“Morte civile”: cosa significa essere un obiettore di coscienza in Turchia
L’evento Morte civile: cosa significa essere un obiettore di coscienza in Turchia presso la sala Poli del Centro Studi Sereno Regis è stata un’occasione per conoscere la realtà degli obiettori di coscienza in Turchia.
Moderati da Zaira Zafarana, coordinatrice dell’advocacy internazionale di Connection e.V. e responsabile dei rapporti internazionali del MIR Italia, sono intervenuti in remoto Hülya Üçpinar, avvocatessa per i diritti umani in Turchia e gli obiettori di coscienza Hüseyin Civan, Merve Arkun, İnan Aru[1].
A livello di diritto internazionale l’obiezione di coscienza al servizio militare è un diritto umano che deriva dall’articolo 18 (libertà di coscienza e religione); il lavoro di advocacy su questo tema a livello internazionale è quello di far rispettare questo diritto umano nei vari paesi.
Il diritto all’obiezione di coscienza non è previsto in Russia ed in Grecia. in Ucraina in teoria c’è, ma in pratica non viene rispettato.
In Turchia il diritto all’obiezione di coscienza non viene riconosciuto e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito la situazione degli obiettori di coscienza turchi come morte civile.
Hülya Üçpinar racconta la storia del movimento degli obiettori di coscienza turchi, un movimento senza un’organizzazione gerarchica che usa metodi nonviolenti; il movimento collabora con altri gruppi, compresi gruppi femministi ed ha un proprio linguaggio contro l’ingiustizia e contro qualsiasi tipo di guerra.
La società turca è fatta di cittadini soldato ed ha una generalizzata cultura militarista; i primi obiettori che si sono dichiarati pubblicamente negli anni 90 hanno minato alla base l’idea che ogni persona nasce come soldato e come turco.
Il rifiuto di servire nell’esercito viene segnalato sui documenti rendendo impossibile per gli obiettori una vita normale; qualsiasi organizzazione che rileva lo stato degli obiettori può far partire una nuova causa legale con relativo processo provocando quella “morte civile” citata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’accanimento verso gli obiettori non si ferma nemmeno al raggiungimento dell’età di 41 anni che coincide con la fine di fine dell’obbligo militare.
Emotivamente molto coinvolgente è stato il racconto dell’esperienza personale di İnan Aru: la sua scelta di obiettare è nata 25 anni fa, maturata dalla sua famiglia di resistenti che si sono opposti al colpo di stato degli anni 80. Già all’età di sette anni decise che non avrebbe fatto il servizio militare, ma nessuno sapeva come fare.
Il servizio militare è visto come un rituale per diventare dei veri uomini e per rinsaldare l’appartenenza al paese; è legato alla mascolinità e si rispecchia su tutta la vita sociale; non è semplicemente un rifiuto ad un obbligo legale, ma il rifiutare un’intera forma mentale, un’intera cultura.
Per me il servizio militare era totalmente estraneo al mio essere e l’esempio del primo obiettore di coscienza turco nel 1997 mi mostrò la strada per evitarlo; quando dichiarai la mia obiezione nel 2008 sembrava che la Turchia stesse attraversando un periodo di crescita dei diritti, ma la situazione è precipitata nel 2014-2015 quando tutte le opposizioni sono diventate degli obiettivi per l’oppressione, compresi gli obiettori di coscienza e gli antimilitaristi.
Un obiettore non può lavorare in maniera regolare né per lo stato né per i privati in maniera regolare; in caso di fermo, riceve un documento per presentarsi entro quindici giorni al centro di reclutamento e ricomincia il ciclo; “io ho ricevuto sette condanne per il medesimo fatto che sono diventate multe o arresti domiciliari; un mese fa ho ricevuto una nuova convocazione”
İnan Aru è intervenuto a raccontare la sua esperienza anche in piazza durante la 155° Presenza di Pace, ricevendo la solidarietà di chi ha lottato per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza in Italia; nel nostro paese l’obiezione di coscienza è stata riconosciuta per la prima volta nel 1972[2].
In precedenza, gli obiettori hanno dovuto affrontare processi e carcere militare ed uno stigma sociale non molto diverso da quello che riconosciamo oggi per gli obiettori turchi.
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[1] Merve Arkun, uno dei vicepresidenti dell’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza e membro esecutivo di War Resisters’ International, fornirà informazioni sulla situazione attuale del diritto all’obiezione di coscienza in Turchia ed esempi del lavoro svolto. Condividerà inoltre le prospettive di genere sull’obiezione di coscienza come diritto umano.
Hüseyin Civan è un obiettore di coscienza ed è stato sottoposto a restrizioni dei suoi diritti civili e sta sperimentando la “morte civile” (termine usato dalla Corte europea dei diritti umani per descrivere la situazione degli obiettori di coscienza in Turchia) a causa del suo rifiuto di servire nell’esercito.
İnan Aru è un obiettore di coscienza ed è stato processato e imprigionato più volte con la stessa accusa a causa del mancato riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza da parte della Türchia.
Hülya Üçpinar è un’avvocatessa turca specializzata in diritti umani e ha una lunga esperienza di campagne per il diritto all’obiezione di coscienza in Turchia. Ha anche esperienza nella richiesta di questo diritto umano all’interno del sistema europeo e delle Nazioni Unite. È membro del comitato esecutivo di War Resisters’ International e tra i cofondatori del Centro di educazione e ricerca nonviolenta di Istanbul.
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Obiezione_di_coscienza_in_Italia