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Macron

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi