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Germania

Il Ruanda alimenta la guerra in Congo

Il sostegno tedesco al Ruanda viene accolto con proteste a causa della guerra del Paese nel Congo orientale. In pratica, un accordo dell’UE sulle materie prime con il Ruanda favorisce anche l’importazione in Germania di “minerali insanguinati” rubati nel Congo orientale.

Decenni di sostegno al Ruanda da parte della Germania e dell’UE stanno suscitando sempre più proteste per il ruolo assunto dalla Repubblica federale tedesca nella guerra nel Congo orientale. Per decenni, il governo ruandese di Kigali ha sostenuto ogni tipo di milizia nelle vicine province del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, che saccheggia le materie prime su larga scala e le contrabbanda in Ruanda. Kigali ne ricava miliardi, mentre le milizie del Congo orientale continuano la guerra. Negli ultimi mesi e settimane, la milizia M23 (Movimento 23 Marzo di etnia tutsi N.d.T) ha conquistato ampie zone delle province del Kivu con il sostegno diretto in prima linea dei soldati delle forze armate ruandesi causando l’attuale fuga di tantissimi congolesi.

La Germania collabora da tempo a stretto contatto con il Ruanda, ex colonia del Reich tedesco, Paese che assunto ultimamente una certa rilevanza per Berlino anche come luogo di esternalizzazione delle domande di asilo in zone remote del mondo. Inoltre, l’anno scorso, l’UE ha concluso un accordo con Kigali che prevede la fornitura di materie prime fondamentali. Gli osservatori ipotizzano che grazie a questo accordo anche i “minerali insanguinati” provenienti dalla guerra nel Congo orientale raggiungeranno l’Europa.

L’interesse per il Ruanda

La Germania, insieme ad altri Paesi occidentali e all’Unione Europea collabora da anni con il Ruanda, considerando il suo passato da ex colonia dell’Impero tedesco dal 1884 al 1916. Berlino versa a Kigali ingenti somme dal suo bilancio per lo sviluppo; di recente, nell’ottobre 2022, ha promesso una somma di 93,6 milioni di euro per un periodo di tre anni, due terzi dei quali sono stati destinati alla cosiddetta “cooperazione finanziaria” per la promozione degli investimenti [1]. Il Ruanda è uno dei Paesi che la Germania ha incluso nel progetto Compact with Africa, che mira a migliorare le condizioni quadro per gli investimenti stranieri nei Paesi africani partecipanti. Inoltre, a Kigali è stato istituito un Business Desk tedesco per la promozione degli investimenti.

Inoltre, nel 2019 il Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico ha inaugurato un centro digitale che, secondo le informazioni ufficiali, è destinato a “fare da ponte” tra le aziende e gli istituti di ricerca tedeschi e ruandesi [2]. Volkswagen ha uno stabilimento a Kigali dal 2018 e anche il produttore tedesco di vaccini BioNTech vi è rappresentato dal 2023. Il Ruanda è ovviamente noto in Europa soprattutto come potenziale partner di cooperazione per i piani di trasferimento dei richiedenti asilo in Paesi lontani; l’opzione è stata presa in considerazione anche a Berlino [3].

Fornitore di materie prime

Tuttavia, il Ruanda riveste un’importanza cruciale come fornitore di materie prime. Da decenni gli osservatori sottolineano che il Paese esporta quantità significativamente superiori a quelle prodotte sul proprio territorio. Gran parte delle esportazioni di materie prime del Ruanda provengono proprio dalle zone limitrofe della Repubblica Democratica del Congo, in particolare dalle province congolesi orientali del Nord e del Sud Kivu, che ne sono estremamente ricche. Dall’inizio della grande guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo nel 1996, Kigali ha sostenuto le milizie, in particolare nel Nord Kivu, che trasportano illegalmente una parte significativa delle risorse minerarie attraverso il confine con il Ruanda. Ciò significa che Kinshasa sta perdendo ingenti somme di denaro; nel 2023, il ministro delle Finanze della RDC, Nicolas Kazadi, ha stimato l’importo in un miliardo di dollari USA all’anno [4].

In questo contesto appare evidente che il ruolo delle milizie sostenute dal Ruanda è quello di assicurare il proseguimento della guerra nel Congo orientale – sponsorizzata da Kigali. Due decenni fa, le organizzazioni per i diritti umani hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del coltan – il minerale, utilizzato ad esempio per la produzione di telefoni cellulari- che viene estratto nel Nord Kivu, spesso nelle peggiori condizioni di lavoro, contrabbandato in Ruanda e da lì esportato. Kigali incassa i profitti, mentre nel Congo orientale permangono guerra e miseria.

Minerali insanguinati

Anni di campagne contro l’approvvigionamento di “minerali insanguinati” dal Congo orientale attraverso il Ruanda sono semplicemente fallite perché gli Stati occidentali – ben riforniti di materie prime – collaborano strettamente con Kigali, coprendo così efficacemente il contrabbando e la furia delle milizie sostenute dal Ruanda nel Congo orientale. Nel febbraio dello scorso anno, l’UE ha persino concluso un memorandum d’intesa con il governo ruandese, che prevede una stretta cooperazione nell’estrazione e nella lavorazione delle risorse naturali. L’attenzione è rivolta alle cosiddette materie prime critiche, indispensabili per le tecnologie della transizione energetica. La Commissione UE sottolinea esplicitamente che il Ruanda esporta quantità particolarmente elevate di tantalio [5], estratto tra l’altro dal coltan. Le organizzazioni per i diritti umani avvertono che c’è un alto rischio di ingresso nell’UE di “minerali insanguinati” sulla base del Memorandum d’intesa [6]. Sebbene Bruxelles sostenga di avere meccanismi di controllo per garantire che questo non si verifichi, gli esperti denunciano che tali meccanismi siano stati a lungo aggirati con ogni tipo di mezzo nel contrabbando quotidiano dal Congo orientale al Ruanda, rendendoli sostanzialmente inefficaci.

Guerra di conquista

Nel 2021, il Ruanda ha riattivato la milizia M23, fondata originariamente nel 2012, per assicurarsi l’accesso alle materie prime del Congo orientale. Nel 2022, gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di avere le prove che l’M23 non solo disponeva di armi insolitamente moderne, ma era anche sostenuto da truppe delle forze armate ruandesi direttamente sul territorio della RDC. Con il loro aiuto, l’M23 ha preso il controllo di aree in crescita, compresi nuovi depositi di materie prime. Questo è continuato anche dopo la conclusione formale di un cessate il fuoco tra la RDC e il Ruanda nel luglio 2024. Inoltre, secondo gli esperti delle Nazioni Unite all’inizio del 2025 nel Nord Kivu sono stati dispiegati da 3.000 a 4.000 soldati delle forze armate ufficiali ruandesi e si ritiene che siano state coinvolte anche nell’offensiva della milizia dell’M23 [7]. Alla fine di gennaio, queste forze sono riuscite a conquistare insieme la capitale del Nord Kivu, Goma. Dopo un breve cessate il fuoco, le milizie hanno continuato i loro attacchi martedì [8] e da allora innumerevoli persone hanno perso la vita. La scorsa settimana è stato riferito che più di 2.000 persone sono state bruciate a Goma dopo l’invasione dell’M23. Secondo l’UNHCR, il numero di rifugiati costretti a vivere nelle province del Kivu, in particolare in condizioni di estrema miseria, si avvicina a cinque milioni [9].

Il corridoio verde

L’offensiva del Ruanda e l’occupazione di gran parte delle province del Kivu avvengono in un momento in cui la RDC sta offrendo all’UE la possibilità di cooperare per le riserve di materie prime del Congo orientale, come sottolinea Kambale Musavuli del Centro di ricerca sul Congo-Kinshasa. In occasione del World Economic Forum di quest’anno (20-24 gennaio) a Davos, il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha promosso la sua nuova iniziativa del corridoio verde [10], che prevede numerose misure di sviluppo in un’enorme striscia di terra lungo il fiume Congo, che vanno dalla produzione di energie rinnovabili alla promozione dell’agricoltura e alla creazione di infrastrutture di trasporto. Il corridoio verde è un progetto a lungo termine destinato a collegare le province orientali congolesi del Kivu con la capitale Kinshasa [11].

Come riferisce Kambale Musavuli, il corridoio è in grado di competere con la tradizionale rotta di trasporto e contrabbando che dalle province del Kivu conduce in Kenya attraverso il Ruanda e l’Uganda. La Commissione europea ha recentemente confermato di voler sostenere la creazione del corridoio verde – e la relativa costruzione di infrastrutture di trasporto [12]. In definitiva, attraverso questo corridoio si potrebbero trasportare fino a un milione di tonnellate di prodotti agricoli dalle province del Kivu a Kinshasa ogni anno, materie prime comprese.

La protesta

Nel frattempo si stanno moltiplicando le proteste contro la guerra nelle province del Kivu, contro l’occupazione di ampie zone della regione da parte delle milizie dell’M23 e delle truppe ruandesi e contro l’approvazione delle azioni omicide da parte degli Stati occidentali. Alla fine di gennaio, manifestanti infuriati a Kinshasa hanno attaccato le ambasciate del Ruanda, degli Stati Uniti, della Francia e del Belgio, tra gli altri [13]. Da allora si sono svolte proteste anche in altre città della RDC e anche in Germania gli attivisti contestano l’approvazione implicita della Germania della guerra ruandese nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

Fonti

  • [1], [2] Ruanda. bmz.de.
  • [3] Judith Kohlenberger: Das Ruanda-Modell ist gescheitert – das sollte man endlich auch in Berlin verstehen. spiegel.de 17.07.2024. Vedi anche Die “Option Ruanda”.
  • [4] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [5] EU and Rwanda sign a Memorandum of Understanding on Sustainable Raw Materials Value Chains. ec.europa.eu 19.02.2024.
  • [6] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [7] Romain Chanson: RDC, Rwanda et M23 : ce que contient le dernier rapport de l’ONU. jeuneafrique.com 08.01.2025.
  • [8] Amid DR Congo ceasefire, Goma residents race to bury 2,000 bodies. aljazeera.com 05.02.2025. Rwanda-backed M23 fighters resume attacks in DR Congo after two-day pause. aljazeera.com 11.02.2025.
  • [9] UNHCR gravely concerned by worsening violence and humanitarian crisis in eastern DR Congo. unhcr.org 24.01.2025.
  • [10] Kambale Musavuli: Congolese General Cirimwami assassinated in North Kivu, escalating the region’s crisis. peoplesdispatch.org 25.01.2025.
  • [11] Gill Einhorn, Emmanuel de Merode: The Democratic Republic of Congo to create the Earth’s largest protected tropical forest reserve. weforum.org 22.01.2025.
  • [12] Global Gateway: A Green Corridor preserving the last lungs of the earth through green economic growth. international-partnerships.ec.europa.eu 22.01.2025.
  • [13] Protesters attack French, US, Rwandan embassies in DRC. aljazeera.com 28.01.2025.

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Barbara Segato

GERMAN-FOREIGN-POLICY.com

Il Ruanda alimenta la guerra in Congo

Il sostegno tedesco al Ruanda viene accolto con proteste a causa della guerra del Paese nel Congo orientale. In pratica, un accordo dell’UE sulle materie prime con il Ruanda favorisce anche l’importazione in Germania di “minerali insanguinati” rubati nel Congo orientale.

Decenni di sostegno al Ruanda da parte della Germania e dell’UE stanno suscitando sempre più proteste per il ruolo assunto dalla Repubblica federale tedesca nella guerra nel Congo orientale. Per decenni, il governo ruandese di Kigali ha sostenuto ogni tipo di milizia nelle vicine province del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, che saccheggia le materie prime su larga scala e le contrabbanda in Ruanda. Kigali ne ricava miliardi, mentre le milizie del Congo orientale continuano la guerra. Negli ultimi mesi e settimane, la milizia M23 (Movimento 23 Marzo di etnia tutsi N.d.T) ha conquistato ampie zone delle province del Kivu con il sostegno diretto in prima linea dei soldati delle forze armate ruandesi causando l’attuale fuga di tantissimi congolesi.

La Germania collabora da tempo a stretto contatto con il Ruanda, ex colonia del Reich tedesco, Paese che assunto ultimamente una certa rilevanza per Berlino anche come luogo di esternalizzazione delle domande di asilo in zone remote del mondo. Inoltre, l’anno scorso, l’UE ha concluso un accordo con Kigali che prevede la fornitura di materie prime fondamentali. Gli osservatori ipotizzano che grazie a questo accordo anche i “minerali insanguinati” provenienti dalla guerra nel Congo orientale raggiungeranno l’Europa.

L’interesse per il Ruanda

La Germania, insieme ad altri Paesi occidentali e all’Unione Europea collabora da anni con il Ruanda, considerando il suo passato da ex colonia dell’Impero tedesco dal 1884 al 1916. Berlino versa a Kigali ingenti somme dal suo bilancio per lo sviluppo; di recente, nell’ottobre 2022, ha promesso una somma di 93,6 milioni di euro per un periodo di tre anni, due terzi dei quali sono stati destinati alla cosiddetta “cooperazione finanziaria” per la promozione degli investimenti [1]. Il Ruanda è uno dei Paesi che la Germania ha incluso nel progetto Compact with Africa, che mira a migliorare le condizioni quadro per gli investimenti stranieri nei Paesi africani partecipanti. Inoltre, a Kigali è stato istituito un Business Desk tedesco per la promozione degli investimenti.

Inoltre, nel 2019 il Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico ha inaugurato un centro digitale che, secondo le informazioni ufficiali, è destinato a “fare da ponte” tra le aziende e gli istituti di ricerca tedeschi e ruandesi [2]. Volkswagen ha uno stabilimento a Kigali dal 2018 e anche il produttore tedesco di vaccini BioNTech vi è rappresentato dal 2023. Il Ruanda è ovviamente noto in Europa soprattutto come potenziale partner di cooperazione per i piani di trasferimento dei richiedenti asilo in Paesi lontani; l’opzione è stata presa in considerazione anche a Berlino [3].

Fornitore di materie prime

Tuttavia, il Ruanda riveste un’importanza cruciale come fornitore di materie prime. Da decenni gli osservatori sottolineano che il Paese esporta quantità significativamente superiori a quelle prodotte sul proprio territorio. Gran parte delle esportazioni di materie prime del Ruanda provengono proprio dalle zone limitrofe della Repubblica Democratica del Congo, in particolare dalle province congolesi orientali del Nord e del Sud Kivu, che ne sono estremamente ricche. Dall’inizio della grande guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo nel 1996, Kigali ha sostenuto le milizie, in particolare nel Nord Kivu, che trasportano illegalmente una parte significativa delle risorse minerarie attraverso il confine con il Ruanda. Ciò significa che Kinshasa sta perdendo ingenti somme di denaro; nel 2023, il ministro delle Finanze della RDC, Nicolas Kazadi, ha stimato l’importo in un miliardo di dollari USA all’anno [4].

In questo contesto appare evidente che il ruolo delle milizie sostenute dal Ruanda è quello di assicurare il proseguimento della guerra nel Congo orientale – sponsorizzata da Kigali. Due decenni fa, le organizzazioni per i diritti umani hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del coltan – il minerale, utilizzato ad esempio per la produzione di telefoni cellulari- che viene estratto nel Nord Kivu, spesso nelle peggiori condizioni di lavoro, contrabbandato in Ruanda e da lì esportato. Kigali incassa i profitti, mentre nel Congo orientale permangono guerra e miseria.

Minerali insanguinati

Anni di campagne contro l’approvvigionamento di “minerali insanguinati” dal Congo orientale attraverso il Ruanda sono semplicemente fallite perché gli Stati occidentali – ben riforniti di materie prime – collaborano strettamente con Kigali, coprendo così efficacemente il contrabbando e la furia delle milizie sostenute dal Ruanda nel Congo orientale. Nel febbraio dello scorso anno, l’UE ha persino concluso un memorandum d’intesa con il governo ruandese, che prevede una stretta cooperazione nell’estrazione e nella lavorazione delle risorse naturali. L’attenzione è rivolta alle cosiddette materie prime critiche, indispensabili per le tecnologie della transizione energetica. La Commissione UE sottolinea esplicitamente che il Ruanda esporta quantità particolarmente elevate di tantalio [5], estratto tra l’altro dal coltan. Le organizzazioni per i diritti umani avvertono che c’è un alto rischio di ingresso nell’UE di “minerali insanguinati” sulla base del Memorandum d’intesa [6]. Sebbene Bruxelles sostenga di avere meccanismi di controllo per garantire che questo non si verifichi, gli esperti denunciano che tali meccanismi siano stati a lungo aggirati con ogni tipo di mezzo nel contrabbando quotidiano dal Congo orientale al Ruanda, rendendoli sostanzialmente inefficaci.

Guerra di conquista

Nel 2021, il Ruanda ha riattivato la milizia M23, fondata originariamente nel 2012, per assicurarsi l’accesso alle materie prime del Congo orientale. Nel 2022, gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di avere le prove che l’M23 non solo disponeva di armi insolitamente moderne, ma era anche sostenuto da truppe delle forze armate ruandesi direttamente sul territorio della RDC. Con il loro aiuto, l’M23 ha preso il controllo di aree in crescita, compresi nuovi depositi di materie prime. Questo è continuato anche dopo la conclusione formale di un cessate il fuoco tra la RDC e il Ruanda nel luglio 2024. Inoltre, secondo gli esperti delle Nazioni Unite all’inizio del 2025 nel Nord Kivu sono stati dispiegati da 3.000 a 4.000 soldati delle forze armate ufficiali ruandesi e si ritiene che siano state coinvolte anche nell’offensiva della milizia dell’M23 [7]. Alla fine di gennaio, queste forze sono riuscite a conquistare insieme la capitale del Nord Kivu, Goma. Dopo un breve cessate il fuoco, le milizie hanno continuato i loro attacchi martedì [8] e da allora innumerevoli persone hanno perso la vita. La scorsa settimana è stato riferito che più di 2.000 persone sono state bruciate a Goma dopo l’invasione dell’M23. Secondo l’UNHCR, il numero di rifugiati costretti a vivere nelle province del Kivu, in particolare in condizioni di estrema miseria, si avvicina a cinque milioni [9].

Il corridoio verde

L’offensiva del Ruanda e l’occupazione di gran parte delle province del Kivu avvengono in un momento in cui la RDC sta offrendo all’UE la possibilità di cooperare per le riserve di materie prime del Congo orientale, come sottolinea Kambale Musavuli del Centro di ricerca sul Congo-Kinshasa. In occasione del World Economic Forum di quest’anno (20-24 gennaio) a Davos, il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha promosso la sua nuova iniziativa del corridoio verde [10], che prevede numerose misure di sviluppo in un’enorme striscia di terra lungo il fiume Congo, che vanno dalla produzione di energie rinnovabili alla promozione dell’agricoltura e alla creazione di infrastrutture di trasporto. Il corridoio verde è un progetto a lungo termine destinato a collegare le province orientali congolesi del Kivu con la capitale Kinshasa [11].

Come riferisce Kambale Musavuli, il corridoio è in grado di competere con la tradizionale rotta di trasporto e contrabbando che dalle province del Kivu conduce in Kenya attraverso il Ruanda e l’Uganda. La Commissione europea ha recentemente confermato di voler sostenere la creazione del corridoio verde – e la relativa costruzione di infrastrutture di trasporto [12]. In definitiva, attraverso questo corridoio si potrebbero trasportare fino a un milione di tonnellate di prodotti agricoli dalle province del Kivu a Kinshasa ogni anno, materie prime comprese.

