono durati più di due mesi e avevano paralizzato le principali arterie autostradali. Secondo l’Istituto boliviano per il commercio estero, in quei giorni il paese «perse circa 75 milioni di dollari al giorno». Un dato nefasto per la Bolivia che sta affrontando una crisi economica che si riflette in ogni ambito della vita delle persone: produttiva e sociale.

«In Bolivia c’era crisi ieri, c’è oggi e ci sarà domani: non è una novità. Evo sta utilizzando la situazione per scopi politici e soprattutto per coprire le accuse pendenti nei suoi confronti», ha spiegato da El Alto, alla periferia del mondo, don Riccardo Giavarini, direttore generale della Fundacion Munacim Kullakita. Bergamasco di Telgate, missionario laico, è in Bolivia dal 1977 ma sacerdote dal 2023, dopo aver ripreso gli studi di teologia interrotti a seguito della vita matrimoniale con Bertha Blanco (tra le fondatrici del Mas-Ipsp) venuta a mancare nel 2020 a causa del Covid.

La violenza è ovunque
L’accusa più grave a cui Morales deve far fronte è quella di abuso sessuale di una minorenne (come s’è accennato sopra): il tribunale della città di Tarija ha sancito che non può allontanarsi dal paese ed è stato anche emanato un ordine di cattura nei suoi confronti. Sollecitato per tre volte a presentarsi in tribunale, Morales ha sempre disertato l’aula. «Il punto è che Evo è dipendente dall’abuso di donne e di ragazze minorenni in termini di tratta e traffico», tuona Giavarini, che di questi argomenti ne sa qualcosa dato il suo impegno quotidiano con la struttura che dirige.

Il quotidiano boliviano «La Razon», che pure sarebbe vicino alle istanze del Mas-Ipsp, nell’edizione di lunedì 3 febbraio [2025] ha pubblicato numeri piuttosto eloquenti riguardo lo sfruttamento minorile nel paese: «In 11 anni si sono registrati 6.001 matrimoni tra uomini e ragazze minorenni la cui età si aggira tra i 16 e i 17 anni». Ancora: «nel 6,06% dei casi registrati l’età dello sposo è fino a tre volte superiore a quella della sposa». Una situazione evidentemente esplosiva che rappresenta, purtroppo, un costume diffusissimo nel paese.

«Nel carcere minorile di Qalauma [nella città di Viacha] i delitti riconducibili alla violenza sessuale sono tra i più commessi», afferma Giavarini «manca una vera educazione sessuale, alla reciprocità e non vengono veicolati messaggi ed esempi positivi da parte delle istituzioni (che siano governative o scoladtiche); si sono naturalizzati dei comportamenti che vedono la figura femminile solo come strumento di piacere maschile. La donna non è vista come portatrice di soggettività, partecipazione, dignità e uguaglianza: qui a El Alto le ragazzine popolano i locali notturni».

La situazione, dunque, sembra non possa giungere ad una soluzione rapida. Anzi. Lo scontro tra fazioni del Mas-Ipsp, così come quello delle organizzazioni sociali ad esso legate, parrebbe essere destinato ad una recrudescenza sempre maggiore: sulle elezioni che si terranno ad agosto aleggia lo spettro di nuovi scontri sociali, com’è avvenuto per il tentato golpe dello scorso anno e per la Marcia per la vita a cui hanno partecipato i sostenitori di Morales il 14 gennaio [2025] terminata in scontri, lanci di molotov da parte dei manifestanti e lacrimogeni da parte della forza pubblica. La Bolivia, secondo paese al mondo per colpi di stato (35, dietro al Cile che ne vanta 36), non ha ancora trovato una stabilità nella democrazia.

Marco Piccinelli