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La volpe, l’uva e il debito pubblico

Ogni mese la Banca d’Italia pubblica un report statistico intitolato “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Nel numero di febbraio 2025 si possono leggere i dati del 2024 e si possono confrontare con gli anni precedenti. Il risultato è allarmante, perché il debito netto delle pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni è aumentato di 83 miliardi di euro nel 2022, 104 miliardi di euro nel 2023 e 110 miliardi di euro nel 2024.

È interessante notare come il debito pubblico sia quasi totalmente relativo alle amministrazioni centrali (per oltre il 97% del totale), mentre le amministrazioni locali (regioni, province, città metropolitane, comuni) abbiano un debito ridotto (meno del 3% del totale). Inoltre, mentre il debito dello Stato aumenta, quello degli enti locali diminuisce: nel 2022 era di 88 miliardi di euro, nel 2023 era sceso a 85 miliardi e nel 2024 è calato a 82 miliardi di euro.

I rappresentanti dell’attuale governo di solito cercano di evitare di confrontarsi con i dati reali del debito pubblico, poiché sono visti come un intralcio alla narrazione sulle magnifiche sorti dello “stivale”, che camminerebbe spedito verso la crescita. Quando sono costretti a non ignorare il problema, le risposte dei principali leader politici prendono due strade divergenti. Alcuni cercano di rassicurare, sostenendo che comunque il debito è sotto controllo e in realtà non costituisce un vero problema per i cittadini. Altri danno la colpa dell’aumento del debito ai governi precedenti, che avrebbero lasciato dei buchi nel bilancio pubblico.

Viene alla mente una famosa favola di Esopo: «Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».

Resta il fatto che dopo due anni e mezzo di politiche economiche e fiscali del governo attuale, il debito pubblico continua inesorabilmente ad aumentare sia in valore assoluto sia in relazione al Prodotto Interno Lordo. L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica ha calcolato che «il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) è a fine 2024 del 136,3% (contro il previsto 135,8%) e, a fine 2025, del 138,4% (contro il previsto 136,9%), 34 miliardi e 1,5 punti percentuali in più del previsto. Queste variazioni non sono irrilevanti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica».

Se alziamo lo sguardo oltre i confini del Paese, la visione non migliora. Infatti, tra i Paesi europei soltanto la Grecia ha un rapporto più elevato tra debito/PIL ed è comunque considerata una nazione più affidabile per la restituzione del debito, dato che ha tassi di interesse inferiori a quelli applicati al debito italiano.

Un governo responsabile di fronte a questi dati dovrebbe essere molto preoccupato per le sorti del Paese e dovrebbe indicare una strategia concreta per invertire la tendenza. Chi l’ha vista?

Rocco Artifoni

Il Ministro Pichetto Fratin ammette: le nuove infrastrutture del gas sono inutili

Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ammesso che la Linea Adriatica Snam è inutile, come inutili sono anche i due nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna. Per la verità il ministro non ha dichiarato proprio questo ma, se la logica ha un senso, le sue parole portano a questa conclusione e le nuove infrastrutture per il gas decise dopo l’invasione russa dell’Ucraina dovrebbero essere eliminate. In un’intervista a La Stampa del 22 febbraio Pichetto ha affermato: “Fatta la pace si torna al gas russo”. Ora, il caso vuole che i nuovi impianti fossili siano stati giustificati proprio per la necessità di supplire al gas russo, del quale l’Europa aveva deciso di chiudere il rubinetto.

In realtà, già due anni fa – quando i lavori della centrale di Sulmona e della Linea Adriatica non erano ancora cominciati e non c’era ancora il rigassificatore di Piombino, né tanto meno quello di Ravenna – l’Italia aveva sostituito il gas russo con altre fonti di importazione dall’estero. E a confermarlo era stato proprio il ministro Pichetto che il 15 aprile 2023, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva annunciato: “Abbiamo superato la dipendenza da Mosca grazie al gas africano”.

Che non avremmo subito alcuna conseguenza dall’eliminazione del gas russo lo si sapeva benissimo, perché l’Italia è il Paese che in Europa ha la più ampia diversificazione delle fonti di importazione di metano, con cinque metanodotti e tre rigassificatori (che ad aprile, dopo Piombino, diventeranno cinque con Ravenna). Non solo, ma ciò ha consentito di importare ancora più gas rispetto a prima, tanto che nel 2022 l’Italia ne ha rivenduto ad altri Paesi ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi, un record assoluto.

Questo conferma la strumentalità delle decisioni assunte prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni, che si sono piegati alla volontà delle due multinazionali Eni e Snam solo per favorirne gli interessi. Meloni ha addirittura lanciato l’anacronistico “Piano Mattei”, che sarà destinato ad aumentare la nostra dipendenza energetica dai regimi autoritari del continente africano, pronti ad usare il gas come arma di ricatto. Non è un caso se il torturatore Almasri è stato liberato anche per non compromettere le forniture di metano che, attraverso il gasdotto Greenstream. arrivano dalla Libia al nostro Paese.

Dal 2005 (anno del picco massimo) i consumi italiani di metano sono passati da 86,2 miliardi di metri cubi ai 61,9 miliardi del 2024. Un crollo di oltre 24 miliardi attribuibili non a cause congiunturali ma strutturali, quali la crescita delle energie pulite e rinnovabili, l’efficientamento energetico degli edifici, le campagne di risparmio energetico, la necessità di combattere il cambiamento climatico e di raggiungere la neutralità climatica al 2050, l’aumento del costo del metano dovuto non alla sua carenza ma alle manovre speculative delle multinazionali del settore.