La protesta

Nel frattempo si stanno moltiplicando le proteste contro la guerra nelle province del Kivu, contro l’occupazione di ampie zone della regione da parte delle milizie dell’M23 e delle truppe ruandesi e contro l’approvazione delle azioni omicide da parte degli Stati occidentali. Alla fine di gennaio, manifestanti infuriati a Kinshasa hanno attaccato le ambasciate del Ruanda, degli Stati Uniti, della Francia e del Belgio, tra gli altri [13]. Da allora si sono svolte proteste anche in altre città della RDC e anche in Germania gli attivisti contestano l’approvazione implicita della Germania della guerra ruandese nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

Fonti

  • [1], [2] Ruanda. bmz.de.
  • [3] Judith Kohlenberger: Das Ruanda-Modell ist gescheitert – das sollte man endlich auch in Berlin verstehen. spiegel.de 17.07.2024. Vedi anche Die “Option Ruanda”.
  • [4] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [5] EU and Rwanda sign a Memorandum of Understanding on Sustainable Raw Materials Value Chains. ec.europa.eu 19.02.2024.
  • [6] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [7] Romain Chanson: RDC, Rwanda et M23 : ce que contient le dernier rapport de l’ONU. jeuneafrique.com 08.01.2025.
  • [8] Amid DR Congo ceasefire, Goma residents race to bury 2,000 bodies. aljazeera.com 05.02.2025. Rwanda-backed M23 fighters resume attacks in DR Congo after two-day pause. aljazeera.com 11.02.2025.
  • [9] UNHCR gravely concerned by worsening violence and humanitarian crisis in eastern DR Congo. unhcr.org 24.01.2025.
  • [10] Kambale Musavuli: Congolese General Cirimwami assassinated in North Kivu, escalating the region’s crisis. peoplesdispatch.org 25.01.2025.
  • [11] Gill Einhorn, Emmanuel de Merode: The Democratic Republic of Congo to create the Earth’s largest protected tropical forest reserve. weforum.org 22.01.2025.
  • [12] Global Gateway: A Green Corridor preserving the last lungs of the earth through green economic growth. international-partnerships.ec.europa.eu 22.01.2025.
  • [13] Protesters attack French, US, Rwandan embassies in DRC. aljazeera.com 28.01.2025.

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Barbara Segato

GERMAN-FOREIGN-POLICY.com

Il Ruanda alimenta la guerra in Congo

Il sostegno tedesco al Ruanda viene accolto con proteste a causa della guerra del Paese nel Congo orientale. In pratica, un accordo dell’UE sulle materie prime con il Ruanda favorisce anche l’importazione in Germania di “minerali insanguinati” rubati nel Congo orientale.

Decenni di sostegno al Ruanda da parte della Germania e dell’UE stanno suscitando sempre più proteste per il ruolo assunto dalla Repubblica federale tedesca nella guerra nel Congo orientale. Per decenni, il governo ruandese di Kigali ha sostenuto ogni tipo di milizia nelle vicine province del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, che saccheggia le materie prime su larga scala e le contrabbanda in Ruanda. Kigali ne ricava miliardi, mentre le milizie del Congo orientale continuano la guerra. Negli ultimi mesi e settimane, la milizia M23 (Movimento 23 Marzo di etnia tutsi N.d.T) ha conquistato ampie zone delle province del Kivu con il sostegno diretto in prima linea dei soldati delle forze armate ruandesi causando l’attuale fuga di tantissimi congolesi.

La Germania collabora da tempo a stretto contatto con il Ruanda, ex colonia del Reich tedesco, Paese che assunto ultimamente una certa rilevanza per Berlino anche come luogo di esternalizzazione delle domande di asilo in zone remote del mondo. Inoltre, l’anno scorso, l’UE ha concluso un accordo con Kigali che prevede la fornitura di materie prime fondamentali. Gli osservatori ipotizzano che grazie a questo accordo anche i “minerali insanguinati” provenienti dalla guerra nel Congo orientale raggiungeranno l’Europa.

L’interesse per il Ruanda

La Germania, insieme ad altri Paesi occidentali e all’Unione Europea collabora da anni con il Ruanda, considerando il suo passato da ex colonia dell’Impero tedesco dal 1884 al 1916. Berlino versa a Kigali ingenti somme dal suo bilancio per lo sviluppo; di recente, nell’ottobre 2022, ha promesso una somma di 93,6 milioni di euro per un periodo di tre anni, due terzi dei quali sono stati destinati alla cosiddetta “cooperazione finanziaria” per la promozione degli investimenti [1]. Il Ruanda è uno dei Paesi che la Germania ha incluso nel progetto Compact with Africa, che mira a migliorare le condizioni quadro per gli investimenti stranieri nei Paesi africani partecipanti. Inoltre, a Kigali è stato istituito un Business Desk tedesco per la promozione degli investimenti.

Inoltre, nel 2019 il Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico ha inaugurato un centro digitale che, secondo le informazioni ufficiali, è destinato a “fare da ponte” tra le aziende e gli istituti di ricerca tedeschi e ruandesi [2]. Volkswagen ha uno stabilimento a Kigali dal 2018 e anche il produttore tedesco di vaccini BioNTech vi è rappresentato dal 2023. Il Ruanda è ovviamente noto in Europa soprattutto come potenziale partner di cooperazione per i piani di trasferimento dei richiedenti asilo in Paesi lontani; l’opzione è stata presa in considerazione anche a Berlino [3].

Fornitore di materie prime

Tuttavia, il Ruanda riveste un’importanza cruciale come fornitore di materie prime. Da decenni gli osservatori sottolineano che il Paese esporta quantità significativamente superiori a quelle prodotte sul proprio territorio. Gran parte delle esportazioni di materie prime del Ruanda provengono proprio dalle zone limitrofe della Repubblica Democratica del Congo, in particolare dalle province congolesi orientali del Nord e del Sud Kivu, che ne sono estremamente ricche. Dall’inizio della grande guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo nel 1996, Kigali ha sostenuto le milizie, in particolare nel Nord Kivu, che trasportano illegalmente una parte significativa delle risorse minerarie attraverso il confine con il Ruanda. Ciò significa che Kinshasa sta perdendo ingenti somme di denaro; nel 2023, il ministro delle Finanze della RDC, Nicolas Kazadi, ha stimato l’importo in un miliardo di dollari USA all’anno [4].

In questo contesto appare evidente che il ruolo delle milizie sostenute dal Ruanda è quello di assicurare il proseguimento della guerra nel Congo orientale – sponsorizzata da Kigali. Due decenni fa, le organizzazioni per i diritti umani hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del coltan – il minerale, utilizzato ad esempio per la produzione di telefoni cellulari- che viene estratto nel Nord Kivu, spesso nelle peggiori condizioni di lavoro, contrabbandato in Ruanda e da lì esportato. Kigali incassa i profitti, mentre nel Congo orientale permangono guerra e miseria.

Minerali insanguinati

Anni di campagne contro l’approvvigionamento di “minerali insanguinati” dal Congo orientale attraverso il Ruanda sono semplicemente fallite perché gli Stati occidentali – ben riforniti di materie prime – collaborano strettamente con Kigali, coprendo così efficacemente il contrabbando e la furia delle milizie sostenute dal Ruanda nel Congo orientale. Nel febbraio dello scorso anno, l’UE ha persino concluso un memorandum d’intesa con il governo ruandese, che prevede una stretta cooperazione nell’estrazione e nella lavorazione delle risorse naturali. L’attenzione è rivolta alle cosiddette materie prime critiche, indispensabili per le tecnologie della transizione energetica. La Commissione UE sottolinea esplicitamente che il Ruanda esporta quantità particolarmente elevate di tantalio [5], estratto tra l’altro dal coltan. Le organizzazioni per i diritti umani avvertono che c’è un alto rischio di ingresso nell’UE di “minerali insanguinati” sulla base del Memorandum d’intesa [6]. Sebbene Bruxelles sostenga di avere meccanismi di controllo per garantire che questo non si verifichi, gli esperti denunciano che tali meccanismi siano stati a lungo aggirati con ogni tipo di mezzo nel contrabbando quotidiano dal Congo orientale al Ruanda, rendendoli sostanzialmente inefficaci.

Guerra di conquista

Nel 2021, il Ruanda ha riattivato la milizia M23, fondata originariamente nel 2012, per assicurarsi l’accesso alle materie prime del Congo orientale. Nel 2022, gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di avere le prove che l’M23 non solo disponeva di armi insolitamente moderne, ma era anche sostenuto da truppe delle forze armate ruandesi direttamente sul territorio della RDC. Con il loro aiuto, l’M23 ha preso il controllo di aree in crescita, compresi nuovi depositi di materie prime. Questo è continuato anche dopo la conclusione formale di un cessate il fuoco tra la RDC e il Ruanda nel luglio 2024. Inoltre, secondo gli esperti delle Nazioni Unite all’inizio del 2025 nel Nord Kivu sono stati dispiegati da 3.000 a 4.000 soldati delle forze armate ufficiali ruandesi e si ritiene che siano state coinvolte anche nell’offensiva della milizia dell’M23 [7]. Alla fine di gennaio, queste forze sono riuscite a conquistare insieme la capitale del Nord Kivu, Goma. Dopo un breve cessate il fuoco, le milizie hanno continuato i loro attacchi martedì [8] e da allora innumerevoli persone hanno perso la vita. La scorsa settimana è stato riferito che più di 2.000 persone sono state bruciate a Goma dopo l’invasione dell’M23. Secondo l’UNHCR, il numero di rifugiati costretti a vivere nelle province del Kivu, in particolare in condizioni di estrema miseria, si avvicina a cinque milioni [9].

Il corridoio verde

L’offensiva del Ruanda e l’occupazione di gran parte delle province del Kivu avvengono in un momento in cui la RDC sta offrendo all’UE la possibilità di cooperare per le riserve di materie prime del Congo orientale, come sottolinea Kambale Musavuli del Centro di ricerca sul Congo-Kinshasa. In occasione del World Economic Forum di quest’anno (20-24 gennaio) a Davos, il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha promosso la sua nuova iniziativa del corridoio verde [10], che prevede numerose misure di sviluppo in un’enorme striscia di terra lungo il fiume Congo, che vanno dalla produzione di energie rinnovabili alla promozione dell’agricoltura e alla creazione di infrastrutture di trasporto. Il corridoio verde è un progetto a lungo termine destinato a collegare le province orientali congolesi del Kivu con la capitale Kinshasa [11].

Come riferisce Kambale Musavuli, il corridoio è in grado di competere con la tradizionale rotta di trasporto e contrabbando che dalle province del Kivu conduce in Kenya attraverso il Ruanda e l’Uganda. La Commissione europea ha recentemente confermato di voler sostenere la creazione del corridoio verde – e la relativa costruzione di infrastrutture di trasporto [12]. In definitiva, attraverso questo corridoio si potrebbero trasportare fino a un milione di tonnellate di prodotti agricoli dalle province del Kivu a Kinshasa ogni anno, materie prime comprese.

La protesta

Nel frattempo si stanno moltiplicando le proteste contro la guerra nelle province del Kivu, contro l’occupazione di ampie zone della regione da parte delle milizie dell’M23 e delle truppe ruandesi e contro l’approvazione delle azioni omicide da parte degli Stati occidentali. Alla fine di gennaio, manifestanti infuriati a Kinshasa hanno attaccato le ambasciate del Ruanda, degli Stati Uniti, della Francia e del Belgio, tra gli altri [13]. Da allora si sono svolte proteste anche in altre città della RDC e anche in Germania gli attivisti contestano l’approvazione implicita della Germania della guerra ruandese nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

Fonti

  • [1], [2] Ruanda. bmz.de.
  • [3] Judith Kohlenberger: Das Ruanda-Modell ist gescheitert – das sollte man endlich auch in Berlin verstehen. spiegel.de 17.07.2024. Vedi anche Die “Option Ruanda”.
  • [4] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [5] EU and Rwanda sign a Memorandum of Understanding on Sustainable Raw Materials Value Chains. ec.europa.eu 19.02.2024.
  • [6] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [7] Romain Chanson: RDC, Rwanda et M23 : ce que contient le dernier rapport de l’ONU. jeuneafrique.com 08.01.2025.
  • [8] Amid DR Congo ceasefire, Goma residents race to bury 2,000 bodies. aljazeera.com 05.02.2025. Rwanda-backed M23 fighters resume attacks in DR Congo after two-day pause. aljazeera.com 11.02.2025.
  • [9] UNHCR gravely concerned by worsening violence and humanitarian crisis in eastern DR Congo. unhcr.org 24.01.2025.
  • [10] Kambale Musavuli: Congolese General Cirimwami assassinated in North Kivu, escalating the region’s crisis. peoplesdispatch.org 25.01.2025.
  • [11] Gill Einhorn, Emmanuel de Merode: The Democratic Republic of Congo to create the Earth’s largest protected tropical forest reserve. weforum.org 22.01.2025.
  • [12] Global Gateway: A Green Corridor preserving the last lungs of the earth through green economic growth. international-partnerships.ec.europa.eu 22.01.2025.
  • [13] Protesters attack French, US, Rwandan embassies in DRC. aljazeera.com 28.01.2025.

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Barbara Segato

GERMAN-FOREIGN-POLICY.com

Il Ruanda alimenta la guerra in Congo

Il sostegno tedesco al Ruanda viene accolto con proteste a causa della guerra del Paese nel Congo orientale. In pratica, un accordo dell’UE sulle materie prime con il Ruanda favorisce anche l’importazione in Germania di “minerali insanguinati” rubati nel Congo orientale.

Decenni di sostegno al Ruanda da parte della Germania e dell’UE stanno suscitando sempre più proteste per il ruolo assunto dalla Repubblica federale tedesca nella guerra nel Congo orientale. Per decenni, il governo ruandese di Kigali ha sostenuto ogni tipo di milizia nelle vicine province del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, che saccheggia le materie prime su larga scala e le contrabbanda in Ruanda. Kigali ne ricava miliardi, mentre le milizie del Congo orientale continuano la guerra. Negli ultimi mesi e settimane, la milizia M23 (Movimento 23 Marzo di etnia tutsi N.d.T) ha conquistato ampie zone delle province del Kivu con il sostegno diretto in prima linea dei soldati delle forze armate ruandesi causando l’attuale fuga di tantissimi congolesi.

La Germania collabora da tempo a stretto contatto con il Ruanda, ex colonia del Reich tedesco, Paese che assunto ultimamente una certa rilevanza per Berlino anche come luogo di esternalizzazione delle domande di asilo in zone remote del mondo. Inoltre, l’anno scorso, l’UE ha concluso un accordo con Kigali che prevede la fornitura di materie prime fondamentali. Gli osservatori ipotizzano che grazie a questo accordo anche i “minerali insanguinati” provenienti dalla guerra nel Congo orientale raggiungeranno l’Europa.

L’interesse per il Ruanda

La Germania, insieme ad altri Paesi occidentali e all’Unione Europea collabora da anni con il Ruanda, considerando il suo passato da ex colonia dell’Impero tedesco dal 1884 al 1916. Berlino versa a Kigali ingenti somme dal suo bilancio per lo sviluppo; di recente, nell’ottobre 2022, ha promesso una somma di 93,6 milioni di euro per un periodo di tre anni, due terzi dei quali sono stati destinati alla cosiddetta “cooperazione finanziaria” per la promozione degli investimenti [1]. Il Ruanda è uno dei Paesi che la Germania ha incluso nel progetto Compact with Africa, che mira a migliorare le condizioni quadro per gli investimenti stranieri nei Paesi africani partecipanti. Inoltre, a Kigali è stato istituito un Business Desk tedesco per la promozione degli investimenti.

Inoltre, nel 2019 il Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico ha inaugurato un centro digitale che, secondo le informazioni ufficiali, è destinato a “fare da ponte” tra le aziende e gli istituti di ricerca tedeschi e ruandesi [2]. Volkswagen ha uno stabilimento a Kigali dal 2018 e anche il produttore tedesco di vaccini BioNTech vi è rappresentato dal 2023. Il Ruanda è ovviamente noto in Europa soprattutto come potenziale partner di cooperazione per i piani di trasferimento dei richiedenti asilo in Paesi lontani; l’opzione è stata presa in considerazione anche a Berlino [3].

Fornitore di materie prime

Tuttavia, il Ruanda riveste un’importanza cruciale come fornitore di materie prime. Da decenni gli osservatori sottolineano che il Paese esporta quantità significativamente superiori a quelle prodotte sul proprio territorio. Gran parte delle esportazioni di materie prime del Ruanda provengono proprio dalle zone limitrofe della Repubblica Democratica del Congo, in particolare dalle province congolesi orientali del Nord e del Sud Kivu, che ne sono estremamente ricche. Dall’inizio della grande guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo nel 1996, Kigali ha sostenuto le milizie, in particolare nel Nord Kivu, che trasportano illegalmente una parte significativa delle risorse minerarie attraverso il confine con il Ruanda. Ciò significa che Kinshasa sta perdendo ingenti somme di denaro; nel 2023, il ministro delle Finanze della RDC, Nicolas Kazadi, ha stimato l’importo in un miliardo di dollari USA all’anno [4].

In questo contesto appare evidente che il ruolo delle milizie sostenute dal Ruanda è quello di assicurare il proseguimento della guerra nel Congo orientale – sponsorizzata da Kigali. Due decenni fa, le organizzazioni per i diritti umani hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del coltan – il minerale, utilizzato ad esempio per la produzione di telefoni cellulari- che viene estratto nel Nord Kivu, spesso nelle peggiori condizioni di lavoro, contrabbandato in Ruanda e da lì esportato. Kigali incassa i profitti, mentre nel Congo orientale permangono guerra e miseria.

Minerali insanguinati

Anni di campagne contro l’approvvigionamento di “minerali insanguinati” dal Congo orientale attraverso il Ruanda sono semplicemente fallite perché gli Stati occidentali – ben riforniti di materie prime – collaborano strettamente con Kigali, coprendo così efficacemente il contrabbando e la furia delle milizie sostenute dal Ruanda nel Congo orientale. Nel febbraio dello scorso anno, l’UE ha persino concluso un memorandum d’intesa con il governo ruandese, che prevede una stretta cooperazione nell’estrazione e nella lavorazione delle risorse naturali. L’attenzione è rivolta alle cosiddette materie prime critiche, indispensabili per le tecnologie della transizione energetica. La Commissione UE sottolinea esplicitamente che il Ruanda esporta quantità particolarmente elevate di tantalio [5], estratto tra l’altro dal coltan. Le organizzazioni per i diritti umani avvertono che c’è un alto rischio di ingresso nell’UE di “minerali insanguinati” sulla base del Memorandum d’intesa [6]. Sebbene Bruxelles sostenga di avere meccanismi di controllo per garantire che questo non si verifichi, gli esperti denunciano che tali meccanismi siano stati a lungo aggirati con ogni tipo di mezzo nel contrabbando quotidiano dal Congo orientale al Ruanda, rendendoli sostanzialmente inefficaci.

Guerra di conquista

Nel 2021, il Ruanda ha riattivato la milizia M23, fondata originariamente nel 2012, per assicurarsi l’accesso alle materie prime del Congo orientale. Nel 2022, gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di avere le prove che l’M23 non solo disponeva di armi insolitamente moderne, ma era anche sostenuto da truppe delle forze armate ruandesi direttamente sul territorio della RDC. Con il loro aiuto, l’M23 ha preso il controllo di aree in crescita, compresi nuovi depositi di materie prime. Questo è continuato anche dopo la conclusione formale di un cessate il fuoco tra la RDC e il Ruanda nel luglio 2024. Inoltre, secondo gli esperti delle Nazioni Unite all’inizio del 2025 nel Nord Kivu sono stati dispiegati da 3.000 a 4.000 soldati delle forze armate ufficiali ruandesi e si ritiene che siano state coinvolte anche nell’offensiva della milizia dell’M23 [7]. Alla fine di gennaio, queste forze sono riuscite a conquistare insieme la capitale del Nord Kivu, Goma. Dopo un breve cessate il fuoco, le milizie hanno continuato i loro attacchi martedì [8] e da allora innumerevoli persone hanno perso la vita. La scorsa settimana è stato riferito che più di 2.000 persone sono state bruciate a Goma dopo l’invasione dell’M23. Secondo l’UNHCR, il numero di rifugiati costretti a vivere nelle province del Kivu, in particolare in condizioni di estrema miseria, si avvicina a cinque milioni [9].

