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Biden

Leonard Peltier è libero

Finalmente Leonard Peltier è libero e a casa sua.

Questa una delle prime foto  arrivate dove è insieme alla sua famiglia e agli amici del Comitato che sempre l’ha difeso e ne ha chiesto la liberazione.

Peltier è stato liberato grazie a un provvedimento delle ultime ore del Presidente Biden poco prima di cedere il suo incarico. Non è stata la grazia che tutti chiedevano dopo 49 anni di incarcerazione in base a prove inesistenti ma gli ha dato  la possibilità di essere vicino ai suoi cari e amici e di curarsi.

Questo grazie al grande movimento di solidarietà internazionale di cui Pressenza è lieta di essere parte, dimostrando che l’azione umana, della società civile, non è un’azione inutile e senza speranza, come a volte sembra.

Tutti gli articoli sul caso Peltier su Pressenza

Redazione Italia

La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

L'articolo La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden proviene da .

La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

L'articolo La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden proviene da .

Leonard Peltier è libero

Finalmente Leonard Peltier è libero e a casa sua.

Questa una delle prime foto  arrivate dove è insieme alla sua famiglia e agli amici del Comitato che sempre l’ha difeso e ne ha chiesto la liberazione.

Peltier è stato liberato grazie a un provvedimento delle ultime ore del Presidente Biden poco prima di cedere il suo incarico. Non è stata la grazia che tutti chiedevano dopo 49 anni di incarcerazione in base a prove inesistenti ma gli ha dato  la possibilità di essere vicino ai suoi cari e amici e di curarsi.

Questo grazie al grande movimento di solidarietà internazionale di cui Pressenza è lieta di essere parte, dimostrando che l’azione umana, della società civile, non è un’azione inutile e senza speranza, come a volte sembra.

Tutti gli articoli sul caso Peltier su Pressenza

Redazione Italia

La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

L'articolo La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden proviene da .

Leonard Peltier è libero

Finalmente Leonard Peltier è libero e a casa sua.

Questa una delle prime foto  arrivate dove è insieme alla sua famiglia e agli amici del Comitato che sempre l’ha difeso e ne ha chiesto la liberazione.

Peltier è stato liberato grazie a un provvedimento delle ultime ore del Presidente Biden poco prima di cedere il suo incarico. Non è stata la grazia che tutti chiedevano dopo 49 anni di incarcerazione in base a prove inesistenti ma gli ha dato  la possibilità di essere vicino ai suoi cari e amici e di curarsi.

Questo grazie al grande movimento di solidarietà internazionale di cui Pressenza è lieta di essere parte, dimostrando che l’azione umana, della società civile, non è un’azione inutile e senza speranza, come a volte sembra.

Tutti gli articoli sul caso Peltier su Pressenza

Redazione Italia

La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

L'articolo La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden proviene da .

Leonard Peltier è libero

Finalmente Leonard Peltier è libero e a casa sua.

Questa una delle prime foto  arrivate dove è insieme alla sua famiglia e agli amici del Comitato che sempre l’ha difeso e ne ha chiesto la liberazione.

Peltier è stato liberato grazie a un provvedimento delle ultime ore del Presidente Biden poco prima di cedere il suo incarico. Non è stata la grazia che tutti chiedevano dopo 49 anni di incarcerazione in base a prove inesistenti ma gli ha dato  la possibilità di essere vicino ai suoi cari e amici e di curarsi.

Questo grazie al grande movimento di solidarietà internazionale di cui Pressenza è lieta di essere parte, dimostrando che l’azione umana, della società civile, non è un’azione inutile e senza speranza, come a volte sembra.

Tutti gli articoli sul caso Peltier su Pressenza

Redazione Italia

La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

L'articolo La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden proviene da .

Leonard Peltier è libero

Finalmente Leonard Peltier è libero e a casa sua.

Questa una delle prime foto  arrivate dove è insieme alla sua famiglia e agli amici del Comitato che sempre l’ha difeso e ne ha chiesto la liberazione.

Peltier è stato liberato grazie a un provvedimento delle ultime ore del Presidente Biden poco prima di cedere il suo incarico. Non è stata la grazia che tutti chiedevano dopo 49 anni di incarcerazione in base a prove inesistenti ma gli ha dato  la possibilità di essere vicino ai suoi cari e amici e di curarsi.

Questo grazie al grande movimento di solidarietà internazionale di cui Pressenza è lieta di essere parte, dimostrando che l’azione umana, della società civile, non è un’azione inutile e senza speranza, come a volte sembra.

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Redazione Italia