Nonostante l’evidenza dei fatti, il governo Meloni – preso da una inarrestabile bulimia da gas – non solo insiste nella realizzazione delle nuove infrastrutture fossili, ma ne ha in programma addirittura altre, come i due ulteriori rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle e il raddoppio del gasdotto Tap dall’Azerbaigian, mentre in lista di attesa ci sono anche il gasdotto EastMed – Poseidon da Israele e un nuovo gasdotto dalla Spagna a Livorno.

Tutte opere non necessarie, che non solo danneggiano pesantemente il clima e l’ambiente, ma continueranno anche a sperperare enormi quantità di denaro che, invece, potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e per mettere in sicurezza il territorio. E che, soprattutto, saranno pagate per i prossimi 50 anni (che è la durata dell’ammortamento dei costi) attraverso le bollette dei cittadini italiani.

Attualmente l’Italia, escludendo la Russia, può disporre di una capacità di importazione dall’estero di circa 100 miliardi di metri cubi di metano. Se si aggiungono le opere in corso di realizzazione e le altre in itinere sì arriverebbe alla cifra di 150 miliardi di mc. Qualora dovessero essere ripristinate le forniture dalla Russia si raggiungerebbero i 180 miliardi di mc.  Una quantità di gas tre volte maggiore del consumo odierno del nostro Paese, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni.

Dove dovrebbe finire tutto questo gas? Il governo continua a ingannare i cittadini cercando di far credere che l’Italia diventerà l’hub del gas per il centro e il nord Europa: una prospettiva che è solo nella fantasia dei nostri governanti. Primo, perché ci sono Paesi – come la Norvegia, la Spagna e la Turchia – molto più pronti e attrezzati per svolgere questo ruolo; secondo, perché il drastico calo dei consumi di metano non si è verificato solo in Italia, ma in tutta Europa. Rispetto al 2021 si è passati da 591 miliardi di metri cubi a 478, con una riduzione di ben 113 miliardi in soli tre anni.

Con la guerra in Ucraina molti Paesi europei hanno avviato progetti per nuove infrastrutture metanifere, ma gli esperti mettono in guardia dal rischio che tali investimenti, a fronte di una domanda in calo, potrebbero diventare stranded, cioè improduttivi. L’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis) ha stimato che l’Europa potrebbe ritrovarsi nei prossimi anni con oltre 300 miliardi di mc di capacità inutilizzata. Proprio per questo Paesi come la Grecia, Cipro, la Lituania e la Lettonia hanno deciso di sospendere o posticipare i loro ambiziosi progetti.

Con riferimento alla situazione italiana l’IEEFA ha redatto un rapporto nel gennaio di quest’anno in cui scrive che “il consumo di gas in Italia solleva interrogativi sul continuo investimento in questo combustibile”. Ed ancora: “La maggior parte dei ricavi di Snam sono regolati”. Questo significa che la Snam avrà il suo profitto anche se nei tubi o negli impianti di GNL non dovesse passare neanche un metro cubo di gas. Ma, aggiunge l’IEEFA, “gli incentivi derivanti dalla regolazione creano potenzialmente una distorsione a favore delle spese in capitale”.

Chi ci rimette?  I consumatori italiani che, ricorda ancora l’IEEFA, pagano il gas con prezzi “che sono tra i più alti in Europa”. E questo nonostante il nostro Paese non abbia mai avuto problemi di approvvigionamento di metano.

 

Mario Pizzola

La volpe, l’uva e il debito pubblico

Ogni mese la Banca d’Italia pubblica un report statistico intitolato “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Nel numero di febbraio 2025 si possono leggere i dati del 2024 e si possono confrontare con gli anni precedenti. Il risultato è allarmante, perché il debito netto delle pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni è aumentato di 83 miliardi di euro nel 2022, 104 miliardi di euro nel 2023 e 110 miliardi di euro nel 2024.

È interessante notare come il debito pubblico sia quasi totalmente relativo alle amministrazioni centrali (per oltre il 97% del totale), mentre le amministrazioni locali (regioni, province, città metropolitane, comuni) abbiano un debito ridotto (meno del 3% del totale). Inoltre, mentre il debito dello Stato aumenta, quello degli enti locali diminuisce: nel 2022 era di 88 miliardi di euro, nel 2023 era sceso a 85 miliardi e nel 2024 è calato a 82 miliardi di euro.

I rappresentanti dell’attuale governo di solito cercano di evitare di confrontarsi con i dati reali del debito pubblico, poiché sono visti come un intralcio alla narrazione sulle magnifiche sorti dello “stivale”, che camminerebbe spedito verso la crescita. Quando sono costretti a non ignorare il problema, le risposte dei principali leader politici prendono due strade divergenti. Alcuni cercano di rassicurare, sostenendo che comunque il debito è sotto controllo e in realtà non costituisce un vero problema per i cittadini. Altri danno la colpa dell’aumento del debito ai governi precedenti, che avrebbero lasciato dei buchi nel bilancio pubblico.

Viene alla mente una famosa favola di Esopo: «Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».

Resta il fatto che dopo due anni e mezzo di politiche economiche e fiscali del governo attuale, il debito pubblico continua inesorabilmente ad aumentare sia in valore assoluto sia in relazione al Prodotto Interno Lordo. L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica ha calcolato che «il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) è a fine 2024 del 136,3% (contro il previsto 135,8%) e, a fine 2025, del 138,4% (contro il previsto 136,9%), 34 miliardi e 1,5 punti percentuali in più del previsto. Queste variazioni non sono irrilevanti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica».