Il corridoio verde

L’offensiva del Ruanda e l’occupazione di gran parte delle province del Kivu avvengono in un momento in cui la RDC sta offrendo all’UE la possibilità di cooperare per le riserve di materie prime del Congo orientale, come sottolinea Kambale Musavuli del Centro di ricerca sul Congo-Kinshasa. In occasione del World Economic Forum di quest’anno (20-24 gennaio) a Davos, il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha promosso la sua nuova iniziativa del corridoio verde [10], che prevede numerose misure di sviluppo in un’enorme striscia di terra lungo il fiume Congo, che vanno dalla produzione di energie rinnovabili alla promozione dell’agricoltura e alla creazione di infrastrutture di trasporto. Il corridoio verde è un progetto a lungo termine destinato a collegare le province orientali congolesi del Kivu con la capitale Kinshasa [11].

Come riferisce Kambale Musavuli, il corridoio è in grado di competere con la tradizionale rotta di trasporto e contrabbando che dalle province del Kivu conduce in Kenya attraverso il Ruanda e l’Uganda. La Commissione europea ha recentemente confermato di voler sostenere la creazione del corridoio verde – e la relativa costruzione di infrastrutture di trasporto [12]. In definitiva, attraverso questo corridoio si potrebbero trasportare fino a un milione di tonnellate di prodotti agricoli dalle province del Kivu a Kinshasa ogni anno, materie prime comprese.

La protesta

Nel frattempo si stanno moltiplicando le proteste contro la guerra nelle province del Kivu, contro l’occupazione di ampie zone della regione da parte delle milizie dell’M23 e delle truppe ruandesi e contro l’approvazione delle azioni omicide da parte degli Stati occidentali. Alla fine di gennaio, manifestanti infuriati a Kinshasa hanno attaccato le ambasciate del Ruanda, degli Stati Uniti, della Francia e del Belgio, tra gli altri [13]. Da allora si sono svolte proteste anche in altre città della RDC e anche in Germania gli attivisti contestano l’approvazione implicita della Germania della guerra ruandese nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

Fonti

  • [1], [2] Ruanda. bmz.de.
  • [3] Judith Kohlenberger: Das Ruanda-Modell ist gescheitert – das sollte man endlich auch in Berlin verstehen. spiegel.de 17.07.2024. Vedi anche Die “Option Ruanda”.
  • [4] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [5] EU and Rwanda sign a Memorandum of Understanding on Sustainable Raw Materials Value Chains. ec.europa.eu 19.02.2024.
  • [6] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [7] Romain Chanson: RDC, Rwanda et M23 : ce que contient le dernier rapport de l’ONU. jeuneafrique.com 08.01.2025.
  • [8] Amid DR Congo ceasefire, Goma residents race to bury 2,000 bodies. aljazeera.com 05.02.2025. Rwanda-backed M23 fighters resume attacks in DR Congo after two-day pause. aljazeera.com 11.02.2025.
  • [9] UNHCR gravely concerned by worsening violence and humanitarian crisis in eastern DR Congo. unhcr.org 24.01.2025.
  • [10] Kambale Musavuli: Congolese General Cirimwami assassinated in North Kivu, escalating the region’s crisis. peoplesdispatch.org 25.01.2025.
  • [11] Gill Einhorn, Emmanuel de Merode: The Democratic Republic of Congo to create the Earth’s largest protected tropical forest reserve. weforum.org 22.01.2025.
  • [12] Global Gateway: A Green Corridor preserving the last lungs of the earth through green economic growth. international-partnerships.ec.europa.eu 22.01.2025.
  • [13] Protesters attack French, US, Rwandan embassies in DRC. aljazeera.com 28.01.2025.

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Barbara Segato

GERMAN-FOREIGN-POLICY.com

Il Ruanda alimenta la guerra in Congo

Il sostegno tedesco al Ruanda viene accolto con proteste a causa della guerra del Paese nel Congo orientale. In pratica, un accordo dell’UE sulle materie prime con il Ruanda favorisce anche l’importazione in Germania di “minerali insanguinati” rubati nel Congo orientale.

Decenni di sostegno al Ruanda da parte della Germania e dell’UE stanno suscitando sempre più proteste per il ruolo assunto dalla Repubblica federale tedesca nella guerra nel Congo orientale. Per decenni, il governo ruandese di Kigali ha sostenuto ogni tipo di milizia nelle vicine province del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, che saccheggia le materie prime su larga scala e le contrabbanda in Ruanda. Kigali ne ricava miliardi, mentre le milizie del Congo orientale continuano la guerra. Negli ultimi mesi e settimane, la milizia M23 (Movimento 23 Marzo di etnia tutsi N.d.T) ha conquistato ampie zone delle province del Kivu con il sostegno diretto in prima linea dei soldati delle forze armate ruandesi causando l’attuale fuga di tantissimi congolesi.

La Germania collabora da tempo a stretto contatto con il Ruanda, ex colonia del Reich tedesco, Paese che assunto ultimamente una certa rilevanza per Berlino anche come luogo di esternalizzazione delle domande di asilo in zone remote del mondo. Inoltre, l’anno scorso, l’UE ha concluso un accordo con Kigali che prevede la fornitura di materie prime fondamentali. Gli osservatori ipotizzano che grazie a questo accordo anche i “minerali insanguinati” provenienti dalla guerra nel Congo orientale raggiungeranno l’Europa.

L’interesse per il Ruanda

La Germania, insieme ad altri Paesi occidentali e all’Unione Europea collabora da anni con il Ruanda, considerando il suo passato da ex colonia dell’Impero tedesco dal 1884 al 1916. Berlino versa a Kigali ingenti somme dal suo bilancio per lo sviluppo; di recente, nell’ottobre 2022, ha promesso una somma di 93,6 milioni di euro per un periodo di tre anni, due terzi dei quali sono stati destinati alla cosiddetta “cooperazione finanziaria” per la promozione degli investimenti [1]. Il Ruanda è uno dei Paesi che la Germania ha incluso nel progetto Compact with Africa, che mira a migliorare le condizioni quadro per gli investimenti stranieri nei Paesi africani partecipanti. Inoltre, a Kigali è stato istituito un Business Desk tedesco per la promozione degli investimenti.

Inoltre, nel 2019 il Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico ha inaugurato un centro digitale che, secondo le informazioni ufficiali, è destinato a “fare da ponte” tra le aziende e gli istituti di ricerca tedeschi e ruandesi [2]. Volkswagen ha uno stabilimento a Kigali dal 2018 e anche il produttore tedesco di vaccini BioNTech vi è rappresentato dal 2023. Il Ruanda è ovviamente noto in Europa soprattutto come potenziale partner di cooperazione per i piani di trasferimento dei richiedenti asilo in Paesi lontani; l’opzione è stata presa in considerazione anche a Berlino [3].

Fornitore di materie prime

Tuttavia, il Ruanda riveste un’importanza cruciale come fornitore di materie prime. Da decenni gli osservatori sottolineano che il Paese esporta quantità significativamente superiori a quelle prodotte sul proprio territorio. Gran parte delle esportazioni di materie prime del Ruanda provengono proprio dalle zone limitrofe della Repubblica Democratica del Congo, in particolare dalle province congolesi orientali del Nord e del Sud Kivu, che ne sono estremamente ricche. Dall’inizio della grande guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo nel 1996, Kigali ha sostenuto le milizie, in particolare nel Nord Kivu, che trasportano illegalmente una parte significativa delle risorse minerarie attraverso il confine con il Ruanda. Ciò significa che Kinshasa sta perdendo ingenti somme di denaro; nel 2023, il ministro delle Finanze della RDC, Nicolas Kazadi, ha stimato l’importo in un miliardo di dollari USA all’anno [4].

In questo contesto appare evidente che il ruolo delle milizie sostenute dal Ruanda è quello di assicurare il proseguimento della guerra nel Congo orientale – sponsorizzata da Kigali. Due decenni fa, le organizzazioni per i diritti umani hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del coltan – il minerale, utilizzato ad esempio per la produzione di telefoni cellulari- che viene estratto nel Nord Kivu, spesso nelle peggiori condizioni di lavoro, contrabbandato in Ruanda e da lì esportato. Kigali incassa i profitti, mentre nel Congo orientale permangono guerra e miseria.

Minerali insanguinati

Anni di campagne contro l’approvvigionamento di “minerali insanguinati” dal Congo orientale attraverso il Ruanda sono semplicemente fallite perché gli Stati occidentali – ben riforniti di materie prime – collaborano strettamente con Kigali, coprendo così efficacemente il contrabbando e la furia delle milizie sostenute dal Ruanda nel Congo orientale. Nel febbraio dello scorso anno, l’UE ha persino concluso un memorandum d’intesa con il governo ruandese, che prevede una stretta cooperazione nell’estrazione e nella lavorazione delle risorse naturali. L’attenzione è rivolta alle cosiddette materie prime critiche, indispensabili per le tecnologie della transizione energetica. La Commissione UE sottolinea esplicitamente che il Ruanda esporta quantità particolarmente elevate di tantalio [5], estratto tra l’altro dal coltan. Le organizzazioni per i diritti umani avvertono che c’è un alto rischio di ingresso nell’UE di “minerali insanguinati” sulla base del Memorandum d’intesa [6]. Sebbene Bruxelles sostenga di avere meccanismi di controllo per garantire che questo non si verifichi, gli esperti denunciano che tali meccanismi siano stati a lungo aggirati con ogni tipo di mezzo nel contrabbando quotidiano dal Congo orientale al Ruanda, rendendoli sostanzialmente inefficaci.

Guerra di conquista

Nel 2021, il Ruanda ha riattivato la milizia M23, fondata originariamente nel 2012, per assicurarsi l’accesso alle materie prime del Congo orientale. Nel 2022, gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di avere le prove che l’M23 non solo disponeva di armi insolitamente moderne, ma era anche sostenuto da truppe delle forze armate ruandesi direttamente sul territorio della RDC. Con il loro aiuto, l’M23 ha preso il controllo di aree in crescita, compresi nuovi depositi di materie prime. Questo è continuato anche dopo la conclusione formale di un cessate il fuoco tra la RDC e il Ruanda nel luglio 2024. Inoltre, secondo gli esperti delle Nazioni Unite all’inizio del 2025 nel Nord Kivu sono stati dispiegati da 3.000 a 4.000 soldati delle forze armate ufficiali ruandesi e si ritiene che siano state coinvolte anche nell’offensiva della milizia dell’M23 [7]. Alla fine di gennaio, queste forze sono riuscite a conquistare insieme la capitale del Nord Kivu, Goma. Dopo un breve cessate il fuoco, le milizie hanno continuato i loro attacchi martedì [8] e da allora innumerevoli persone hanno perso la vita. La scorsa settimana è stato riferito che più di 2.000 persone sono state bruciate a Goma dopo l’invasione dell’M23. Secondo l’UNHCR, il numero di rifugiati costretti a vivere nelle province del Kivu, in particolare in condizioni di estrema miseria, si avvicina a cinque milioni [9].

Il corridoio verde

L’offensiva del Ruanda e l’occupazione di gran parte delle province del Kivu avvengono in un momento in cui la RDC sta offrendo all’UE la possibilità di cooperare per le riserve di materie prime del Congo orientale, come sottolinea Kambale Musavuli del Centro di ricerca sul Congo-Kinshasa. In occasione del World Economic Forum di quest’anno (20-24 gennaio) a Davos, il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha promosso la sua nuova iniziativa del corridoio verde [10], che prevede numerose misure di sviluppo in un’enorme striscia di terra lungo il fiume Congo, che vanno dalla produzione di energie rinnovabili alla promozione dell’agricoltura e alla creazione di infrastrutture di trasporto. Il corridoio verde è un progetto a lungo termine destinato a collegare le province orientali congolesi del Kivu con la capitale Kinshasa [11].

Come riferisce Kambale Musavuli, il corridoio è in grado di competere con la tradizionale rotta di trasporto e contrabbando che dalle province del Kivu conduce in Kenya attraverso il Ruanda e l’Uganda. La Commissione europea ha recentemente confermato di voler sostenere la creazione del corridoio verde – e la relativa costruzione di infrastrutture di trasporto [12]. In definitiva, attraverso questo corridoio si potrebbero trasportare fino a un milione di tonnellate di prodotti agricoli dalle province del Kivu a Kinshasa ogni anno, materie prime comprese.

La protesta

Nel frattempo si stanno moltiplicando le proteste contro la guerra nelle province del Kivu, contro l’occupazione di ampie zone della regione da parte delle milizie dell’M23 e delle truppe ruandesi e contro l’approvazione delle azioni omicide da parte degli Stati occidentali. Alla fine di gennaio, manifestanti infuriati a Kinshasa hanno attaccato le ambasciate del Ruanda, degli Stati Uniti, della Francia e del Belgio, tra gli altri [13]. Da allora si sono svolte proteste anche in altre città della RDC e anche in Germania gli attivisti contestano l’approvazione implicita della Germania della guerra ruandese nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

Fonti

  • [1], [2] Ruanda. bmz.de.
  • [3] Judith Kohlenberger: Das Ruanda-Modell ist gescheitert – das sollte man endlich auch in Berlin verstehen. spiegel.de 17.07.2024. Vedi anche Die “Option Ruanda”.
  • [4] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [5] EU and Rwanda sign a Memorandum of Understanding on Sustainable Raw Materials Value Chains. ec.europa.eu 19.02.2024.
  • [6] Lorraine Mallinder: ‘Blood minerals’: What are the hidden costs of the EU-Rwanda supply deal? aljazeera.com 02.05.2024.
  • [7] Romain Chanson: RDC, Rwanda et M23 : ce que contient le dernier rapport de l’ONU. jeuneafrique.com 08.01.2025.
  • [8] Amid DR Congo ceasefire, Goma residents race to bury 2,000 bodies. aljazeera.com 05.02.2025. Rwanda-backed M23 fighters resume attacks in DR Congo after two-day pause. aljazeera.com 11.02.2025.
  • [9] UNHCR gravely concerned by worsening violence and humanitarian crisis in eastern DR Congo. unhcr.org 24.01.2025.
  • [10] Kambale Musavuli: Congolese General Cirimwami assassinated in North Kivu, escalating the region’s crisis. peoplesdispatch.org 25.01.2025.
  • [11] Gill Einhorn, Emmanuel de Merode: The Democratic Republic of Congo to create the Earth’s largest protected tropical forest reserve. weforum.org 22.01.2025.
  • [12] Global Gateway: A Green Corridor preserving the last lungs of the earth through green economic growth. international-partnerships.ec.europa.eu 22.01.2025.
  • [13] Protesters attack French, US, Rwandan embassies in DRC. aljazeera.com 28.01.2025.

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Barbara Segato

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Dopo gli attacchi dei trumpisti all’Europa, le elezioni in Germania sono diventate le più importanti nella storia del paese

Mancano ormai pochi giorni alle elezioni federali e in Germania ci si prepara tra scossoni e colpi di scena, inclusa l’ingerenza diretta del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. In un’intervista al Wall Street Journal e durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il vice di Trump ha infatti accusato l’Europa di avere una democrazia debole, in cui le voci populiste vengono zittite ed etichettate come “disinformazione”. Ha quindi comunicato che gli Stati Uniti non supporteranno chi, sul punto, non condivide i valori dell’amministrazione Trump, descritta come un modello di libertà di espressione. 

Vance ha inoltre attaccato i partiti tedeschi che si rifiutano di collaborare con il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland), sostenendo che questo significhi ignorare la volontà popolare. Lo ha fatto a meno di dieci giorni dal voto, con un’ingerenza che sembra aver messo da parte il rispetto formale per l’autodeterminazione europea.

La reazione del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è stata durissima. Scholz ha infatti dichiarato che la Germania non tollererà interferenze nella sua politica o lezioni sulla democrazia da parte di “estranei”, soprattutto con interventi a favore di AfD. Ha aggiunto che, dalle file di AfD, il regime nazista e i suoi orrendi crimini sono stati minimizzati come “un fatto insignificante” nella storia tedesca e che questo è incompatibile con un serio impegno affinché il passato non si ripeta. "Come procederà la nostra democrazia, lo decideremo noi” ha ribadito il cancelliere uscente. 

Neanche Friedrich Merz, leader della CDU e probabile nuovo cancelliere tedesco, ha accettato la lezione di democrazia del vice di Trump. “Rispettiamo le elezioni presidenziali e le elezioni del Congresso negli Stati Uniti e ci aspettiamo che gli Stati Uniti facciano lo stesso qui”, ha commentato, per poi concedersi una stoccata. “Noi non cacceremo mai un’agenzia di stampa dalla nostra cancelleria”, ha infatti aggiunto Merz. L’allusione è al fatto che la Casa Bianca abbia cacciato l’agenzia di stampa AP dalla Sala Ovale e dall’Air Force One perché si è rifiutata di denominare il “Golfo del Messico” come "Golfo d'America”, come prescritto da un ordine esecutivo del neopresidente degli Stati Uniti.

Allineati nel respingere al mittente le indicazioni del “nuovo sceriffo in città” (così Vance ha chiamato Trump dal palco di Monaco), gli attori politici tedeschi procedono tuttavia verso l’appuntamento elettorale in un clima di incertezza e sfiducia generale, sin dall’evento che ha innescato il countdown. Il 6 novembre 2024, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz aveva infatti deciso di deporre il suo ministro delle finanze, il leader liberale Christian Lindner (FDP), rompendo la coalizione “semaforo” formata da SPD,  FDP e Verdi e dando origine alla crisi di governo.

Liberali: pronti a uscire di scena?

Storicamente difficilissimi da gestire (nel 2013 Merkel disse "Dio ha creato l’FDP solo per metterci alla prova”), attualmente i liberali tedeschi si attestano nei sondaggi intorno al 4% e quindi sotto la soglia di sbarramento. Se il dato fosse confermato alle urne, l’FDP rimarrebbe fuori dal Bundestag e forse per questo Lindner sta giocando la partita elettorale in modo rumoroso e disperato, come chi non ha nulla da perdere.

Intanto sta facendo di tutto per smarcarsi dal governo Scholz e dai precedenti compagni di coalizione. Lindner ha infatti dichiarato di non voler più collaborare con i Verdi, adducendo differenze inconciliabili, e da tempo sta cercando di recuperare la sua base con dichiarazioni neoliberiste più o meno spregiudicate. A dicembre era arrivato addirittura a sostenere che la Germania avrebbe dovuto osare “un po’ più di Milei o Musk”, pur ridimensionando in seguito le sue dichiarazioni.

Un duro colpo gli è arrivato anche da Friedrich Merz. Il candidato cancelliere dell’Unione si è infatti appellato pubblicamente agli elettori affinché spostino verso la CDU/CSU, che si attesta intorno al 30%, il 4% destinato ai liberali nei sondaggi.

Lindner ha reagito ribadendo che l’FDP è l’unico baluardo contro una possibile alleanza CDU-Verdi e il leader dei liberali a Berlino, Christoph Meyer, ha commentato l’esternazione di Merz definendolo “nervoso”. Di motivi per innervosirsi, comunque, il leader della CDU ne ha avuti molti, di recente.

Friedrich Merz: il respiro corto del favorito

In realtà, Friedrich Merz partiva favorito e poteva dunque permettersi di limitarsi a difendere il vantaggio. Il 29 gennaio 2025 ha invece tentato la rischiosa manovra di approvare una stretta sull’immigrazione con il supporto di AfD che per la prima volta, grazie a lui, è risultata determinante in un voto al Bundestag.