Se alziamo lo sguardo oltre i confini del Paese, la visione non migliora. Infatti, tra i Paesi europei soltanto la Grecia ha un rapporto più elevato tra debito/PIL ed è comunque considerata una nazione più affidabile per la restituzione del debito, dato che ha tassi di interesse inferiori a quelli applicati al debito italiano.

Un governo responsabile di fronte a questi dati dovrebbe essere molto preoccupato per le sorti del Paese e dovrebbe indicare una strategia concreta per invertire la tendenza. Chi l’ha vista?

Rocco Artifoni

Il Ministro Pichetto Fratin ammette: le nuove infrastrutture del gas sono inutili

Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ammesso che la Linea Adriatica Snam è inutile, come inutili sono anche i due nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna. Per la verità il ministro non ha dichiarato proprio questo ma, se la logica ha un senso, le sue parole portano a questa conclusione e le nuove infrastrutture per il gas decise dopo l’invasione russa dell’Ucraina dovrebbero essere eliminate. In un’intervista a La Stampa del 22 febbraio Pichetto ha affermato: “Fatta la pace si torna al gas russo”. Ora, il caso vuole che i nuovi impianti fossili siano stati giustificati proprio per la necessità di supplire al gas russo, del quale l’Europa aveva deciso di chiudere il rubinetto.

In realtà, già due anni fa – quando i lavori della centrale di Sulmona e della Linea Adriatica non erano ancora cominciati e non c’era ancora il rigassificatore di Piombino, né tanto meno quello di Ravenna – l’Italia aveva sostituito il gas russo con altre fonti di importazione dall’estero. E a confermarlo era stato proprio il ministro Pichetto che il 15 aprile 2023, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva annunciato: “Abbiamo superato la dipendenza da Mosca grazie al gas africano”.

Che non avremmo subito alcuna conseguenza dall’eliminazione del gas russo lo si sapeva benissimo, perché l’Italia è il Paese che in Europa ha la più ampia diversificazione delle fonti di importazione di metano, con cinque metanodotti e tre rigassificatori (che ad aprile, dopo Piombino, diventeranno cinque con Ravenna). Non solo, ma ciò ha consentito di importare ancora più gas rispetto a prima, tanto che nel 2022 l’Italia ne ha rivenduto ad altri Paesi ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi, un record assoluto.

Questo conferma la strumentalità delle decisioni assunte prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni, che si sono piegati alla volontà delle due multinazionali Eni e Snam solo per favorirne gli interessi. Meloni ha addirittura lanciato l’anacronistico “Piano Mattei”, che sarà destinato ad aumentare la nostra dipendenza energetica dai regimi autoritari del continente africano, pronti ad usare il gas come arma di ricatto. Non è un caso se il torturatore Almasri è stato liberato anche per non compromettere le forniture di metano che, attraverso il gasdotto Greenstream. arrivano dalla Libia al nostro Paese.

Dal 2005 (anno del picco massimo) i consumi italiani di metano sono passati da 86,2 miliardi di metri cubi ai 61,9 miliardi del 2024. Un crollo di oltre 24 miliardi attribuibili non a cause congiunturali ma strutturali, quali la crescita delle energie pulite e rinnovabili, l’efficientamento energetico degli edifici, le campagne di risparmio energetico, la necessità di combattere il cambiamento climatico e di raggiungere la neutralità climatica al 2050, l’aumento del costo del metano dovuto non alla sua carenza ma alle manovre speculative delle multinazionali del settore.

Nonostante l’evidenza dei fatti, il governo Meloni – preso da una inarrestabile bulimia da gas – non solo insiste nella realizzazione delle nuove infrastrutture fossili, ma ne ha in programma addirittura altre, come i due ulteriori rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle e il raddoppio del gasdotto Tap dall’Azerbaigian, mentre in lista di attesa ci sono anche il gasdotto EastMed – Poseidon da Israele e un nuovo gasdotto dalla Spagna a Livorno.

Tutte opere non necessarie, che non solo danneggiano pesantemente il clima e l’ambiente, ma continueranno anche a sperperare enormi quantità di denaro che, invece, potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e per mettere in sicurezza il territorio. E che, soprattutto, saranno pagate per i prossimi 50 anni (che è la durata dell’ammortamento dei costi) attraverso le bollette dei cittadini italiani.

Attualmente l’Italia, escludendo la Russia, può disporre di una capacità di importazione dall’estero di circa 100 miliardi di metri cubi di metano. Se si aggiungono le opere in corso di realizzazione e le altre in itinere sì arriverebbe alla cifra di 150 miliardi di mc. Qualora dovessero essere ripristinate le forniture dalla Russia si raggiungerebbero i 180 miliardi di mc.  Una quantità di gas tre volte maggiore del consumo odierno del nostro Paese, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni.

Dove dovrebbe finire tutto questo gas? Il governo continua a ingannare i cittadini cercando di far credere che l’Italia diventerà l’hub del gas per il centro e il nord Europa: una prospettiva che è solo nella fantasia dei nostri governanti. Primo, perché ci sono Paesi – come la Norvegia, la Spagna e la Turchia – molto più pronti e attrezzati per svolgere questo ruolo; secondo, perché il drastico calo dei consumi di metano non si è verificato solo in Italia, ma in tutta Europa. Rispetto al 2021 si è passati da 591 miliardi di metri cubi a 478, con una riduzione di ben 113 miliardi in soli tre anni.

Con la guerra in Ucraina molti Paesi europei hanno avviato progetti per nuove infrastrutture metanifere, ma gli esperti mettono in guardia dal rischio che tali investimenti, a fronte di una domanda in calo, potrebbero diventare stranded, cioè improduttivi. L’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis) ha stimato che l’Europa potrebbe ritrovarsi nei prossimi anni con oltre 300 miliardi di mc di capacità inutilizzata. Proprio per questo Paesi come la Grecia, Cipro, la Lituania e la Lettonia hanno deciso di sospendere o posticipare i loro ambiziosi progetti.