Sullo sfondo, ci sono i fatti di Aschaffenburg e Magdeburgo, avvenuti a gennaio e febbraio del 2025. Ad Aschaffenburg un richiedente asilo afgano con problemi psichici ha accoltellato alcune persone in un parco, uccidendo un bambino di due anni e un uomo di 41. A Magdeburgo, invece, un cittadino saudita ha diretto la sua auto verso la folla di un mercatino di Natale, causando sei vittime. Episodi simili riecheggiano quanto già accaduto altre volte negli ultimi anni, a Mannheim, Solingen e otto anni fa a Berlino. Anche lo scorso 13 febbraio, a 10 giorni dal voto, un giovane afgano si è lanciato con la sua auto sulla folla nel centro di Monaco. Nonostante si parli di episodi diversi (l'attentatore di Magdeburgo è uno psichiatra saudita ferocemente anti-Islam), il fatto che gli autori fossero stranieri e spesso richiedenti asilo ha portato la questione migratoria al centro del dibattito elettorale. 

Votando un provvedimento anti-immigrazione insieme ad AfD, tuttavia, Merz non ha considerato il peso simbolico del suo gesto. Nonostante la mozione non fosse ancora legalmente vincolante, infatti, Merz ha superato la linea del Brandmauer, lo “spartifuoco” che i partiti tedeschi avevano rispettato fino a quel momento, rifiutandosi di avvicinarsi all’estrema destra.

Questo è un giorno molto triste per la democrazia”, ha commentato Olaf Scholz, definendo quanto accaduto la rottura di “un tabù” rimasto intatto dalla fine della seconda guerra mondiale. Ne sono seguite polemiche e reazioni internazionali, mentre dal silenzio del suo ritiro politico è riemersa, quasi come una nemesi, l’ex cancelliera e storica rivale di Merz: Angela Merkel.

L’effetto Merkel

Merkel ha infatti definito un errore il voto congiunto del suo partito con AfD, criticando non solo il fatto che Merz abbia contribuito alla prima maggioranza raggiunta in parlamento con i voti dell’estrema destra, ma anche eccependo rilievi giuridici e di merito sul contenuto della proposta, dichiarando che le emergenze vanno fronteggiate “senza manovre tattiche, ma piuttosto con onestà, moderazione nei toni e sulla base del diritto europeo applicabile”.

Contemporaneamente, a Berlino e in molte altre città tedesche migliaia di persone hanno marciato contro l’asse CDU/AFD per lo stesso motivo. Nella capitale erano almeno in 160 mila, secondo la polizia, e in 250 mila secondo gli organizzatori. Non sono mancati cartelli con su scritto “Ascolta la Mutti, Friedrich” o “La Mutti è molto delusa“ [Mutti è un modo affettuoso di dire “mamma” e uno dei soprannomi di Angela Merkel, NdA], ma anche “Se la risposta è AfD, quanto era stupida la domanda?”.

Come se non bastasse l’eterna spina nel fianco rappresentata dall’ex cancelliera, a turbare la pace di Merz è arrivato anche il fuoco amico di Kai Wegner, sindaco di Berlino e leader della CDU nel Land. Wegner si è infatti dissociato apertamente dalla manovra del suo leader federale, promettendo ostruzione al Bundesrat e dichiarando l’intenzione di opporsi a ogni legge che porti AfD “ad assumere responsabilità di governo”. 

La batosta della seconda votazione

Forse a causa delle polemiche, delle mobilitazioni o dell’influenza ancora forte di Angela Merkel sulla CDU, il secondo pacchetto di norme di Merz è stato bocciato al Bundestag nonostante il supporto di AfD. A “tradirlo”, a sorpresa, anche 12 franchi tiratori della CDU.

Non gli è bastato dichiarare che la sua intenzione era “correggere la rotta” del suo partito fino a rendere AfD non più necessaria, né garantire pubblicamente che non ci sarà alcuna coalizione di governo con l’estrema destra. Il 31 gennaio la “Legge sulla limitazione degli afflussi” è stata affossata e Merz ne è uscito malconcio.

Le foto di quella giornata faticosissima lo ritraggono visibilmente sudato, preoccupato e stanco, non esattamente l’immagine di un vincitore.

Merz è stato accolto da manifestazioni di protesta in due recenti visite ufficiali a Colonia e Bonn. #FriedrichMerz #Germania Foto: EPA-EFE/CLEMENS BILAN

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— Il Mitte (@ilmitte.bsky.social) 6 febbraio 2025 alle ore 07:21

A peggiorare le cose è arrivato il durissimo giudizio di Alice Weidel, co-leader di AfD insieme a Tino Chrupalla. Weidel ha parlato di “smantellamento” di Merz come candidato cancelliere, aggiungendo un terribile “è partito come una tigre e finito come un tappetino”. A questo si è aggiunto il sarcasmo di Chrupalla, che ha esortato la CDU a chiedersi chi sia il vero candidato cancelliere: “Friedrich Merz o ancora la signora Merkel?”.

Resta da vedere quanto la mossa azzardata di Merz si rivelerà efficace e quale sarà il suo impatto nel momento del voto. Alle urne prevarrà la parte più estremista dell’Unione dei cristiano-democratici, quella che in passato ha votato AfD per protesta, oppure la corrente più moderata, che potrebbe far pagare al partito l’avvicinamento all’ultradestra?

AfD secondo partito e con l’endorsement di Elon Musk

Alternativa per la Germania, per il momento, può permettersi di fare la parte del leone. Dal suo ingresso in parlamento, nel 2017, ha visto crescere i consensi fino ad arrivare a essere oggi il secondo partito, con quasi il 21%. Cavalcando il dibattito sull’immigrazione e definendo polemicamente le vittime degli attentati “morti da Brandmauer”, promette una svolta restrittiva con i toni e la sicurezza di chi sa che non avrà responsabilità di governo a breve termine. 

A Karlsruhe, il concetto è stato ribadito depositando nelle cassette delle lettere volantini a forma di biglietto aereo indirizzato a ipotetici “immigrati illegali”, con la dicitura “biglietto di espulsione” e il giorno delle elezioni come data di partenza. A livello federale AfD ha preso le distanze dall'iniziativa, ma dal palco del congresso del partito in Sassonia Alice Weidel ha usato per la prima volta il termine “remigrazione”, dicendo dal palco: “Se remigrazione si deve chiamare, allora chiamiamola così”.

Questo termine, coniato dall’esponente dell’estrema destra austriaca Martin Sellner, indica l’espulsione di massa degli immigrati “non integrati” ed era stato a lungo evitato, per le sue implicazioni problematiche, anche all’interno della stessa AfD. Evidentemente, però. Alternativa per la Germania ritiene di non dover più usare questa cautela linguistica. Ha guadagnato forza, credito e non mancano neanche potenti alleati d’oltreoceano.

Oltre al recente sostegno del vicepresidente degli Stati Uniti, infatti, negli ultimi mesi AfD ha potuto contare anche sul robusto endorsement di Elon Musk. A gennaio, Musk ha partecipato in videocollegamento al lancio della campagna elettorale di AfD, incitando all’orgoglio tedesco e a lottare per un “grande futuro della Germania”, tra le ovazioni di circa 4.500 presenti. Il multimiliardario ha poi aggiunto che la Germania si “concentra troppo sulle colpe del passato” e che dovrebbe lasciarsele alle spalle. “I bambini non dovrebbero essere colpevoli per i peccati dei loro bisnonni”, ha aggiunto con palese riferimento al terzo Reich e all’Olocausto. Queste frasi, arrivate alla vigilia del Giorno della Memoria, hanno ricevuto una replica illustre: quella del presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier. In visita ad Auschwitz in occasione dell’80° anniversario della sua liberazione, Steinmeier ha dichiarato che quanto accaduto ad Auschwitz-Birkenau e altri lager nazisti “fa parte della nostra storia e quindi anche della nostra identità, con cui dobbiamo fare i conti”. Ha inoltre ribadito che la responsabilità per quanto commesso non ha scadenza.

In realtà, da tempo Musk interviene nella politica tedesca come supporter dell’estrema destra, sia sulla sua piattaforma X, dove è arrivato persino a insultare il cancelliere Olaf Scholz chiamandolo “Oaf Schitz" [un gioco di parole per dire "povero pazzo", NdA] e “sciocco incompetente”, sia in modo più mirato, come quando ha scritto un articolo per il Welt am Sonntag definendo AfD come “l’ultima scintilla di speranza per la Germania”. Dal canto suo, Scholz ha liquidato gli attacchi personali come poco importanti, ma ha definito “davvero disgustoso” l’appoggio di Musk alla destra in Europa e si è detto “molto arrabbiato” per il modo in cui il magnate del tech si è riferito a quanto commesso dai tedeschi ai danni di milioni di ebrei in Europa. “Giù le mani dalla nostra democrazia, Mr. Musk”, ha invece dichiarato il candidato cancelliere dei Verdi, Robert Habeck in un’intervista allo Spiegel, sottolineando quanto pericolosa sia la combinazione tra le enormi ricchezze e risorse di Elon Musk e la sua deliberata volontà di ignorare le regole.

Linke e BSW: il rosso e il rossobruno

A questo scenario si aggiunge un’altra variabile interessante: il BSW (che sta per Bündnis Sahra Wagenknecht, Alleanza Sahra Wagenknecht). Nata da una costola della Linke, il BSW ha cercato di ritagliarsi uno spazio tra i vecchi elettori della sinistra, da cui proviene per “filiazione diretta” con la linea socialista in economia e punta a recuperare il rapporto con Putin e il suo gas a basso costo. Allo stesso tempo, però, sta erodendo anche parte dell’elettorato di Alternativa per la Germania grazie a un approccio securitario alle politiche migratorie.

Già da tempo, infatti, Wagenknecht si rivolge a quegli elettori di AfD che definisce “non di destra”, ma solo stanchi di non essere ascoltati dai partiti tradizionali, proponendosi quindi come un’alternativa “rispettabile”. Per questo l’ex Linke, un tempo nota come “Sahra la rossa”, è ormai spesso definita “Sahra la rossobruna”, occupando uno spazio in cui si incontrano poli opposti dello spettro politico. Questa sua trasversalità si è manifestata già ai tempi del Covid-19 e delle proteste sulle misure di contenimento della pandemia e si è consolidata dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

Quando era ancora nella Linke, a febbraio del 2023, Wagenknecht aveva ad esempio ideato con Alice Schwarzer un “Manifesto per la pace”, per chiedere al cancelliere Scholz di sospendere le forniture belliche a Kyiv. L’appello aveva ricevuto 700 mila firme, ma era stato sottoscritto anche dal co-leader di AfD, Tino Chrupalla. Alcuni membri di AfD, incluso il leader del partito in Sassonia, Jörg Urban, avevano inoltre partecipato alla manifestazione collegata alla petizione, organizzata da Wagenknecth a Berlino.

Pochi giorni dopo Björn Höcke (AfD) l’aveva invitata platealmente a unire le forze. “Nel nostro partito Sahra Wagenknecht potrebbe far passare le sue idee di pace” aveva dichiarato. Già leader dell’“Ala”, fazione estremista interna ad AfD ufficialmente sciolta nel 2020, Höcke è leader del partito in Turingia, Land in cui AfD è classificato come un partito di estrema destra dall’Ufficio per la Protezione della Costituzione. Nel 2023 e nel 2024 è stato inoltre processato per aver usato uno slogan nazista durante un discorso pubblico. Parliamo di “Alles für Deutschland”, cioè “Tutto per la Germania”, un tempo motto delle SA, le famigerate squadre d’assalto note anche come camicie brune.

Tornando al presente e al BSW, la volontà strategica di non scontentare nessuno è emersa anche nel comportamento di Wagenknecht di fronte alla prima mozione anti-immigrazione presentata da Merz e approvata con i voti di AfD. I membri del BSW, infatti, si sono tutti astenuti. Forse perché appoggiarla avrebbe alienato l’elettorato di sinistra, mentre respingerla avrebbe deluso quello di destra?

Anche non prendere posizione, però, finisce per scontentare qualcuno e in Baviera sei membri del BSW si sono dimessi lamentando uno spostamento a destra sul tema dell’immigrazione. Al momento, la creatura di Wagenknecht è al 5%. Continuerà ad attirare voti da più lati o farà la fine del pipistrello della favola, che sposa due fazioni nella guerra tra uccelli e topi e alla fine non convince nessuno?

L’improvvisa rimonta della Linke

Anche la Linke sembra attestarsi intorno al 5%, proprio sulla soglia di sbarramento. Soprattutto, però, ha recentemente riguadagnato terreno con uno scatto sorprendente. Si ritiene che questa rimonta si leghi all’indignazione per il tabù infranto del Brandmauer ma anche, in parte, all’appassionato discorso contro Friedrich Merz tenuto al Bundestag dalla giovane deputata Heidi Reichinnek.

Un breve video dell’intervento ha registrato milioni di visualizzazioni solo sul canale personale di quella che è ormai considerata la “TikTok star” della sinistra, mentre il partito ha segnato il suo record di iscritti con 81200 membri: il numero più alto dalla sua fondazione. 

Scholz e l’SPD: riguadagnare terreno sotto pressione

Bersaglio preferito delle critiche al governo e simbolo di un esecutivo percepito come fallimentare, Olaf Scholz ha deciso di riproporsi come candidato cancelliere dell’SPD nonostante il suo credito personale sia ai minimi storici. Scelta peraltro contestata da chi gli avrebbe preferito il popolarissimo ministro della difesa, Boris Pistorius, che dopo mesi di ipotesi ha deciso di rinunciare per non danneggiare il partito.

Scholz procede però con stoicismo, sapendo di vivere in un paese in cui la politica è spesso imprevedibile e forse consapevole di poter rappresentare un’eventuale “correzione socialdemocratica” in una coalizione a due con la CDU.

Con il partito attestato quasi al 16%, il cancelliere uscente continua a ribadire i temi dell’aumento del salario minimo a 15 euro, dell’incremento della pressione fiscale sui redditi più alti e soprattutto insiste sulla necessità di una riforma del freno al debito, che è stato uno dei motivi della frattura con l’ex partner Lindner.

Tuttavia, Scholz manifesta un approccio simile a quello del rivale Merz in tema di immigrazione e nel tradizionale “duello televisivo” tra candidati cancellieri si è vantato del fatto che la Germania non abbia mai avuto, in materia, leggi severe come quelle introdotte dal suo governo. In bilico tra identità socialdemocratica e necessità di ridefinire i programmi in base ai “trending topic” della politica tedesca del momento, Olaf Scholz naviga a vista verso la prova finale.

I possibili scenari di governo

Al di là delle dichiarazioni di principio e del clima internazionale senza precedenti, dopo le elezioni dovrà formarsi il governo e si porrà inevitabilmente il problema delle alleanze. Molti ipotizzano una Grande Coalizione(Große Koalition) tra CDU ed SPD, ma non può escludersi un’alleanza ampia tra CDU, SPD e Verdi, al momento sopra il 13%. Linke e BSW potrebbero inoltre entrare in parlamento e c’è la possibilità, almeno teorica, che anche l’FDP possa tornare in gioco.

In un campo minato di instabilità e ostilità incrociate, queste entità politiche dovranno trovare il modo di collaborare. Il paese è in recessione per il secondo anno consecutivo, attraversa una crisi della produzione industriale e dell’export, arranca sulla transizione digitale e vive una congiuntura nazionale delicata in una fase geopolitica difficilissima, tra le ingerenze politiche e le minacce dell’uso strumentale dei dazi da parte dell’America di Donald Trump e la necessità di ribadire l’indipendenza europea. Senza contare la situazione mediorientale, la questione ucraina e l’emergenza climatica.

L’unica cosa certa è che il nuovo esecutivo dovrà funzionare presto e bene o la Germania rischia conseguenze ancora più pesanti di quelle che ha subito negli ultimi cinque anni. Le incognite sono troppe, gli equilibri sono cambiati e così i venti internazionali: non si può più vivere di rendita.

(Immagine in anteprima: via FMT) 

Dopo gli attacchi dei trumpisti all’Europa, le elezioni in Germania sono diventate le più importanti nella storia del paese

Mancano ormai pochi giorni alle elezioni federali e in Germania ci si prepara tra scossoni e colpi di scena, inclusa l’ingerenza diretta del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. In un’intervista al Wall Street Journal e durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il vice di Trump ha infatti accusato l’Europa di avere una democrazia debole, in cui le voci populiste vengono zittite ed etichettate come “disinformazione”. Ha quindi comunicato che gli Stati Uniti non supporteranno chi, sul punto, non condivide i valori dell’amministrazione Trump, descritta come un modello di libertà di espressione. 

Vance ha inoltre attaccato i partiti tedeschi che si rifiutano di collaborare con il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland), sostenendo che questo significhi ignorare la volontà popolare. Lo ha fatto a meno di dieci giorni dal voto, con un’ingerenza che sembra aver messo da parte il rispetto formale per l’autodeterminazione europea.

La reazione del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è stata durissima. Scholz ha infatti dichiarato che la Germania non tollererà interferenze nella sua politica o lezioni sulla democrazia da parte di “estranei”, soprattutto con interventi a favore di AfD. Ha aggiunto che, dalle file di AfD, il regime nazista e i suoi orrendi crimini sono stati minimizzati come “un fatto insignificante” nella storia tedesca e che questo è incompatibile con un serio impegno affinché il passato non si ripeta. "Come procederà la nostra democrazia, lo decideremo noi” ha ribadito il cancelliere uscente. 

Neanche Friedrich Merz, leader della CDU e probabile nuovo cancelliere tedesco, ha accettato la lezione di democrazia del vice di Trump. “Rispettiamo le elezioni presidenziali e le elezioni del Congresso negli Stati Uniti e ci aspettiamo che gli Stati Uniti facciano lo stesso qui”, ha commentato, per poi concedersi una stoccata. “Noi non cacceremo mai un’agenzia di stampa dalla nostra cancelleria”, ha infatti aggiunto Merz. L’allusione è al fatto che la Casa Bianca abbia cacciato l’agenzia di stampa AP dalla Sala Ovale e dall’Air Force One perché si è rifiutata di denominare il “Golfo del Messico” come "Golfo d'America”, come prescritto da un ordine esecutivo del neopresidente degli Stati Uniti.

Allineati nel respingere al mittente le indicazioni del “nuovo sceriffo in città” (così Vance ha chiamato Trump dal palco di Monaco), gli attori politici tedeschi procedono tuttavia verso l’appuntamento elettorale in un clima di incertezza e sfiducia generale, sin dall’evento che ha innescato il countdown. Il 6 novembre 2024, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz aveva infatti deciso di deporre il suo ministro delle finanze, il leader liberale Christian Lindner (FDP), rompendo la coalizione “semaforo” formata da SPD,  FDP e Verdi e dando origine alla crisi di governo.

Liberali: pronti a uscire di scena?

Storicamente difficilissimi da gestire (nel 2013 Merkel disse "Dio ha creato l’FDP solo per metterci alla prova”), attualmente i liberali tedeschi si attestano nei sondaggi intorno al 4% e quindi sotto la soglia di sbarramento. Se il dato fosse confermato alle urne, l’FDP rimarrebbe fuori dal Bundestag e forse per questo Lindner sta giocando la partita elettorale in modo rumoroso e disperato, come chi non ha nulla da perdere.

Intanto sta facendo di tutto per smarcarsi dal governo Scholz e dai precedenti compagni di coalizione. Lindner ha infatti dichiarato di non voler più collaborare con i Verdi, adducendo differenze inconciliabili, e da tempo sta cercando di recuperare la sua base con dichiarazioni neoliberiste più o meno spregiudicate. A dicembre era arrivato addirittura a sostenere che la Germania avrebbe dovuto osare “un po’ più di Milei o Musk”, pur ridimensionando in seguito le sue dichiarazioni.

Un duro colpo gli è arrivato anche da Friedrich Merz. Il candidato cancelliere dell’Unione si è infatti appellato pubblicamente agli elettori affinché spostino verso la CDU/CSU, che si attesta intorno al 30%, il 4% destinato ai liberali nei sondaggi.

Lindner ha reagito ribadendo che l’FDP è l’unico baluardo contro una possibile alleanza CDU-Verdi e il leader dei liberali a Berlino, Christoph Meyer, ha commentato l’esternazione di Merz definendolo “nervoso”. Di motivi per innervosirsi, comunque, il leader della CDU ne ha avuti molti, di recente.

Friedrich Merz: il respiro corto del favorito

In realtà, Friedrich Merz partiva favorito e poteva dunque permettersi di limitarsi a difendere il vantaggio. Il 29 gennaio 2025 ha invece tentato la rischiosa manovra di approvare una stretta sull’immigrazione con il supporto di AfD che per la prima volta, grazie a lui, è risultata determinante in un voto al Bundestag.

Sullo sfondo, ci sono i fatti di Aschaffenburg e Magdeburgo, avvenuti a gennaio e febbraio del 2025. Ad Aschaffenburg un richiedente asilo afgano con problemi psichici ha accoltellato alcune persone in un parco, uccidendo un bambino di due anni e un uomo di 41. A Magdeburgo, invece, un cittadino saudita ha diretto la sua auto verso la folla di un mercatino di Natale, causando sei vittime. Episodi simili riecheggiano quanto già accaduto altre volte negli ultimi anni, a Mannheim, Solingen e otto anni fa a Berlino. Anche lo scorso 13 febbraio, a 10 giorni dal voto, un giovane afgano si è lanciato con la sua auto sulla folla nel centro di Monaco. Nonostante si parli di episodi diversi (l'attentatore di Magdeburgo è uno psichiatra saudita ferocemente anti-Islam), il fatto che gli autori fossero stranieri e spesso richiedenti asilo ha portato la questione migratoria al centro del dibattito elettorale. 

Votando un provvedimento anti-immigrazione insieme ad AfD, tuttavia, Merz non ha considerato il peso simbolico del suo gesto. Nonostante la mozione non fosse ancora legalmente vincolante, infatti, Merz ha superato la linea del Brandmauer, lo “spartifuoco” che i partiti tedeschi avevano rispettato fino a quel momento, rifiutandosi di avvicinarsi all’estrema destra.

Questo è un giorno molto triste per la democrazia”, ha commentato Olaf Scholz, definendo quanto accaduto la rottura di “un tabù” rimasto intatto dalla fine della seconda guerra mondiale. Ne sono seguite polemiche e reazioni internazionali, mentre dal silenzio del suo ritiro politico è riemersa, quasi come una nemesi, l’ex cancelliera e storica rivale di Merz: Angela Merkel.

L’effetto Merkel

Merkel ha infatti definito un errore il voto congiunto del suo partito con AfD, criticando non solo il fatto che Merz abbia contribuito alla prima maggioranza raggiunta in parlamento con i voti dell’estrema destra, ma anche eccependo rilievi giuridici e di merito sul contenuto della proposta, dichiarando che le emergenze vanno fronteggiate “senza manovre tattiche, ma piuttosto con onestà, moderazione nei toni e sulla base del diritto europeo applicabile”.

Contemporaneamente, a Berlino e in molte altre città tedesche migliaia di persone hanno marciato contro l’asse CDU/AFD per lo stesso motivo. Nella capitale erano almeno in 160 mila, secondo la polizia, e in 250 mila secondo gli organizzatori. Non sono mancati cartelli con su scritto “Ascolta la Mutti, Friedrich” o “La Mutti è molto delusa“ [Mutti è un modo affettuoso di dire “mamma” e uno dei soprannomi di Angela Merkel, NdA], ma anche “Se la risposta è AfD, quanto era stupida la domanda?”.

Come se non bastasse l’eterna spina nel fianco rappresentata dall’ex cancelliera, a turbare la pace di Merz è arrivato anche il fuoco amico di Kai Wegner, sindaco di Berlino e leader della CDU nel Land. Wegner si è infatti dissociato apertamente dalla manovra del suo leader federale, promettendo ostruzione al Bundesrat e dichiarando l’intenzione di opporsi a ogni legge che porti AfD “ad assumere responsabilità di governo”. 

La batosta della seconda votazione

Forse a causa delle polemiche, delle mobilitazioni o dell’influenza ancora forte di Angela Merkel sulla CDU, il secondo pacchetto di norme di Merz è stato bocciato al Bundestag nonostante il supporto di AfD. A “tradirlo”, a sorpresa, anche 12 franchi tiratori della CDU.

Non gli è bastato dichiarare che la sua intenzione era “correggere la rotta” del suo partito fino a rendere AfD non più necessaria, né garantire pubblicamente che non ci sarà alcuna coalizione di governo con l’estrema destra. Il 31 gennaio la “Legge sulla limitazione degli afflussi” è stata affossata e Merz ne è uscito malconcio.

Le foto di quella giornata faticosissima lo ritraggono visibilmente sudato, preoccupato e stanco, non esattamente l’immagine di un vincitore.

Merz è stato accolto da manifestazioni di protesta in due recenti visite ufficiali a Colonia e Bonn. #FriedrichMerz #Germania Foto: EPA-EFE/CLEMENS BILAN

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— Il Mitte (@ilmitte.bsky.social) 6 febbraio 2025 alle ore 07:21

A peggiorare le cose è arrivato il durissimo giudizio di Alice Weidel, co-leader di AfD insieme a Tino Chrupalla. Weidel ha parlato di “smantellamento” di Merz come candidato cancelliere, aggiungendo un terribile “è partito come una tigre e finito come un tappetino”. A questo si è aggiunto il sarcasmo di Chrupalla, che ha esortato la CDU a chiedersi chi sia il vero candidato cancelliere: “Friedrich Merz o ancora la signora Merkel?”.

Resta da vedere quanto la mossa azzardata di Merz si rivelerà efficace e quale sarà il suo impatto nel momento del voto. Alle urne prevarrà la parte più estremista dell’Unione dei cristiano-democratici, quella che in passato ha votato AfD per protesta, oppure la corrente più moderata, che potrebbe far pagare al partito l’avvicinamento all’ultradestra?

AfD secondo partito e con l’endorsement di Elon Musk

Alternativa per la Germania, per il momento, può permettersi di fare la parte del leone. Dal suo ingresso in parlamento, nel 2017, ha visto crescere i consensi fino ad arrivare a essere oggi il secondo partito, con quasi il 21%. Cavalcando il dibattito sull’immigrazione e definendo polemicamente le vittime degli attentati “morti da Brandmauer”, promette una svolta restrittiva con i toni e la sicurezza di chi sa che non avrà responsabilità di governo a breve termine. 

A Karlsruhe, il concetto è stato ribadito depositando nelle cassette delle lettere volantini a forma di biglietto aereo indirizzato a ipotetici “immigrati illegali”, con la dicitura “biglietto di espulsione” e il giorno delle elezioni come data di partenza. A livello federale AfD ha preso le distanze dall'iniziativa, ma dal palco del congresso del partito in Sassonia Alice Weidel ha usato per la prima volta il termine “remigrazione”, dicendo dal palco: “Se remigrazione si deve chiamare, allora chiamiamola così”.

Questo termine, coniato dall’esponente dell’estrema destra austriaca Martin Sellner, indica l’espulsione di massa degli immigrati “non integrati” ed era stato a lungo evitato, per le sue implicazioni problematiche, anche all’interno della stessa AfD. Evidentemente, però. Alternativa per la Germania ritiene di non dover più usare questa cautela linguistica. Ha guadagnato forza, credito e non mancano neanche potenti alleati d’oltreoceano.

Oltre al recente sostegno del vicepresidente degli Stati Uniti, infatti, negli ultimi mesi AfD ha potuto contare anche sul robusto endorsement di Elon Musk. A gennaio, Musk ha partecipato in videocollegamento al lancio della campagna elettorale di AfD, incitando all’orgoglio tedesco e a lottare per un “grande futuro della Germania”, tra le ovazioni di circa 4.500 presenti. Il multimiliardario ha poi aggiunto che la Germania si “concentra troppo sulle colpe del passato” e che dovrebbe lasciarsele alle spalle. “I bambini non dovrebbero essere colpevoli per i peccati dei loro bisnonni”, ha aggiunto con palese riferimento al terzo Reich e all’Olocausto. Queste frasi, arrivate alla vigilia del Giorno della Memoria, hanno ricevuto una replica illustre: quella del presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier. In visita ad Auschwitz in occasione dell’80° anniversario della sua liberazione, Steinmeier ha dichiarato che quanto accaduto ad Auschwitz-Birkenau e altri lager nazisti “fa parte della nostra storia e quindi anche della nostra identità, con cui dobbiamo fare i conti”. Ha inoltre ribadito che la responsabilità per quanto commesso non ha scadenza.

In realtà, da tempo Musk interviene nella politica tedesca come supporter dell’estrema destra, sia sulla sua piattaforma X, dove è arrivato persino a insultare il cancelliere Olaf Scholz chiamandolo “Oaf Schitz" [un gioco di parole per dire "povero pazzo", NdA] e “sciocco incompetente”, sia in modo più mirato, come quando ha scritto un articolo per il Welt am Sonntag definendo AfD come “l’ultima scintilla di speranza per la Germania”. Dal canto suo, Scholz ha liquidato gli attacchi personali come poco importanti, ma ha definito “davvero disgustoso” l’appoggio di Musk alla destra in Europa e si è detto “molto arrabbiato” per il modo in cui il magnate del tech si è riferito a quanto commesso dai tedeschi ai danni di milioni di ebrei in Europa. “Giù le mani dalla nostra democrazia, Mr. Musk”, ha invece dichiarato il candidato cancelliere dei Verdi, Robert Habeck in un’intervista allo Spiegel, sottolineando quanto pericolosa sia la combinazione tra le enormi ricchezze e risorse di Elon Musk e la sua deliberata volontà di ignorare le regole.

Linke e BSW: il rosso e il rossobruno

A questo scenario si aggiunge un’altra variabile interessante: il BSW (che sta per Bündnis Sahra Wagenknecht, Alleanza Sahra Wagenknecht). Nata da una costola della Linke, il BSW ha cercato di ritagliarsi uno spazio tra i vecchi elettori della sinistra, da cui proviene per “filiazione diretta” con la linea socialista in economia e punta a recuperare il rapporto con Putin e il suo gas a basso costo. Allo stesso tempo, però, sta erodendo anche parte dell’elettorato di Alternativa per la Germania grazie a un approccio securitario alle politiche migratorie.

Già da tempo, infatti, Wagenknecht si rivolge a quegli elettori di AfD che definisce “non di destra”, ma solo stanchi di non essere ascoltati dai partiti tradizionali, proponendosi quindi come un’alternativa “rispettabile”. Per questo l’ex Linke, un tempo nota come “Sahra la rossa”, è ormai spesso definita “Sahra la rossobruna”, occupando uno spazio in cui si incontrano poli opposti dello spettro politico. Questa sua trasversalità si è manifestata già ai tempi del Covid-19 e delle proteste sulle misure di contenimento della pandemia e si è consolidata dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

Quando era ancora nella Linke, a febbraio del 2023, Wagenknecht aveva ad esempio ideato con Alice Schwarzer un “Manifesto per la pace”, per chiedere al cancelliere Scholz di sospendere le forniture belliche a Kyiv. L’appello aveva ricevuto 700 mila firme, ma era stato sottoscritto anche dal co-leader di AfD, Tino Chrupalla. Alcuni membri di AfD, incluso il leader del partito in Sassonia, Jörg Urban, avevano inoltre partecipato alla manifestazione collegata alla petizione, organizzata da Wagenknecth a Berlino.

Pochi giorni dopo Björn Höcke (AfD) l’aveva invitata platealmente a unire le forze. “Nel nostro partito Sahra Wagenknecht potrebbe far passare le sue idee di pace” aveva dichiarato. Già leader dell’“Ala”, fazione estremista interna ad AfD ufficialmente sciolta nel 2020, Höcke è leader del partito in Turingia, Land in cui AfD è classificato come un partito di estrema destra dall’Ufficio per la Protezione della Costituzione. Nel 2023 e nel 2024 è stato inoltre processato per aver usato uno slogan nazista durante un discorso pubblico. Parliamo di “Alles für Deutschland”, cioè “Tutto per la Germania”, un tempo motto delle SA, le famigerate squadre d’assalto note anche come camicie brune.

Tornando al presente e al BSW, la volontà strategica di non scontentare nessuno è emersa anche nel comportamento di Wagenknecht di fronte alla prima mozione anti-immigrazione presentata da Merz e approvata con i voti di AfD. I membri del BSW, infatti, si sono tutti astenuti. Forse perché appoggiarla avrebbe alienato l’elettorato di sinistra, mentre respingerla avrebbe deluso quello di destra?

Anche non prendere posizione, però, finisce per scontentare qualcuno e in Baviera sei membri del BSW si sono dimessi lamentando uno spostamento a destra sul tema dell’immigrazione. Al momento, la creatura di Wagenknecht è al 5%. Continuerà ad attirare voti da più lati o farà la fine del pipistrello della favola, che sposa due fazioni nella guerra tra uccelli e topi e alla fine non convince nessuno?

L’improvvisa rimonta della Linke

Anche la Linke sembra attestarsi intorno al 5%, proprio sulla soglia di sbarramento. Soprattutto, però, ha recentemente riguadagnato terreno con uno scatto sorprendente. Si ritiene che questa rimonta si leghi all’indignazione per il tabù infranto del Brandmauer ma anche, in parte, all’appassionato discorso contro Friedrich Merz tenuto al Bundestag dalla giovane deputata Heidi Reichinnek.

Un breve video dell’intervento ha registrato milioni di visualizzazioni solo sul canale personale di quella che è ormai considerata la “TikTok star” della sinistra, mentre il partito ha segnato il suo record di iscritti con 81200 membri: il numero più alto dalla sua fondazione. 

Scholz e l’SPD: riguadagnare terreno sotto pressione

Bersaglio preferito delle critiche al governo e simbolo di un esecutivo percepito come fallimentare, Olaf Scholz ha deciso di riproporsi come candidato cancelliere dell’SPD nonostante il suo credito personale sia ai minimi storici. Scelta peraltro contestata da chi gli avrebbe preferito il popolarissimo ministro della difesa, Boris Pistorius, che dopo mesi di ipotesi ha deciso di rinunciare per non danneggiare il partito.

Scholz procede però con stoicismo, sapendo di vivere in un paese in cui la politica è spesso imprevedibile e forse consapevole di poter rappresentare un’eventuale “correzione socialdemocratica” in una coalizione a due con la CDU.

Con il partito attestato quasi al 16%, il cancelliere uscente continua a ribadire i temi dell’aumento del salario minimo a 15 euro, dell’incremento della pressione fiscale sui redditi più alti e soprattutto insiste sulla necessità di una riforma del freno al debito, che è stato uno dei motivi della frattura con l’ex partner Lindner.

Tuttavia, Scholz manifesta un approccio simile a quello del rivale Merz in tema di immigrazione e nel tradizionale “duello televisivo” tra candidati cancellieri si è vantato del fatto che la Germania non abbia mai avuto, in materia, leggi severe come quelle introdotte dal suo governo. In bilico tra identità socialdemocratica e necessità di ridefinire i programmi in base ai “trending topic” della politica tedesca del momento, Olaf Scholz naviga a vista verso la prova finale.

I possibili scenari di governo

Al di là delle dichiarazioni di principio e del clima internazionale senza precedenti, dopo le elezioni dovrà formarsi il governo e si porrà inevitabilmente il problema delle alleanze. Molti ipotizzano una Grande Coalizione(Große Koalition) tra CDU ed SPD, ma non può escludersi un’alleanza ampia tra CDU, SPD e Verdi, al momento sopra il 13%. Linke e BSW potrebbero inoltre entrare in parlamento e c’è la possibilità, almeno teorica, che anche l’FDP possa tornare in gioco.

In un campo minato di instabilità e ostilità incrociate, queste entità politiche dovranno trovare il modo di collaborare. Il paese è in recessione per il secondo anno consecutivo, attraversa una crisi della produzione industriale e dell’export, arranca sulla transizione digitale e vive una congiuntura nazionale delicata in una fase geopolitica difficilissima, tra le ingerenze politiche e le minacce dell’uso strumentale dei dazi da parte dell’America di Donald Trump e la necessità di ribadire l’indipendenza europea. Senza contare la situazione mediorientale, la questione ucraina e l’emergenza climatica.

L’unica cosa certa è che il nuovo esecutivo dovrà funzionare presto e bene o la Germania rischia conseguenze ancora più pesanti di quelle che ha subito negli ultimi cinque anni. Le incognite sono troppe, gli equilibri sono cambiati e così i venti internazionali: non si può più vivere di rendita.

(Immagine in anteprima: via FMT) 

Dopo gli attacchi dei trumpisti all’Europa, le elezioni in Germania sono diventate le più importanti nella storia del paese

Mancano ormai pochi giorni alle elezioni federali e in Germania ci si prepara tra scossoni e colpi di scena, inclusa l’ingerenza diretta del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. In un’intervista al Wall Street Journal e durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il vice di Trump ha infatti accusato l’Europa di avere una democrazia debole, in cui le voci populiste vengono zittite ed etichettate come “disinformazione”. Ha quindi comunicato che gli Stati Uniti non supporteranno chi, sul punto, non condivide i valori dell’amministrazione Trump, descritta come un modello di libertà di espressione. 

Vance ha inoltre attaccato i partiti tedeschi che si rifiutano di collaborare con il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland), sostenendo che questo significhi ignorare la volontà popolare. Lo ha fatto a meno di dieci giorni dal voto, con un’ingerenza che sembra aver messo da parte il rispetto formale per l’autodeterminazione europea.

La reazione del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è stata durissima. Scholz ha infatti dichiarato che la Germania non tollererà interferenze nella sua politica o lezioni sulla democrazia da parte di “estranei”, soprattutto con interventi a favore di AfD. Ha aggiunto che, dalle file di AfD, il regime nazista e i suoi orrendi crimini sono stati minimizzati come “un fatto insignificante” nella storia tedesca e che questo è incompatibile con un serio impegno affinché il passato non si ripeta. "Come procederà la nostra democrazia, lo decideremo noi” ha ribadito il cancelliere uscente. 

Neanche Friedrich Merz, leader della CDU e probabile nuovo cancelliere tedesco, ha accettato la lezione di democrazia del vice di Trump. “Rispettiamo le elezioni presidenziali e le elezioni del Congresso negli Stati Uniti e ci aspettiamo che gli Stati Uniti facciano lo stesso qui”, ha commentato, per poi concedersi una stoccata. “Noi non cacceremo mai un’agenzia di stampa dalla nostra cancelleria”, ha infatti aggiunto Merz. L’allusione è al fatto che la Casa Bianca abbia cacciato l’agenzia di stampa AP dalla Sala Ovale e dall’Air Force One perché si è rifiutata di denominare il “Golfo del Messico” come "Golfo d'America”, come prescritto da un ordine esecutivo del neopresidente degli Stati Uniti.

Allineati nel respingere al mittente le indicazioni del “nuovo sceriffo in città” (così Vance ha chiamato Trump dal palco di Monaco), gli attori politici tedeschi procedono tuttavia verso l’appuntamento elettorale in un clima di incertezza e sfiducia generale, sin dall’evento che ha innescato il countdown. Il 6 novembre 2024, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz aveva infatti deciso di deporre il suo ministro delle finanze, il leader liberale Christian Lindner (FDP), rompendo la coalizione “semaforo” formata da SPD,  FDP e Verdi e dando origine alla crisi di governo.

Liberali: pronti a uscire di scena?