Con riferimento alla situazione italiana l’IEEFA ha redatto un rapporto nel gennaio di quest’anno in cui scrive che “il consumo di gas in Italia solleva interrogativi sul continuo investimento in questo combustibile”. Ed ancora: “La maggior parte dei ricavi di Snam sono regolati”. Questo significa che la Snam avrà il suo profitto anche se nei tubi o negli impianti di GNL non dovesse passare neanche un metro cubo di gas. Ma, aggiunge l’IEEFA, “gli incentivi derivanti dalla regolazione creano potenzialmente una distorsione a favore delle spese in capitale”.

Chi ci rimette?  I consumatori italiani che, ricorda ancora l’IEEFA, pagano il gas con prezzi “che sono tra i più alti in Europa”. E questo nonostante il nostro Paese non abbia mai avuto problemi di approvvigionamento di metano.

 

Mario Pizzola

La volpe, l’uva e il debito pubblico

Ogni mese la Banca d’Italia pubblica un report statistico intitolato “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Nel numero di febbraio 2025 si possono leggere i dati del 2024 e si possono confrontare con gli anni precedenti. Il risultato è allarmante, perché il debito netto delle pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni è aumentato di 83 miliardi di euro nel 2022, 104 miliardi di euro nel 2023 e 110 miliardi di euro nel 2024.

È interessante notare come il debito pubblico sia quasi totalmente relativo alle amministrazioni centrali (per oltre il 97% del totale), mentre le amministrazioni locali (regioni, province, città metropolitane, comuni) abbiano un debito ridotto (meno del 3% del totale). Inoltre, mentre il debito dello Stato aumenta, quello degli enti locali diminuisce: nel 2022 era di 88 miliardi di euro, nel 2023 era sceso a 85 miliardi e nel 2024 è calato a 82 miliardi di euro.

I rappresentanti dell’attuale governo di solito cercano di evitare di confrontarsi con i dati reali del debito pubblico, poiché sono visti come un intralcio alla narrazione sulle magnifiche sorti dello “stivale”, che camminerebbe spedito verso la crescita. Quando sono costretti a non ignorare il problema, le risposte dei principali leader politici prendono due strade divergenti. Alcuni cercano di rassicurare, sostenendo che comunque il debito è sotto controllo e in realtà non costituisce un vero problema per i cittadini. Altri danno la colpa dell’aumento del debito ai governi precedenti, che avrebbero lasciato dei buchi nel bilancio pubblico.

Viene alla mente una famosa favola di Esopo: «Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».

Resta il fatto che dopo due anni e mezzo di politiche economiche e fiscali del governo attuale, il debito pubblico continua inesorabilmente ad aumentare sia in valore assoluto sia in relazione al Prodotto Interno Lordo. L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica ha calcolato che «il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) è a fine 2024 del 136,3% (contro il previsto 135,8%) e, a fine 2025, del 138,4% (contro il previsto 136,9%), 34 miliardi e 1,5 punti percentuali in più del previsto. Queste variazioni non sono irrilevanti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica».

Se alziamo lo sguardo oltre i confini del Paese, la visione non migliora. Infatti, tra i Paesi europei soltanto la Grecia ha un rapporto più elevato tra debito/PIL ed è comunque considerata una nazione più affidabile per la restituzione del debito, dato che ha tassi di interesse inferiori a quelli applicati al debito italiano.

Un governo responsabile di fronte a questi dati dovrebbe essere molto preoccupato per le sorti del Paese e dovrebbe indicare una strategia concreta per invertire la tendenza. Chi l’ha vista?

Rocco Artifoni

Il Ministro Pichetto Fratin ammette: le nuove infrastrutture del gas sono inutili

Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ammesso che la Linea Adriatica Snam è inutile, come inutili sono anche i due nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna. Per la verità il ministro non ha dichiarato proprio questo ma, se la logica ha un senso, le sue parole portano a questa conclusione e le nuove infrastrutture per il gas decise dopo l’invasione russa dell’Ucraina dovrebbero essere eliminate. In un’intervista a La Stampa del 22 febbraio Pichetto ha affermato: “Fatta la pace si torna al gas russo”. Ora, il caso vuole che i nuovi impianti fossili siano stati giustificati proprio per la necessità di supplire al gas russo, del quale l’Europa aveva deciso di chiudere il rubinetto.

In realtà, già due anni fa – quando i lavori della centrale di Sulmona e della Linea Adriatica non erano ancora cominciati e non c’era ancora il rigassificatore di Piombino, né tanto meno quello di Ravenna – l’Italia aveva sostituito il gas russo con altre fonti di importazione dall’estero. E a confermarlo era stato proprio il ministro Pichetto che il 15 aprile 2023, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva annunciato: “Abbiamo superato la dipendenza da Mosca grazie al gas africano”.

Che non avremmo subito alcuna conseguenza dall’eliminazione del gas russo lo si sapeva benissimo, perché l’Italia è il Paese che in Europa ha la più ampia diversificazione delle fonti di importazione di metano, con cinque metanodotti e tre rigassificatori (che ad aprile, dopo Piombino, diventeranno cinque con Ravenna). Non solo, ma ciò ha consentito di importare ancora più gas rispetto a prima, tanto che nel 2022 l’Italia ne ha rivenduto ad altri Paesi ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi, un record assoluto.