Storicamente difficilissimi da gestire (nel 2013 Merkel disse "Dio ha creato l’FDP solo per metterci alla prova”), attualmente i liberali tedeschi si attestano nei sondaggi intorno al 4% e quindi sotto la soglia di sbarramento. Se il dato fosse confermato alle urne, l’FDP rimarrebbe fuori dal Bundestag e forse per questo Lindner sta giocando la partita elettorale in modo rumoroso e disperato, come chi non ha nulla da perdere.

Intanto sta facendo di tutto per smarcarsi dal governo Scholz e dai precedenti compagni di coalizione. Lindner ha infatti dichiarato di non voler più collaborare con i Verdi, adducendo differenze inconciliabili, e da tempo sta cercando di recuperare la sua base con dichiarazioni neoliberiste più o meno spregiudicate. A dicembre era arrivato addirittura a sostenere che la Germania avrebbe dovuto osare “un po’ più di Milei o Musk”, pur ridimensionando in seguito le sue dichiarazioni.

Un duro colpo gli è arrivato anche da Friedrich Merz. Il candidato cancelliere dell’Unione si è infatti appellato pubblicamente agli elettori affinché spostino verso la CDU/CSU, che si attesta intorno al 30%, il 4% destinato ai liberali nei sondaggi.

Lindner ha reagito ribadendo che l’FDP è l’unico baluardo contro una possibile alleanza CDU-Verdi e il leader dei liberali a Berlino, Christoph Meyer, ha commentato l’esternazione di Merz definendolo “nervoso”. Di motivi per innervosirsi, comunque, il leader della CDU ne ha avuti molti, di recente.

Friedrich Merz: il respiro corto del favorito

In realtà, Friedrich Merz partiva favorito e poteva dunque permettersi di limitarsi a difendere il vantaggio. Il 29 gennaio 2025 ha invece tentato la rischiosa manovra di approvare una stretta sull’immigrazione con il supporto di AfD che per la prima volta, grazie a lui, è risultata determinante in un voto al Bundestag.

Sullo sfondo, ci sono i fatti di Aschaffenburg e Magdeburgo, avvenuti a gennaio e febbraio del 2025. Ad Aschaffenburg un richiedente asilo afgano con problemi psichici ha accoltellato alcune persone in un parco, uccidendo un bambino di due anni e un uomo di 41. A Magdeburgo, invece, un cittadino saudita ha diretto la sua auto verso la folla di un mercatino di Natale, causando sei vittime. Episodi simili riecheggiano quanto già accaduto altre volte negli ultimi anni, a Mannheim, Solingen e otto anni fa a Berlino. Anche lo scorso 13 febbraio, a 10 giorni dal voto, un giovane afgano si è lanciato con la sua auto sulla folla nel centro di Monaco. Nonostante si parli di episodi diversi (l'attentatore di Magdeburgo è uno psichiatra saudita ferocemente anti-Islam), il fatto che gli autori fossero stranieri e spesso richiedenti asilo ha portato la questione migratoria al centro del dibattito elettorale. 

Votando un provvedimento anti-immigrazione insieme ad AfD, tuttavia, Merz non ha considerato il peso simbolico del suo gesto. Nonostante la mozione non fosse ancora legalmente vincolante, infatti, Merz ha superato la linea del Brandmauer, lo “spartifuoco” che i partiti tedeschi avevano rispettato fino a quel momento, rifiutandosi di avvicinarsi all’estrema destra.

Questo è un giorno molto triste per la democrazia”, ha commentato Olaf Scholz, definendo quanto accaduto la rottura di “un tabù” rimasto intatto dalla fine della seconda guerra mondiale. Ne sono seguite polemiche e reazioni internazionali, mentre dal silenzio del suo ritiro politico è riemersa, quasi come una nemesi, l’ex cancelliera e storica rivale di Merz: Angela Merkel.

L’effetto Merkel

Merkel ha infatti definito un errore il voto congiunto del suo partito con AfD, criticando non solo il fatto che Merz abbia contribuito alla prima maggioranza raggiunta in parlamento con i voti dell’estrema destra, ma anche eccependo rilievi giuridici e di merito sul contenuto della proposta, dichiarando che le emergenze vanno fronteggiate “senza manovre tattiche, ma piuttosto con onestà, moderazione nei toni e sulla base del diritto europeo applicabile”.

Contemporaneamente, a Berlino e in molte altre città tedesche migliaia di persone hanno marciato contro l’asse CDU/AFD per lo stesso motivo. Nella capitale erano almeno in 160 mila, secondo la polizia, e in 250 mila secondo gli organizzatori. Non sono mancati cartelli con su scritto “Ascolta la Mutti, Friedrich” o “La Mutti è molto delusa“ [Mutti è un modo affettuoso di dire “mamma” e uno dei soprannomi di Angela Merkel, NdA], ma anche “Se la risposta è AfD, quanto era stupida la domanda?”.

Come se non bastasse l’eterna spina nel fianco rappresentata dall’ex cancelliera, a turbare la pace di Merz è arrivato anche il fuoco amico di Kai Wegner, sindaco di Berlino e leader della CDU nel Land. Wegner si è infatti dissociato apertamente dalla manovra del suo leader federale, promettendo ostruzione al Bundesrat e dichiarando l’intenzione di opporsi a ogni legge che porti AfD “ad assumere responsabilità di governo”. 

La batosta della seconda votazione

Forse a causa delle polemiche, delle mobilitazioni o dell’influenza ancora forte di Angela Merkel sulla CDU, il secondo pacchetto di norme di Merz è stato bocciato al Bundestag nonostante il supporto di AfD. A “tradirlo”, a sorpresa, anche 12 franchi tiratori della CDU.

Non gli è bastato dichiarare che la sua intenzione era “correggere la rotta” del suo partito fino a rendere AfD non più necessaria, né garantire pubblicamente che non ci sarà alcuna coalizione di governo con l’estrema destra. Il 31 gennaio la “Legge sulla limitazione degli afflussi” è stata affossata e Merz ne è uscito malconcio.

Le foto di quella giornata faticosissima lo ritraggono visibilmente sudato, preoccupato e stanco, non esattamente l’immagine di un vincitore.

Merz è stato accolto da manifestazioni di protesta in due recenti visite ufficiali a Colonia e Bonn. #FriedrichMerz #Germania Foto: EPA-EFE/CLEMENS BILAN

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— Il Mitte (@ilmitte.bsky.social) 6 febbraio 2025 alle ore 07:21

A peggiorare le cose è arrivato il durissimo giudizio di Alice Weidel, co-leader di AfD insieme a Tino Chrupalla. Weidel ha parlato di “smantellamento” di Merz come candidato cancelliere, aggiungendo un terribile “è partito come una tigre e finito come un tappetino”. A questo si è aggiunto il sarcasmo di Chrupalla, che ha esortato la CDU a chiedersi chi sia il vero candidato cancelliere: “Friedrich Merz o ancora la signora Merkel?”.

Resta da vedere quanto la mossa azzardata di Merz si rivelerà efficace e quale sarà il suo impatto nel momento del voto. Alle urne prevarrà la parte più estremista dell’Unione dei cristiano-democratici, quella che in passato ha votato AfD per protesta, oppure la corrente più moderata, che potrebbe far pagare al partito l’avvicinamento all’ultradestra?

AfD secondo partito e con l’endorsement di Elon Musk

Alternativa per la Germania, per il momento, può permettersi di fare la parte del leone. Dal suo ingresso in parlamento, nel 2017, ha visto crescere i consensi fino ad arrivare a essere oggi il secondo partito, con quasi il 21%. Cavalcando il dibattito sull’immigrazione e definendo polemicamente le vittime degli attentati “morti da Brandmauer”, promette una svolta restrittiva con i toni e la sicurezza di chi sa che non avrà responsabilità di governo a breve termine. 

A Karlsruhe, il concetto è stato ribadito depositando nelle cassette delle lettere volantini a forma di biglietto aereo indirizzato a ipotetici “immigrati illegali”, con la dicitura “biglietto di espulsione” e il giorno delle elezioni come data di partenza. A livello federale AfD ha preso le distanze dall'iniziativa, ma dal palco del congresso del partito in Sassonia Alice Weidel ha usato per la prima volta il termine “remigrazione”, dicendo dal palco: “Se remigrazione si deve chiamare, allora chiamiamola così”.

Questo termine, coniato dall’esponente dell’estrema destra austriaca Martin Sellner, indica l’espulsione di massa degli immigrati “non integrati” ed era stato a lungo evitato, per le sue implicazioni problematiche, anche all’interno della stessa AfD. Evidentemente, però. Alternativa per la Germania ritiene di non dover più usare questa cautela linguistica. Ha guadagnato forza, credito e non mancano neanche potenti alleati d’oltreoceano.

Oltre al recente sostegno del vicepresidente degli Stati Uniti, infatti, negli ultimi mesi AfD ha potuto contare anche sul robusto endorsement di Elon Musk. A gennaio, Musk ha partecipato in videocollegamento al lancio della campagna elettorale di AfD, incitando all’orgoglio tedesco e a lottare per un “grande futuro della Germania”, tra le ovazioni di circa 4.500 presenti. Il multimiliardario ha poi aggiunto che la Germania si “concentra troppo sulle colpe del passato” e che dovrebbe lasciarsele alle spalle. “I bambini non dovrebbero essere colpevoli per i peccati dei loro bisnonni”, ha aggiunto con palese riferimento al terzo Reich e all’Olocausto. Queste frasi, arrivate alla vigilia del Giorno della Memoria, hanno ricevuto una replica illustre: quella del presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier. In visita ad Auschwitz in occasione dell’80° anniversario della sua liberazione, Steinmeier ha dichiarato che quanto accaduto ad Auschwitz-Birkenau e altri lager nazisti “fa parte della nostra storia e quindi anche della nostra identità, con cui dobbiamo fare i conti”. Ha inoltre ribadito che la responsabilità per quanto commesso non ha scadenza.

In realtà, da tempo Musk interviene nella politica tedesca come supporter dell’estrema destra, sia sulla sua piattaforma X, dove è arrivato persino a insultare il cancelliere Olaf Scholz chiamandolo “Oaf Schitz" [un gioco di parole per dire "povero pazzo", NdA] e “sciocco incompetente”, sia in modo più mirato, come quando ha scritto un articolo per il Welt am Sonntag definendo AfD come “l’ultima scintilla di speranza per la Germania”. Dal canto suo, Scholz ha liquidato gli attacchi personali come poco importanti, ma ha definito “davvero disgustoso” l’appoggio di Musk alla destra in Europa e si è detto “molto arrabbiato” per il modo in cui il magnate del tech si è riferito a quanto commesso dai tedeschi ai danni di milioni di ebrei in Europa. “Giù le mani dalla nostra democrazia, Mr. Musk”, ha invece dichiarato il candidato cancelliere dei Verdi, Robert Habeck in un’intervista allo Spiegel, sottolineando quanto pericolosa sia la combinazione tra le enormi ricchezze e risorse di Elon Musk e la sua deliberata volontà di ignorare le regole.

Linke e BSW: il rosso e il rossobruno

A questo scenario si aggiunge un’altra variabile interessante: il BSW (che sta per Bündnis Sahra Wagenknecht, Alleanza Sahra Wagenknecht). Nata da una costola della Linke, il BSW ha cercato di ritagliarsi uno spazio tra i vecchi elettori della sinistra, da cui proviene per “filiazione diretta” con la linea socialista in economia e punta a recuperare il rapporto con Putin e il suo gas a basso costo. Allo stesso tempo, però, sta erodendo anche parte dell’elettorato di Alternativa per la Germania grazie a un approccio securitario alle politiche migratorie.

Già da tempo, infatti, Wagenknecht si rivolge a quegli elettori di AfD che definisce “non di destra”, ma solo stanchi di non essere ascoltati dai partiti tradizionali, proponendosi quindi come un’alternativa “rispettabile”. Per questo l’ex Linke, un tempo nota come “Sahra la rossa”, è ormai spesso definita “Sahra la rossobruna”, occupando uno spazio in cui si incontrano poli opposti dello spettro politico. Questa sua trasversalità si è manifestata già ai tempi del Covid-19 e delle proteste sulle misure di contenimento della pandemia e si è consolidata dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

Quando era ancora nella Linke, a febbraio del 2023, Wagenknecht aveva ad esempio ideato con Alice Schwarzer un “Manifesto per la pace”, per chiedere al cancelliere Scholz di sospendere le forniture belliche a Kyiv. L’appello aveva ricevuto 700 mila firme, ma era stato sottoscritto anche dal co-leader di AfD, Tino Chrupalla. Alcuni membri di AfD, incluso il leader del partito in Sassonia, Jörg Urban, avevano inoltre partecipato alla manifestazione collegata alla petizione, organizzata da Wagenknecth a Berlino.

Pochi giorni dopo Björn Höcke (AfD) l’aveva invitata platealmente a unire le forze. “Nel nostro partito Sahra Wagenknecht potrebbe far passare le sue idee di pace” aveva dichiarato. Già leader dell’“Ala”, fazione estremista interna ad AfD ufficialmente sciolta nel 2020, Höcke è leader del partito in Turingia, Land in cui AfD è classificato come un partito di estrema destra dall’Ufficio per la Protezione della Costituzione. Nel 2023 e nel 2024 è stato inoltre processato per aver usato uno slogan nazista durante un discorso pubblico. Parliamo di “Alles für Deutschland”, cioè “Tutto per la Germania”, un tempo motto delle SA, le famigerate squadre d’assalto note anche come camicie brune.

Tornando al presente e al BSW, la volontà strategica di non scontentare nessuno è emersa anche nel comportamento di Wagenknecht di fronte alla prima mozione anti-immigrazione presentata da Merz e approvata con i voti di AfD. I membri del BSW, infatti, si sono tutti astenuti. Forse perché appoggiarla avrebbe alienato l’elettorato di sinistra, mentre respingerla avrebbe deluso quello di destra?

Anche non prendere posizione, però, finisce per scontentare qualcuno e in Baviera sei membri del BSW si sono dimessi lamentando uno spostamento a destra sul tema dell’immigrazione. Al momento, la creatura di Wagenknecht è al 5%. Continuerà ad attirare voti da più lati o farà la fine del pipistrello della favola, che sposa due fazioni nella guerra tra uccelli e topi e alla fine non convince nessuno?

L’improvvisa rimonta della Linke

Anche la Linke sembra attestarsi intorno al 5%, proprio sulla soglia di sbarramento. Soprattutto, però, ha recentemente riguadagnato terreno con uno scatto sorprendente. Si ritiene che questa rimonta si leghi all’indignazione per il tabù infranto del Brandmauer ma anche, in parte, all’appassionato discorso contro Friedrich Merz tenuto al Bundestag dalla giovane deputata Heidi Reichinnek.

Un breve video dell’intervento ha registrato milioni di visualizzazioni solo sul canale personale di quella che è ormai considerata la “TikTok star” della sinistra, mentre il partito ha segnato il suo record di iscritti con 81200 membri: il numero più alto dalla sua fondazione. 

Scholz e l’SPD: riguadagnare terreno sotto pressione

Bersaglio preferito delle critiche al governo e simbolo di un esecutivo percepito come fallimentare, Olaf Scholz ha deciso di riproporsi come candidato cancelliere dell’SPD nonostante il suo credito personale sia ai minimi storici. Scelta peraltro contestata da chi gli avrebbe preferito il popolarissimo ministro della difesa, Boris Pistorius, che dopo mesi di ipotesi ha deciso di rinunciare per non danneggiare il partito.

Scholz procede però con stoicismo, sapendo di vivere in un paese in cui la politica è spesso imprevedibile e forse consapevole di poter rappresentare un’eventuale “correzione socialdemocratica” in una coalizione a due con la CDU.

Con il partito attestato quasi al 16%, il cancelliere uscente continua a ribadire i temi dell’aumento del salario minimo a 15 euro, dell’incremento della pressione fiscale sui redditi più alti e soprattutto insiste sulla necessità di una riforma del freno al debito, che è stato uno dei motivi della frattura con l’ex partner Lindner.

Tuttavia, Scholz manifesta un approccio simile a quello del rivale Merz in tema di immigrazione e nel tradizionale “duello televisivo” tra candidati cancellieri si è vantato del fatto che la Germania non abbia mai avuto, in materia, leggi severe come quelle introdotte dal suo governo. In bilico tra identità socialdemocratica e necessità di ridefinire i programmi in base ai “trending topic” della politica tedesca del momento, Olaf Scholz naviga a vista verso la prova finale.

I possibili scenari di governo

Al di là delle dichiarazioni di principio e del clima internazionale senza precedenti, dopo le elezioni dovrà formarsi il governo e si porrà inevitabilmente il problema delle alleanze. Molti ipotizzano una Grande Coalizione(Große Koalition) tra CDU ed SPD, ma non può escludersi un’alleanza ampia tra CDU, SPD e Verdi, al momento sopra il 13%. Linke e BSW potrebbero inoltre entrare in parlamento e c’è la possibilità, almeno teorica, che anche l’FDP possa tornare in gioco.

In un campo minato di instabilità e ostilità incrociate, queste entità politiche dovranno trovare il modo di collaborare. Il paese è in recessione per il secondo anno consecutivo, attraversa una crisi della produzione industriale e dell’export, arranca sulla transizione digitale e vive una congiuntura nazionale delicata in una fase geopolitica difficilissima, tra le ingerenze politiche e le minacce dell’uso strumentale dei dazi da parte dell’America di Donald Trump e la necessità di ribadire l’indipendenza europea. Senza contare la situazione mediorientale, la questione ucraina e l’emergenza climatica.

L’unica cosa certa è che il nuovo esecutivo dovrà funzionare presto e bene o la Germania rischia conseguenze ancora più pesanti di quelle che ha subito negli ultimi cinque anni. Le incognite sono troppe, gli equilibri sono cambiati e così i venti internazionali: non si può più vivere di rendita.

(Immagine in anteprima: via FMT) 

Dopo gli attacchi dei trumpisti all’Europa, le elezioni in Germania sono diventate le più importanti nella storia del paese

Mancano ormai pochi giorni alle elezioni federali e in Germania ci si prepara tra scossoni e colpi di scena, inclusa l’ingerenza diretta del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. In un’intervista al Wall Street Journal e durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il vice di Trump ha infatti accusato l’Europa di avere una democrazia debole, in cui le voci populiste vengono zittite ed etichettate come “disinformazione”. Ha quindi comunicato che gli Stati Uniti non supporteranno chi, sul punto, non condivide i valori dell’amministrazione Trump, descritta come un modello di libertà di espressione. 

Vance ha inoltre attaccato i partiti tedeschi che si rifiutano di collaborare con il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland), sostenendo che questo significhi ignorare la volontà popolare. Lo ha fatto a meno di dieci giorni dal voto, con un’ingerenza che sembra aver messo da parte il rispetto formale per l’autodeterminazione europea.

La reazione del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è stata durissima. Scholz ha infatti dichiarato che la Germania non tollererà interferenze nella sua politica o lezioni sulla democrazia da parte di “estranei”, soprattutto con interventi a favore di AfD. Ha aggiunto che, dalle file di AfD, il regime nazista e i suoi orrendi crimini sono stati minimizzati come “un fatto insignificante” nella storia tedesca e che questo è incompatibile con un serio impegno affinché il passato non si ripeta. "Come procederà la nostra democrazia, lo decideremo noi” ha ribadito il cancelliere uscente. 

Neanche Friedrich Merz, leader della CDU e probabile nuovo cancelliere tedesco, ha accettato la lezione di democrazia del vice di Trump. “Rispettiamo le elezioni presidenziali e le elezioni del Congresso negli Stati Uniti e ci aspettiamo che gli Stati Uniti facciano lo stesso qui”, ha commentato, per poi concedersi una stoccata. “Noi non cacceremo mai un’agenzia di stampa dalla nostra cancelleria”, ha infatti aggiunto Merz. L’allusione è al fatto che la Casa Bianca abbia cacciato l’agenzia di stampa AP dalla Sala Ovale e dall’Air Force One perché si è rifiutata di denominare il “Golfo del Messico” come "Golfo d'America”, come prescritto da un ordine esecutivo del neopresidente degli Stati Uniti.