Questo conferma la strumentalità delle decisioni assunte prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni, che si sono piegati alla volontà delle due multinazionali Eni e Snam solo per favorirne gli interessi. Meloni ha addirittura lanciato l’anacronistico “Piano Mattei”, che sarà destinato ad aumentare la nostra dipendenza energetica dai regimi autoritari del continente africano, pronti ad usare il gas come arma di ricatto. Non è un caso se il torturatore Almasri è stato liberato anche per non compromettere le forniture di metano che, attraverso il gasdotto Greenstream. arrivano dalla Libia al nostro Paese.

Dal 2005 (anno del picco massimo) i consumi italiani di metano sono passati da 86,2 miliardi di metri cubi ai 61,9 miliardi del 2024. Un crollo di oltre 24 miliardi attribuibili non a cause congiunturali ma strutturali, quali la crescita delle energie pulite e rinnovabili, l’efficientamento energetico degli edifici, le campagne di risparmio energetico, la necessità di combattere il cambiamento climatico e di raggiungere la neutralità climatica al 2050, l’aumento del costo del metano dovuto non alla sua carenza ma alle manovre speculative delle multinazionali del settore.

Nonostante l’evidenza dei fatti, il governo Meloni – preso da una inarrestabile bulimia da gas – non solo insiste nella realizzazione delle nuove infrastrutture fossili, ma ne ha in programma addirittura altre, come i due ulteriori rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle e il raddoppio del gasdotto Tap dall’Azerbaigian, mentre in lista di attesa ci sono anche il gasdotto EastMed – Poseidon da Israele e un nuovo gasdotto dalla Spagna a Livorno.

Tutte opere non necessarie, che non solo danneggiano pesantemente il clima e l’ambiente, ma continueranno anche a sperperare enormi quantità di denaro che, invece, potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e per mettere in sicurezza il territorio. E che, soprattutto, saranno pagate per i prossimi 50 anni (che è la durata dell’ammortamento dei costi) attraverso le bollette dei cittadini italiani.

Attualmente l’Italia, escludendo la Russia, può disporre di una capacità di importazione dall’estero di circa 100 miliardi di metri cubi di metano. Se si aggiungono le opere in corso di realizzazione e le altre in itinere sì arriverebbe alla cifra di 150 miliardi di mc. Qualora dovessero essere ripristinate le forniture dalla Russia si raggiungerebbero i 180 miliardi di mc.  Una quantità di gas tre volte maggiore del consumo odierno del nostro Paese, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni.

Dove dovrebbe finire tutto questo gas? Il governo continua a ingannare i cittadini cercando di far credere che l’Italia diventerà l’hub del gas per il centro e il nord Europa: una prospettiva che è solo nella fantasia dei nostri governanti. Primo, perché ci sono Paesi – come la Norvegia, la Spagna e la Turchia – molto più pronti e attrezzati per svolgere questo ruolo; secondo, perché il drastico calo dei consumi di metano non si è verificato solo in Italia, ma in tutta Europa. Rispetto al 2021 si è passati da 591 miliardi di metri cubi a 478, con una riduzione di ben 113 miliardi in soli tre anni.

Con la guerra in Ucraina molti Paesi europei hanno avviato progetti per nuove infrastrutture metanifere, ma gli esperti mettono in guardia dal rischio che tali investimenti, a fronte di una domanda in calo, potrebbero diventare stranded, cioè improduttivi. L’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis) ha stimato che l’Europa potrebbe ritrovarsi nei prossimi anni con oltre 300 miliardi di mc di capacità inutilizzata. Proprio per questo Paesi come la Grecia, Cipro, la Lituania e la Lettonia hanno deciso di sospendere o posticipare i loro ambiziosi progetti.

Con riferimento alla situazione italiana l’IEEFA ha redatto un rapporto nel gennaio di quest’anno in cui scrive che “il consumo di gas in Italia solleva interrogativi sul continuo investimento in questo combustibile”. Ed ancora: “La maggior parte dei ricavi di Snam sono regolati”. Questo significa che la Snam avrà il suo profitto anche se nei tubi o negli impianti di GNL non dovesse passare neanche un metro cubo di gas. Ma, aggiunge l’IEEFA, “gli incentivi derivanti dalla regolazione creano potenzialmente una distorsione a favore delle spese in capitale”.

Chi ci rimette?  I consumatori italiani che, ricorda ancora l’IEEFA, pagano il gas con prezzi “che sono tra i più alti in Europa”. E questo nonostante il nostro Paese non abbia mai avuto problemi di approvvigionamento di metano.

 

Mario Pizzola

La volpe, l’uva e il debito pubblico

Ogni mese la Banca d’Italia pubblica un report statistico intitolato “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Nel numero di febbraio 2025 si possono leggere i dati del 2024 e si possono confrontare con gli anni precedenti. Il risultato è allarmante, perché il debito netto delle pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni è aumentato di 83 miliardi di euro nel 2022, 104 miliardi di euro nel 2023 e 110 miliardi di euro nel 2024.

È interessante notare come il debito pubblico sia quasi totalmente relativo alle amministrazioni centrali (per oltre il 97% del totale), mentre le amministrazioni locali (regioni, province, città metropolitane, comuni) abbiano un debito ridotto (meno del 3% del totale). Inoltre, mentre il debito dello Stato aumenta, quello degli enti locali diminuisce: nel 2022 era di 88 miliardi di euro, nel 2023 era sceso a 85 miliardi e nel 2024 è calato a 82 miliardi di euro.

I rappresentanti dell’attuale governo di solito cercano di evitare di confrontarsi con i dati reali del debito pubblico, poiché sono visti come un intralcio alla narrazione sulle magnifiche sorti dello “stivale”, che camminerebbe spedito verso la crescita. Quando sono costretti a non ignorare il problema, le risposte dei principali leader politici prendono due strade divergenti. Alcuni cercano di rassicurare, sostenendo che comunque il debito è sotto controllo e in realtà non costituisce un vero problema per i cittadini. Altri danno la colpa dell’aumento del debito ai governi precedenti, che avrebbero lasciato dei buchi nel bilancio pubblico.

Viene alla mente una famosa favola di Esopo: «Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».

Resta il fatto che dopo due anni e mezzo di politiche economiche e fiscali del governo attuale, il debito pubblico continua inesorabilmente ad aumentare sia in valore assoluto sia in relazione al Prodotto Interno Lordo. L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica ha calcolato che «il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) è a fine 2024 del 136,3% (contro il previsto 135,8%) e, a fine 2025, del 138,4% (contro il previsto 136,9%), 34 miliardi e 1,5 punti percentuali in più del previsto. Queste variazioni non sono irrilevanti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica».

Se alziamo lo sguardo oltre i confini del Paese, la visione non migliora. Infatti, tra i Paesi europei soltanto la Grecia ha un rapporto più elevato tra debito/PIL ed è comunque considerata una nazione più affidabile per la restituzione del debito, dato che ha tassi di interesse inferiori a quelli applicati al debito italiano.

Un governo responsabile di fronte a questi dati dovrebbe essere molto preoccupato per le sorti del Paese e dovrebbe indicare una strategia concreta per invertire la tendenza. Chi l’ha vista?

Rocco Artifoni

Il Ministro Pichetto Fratin ammette: le nuove infrastrutture del gas sono inutili

Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ammesso che la Linea Adriatica Snam è inutile, come inutili sono anche i due nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna. Per la verità il ministro non ha dichiarato proprio questo ma, se la logica ha un senso, le sue parole portano a questa conclusione e le nuove infrastrutture per il gas decise dopo l’invasione russa dell’Ucraina dovrebbero essere eliminate. In un’intervista a La Stampa del 22 febbraio Pichetto ha affermato: “Fatta la pace si torna al gas russo”. Ora, il caso vuole che i nuovi impianti fossili siano stati giustificati proprio per la necessità di supplire al gas russo, del quale l’Europa aveva deciso di chiudere il rubinetto.

In realtà, già due anni fa – quando i lavori della centrale di Sulmona e della Linea Adriatica non erano ancora cominciati e non c’era ancora il rigassificatore di Piombino, né tanto meno quello di Ravenna – l’Italia aveva sostituito il gas russo con altre fonti di importazione dall’estero. E a confermarlo era stato proprio il ministro Pichetto che il 15 aprile 2023, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva annunciato: “Abbiamo superato la dipendenza da Mosca grazie al gas africano”.

Che non avremmo subito alcuna conseguenza dall’eliminazione del gas russo lo si sapeva benissimo, perché l’Italia è il Paese che in Europa ha la più ampia diversificazione delle fonti di importazione di metano, con cinque metanodotti e tre rigassificatori (che ad aprile, dopo Piombino, diventeranno cinque con Ravenna). Non solo, ma ciò ha consentito di importare ancora più gas rispetto a prima, tanto che nel 2022 l’Italia ne ha rivenduto ad altri Paesi ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi, un record assoluto.

Questo conferma la strumentalità delle decisioni assunte prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni, che si sono piegati alla volontà delle due multinazionali Eni e Snam solo per favorirne gli interessi. Meloni ha addirittura lanciato l’anacronistico “Piano Mattei”, che sarà destinato ad aumentare la nostra dipendenza energetica dai regimi autoritari del continente africano, pronti ad usare il gas come arma di ricatto. Non è un caso se il torturatore Almasri è stato liberato anche per non compromettere le forniture di metano che, attraverso il gasdotto Greenstream. arrivano dalla Libia al nostro Paese.

Dal 2005 (anno del picco massimo) i consumi italiani di metano sono passati da 86,2 miliardi di metri cubi ai 61,9 miliardi del 2024. Un crollo di oltre 24 miliardi attribuibili non a cause congiunturali ma strutturali, quali la crescita delle energie pulite e rinnovabili, l’efficientamento energetico degli edifici, le campagne di risparmio energetico, la necessità di combattere il cambiamento climatico e di raggiungere la neutralità climatica al 2050, l’aumento del costo del metano dovuto non alla sua carenza ma alle manovre speculative delle multinazionali del settore.

Nonostante l’evidenza dei fatti, il governo Meloni – preso da una inarrestabile bulimia da gas – non solo insiste nella realizzazione delle nuove infrastrutture fossili, ma ne ha in programma addirittura altre, come i due ulteriori rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle e il raddoppio del gasdotto Tap dall’Azerbaigian, mentre in lista di attesa ci sono anche il gasdotto EastMed – Poseidon da Israele e un nuovo gasdotto dalla Spagna a Livorno.

Tutte opere non necessarie, che non solo danneggiano pesantemente il clima e l’ambiente, ma continueranno anche a sperperare enormi quantità di denaro che, invece, potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e per mettere in sicurezza il territorio. E che, soprattutto, saranno pagate per i prossimi 50 anni (che è la durata dell’ammortamento dei costi) attraverso le bollette dei cittadini italiani.

Attualmente l’Italia, escludendo la Russia, può disporre di una capacità di importazione dall’estero di circa 100 miliardi di metri cubi di metano. Se si aggiungono le opere in corso di realizzazione e le altre in itinere sì arriverebbe alla cifra di 150 miliardi di mc. Qualora dovessero essere ripristinate le forniture dalla Russia si raggiungerebbero i 180 miliardi di mc.  Una quantità di gas tre volte maggiore del consumo odierno del nostro Paese, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni.