Allineati nel respingere al mittente le indicazioni del “nuovo sceriffo in città” (così Vance ha chiamato Trump dal palco di Monaco), gli attori politici tedeschi procedono tuttavia verso l’appuntamento elettorale in un clima di incertezza e sfiducia generale, sin dall’evento che ha innescato il countdown. Il 6 novembre 2024, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz aveva infatti deciso di deporre il suo ministro delle finanze, il leader liberale Christian Lindner (FDP), rompendo la coalizione “semaforo” formata da SPD,  FDP e Verdi e dando origine alla crisi di governo.

Liberali: pronti a uscire di scena?

Storicamente difficilissimi da gestire (nel 2013 Merkel disse "Dio ha creato l’FDP solo per metterci alla prova”), attualmente i liberali tedeschi si attestano nei sondaggi intorno al 4% e quindi sotto la soglia di sbarramento. Se il dato fosse confermato alle urne, l’FDP rimarrebbe fuori dal Bundestag e forse per questo Lindner sta giocando la partita elettorale in modo rumoroso e disperato, come chi non ha nulla da perdere.

Intanto sta facendo di tutto per smarcarsi dal governo Scholz e dai precedenti compagni di coalizione. Lindner ha infatti dichiarato di non voler più collaborare con i Verdi, adducendo differenze inconciliabili, e da tempo sta cercando di recuperare la sua base con dichiarazioni neoliberiste più o meno spregiudicate. A dicembre era arrivato addirittura a sostenere che la Germania avrebbe dovuto osare “un po’ più di Milei o Musk”, pur ridimensionando in seguito le sue dichiarazioni.

Un duro colpo gli è arrivato anche da Friedrich Merz. Il candidato cancelliere dell’Unione si è infatti appellato pubblicamente agli elettori affinché spostino verso la CDU/CSU, che si attesta intorno al 30%, il 4% destinato ai liberali nei sondaggi.

Lindner ha reagito ribadendo che l’FDP è l’unico baluardo contro una possibile alleanza CDU-Verdi e il leader dei liberali a Berlino, Christoph Meyer, ha commentato l’esternazione di Merz definendolo “nervoso”. Di motivi per innervosirsi, comunque, il leader della CDU ne ha avuti molti, di recente.

Friedrich Merz: il respiro corto del favorito

In realtà, Friedrich Merz partiva favorito e poteva dunque permettersi di limitarsi a difendere il vantaggio. Il 29 gennaio 2025 ha invece tentato la rischiosa manovra di approvare una stretta sull’immigrazione con il supporto di AfD che per la prima volta, grazie a lui, è risultata determinante in un voto al Bundestag.

Sullo sfondo, ci sono i fatti di Aschaffenburg e Magdeburgo, avvenuti a gennaio e febbraio del 2025. Ad Aschaffenburg un richiedente asilo afgano con problemi psichici ha accoltellato alcune persone in un parco, uccidendo un bambino di due anni e un uomo di 41. A Magdeburgo, invece, un cittadino saudita ha diretto la sua auto verso la folla di un mercatino di Natale, causando sei vittime. Episodi simili riecheggiano quanto già accaduto altre volte negli ultimi anni, a Mannheim, Solingen e otto anni fa a Berlino. Anche lo scorso 13 febbraio, a 10 giorni dal voto, un giovane afgano si è lanciato con la sua auto sulla folla nel centro di Monaco. Nonostante si parli di episodi diversi (l'attentatore di Magdeburgo è uno psichiatra saudita ferocemente anti-Islam), il fatto che gli autori fossero stranieri e spesso richiedenti asilo ha portato la questione migratoria al centro del dibattito elettorale. 

Votando un provvedimento anti-immigrazione insieme ad AfD, tuttavia, Merz non ha considerato il peso simbolico del suo gesto. Nonostante la mozione non fosse ancora legalmente vincolante, infatti, Merz ha superato la linea del Brandmauer, lo “spartifuoco” che i partiti tedeschi avevano rispettato fino a quel momento, rifiutandosi di avvicinarsi all’estrema destra.

Questo è un giorno molto triste per la democrazia”, ha commentato Olaf Scholz, definendo quanto accaduto la rottura di “un tabù” rimasto intatto dalla fine della seconda guerra mondiale. Ne sono seguite polemiche e reazioni internazionali, mentre dal silenzio del suo ritiro politico è riemersa, quasi come una nemesi, l’ex cancelliera e storica rivale di Merz: Angela Merkel.

L’effetto Merkel

Merkel ha infatti definito un errore il voto congiunto del suo partito con AfD, criticando non solo il fatto che Merz abbia contribuito alla prima maggioranza raggiunta in parlamento con i voti dell’estrema destra, ma anche eccependo rilievi giuridici e di merito sul contenuto della proposta, dichiarando che le emergenze vanno fronteggiate “senza manovre tattiche, ma piuttosto con onestà, moderazione nei toni e sulla base del diritto europeo applicabile”.

Contemporaneamente, a Berlino e in molte altre città tedesche migliaia di persone hanno marciato contro l’asse CDU/AFD per lo stesso motivo. Nella capitale erano almeno in 160 mila, secondo la polizia, e in 250 mila secondo gli organizzatori. Non sono mancati cartelli con su scritto “Ascolta la Mutti, Friedrich” o “La Mutti è molto delusa“ [Mutti è un modo affettuoso di dire “mamma” e uno dei soprannomi di Angela Merkel, NdA], ma anche “Se la risposta è AfD, quanto era stupida la domanda?”.

Come se non bastasse l’eterna spina nel fianco rappresentata dall’ex cancelliera, a turbare la pace di Merz è arrivato anche il fuoco amico di Kai Wegner, sindaco di Berlino e leader della CDU nel Land. Wegner si è infatti dissociato apertamente dalla manovra del suo leader federale, promettendo ostruzione al Bundesrat e dichiarando l’intenzione di opporsi a ogni legge che porti AfD “ad assumere responsabilità di governo”. 

La batosta della seconda votazione

Forse a causa delle polemiche, delle mobilitazioni o dell’influenza ancora forte di Angela Merkel sulla CDU, il secondo pacchetto di norme di Merz è stato bocciato al Bundestag nonostante il supporto di AfD. A “tradirlo”, a sorpresa, anche 12 franchi tiratori della CDU.

Non gli è bastato dichiarare che la sua intenzione era “correggere la rotta” del suo partito fino a rendere AfD non più necessaria, né garantire pubblicamente che non ci sarà alcuna coalizione di governo con l’estrema destra. Il 31 gennaio la “Legge sulla limitazione degli afflussi” è stata affossata e Merz ne è uscito malconcio.

Le foto di quella giornata faticosissima lo ritraggono visibilmente sudato, preoccupato e stanco, non esattamente l’immagine di un vincitore.

Merz è stato accolto da manifestazioni di protesta in due recenti visite ufficiali a Colonia e Bonn. #FriedrichMerz #Germania Foto: EPA-EFE/CLEMENS BILAN

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— Il Mitte (@ilmitte.bsky.social) 6 febbraio 2025 alle ore 07:21

A peggiorare le cose è arrivato il durissimo giudizio di Alice Weidel, co-leader di AfD insieme a Tino Chrupalla. Weidel ha parlato di “smantellamento” di Merz come candidato cancelliere, aggiungendo un terribile “è partito come una tigre e finito come un tappetino”. A questo si è aggiunto il sarcasmo di Chrupalla, che ha esortato la CDU a chiedersi chi sia il vero candidato cancelliere: “Friedrich Merz o ancora la signora Merkel?”.

Resta da vedere quanto la mossa azzardata di Merz si rivelerà efficace e quale sarà il suo impatto nel momento del voto. Alle urne prevarrà la parte più estremista dell’Unione dei cristiano-democratici, quella che in passato ha votato AfD per protesta, oppure la corrente più moderata, che potrebbe far pagare al partito l’avvicinamento all’ultradestra?

AfD secondo partito e con l’endorsement di Elon Musk

Alternativa per la Germania, per il momento, può permettersi di fare la parte del leone. Dal suo ingresso in parlamento, nel 2017, ha visto crescere i consensi fino ad arrivare a essere oggi il secondo partito, con quasi il 21%. Cavalcando il dibattito sull’immigrazione e definendo polemicamente le vittime degli attentati “morti da Brandmauer”, promette una svolta restrittiva con i toni e la sicurezza di chi sa che non avrà responsabilità di governo a breve termine. 

A Karlsruhe, il concetto è stato ribadito depositando nelle cassette delle lettere volantini a forma di biglietto aereo indirizzato a ipotetici “immigrati illegali”, con la dicitura “biglietto di espulsione” e il giorno delle elezioni come data di partenza. A livello federale AfD ha preso le distanze dall'iniziativa, ma dal palco del congresso del partito in Sassonia Alice Weidel ha usato per la prima volta il termine “remigrazione”, dicendo dal palco: “Se remigrazione si deve chiamare, allora chiamiamola così”.

Questo termine, coniato dall’esponente dell’estrema destra austriaca Martin Sellner, indica l’espulsione di massa degli immigrati “non integrati” ed era stato a lungo evitato, per le sue implicazioni problematiche, anche all’interno della stessa AfD. Evidentemente, però. Alternativa per la Germania ritiene di non dover più usare questa cautela linguistica. Ha guadagnato forza, credito e non mancano neanche potenti alleati d’oltreoceano.

Oltre al recente sostegno del vicepresidente degli Stati Uniti, infatti, negli ultimi mesi AfD ha potuto contare anche sul robusto endorsement di Elon Musk. A gennaio, Musk ha partecipato in videocollegamento al lancio della campagna elettorale di AfD, incitando all’orgoglio tedesco e a lottare per un “grande futuro della Germania”, tra le ovazioni di circa 4.500 presenti. Il multimiliardario ha poi aggiunto che la Germania si “concentra troppo sulle colpe del passato” e che dovrebbe lasciarsele alle spalle. “I bambini non dovrebbero essere colpevoli per i peccati dei loro bisnonni”, ha aggiunto con palese riferimento al terzo Reich e all’Olocausto. Queste frasi, arrivate alla vigilia del Giorno della Memoria, hanno ricevuto una replica illustre: quella del presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier. In visita ad Auschwitz in occasione dell’80° anniversario della sua liberazione, Steinmeier ha dichiarato che quanto accaduto ad Auschwitz-Birkenau e altri lager nazisti “fa parte della nostra storia e quindi anche della nostra identità, con cui dobbiamo fare i conti”. Ha inoltre ribadito che la responsabilità per quanto commesso non ha scadenza.

In realtà, da tempo Musk interviene nella politica tedesca come supporter dell’estrema destra, sia sulla sua piattaforma X, dove è arrivato persino a insultare il cancelliere Olaf Scholz chiamandolo “Oaf Schitz" [un gioco di parole per dire "povero pazzo", NdA] e “sciocco incompetente”, sia in modo più mirato, come quando ha scritto un articolo per il Welt am Sonntag definendo AfD come “l’ultima scintilla di speranza per la Germania”. Dal canto suo, Scholz ha liquidato gli attacchi personali come poco importanti, ma ha definito “davvero disgustoso” l’appoggio di Musk alla destra in Europa e si è detto “molto arrabbiato” per il modo in cui il magnate del tech si è riferito a quanto commesso dai tedeschi ai danni di milioni di ebrei in Europa. “Giù le mani dalla nostra democrazia, Mr. Musk”, ha invece dichiarato il candidato cancelliere dei Verdi, Robert Habeck in un’intervista allo Spiegel, sottolineando quanto pericolosa sia la combinazione tra le enormi ricchezze e risorse di Elon Musk e la sua deliberata volontà di ignorare le regole.

Linke e BSW: il rosso e il rossobruno

A questo scenario si aggiunge un’altra variabile interessante: il BSW (che sta per Bündnis Sahra Wagenknecht, Alleanza Sahra Wagenknecht). Nata da una costola della Linke, il BSW ha cercato di ritagliarsi uno spazio tra i vecchi elettori della sinistra, da cui proviene per “filiazione diretta” con la linea socialista in economia e punta a recuperare il rapporto con Putin e il suo gas a basso costo. Allo stesso tempo, però, sta erodendo anche parte dell’elettorato di Alternativa per la Germania grazie a un approccio securitario alle politiche migratorie.

Già da tempo, infatti, Wagenknecht si rivolge a quegli elettori di AfD che definisce “non di destra”, ma solo stanchi di non essere ascoltati dai partiti tradizionali, proponendosi quindi come un’alternativa “rispettabile”. Per questo l’ex Linke, un tempo nota come “Sahra la rossa”, è ormai spesso definita “Sahra la rossobruna”, occupando uno spazio in cui si incontrano poli opposti dello spettro politico. Questa sua trasversalità si è manifestata già ai tempi del Covid-19 e delle proteste sulle misure di contenimento della pandemia e si è consolidata dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

Quando era ancora nella Linke, a febbraio del 2023, Wagenknecht aveva ad esempio ideato con Alice Schwarzer un “Manifesto per la pace”, per chiedere al cancelliere Scholz di sospendere le forniture belliche a Kyiv. L’appello aveva ricevuto 700 mila firme, ma era stato sottoscritto anche dal co-leader di AfD, Tino Chrupalla. Alcuni membri di AfD, incluso il leader del partito in Sassonia, Jörg Urban, avevano inoltre partecipato alla manifestazione collegata alla petizione, organizzata da Wagenknecth a Berlino.

Pochi giorni dopo Björn Höcke (AfD) l’aveva invitata platealmente a unire le forze. “Nel nostro partito Sahra Wagenknecht potrebbe far passare le sue idee di pace” aveva dichiarato. Già leader dell’“Ala”, fazione estremista interna ad AfD ufficialmente sciolta nel 2020, Höcke è leader del partito in Turingia, Land in cui AfD è classificato come un partito di estrema destra dall’Ufficio per la Protezione della Costituzione. Nel 2023 e nel 2024 è stato inoltre processato per aver usato uno slogan nazista durante un discorso pubblico. Parliamo di “Alles für Deutschland”, cioè “Tutto per la Germania”, un tempo motto delle SA, le famigerate squadre d’assalto note anche come camicie brune.

Tornando al presente e al BSW, la volontà strategica di non scontentare nessuno è emersa anche nel comportamento di Wagenknecht di fronte alla prima mozione anti-immigrazione presentata da Merz e approvata con i voti di AfD. I membri del BSW, infatti, si sono tutti astenuti. Forse perché appoggiarla avrebbe alienato l’elettorato di sinistra, mentre respingerla avrebbe deluso quello di destra?

Anche non prendere posizione, però, finisce per scontentare qualcuno e in Baviera sei membri del BSW si sono dimessi lamentando uno spostamento a destra sul tema dell’immigrazione. Al momento, la creatura di Wagenknecht è al 5%. Continuerà ad attirare voti da più lati o farà la fine del pipistrello della favola, che sposa due fazioni nella guerra tra uccelli e topi e alla fine non convince nessuno?

L’improvvisa rimonta della Linke

Anche la Linke sembra attestarsi intorno al 5%, proprio sulla soglia di sbarramento. Soprattutto, però, ha recentemente riguadagnato terreno con uno scatto sorprendente. Si ritiene che questa rimonta si leghi all’indignazione per il tabù infranto del Brandmauer ma anche, in parte, all’appassionato discorso contro Friedrich Merz tenuto al Bundestag dalla giovane deputata Heidi Reichinnek.

Un breve video dell’intervento ha registrato milioni di visualizzazioni solo sul canale personale di quella che è ormai considerata la “TikTok star” della sinistra, mentre il partito ha segnato il suo record di iscritti con 81200 membri: il numero più alto dalla sua fondazione. 

Scholz e l’SPD: riguadagnare terreno sotto pressione

Bersaglio preferito delle critiche al governo e simbolo di un esecutivo percepito come fallimentare, Olaf Scholz ha deciso di riproporsi come candidato cancelliere dell’SPD nonostante il suo credito personale sia ai minimi storici. Scelta peraltro contestata da chi gli avrebbe preferito il popolarissimo ministro della difesa, Boris Pistorius, che dopo mesi di ipotesi ha deciso di rinunciare per non danneggiare il partito.

Scholz procede però con stoicismo, sapendo di vivere in un paese in cui la politica è spesso imprevedibile e forse consapevole di poter rappresentare un’eventuale “correzione socialdemocratica” in una coalizione a due con la CDU.

Con il partito attestato quasi al 16%, il cancelliere uscente continua a ribadire i temi dell’aumento del salario minimo a 15 euro, dell’incremento della pressione fiscale sui redditi più alti e soprattutto insiste sulla necessità di una riforma del freno al debito, che è stato uno dei motivi della frattura con l’ex partner Lindner.

Tuttavia, Scholz manifesta un approccio simile a quello del rivale Merz in tema di immigrazione e nel tradizionale “duello televisivo” tra candidati cancellieri si è vantato del fatto che la Germania non abbia mai avuto, in materia, leggi severe come quelle introdotte dal suo governo. In bilico tra identità socialdemocratica e necessità di ridefinire i programmi in base ai “trending topic” della politica tedesca del momento, Olaf Scholz naviga a vista verso la prova finale.

I possibili scenari di governo

Al di là delle dichiarazioni di principio e del clima internazionale senza precedenti, dopo le elezioni dovrà formarsi il governo e si porrà inevitabilmente il problema delle alleanze. Molti ipotizzano una Grande Coalizione(Große Koalition) tra CDU ed SPD, ma non può escludersi un’alleanza ampia tra CDU, SPD e Verdi, al momento sopra il 13%. Linke e BSW potrebbero inoltre entrare in parlamento e c’è la possibilità, almeno teorica, che anche l’FDP possa tornare in gioco.

In un campo minato di instabilità e ostilità incrociate, queste entità politiche dovranno trovare il modo di collaborare. Il paese è in recessione per il secondo anno consecutivo, attraversa una crisi della produzione industriale e dell’export, arranca sulla transizione digitale e vive una congiuntura nazionale delicata in una fase geopolitica difficilissima, tra le ingerenze politiche e le minacce dell’uso strumentale dei dazi da parte dell’America di Donald Trump e la necessità di ribadire l’indipendenza europea. Senza contare la situazione mediorientale, la questione ucraina e l’emergenza climatica.

L’unica cosa certa è che il nuovo esecutivo dovrà funzionare presto e bene o la Germania rischia conseguenze ancora più pesanti di quelle che ha subito negli ultimi cinque anni. Le incognite sono troppe, gli equilibri sono cambiati e così i venti internazionali: non si può più vivere di rendita.

(Immagine in anteprima: via FMT) 

Dopo gli attacchi dei trumpisti all’Europa, le elezioni in Germania sono diventate le più importanti nella storia del paese

Mancano ormai pochi giorni alle elezioni federali e in Germania ci si prepara tra scossoni e colpi di scena, inclusa l’ingerenza diretta del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. In un’intervista al Wall Street Journal e durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il vice di Trump ha infatti accusato l’Europa di avere una democrazia debole, in cui le voci populiste vengono zittite ed etichettate come “disinformazione”. Ha quindi comunicato che gli Stati Uniti non supporteranno chi, sul punto, non condivide i valori dell’amministrazione Trump, descritta come un modello di libertà di espressione. 

Vance ha inoltre attaccato i partiti tedeschi che si rifiutano di collaborare con il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland), sostenendo che questo significhi ignorare la volontà popolare. Lo ha fatto a meno di dieci giorni dal voto, con un’ingerenza che sembra aver messo da parte il rispetto formale per l’autodeterminazione europea.