Dove dovrebbe finire tutto questo gas? Il governo continua a ingannare i cittadini cercando di far credere che l’Italia diventerà l’hub del gas per il centro e il nord Europa: una prospettiva che è solo nella fantasia dei nostri governanti. Primo, perché ci sono Paesi – come la Norvegia, la Spagna e la Turchia – molto più pronti e attrezzati per svolgere questo ruolo; secondo, perché il drastico calo dei consumi di metano non si è verificato solo in Italia, ma in tutta Europa. Rispetto al 2021 si è passati da 591 miliardi di metri cubi a 478, con una riduzione di ben 113 miliardi in soli tre anni.

Con la guerra in Ucraina molti Paesi europei hanno avviato progetti per nuove infrastrutture metanifere, ma gli esperti mettono in guardia dal rischio che tali investimenti, a fronte di una domanda in calo, potrebbero diventare stranded, cioè improduttivi. L’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis) ha stimato che l’Europa potrebbe ritrovarsi nei prossimi anni con oltre 300 miliardi di mc di capacità inutilizzata. Proprio per questo Paesi come la Grecia, Cipro, la Lituania e la Lettonia hanno deciso di sospendere o posticipare i loro ambiziosi progetti.

Con riferimento alla situazione italiana l’IEEFA ha redatto un rapporto nel gennaio di quest’anno in cui scrive che “il consumo di gas in Italia solleva interrogativi sul continuo investimento in questo combustibile”. Ed ancora: “La maggior parte dei ricavi di Snam sono regolati”. Questo significa che la Snam avrà il suo profitto anche se nei tubi o negli impianti di GNL non dovesse passare neanche un metro cubo di gas. Ma, aggiunge l’IEEFA, “gli incentivi derivanti dalla regolazione creano potenzialmente una distorsione a favore delle spese in capitale”.

Chi ci rimette?  I consumatori italiani che, ricorda ancora l’IEEFA, pagano il gas con prezzi “che sono tra i più alti in Europa”. E questo nonostante il nostro Paese non abbia mai avuto problemi di approvvigionamento di metano.

 

Mario Pizzola

La volpe, l’uva e il debito pubblico

Ogni mese la Banca d’Italia pubblica un report statistico intitolato “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Nel numero di febbraio 2025 si possono leggere i dati del 2024 e si possono confrontare con gli anni precedenti. Il risultato è allarmante, perché il debito netto delle pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni è aumentato di 83 miliardi di euro nel 2022, 104 miliardi di euro nel 2023 e 110 miliardi di euro nel 2024.

È interessante notare come il debito pubblico sia quasi totalmente relativo alle amministrazioni centrali (per oltre il 97% del totale), mentre le amministrazioni locali (regioni, province, città metropolitane, comuni) abbiano un debito ridotto (meno del 3% del totale). Inoltre, mentre il debito dello Stato aumenta, quello degli enti locali diminuisce: nel 2022 era di 88 miliardi di euro, nel 2023 era sceso a 85 miliardi e nel 2024 è calato a 82 miliardi di euro.

I rappresentanti dell’attuale governo di solito cercano di evitare di confrontarsi con i dati reali del debito pubblico, poiché sono visti come un intralcio alla narrazione sulle magnifiche sorti dello “stivale”, che camminerebbe spedito verso la crescita. Quando sono costretti a non ignorare il problema, le risposte dei principali leader politici prendono due strade divergenti. Alcuni cercano di rassicurare, sostenendo che comunque il debito è sotto controllo e in realtà non costituisce un vero problema per i cittadini. Altri danno la colpa dell’aumento del debito ai governi precedenti, che avrebbero lasciato dei buchi nel bilancio pubblico.

Viene alla mente una famosa favola di Esopo: «Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».

Resta il fatto che dopo due anni e mezzo di politiche economiche e fiscali del governo attuale, il debito pubblico continua inesorabilmente ad aumentare sia in valore assoluto sia in relazione al Prodotto Interno Lordo. L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica ha calcolato che «il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) è a fine 2024 del 136,3% (contro il previsto 135,8%) e, a fine 2025, del 138,4% (contro il previsto 136,9%), 34 miliardi e 1,5 punti percentuali in più del previsto. Queste variazioni non sono irrilevanti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica».

Se alziamo lo sguardo oltre i confini del Paese, la visione non migliora. Infatti, tra i Paesi europei soltanto la Grecia ha un rapporto più elevato tra debito/PIL ed è comunque considerata una nazione più affidabile per la restituzione del debito, dato che ha tassi di interesse inferiori a quelli applicati al debito italiano.

Un governo responsabile di fronte a questi dati dovrebbe essere molto preoccupato per le sorti del Paese e dovrebbe indicare una strategia concreta per invertire la tendenza. Chi l’ha vista?

Rocco Artifoni

Il Ministro Pichetto Fratin ammette: le nuove infrastrutture del gas sono inutili

Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ammesso che la Linea Adriatica Snam è inutile, come inutili sono anche i due nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna. Per la verità il ministro non ha dichiarato proprio questo ma, se la logica ha un senso, le sue parole portano a questa conclusione e le nuove infrastrutture per il gas decise dopo l’invasione russa dell’Ucraina dovrebbero essere eliminate. In un’intervista a La Stampa del 22 febbraio Pichetto ha affermato: “Fatta la pace si torna al gas russo”. Ora, il caso vuole che i nuovi impianti fossili siano stati giustificati proprio per la necessità di supplire al gas russo, del quale l’Europa aveva deciso di chiudere il rubinetto.

In realtà, già due anni fa – quando i lavori della centrale di Sulmona e della Linea Adriatica non erano ancora cominciati e non c’era ancora il rigassificatore di Piombino, né tanto meno quello di Ravenna – l’Italia aveva sostituito il gas russo con altre fonti di importazione dall’estero. E a confermarlo era stato proprio il ministro Pichetto che il 15 aprile 2023, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva annunciato: “Abbiamo superato la dipendenza da Mosca grazie al gas africano”.

Che non avremmo subito alcuna conseguenza dall’eliminazione del gas russo lo si sapeva benissimo, perché l’Italia è il Paese che in Europa ha la più ampia diversificazione delle fonti di importazione di metano, con cinque metanodotti e tre rigassificatori (che ad aprile, dopo Piombino, diventeranno cinque con Ravenna). Non solo, ma ciò ha consentito di importare ancora più gas rispetto a prima, tanto che nel 2022 l’Italia ne ha rivenduto ad altri Paesi ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi, un record assoluto.

Questo conferma la strumentalità delle decisioni assunte prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni, che si sono piegati alla volontà delle due multinazionali Eni e Snam solo per favorirne gli interessi. Meloni ha addirittura lanciato l’anacronistico “Piano Mattei”, che sarà destinato ad aumentare la nostra dipendenza energetica dai regimi autoritari del continente africano, pronti ad usare il gas come arma di ricatto. Non è un caso se il torturatore Almasri è stato liberato anche per non compromettere le forniture di metano che, attraverso il gasdotto Greenstream. arrivano dalla Libia al nostro Paese.

Dal 2005 (anno del picco massimo) i consumi italiani di metano sono passati da 86,2 miliardi di metri cubi ai 61,9 miliardi del 2024. Un crollo di oltre 24 miliardi attribuibili non a cause congiunturali ma strutturali, quali la crescita delle energie pulite e rinnovabili, l’efficientamento energetico degli edifici, le campagne di risparmio energetico, la necessità di combattere il cambiamento climatico e di raggiungere la neutralità climatica al 2050, l’aumento del costo del metano dovuto non alla sua carenza ma alle manovre speculative delle multinazionali del settore.

Nonostante l’evidenza dei fatti, il governo Meloni – preso da una inarrestabile bulimia da gas – non solo insiste nella realizzazione delle nuove infrastrutture fossili, ma ne ha in programma addirittura altre, come i due ulteriori rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle e il raddoppio del gasdotto Tap dall’Azerbaigian, mentre in lista di attesa ci sono anche il gasdotto EastMed – Poseidon da Israele e un nuovo gasdotto dalla Spagna a Livorno.

Tutte opere non necessarie, che non solo danneggiano pesantemente il clima e l’ambiente, ma continueranno anche a sperperare enormi quantità di denaro che, invece, potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e per mettere in sicurezza il territorio. E che, soprattutto, saranno pagate per i prossimi 50 anni (che è la durata dell’ammortamento dei costi) attraverso le bollette dei cittadini italiani.

Attualmente l’Italia, escludendo la Russia, può disporre di una capacità di importazione dall’estero di circa 100 miliardi di metri cubi di metano. Se si aggiungono le opere in corso di realizzazione e le altre in itinere sì arriverebbe alla cifra di 150 miliardi di mc. Qualora dovessero essere ripristinate le forniture dalla Russia si raggiungerebbero i 180 miliardi di mc.  Una quantità di gas tre volte maggiore del consumo odierno del nostro Paese, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni.

Dove dovrebbe finire tutto questo gas? Il governo continua a ingannare i cittadini cercando di far credere che l’Italia diventerà l’hub del gas per il centro e il nord Europa: una prospettiva che è solo nella fantasia dei nostri governanti. Primo, perché ci sono Paesi – come la Norvegia, la Spagna e la Turchia – molto più pronti e attrezzati per svolgere questo ruolo; secondo, perché il drastico calo dei consumi di metano non si è verificato solo in Italia, ma in tutta Europa. Rispetto al 2021 si è passati da 591 miliardi di metri cubi a 478, con una riduzione di ben 113 miliardi in soli tre anni.

Con la guerra in Ucraina molti Paesi europei hanno avviato progetti per nuove infrastrutture metanifere, ma gli esperti mettono in guardia dal rischio che tali investimenti, a fronte di una domanda in calo, potrebbero diventare stranded, cioè improduttivi. L’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis) ha stimato che l’Europa potrebbe ritrovarsi nei prossimi anni con oltre 300 miliardi di mc di capacità inutilizzata. Proprio per questo Paesi come la Grecia, Cipro, la Lituania e la Lettonia hanno deciso di sospendere o posticipare i loro ambiziosi progetti.

Con riferimento alla situazione italiana l’IEEFA ha redatto un rapporto nel gennaio di quest’anno in cui scrive che “il consumo di gas in Italia solleva interrogativi sul continuo investimento in questo combustibile”. Ed ancora: “La maggior parte dei ricavi di Snam sono regolati”. Questo significa che la Snam avrà il suo profitto anche se nei tubi o negli impianti di GNL non dovesse passare neanche un metro cubo di gas. Ma, aggiunge l’IEEFA, “gli incentivi derivanti dalla regolazione creano potenzialmente una distorsione a favore delle spese in capitale”.

Chi ci rimette?  I consumatori italiani che, ricorda ancora l’IEEFA, pagano il gas con prezzi “che sono tra i più alti in Europa”. E questo nonostante il nostro Paese non abbia mai avuto problemi di approvvigionamento di metano.

 

Mario Pizzola