La reazione del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è stata durissima. Scholz ha infatti dichiarato che la Germania non tollererà interferenze nella sua politica o lezioni sulla democrazia da parte di “estranei”, soprattutto con interventi a favore di AfD. Ha aggiunto che, dalle file di AfD, il regime nazista e i suoi orrendi crimini sono stati minimizzati come “un fatto insignificante” nella storia tedesca e che questo è incompatibile con un serio impegno affinché il passato non si ripeta. "Come procederà la nostra democrazia, lo decideremo noi” ha ribadito il cancelliere uscente. 

Neanche Friedrich Merz, leader della CDU e probabile nuovo cancelliere tedesco, ha accettato la lezione di democrazia del vice di Trump. “Rispettiamo le elezioni presidenziali e le elezioni del Congresso negli Stati Uniti e ci aspettiamo che gli Stati Uniti facciano lo stesso qui”, ha commentato, per poi concedersi una stoccata. “Noi non cacceremo mai un’agenzia di stampa dalla nostra cancelleria”, ha infatti aggiunto Merz. L’allusione è al fatto che la Casa Bianca abbia cacciato l’agenzia di stampa AP dalla Sala Ovale e dall’Air Force One perché si è rifiutata di denominare il “Golfo del Messico” come "Golfo d'America”, come prescritto da un ordine esecutivo del neopresidente degli Stati Uniti.

Allineati nel respingere al mittente le indicazioni del “nuovo sceriffo in città” (così Vance ha chiamato Trump dal palco di Monaco), gli attori politici tedeschi procedono tuttavia verso l’appuntamento elettorale in un clima di incertezza e sfiducia generale, sin dall’evento che ha innescato il countdown. Il 6 novembre 2024, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz aveva infatti deciso di deporre il suo ministro delle finanze, il leader liberale Christian Lindner (FDP), rompendo la coalizione “semaforo” formata da SPD,  FDP e Verdi e dando origine alla crisi di governo.

Liberali: pronti a uscire di scena?

Storicamente difficilissimi da gestire (nel 2013 Merkel disse "Dio ha creato l’FDP solo per metterci alla prova”), attualmente i liberali tedeschi si attestano nei sondaggi intorno al 4% e quindi sotto la soglia di sbarramento. Se il dato fosse confermato alle urne, l’FDP rimarrebbe fuori dal Bundestag e forse per questo Lindner sta giocando la partita elettorale in modo rumoroso e disperato, come chi non ha nulla da perdere.

Intanto sta facendo di tutto per smarcarsi dal governo Scholz e dai precedenti compagni di coalizione. Lindner ha infatti dichiarato di non voler più collaborare con i Verdi, adducendo differenze inconciliabili, e da tempo sta cercando di recuperare la sua base con dichiarazioni neoliberiste più o meno spregiudicate. A dicembre era arrivato addirittura a sostenere che la Germania avrebbe dovuto osare “un po’ più di Milei o Musk”, pur ridimensionando in seguito le sue dichiarazioni.

Un duro colpo gli è arrivato anche da Friedrich Merz. Il candidato cancelliere dell’Unione si è infatti appellato pubblicamente agli elettori affinché spostino verso la CDU/CSU, che si attesta intorno al 30%, il 4% destinato ai liberali nei sondaggi.

Lindner ha reagito ribadendo che l’FDP è l’unico baluardo contro una possibile alleanza CDU-Verdi e il leader dei liberali a Berlino, Christoph Meyer, ha commentato l’esternazione di Merz definendolo “nervoso”. Di motivi per innervosirsi, comunque, il leader della CDU ne ha avuti molti, di recente.

Friedrich Merz: il respiro corto del favorito

In realtà, Friedrich Merz partiva favorito e poteva dunque permettersi di limitarsi a difendere il vantaggio. Il 29 gennaio 2025 ha invece tentato la rischiosa manovra di approvare una stretta sull’immigrazione con il supporto di AfD che per la prima volta, grazie a lui, è risultata determinante in un voto al Bundestag.

Sullo sfondo, ci sono i fatti di Aschaffenburg e Magdeburgo, avvenuti a gennaio e febbraio del 2025. Ad Aschaffenburg un richiedente asilo afgano con problemi psichici ha accoltellato alcune persone in un parco, uccidendo un bambino di due anni e un uomo di 41. A Magdeburgo, invece, un cittadino saudita ha diretto la sua auto verso la folla di un mercatino di Natale, causando sei vittime. Episodi simili riecheggiano quanto già accaduto altre volte negli ultimi anni, a Mannheim, Solingen e otto anni fa a Berlino. Anche lo scorso 13 febbraio, a 10 giorni dal voto, un giovane afgano si è lanciato con la sua auto sulla folla nel centro di Monaco. Nonostante si parli di episodi diversi (l'attentatore di Magdeburgo è uno psichiatra saudita ferocemente anti-Islam), il fatto che gli autori fossero stranieri e spesso richiedenti asilo ha portato la questione migratoria al centro del dibattito elettorale. 

Votando un provvedimento anti-immigrazione insieme ad AfD, tuttavia, Merz non ha considerato il peso simbolico del suo gesto. Nonostante la mozione non fosse ancora legalmente vincolante, infatti, Merz ha superato la linea del Brandmauer, lo “spartifuoco” che i partiti tedeschi avevano rispettato fino a quel momento, rifiutandosi di avvicinarsi all’estrema destra.

Questo è un giorno molto triste per la democrazia”, ha commentato Olaf Scholz, definendo quanto accaduto la rottura di “un tabù” rimasto intatto dalla fine della seconda guerra mondiale. Ne sono seguite polemiche e reazioni internazionali, mentre dal silenzio del suo ritiro politico è riemersa, quasi come una nemesi, l’ex cancelliera e storica rivale di Merz: Angela Merkel.

L’effetto Merkel

Merkel ha infatti definito un errore il voto congiunto del suo partito con AfD, criticando non solo il fatto che Merz abbia contribuito alla prima maggioranza raggiunta in parlamento con i voti dell’estrema destra, ma anche eccependo rilievi giuridici e di merito sul contenuto della proposta, dichiarando che le emergenze vanno fronteggiate “senza manovre tattiche, ma piuttosto con onestà, moderazione nei toni e sulla base del diritto europeo applicabile”.

Contemporaneamente, a Berlino e in molte altre città tedesche migliaia di persone hanno marciato contro l’asse CDU/AFD per lo stesso motivo. Nella capitale erano almeno in 160 mila, secondo la polizia, e in 250 mila secondo gli organizzatori. Non sono mancati cartelli con su scritto “Ascolta la Mutti, Friedrich” o “La Mutti è molto delusa“ [Mutti è un modo affettuoso di dire “mamma” e uno dei soprannomi di Angela Merkel, NdA], ma anche “Se la risposta è AfD, quanto era stupida la domanda?”.

Come se non bastasse l’eterna spina nel fianco rappresentata dall’ex cancelliera, a turbare la pace di Merz è arrivato anche il fuoco amico di Kai Wegner, sindaco di Berlino e leader della CDU nel Land. Wegner si è infatti dissociato apertamente dalla manovra del suo leader federale, promettendo ostruzione al Bundesrat e dichiarando l’intenzione di opporsi a ogni legge che porti AfD “ad assumere responsabilità di governo”. 

La batosta della seconda votazione

Forse a causa delle polemiche, delle mobilitazioni o dell’influenza ancora forte di Angela Merkel sulla CDU, il secondo pacchetto di norme di Merz è stato bocciato al Bundestag nonostante il supporto di AfD. A “tradirlo”, a sorpresa, anche 12 franchi tiratori della CDU.

Non gli è bastato dichiarare che la sua intenzione era “correggere la rotta” del suo partito fino a rendere AfD non più necessaria, né garantire pubblicamente che non ci sarà alcuna coalizione di governo con l’estrema destra. Il 31 gennaio la “Legge sulla limitazione degli afflussi” è stata affossata e Merz ne è uscito malconcio.

Le foto di quella giornata faticosissima lo ritraggono visibilmente sudato, preoccupato e stanco, non esattamente l’immagine di un vincitore.

Merz è stato accolto da manifestazioni di protesta in due recenti visite ufficiali a Colonia e Bonn. #FriedrichMerz #Germania Foto: EPA-EFE/CLEMENS BILAN

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— Il Mitte (@ilmitte.bsky.social) 6 febbraio 2025 alle ore 07:21

A peggiorare le cose è arrivato il durissimo giudizio di Alice Weidel, co-leader di AfD insieme a Tino Chrupalla. Weidel ha parlato di “smantellamento” di Merz come candidato cancelliere, aggiungendo un terribile “è partito come una tigre e finito come un tappetino”. A questo si è aggiunto il sarcasmo di Chrupalla, che ha esortato la CDU a chiedersi chi sia il vero candidato cancelliere: “Friedrich Merz o ancora la signora Merkel?”.

Resta da vedere quanto la mossa azzardata di Merz si rivelerà efficace e quale sarà il suo impatto nel momento del voto. Alle urne prevarrà la parte più estremista dell’Unione dei cristiano-democratici, quella che in passato ha votato AfD per protesta, oppure la corrente più moderata, che potrebbe far pagare al partito l’avvicinamento all’ultradestra?

AfD secondo partito e con l’endorsement di Elon Musk

Alternativa per la Germania, per il momento, può permettersi di fare la parte del leone. Dal suo ingresso in parlamento, nel 2017, ha visto crescere i consensi fino ad arrivare a essere oggi il secondo partito, con quasi il 21%. Cavalcando il dibattito sull’immigrazione e definendo polemicamente le vittime degli attentati “morti da Brandmauer”, promette una svolta restrittiva con i toni e la sicurezza di chi sa che non avrà responsabilità di governo a breve termine. 

A Karlsruhe, il concetto è stato ribadito depositando nelle cassette delle lettere volantini a forma di biglietto aereo indirizzato a ipotetici “immigrati illegali”, con la dicitura “biglietto di espulsione” e il giorno delle elezioni come data di partenza. A livello federale AfD ha preso le distanze dall'iniziativa, ma dal palco del congresso del partito in Sassonia Alice Weidel ha usato per la prima volta il termine “remigrazione”, dicendo dal palco: “Se remigrazione si deve chiamare, allora chiamiamola così”.

Questo termine, coniato dall’esponente dell’estrema destra austriaca Martin Sellner, indica l’espulsione di massa degli immigrati “non integrati” ed era stato a lungo evitato, per le sue implicazioni problematiche, anche all’interno della stessa AfD. Evidentemente, però. Alternativa per la Germania ritiene di non dover più usare questa cautela linguistica. Ha guadagnato forza, credito e non mancano neanche potenti alleati d’oltreoceano.

Oltre al recente sostegno del vicepresidente degli Stati Uniti, infatti, negli ultimi mesi AfD ha potuto contare anche sul robusto endorsement di Elon Musk. A gennaio, Musk ha partecipato in videocollegamento al lancio della campagna elettorale di AfD, incitando all’orgoglio tedesco e a lottare per un “grande futuro della Germania”, tra le ovazioni di circa 4.500 presenti. Il multimiliardario ha poi aggiunto che la Germania si “concentra troppo sulle colpe del passato” e che dovrebbe lasciarsele alle spalle. “I bambini non dovrebbero essere colpevoli per i peccati dei loro bisnonni”, ha aggiunto con palese riferimento al terzo Reich e all’Olocausto. Queste frasi, arrivate alla vigilia del Giorno della Memoria, hanno ricevuto una replica illustre: quella del presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier. In visita ad Auschwitz in occasione dell’80° anniversario della sua liberazione, Steinmeier ha dichiarato che quanto accaduto ad Auschwitz-Birkenau e altri lager nazisti “fa parte della nostra storia e quindi anche della nostra identità, con cui dobbiamo fare i conti”. Ha inoltre ribadito che la responsabilità per quanto commesso non ha scadenza.

In realtà, da tempo Musk interviene nella politica tedesca come supporter dell’estrema destra, sia sulla sua piattaforma X, dove è arrivato persino a insultare il cancelliere Olaf Scholz chiamandolo “Oaf Schitz" [un gioco di parole per dire "povero pazzo", NdA] e “sciocco incompetente”, sia in modo più mirato, come quando ha scritto un articolo per il Welt am Sonntag definendo AfD come “l’ultima scintilla di speranza per la Germania”. Dal canto suo, Scholz ha liquidato gli attacchi personali come poco importanti, ma ha definito “davvero disgustoso” l’appoggio di Musk alla destra in Europa e si è detto “molto arrabbiato” per il modo in cui il magnate del tech si è riferito a quanto commesso dai tedeschi ai danni di milioni di ebrei in Europa. “Giù le mani dalla nostra democrazia, Mr. Musk”, ha invece dichiarato il candidato cancelliere dei Verdi, Robert Habeck in un’intervista allo Spiegel, sottolineando quanto pericolosa sia la combinazione tra le enormi ricchezze e risorse di Elon Musk e la sua deliberata volontà di ignorare le regole.

Linke e BSW: il rosso e il rossobruno

A questo scenario si aggiunge un’altra variabile interessante: il BSW (che sta per Bündnis Sahra Wagenknecht, Alleanza Sahra Wagenknecht). Nata da una costola della Linke, il BSW ha cercato di ritagliarsi uno spazio tra i vecchi elettori della sinistra, da cui proviene per “filiazione diretta” con la linea socialista in economia e punta a recuperare il rapporto con Putin e il suo gas a basso costo. Allo stesso tempo, però, sta erodendo anche parte dell’elettorato di Alternativa per la Germania grazie a un approccio securitario alle politiche migratorie.

Già da tempo, infatti, Wagenknecht si rivolge a quegli elettori di AfD che definisce “non di destra”, ma solo stanchi di non essere ascoltati dai partiti tradizionali, proponendosi quindi come un’alternativa “rispettabile”. Per questo l’ex Linke, un tempo nota come “Sahra la rossa”, è ormai spesso definita “Sahra la rossobruna”, occupando uno spazio in cui si incontrano poli opposti dello spettro politico. Questa sua trasversalità si è manifestata già ai tempi del Covid-19 e delle proteste sulle misure di contenimento della pandemia e si è consolidata dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

Quando era ancora nella Linke, a febbraio del 2023, Wagenknecht aveva ad esempio ideato con Alice Schwarzer un “Manifesto per la pace”, per chiedere al cancelliere Scholz di sospendere le forniture belliche a Kyiv. L’appello aveva ricevuto 700 mila firme, ma era stato sottoscritto anche dal co-leader di AfD, Tino Chrupalla. Alcuni membri di AfD, incluso il leader del partito in Sassonia, Jörg Urban, avevano inoltre partecipato alla manifestazione collegata alla petizione, organizzata da Wagenknecth a Berlino.

Pochi giorni dopo Björn Höcke (AfD) l’aveva invitata platealmente a unire le forze. “Nel nostro partito Sahra Wagenknecht potrebbe far passare le sue idee di pace” aveva dichiarato. Già leader dell’“Ala”, fazione estremista interna ad AfD ufficialmente sciolta nel 2020, Höcke è leader del partito in Turingia, Land in cui AfD è classificato come un partito di estrema destra dall’Ufficio per la Protezione della Costituzione. Nel 2023 e nel 2024 è stato inoltre processato per aver usato uno slogan nazista durante un discorso pubblico. Parliamo di “Alles für Deutschland”, cioè “Tutto per la Germania”, un tempo motto delle SA, le famigerate squadre d’assalto note anche come camicie brune.

Tornando al presente e al BSW, la volontà strategica di non scontentare nessuno è emersa anche nel comportamento di Wagenknecht di fronte alla prima mozione anti-immigrazione presentata da Merz e approvata con i voti di AfD. I membri del BSW, infatti, si sono tutti astenuti. Forse perché appoggiarla avrebbe alienato l’elettorato di sinistra, mentre respingerla avrebbe deluso quello di destra?

Anche non prendere posizione, però, finisce per scontentare qualcuno e in Baviera sei membri del BSW si sono dimessi lamentando uno spostamento a destra sul tema dell’immigrazione. Al momento, la creatura di Wagenknecht è al 5%. Continuerà ad attirare voti da più lati o farà la fine del pipistrello della favola, che sposa due fazioni nella guerra tra uccelli e topi e alla fine non convince nessuno?

L’improvvisa rimonta della Linke

Anche la Linke sembra attestarsi intorno al 5%, proprio sulla soglia di sbarramento. Soprattutto, però, ha recentemente riguadagnato terreno con uno scatto sorprendente. Si ritiene che questa rimonta si leghi all’indignazione per il tabù infranto del Brandmauer ma anche, in parte, all’appassionato discorso contro Friedrich Merz tenuto al Bundestag dalla giovane deputata Heidi Reichinnek.

Un breve video dell’intervento ha registrato milioni di visualizzazioni solo sul canale personale di quella che è ormai considerata la “TikTok star” della sinistra, mentre il partito ha segnato il suo record di iscritti con 81200 membri: il numero più alto dalla sua fondazione. 

Scholz e l’SPD: riguadagnare terreno sotto pressione

Bersaglio preferito delle critiche al governo e simbolo di un esecutivo percepito come fallimentare, Olaf Scholz ha deciso di riproporsi come candidato cancelliere dell’SPD nonostante il suo credito personale sia ai minimi storici. Scelta peraltro contestata da chi gli avrebbe preferito il popolarissimo ministro della difesa, Boris Pistorius, che dopo mesi di ipotesi ha deciso di rinunciare per non danneggiare il partito.

Scholz procede però con stoicismo, sapendo di vivere in un paese in cui la politica è spesso imprevedibile e forse consapevole di poter rappresentare un’eventuale “correzione socialdemocratica” in una coalizione a due con la CDU.

Con il partito attestato quasi al 16%, il cancelliere uscente continua a ribadire i temi dell’aumento del salario minimo a 15 euro, dell’incremento della pressione fiscale sui redditi più alti e soprattutto insiste sulla necessità di una riforma del freno al debito, che è stato uno dei motivi della frattura con l’ex partner Lindner.

Tuttavia, Scholz manifesta un approccio simile a quello del rivale Merz in tema di immigrazione e nel tradizionale “duello televisivo” tra candidati cancellieri si è vantato del fatto che la Germania non abbia mai avuto, in materia, leggi severe come quelle introdotte dal suo governo. In bilico tra identità socialdemocratica e necessità di ridefinire i programmi in base ai “trending topic” della politica tedesca del momento, Olaf Scholz naviga a vista verso la prova finale.

I possibili scenari di governo

Al di là delle dichiarazioni di principio e del clima internazionale senza precedenti, dopo le elezioni dovrà formarsi il governo e si porrà inevitabilmente il problema delle alleanze. Molti ipotizzano una Grande Coalizione(Große Koalition) tra CDU ed SPD, ma non può escludersi un’alleanza ampia tra CDU, SPD e Verdi, al momento sopra il 13%. Linke e BSW potrebbero inoltre entrare in parlamento e c’è la possibilità, almeno teorica, che anche l’FDP possa tornare in gioco.

In un campo minato di instabilità e ostilità incrociate, queste entità politiche dovranno trovare il modo di collaborare. Il paese è in recessione per il secondo anno consecutivo, attraversa una crisi della produzione industriale e dell’export, arranca sulla transizione digitale e vive una congiuntura nazionale delicata in una fase geopolitica difficilissima, tra le ingerenze politiche e le minacce dell’uso strumentale dei dazi da parte dell’America di Donald Trump e la necessità di ribadire l’indipendenza europea. Senza contare la situazione mediorientale, la questione ucraina e l’emergenza climatica.

L’unica cosa certa è che il nuovo esecutivo dovrà funzionare presto e bene o la Germania rischia conseguenze ancora più pesanti di quelle che ha subito negli ultimi cinque anni. Le incognite sono troppe, gli equilibri sono cambiati e così i venti internazionali: non si può più vivere di rendita.

(Immagine in anteprima: via FMT)