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colonialismo

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Il diritto di Israele a difendersi è diventato un presunto diritto a invadere e colonizzare”

Benvenuti alla terza parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Il “diritto di Israele a difendersi” è un altro mantra che sentiamo spesso pronunciare dalle nostre classi dirigenti liberali (conservatrici o progressiste che siano) sia nazionali sia europee. Cosa ha di fortemente ambiguo questo mantra e quanto confonde l’oppresso con l’oppressore?

È curioso notare come, dopo l’iniziale bombardamento post 7 ottobre, questo claim si sia lentamente rarefatto fino a evaporare quasi completamente dal lessico delle cancellerie. Si trattava infatti di uno slogan fondato su un’operazione di “gaslighting” che sollevava più di una contraddizione.
Il motivo di questo dietrofront, nonostante sia pacifico che Israele abbia il diritto a difendersi, così come lo ha l’Italia, la Francia e la Germania, risiede nello stesso diritto alla difesa che non poteva essere negato al popolo palestinese, sotto oppressione da più di un secolo, così come testimoniato già nel 1891 da Ahad Ha’am. Anzi, la questione dell’autodifesa diventava ancora più imbarazzante quando, andando a interrogare il corpus giuridico internazionale, emergeva che il popolo palestinese godeva perfino di una tutela legale nella sua lotta armata.

Cerchiamo di capire quest’ultimo passaggio assieme facendo un salto indietro nel tempo, e ritornando a quel 10 giugno del 1967; il giorno che concluse la Guerra dei Sei Giorni.
A quella data Israele si ritrovò ad occupare tutto un plateau di territori che fino a cinque giorni prima non facevano parte dei suoi confini (legalmente, neanche oggi farebbero parte dei suoi confini). Nello specifico, quelli che qui ci interessano sono la Striscia di Gaza, strappata all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, prese alla Giordania, e le Alture del Golan, di proprietà della Siria.
Territori conquistati a seguito di un’azione bellica e, in quanto tali, normati da precisi regolamenti internazionali.

Su questo punto occorre consultare l’art. 2.4 dello Statuto delle Nazioni Unite (a cui Israele aderisce) che vieta “l’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Stesso concetto peraltro ribadito dalla Risoluzione ONU n. 242 in cui si richiedeva formalmente il ritiro di Israele dai territori. Il punto che qui ci preme sottolineare, per procedere nel nostro ragionamento, è che tali territori vengono espressamente indicati, al punto 1.i, come territori “occupati”.

Il passaggio successivo diventa dunque capire cosa uno stato può e cosa non può fare nei territori da lui occupati. Qui entra in gioco la Quarta Convenzione di Ginevra, ratificata anch’essa da Israele nel 1951, che all’art. 49 così recita: La potenza occupante non può procedere a deportazioni o trasferimenti forzati di parte della popolazione civile del territorio occupato, né può trasferire nella zona occupata parte della propria popolazione civile.

Sarebbe inutile in questo articolo elencare tutte le deportazioni forzate, né le centinaia di colonie create dentro i territori occupati in quanto patrimonio documentale già acquisito dal lettore. Quello che dobbiamo fare, per proseguire nel nostro ragionamento, è sottolineare l’effettiva violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Va altresì specificato che non tutte le violazioni alla Convenzione di Ginevra sono classificabili con la stessa gravità. Esiste una fonte di diritto internazionale appositamente creata per elencare le violazioni e classificarle. Nel nostro caso specifico, in base all’art.8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale “si intende per «crimini di guerra» […] viii) il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio”

Abbiamo qui raggiunto un punto fermo: lo stato di Israele è uno stato criminale non perché lo afferma qualche terrorista esagitato o qualche manifestante con la bandiera palestinese garrente al vento; lo stato di Israele è colpevole di crimini di guerra a norma del diritto internazionale e, a meno che non si decida di stracciare la legge a favore di questo o quello stato amico, la questione è indiscutibile.
Ma la domanda iniziale non verteva sull’oggettiva o meno colpevolezza di Israele, quanto sul suo diritto alla difesa e sul diritto alla difesa del popolo palestinese. Ci servono altri due passaggi per arrivare alla conclusione del ragionamento.

Il primo è la natura coloniale del progetto sionista e quindi della politica israeliana. Non è un caso se si parla di “colonie” ebraiche e, per estensione, di un progetto di colonialismo di insediamento. Su questo punto c’è una vastissima letteratura e poco importa se, in un processo di ribaltamento della realtà, i coloni ebrei affermano di non essere coloni ma proprietari della terra a norma biblica.

Il secondo punto è la natura di apartheid e segregazione razziale dell’occupazione, come messo nero su bianco dalla Corte Internazionale di Giustizia nel luglio 2024 (Summary 2024/8 – 19 July 2024).
Dunque, di fronte a queste due condizioni in substrato, i combattenti palestinesi hanno il diritto a difendersi o, per meglio dire, alla resistenza? Al di là della retorica di pancia, che potrebbe portarci ad affermare un SÌ empatico, esistono anche qui dei puntelli legali in grado di dirimere la questione dal punto di vista normativo.

Nello specifico, l’art. 1.4 del protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra tutela come (legittimi) combattenti quei “popoli (che n.d.r.) lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale”.

Va qui chiarito che, nell’Occidente del pacifismo, può risultare arduo comprendere che per lotta armata non si intende sparare a salve in aria per incutere timore al nemico. Quando si parla di lotta armata si intende guerra. Una guerra soggetta anch’essa alle normative internazionali (ad esempio sulla tutela dei civili e sulla loro salvaguardia), ma pur sempre una guerra armata in cui il confine tra combattente e terrorista non lo decidono le cancellerie amiche o nemiche ma i codici internazionali.

Una guerra che nessuno di noi vorrebbe e che potrebbe forse essere disinnescata togliendo ogni legittimità a quei combattenti palestinesi nel momento in cui venissero meno i due requisiti di cui sopra: occupazione e apartheid. Una strada furba, a mio avviso, che potrebbe essere imboccata il prima possibile, con una obbligatoria pacificazione tra i due popoli finalizzata a una soluzione a due stati.

 

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Il diritto di Israele a difendersi è diventato un presunto diritto a invadere e colonizzare”

Benvenuti alla terza parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Il “diritto di Israele a difendersi” è un altro mantra che sentiamo spesso pronunciare dalle nostre classi dirigenti liberali (conservatrici o progressiste che siano) sia nazionali sia europee. Cosa ha di fortemente ambiguo questo mantra e quanto confonde l’oppresso con l’oppressore?

È curioso notare come, dopo l’iniziale bombardamento post 7 ottobre, questo claim si sia lentamente rarefatto fino a evaporare quasi completamente dal lessico delle cancellerie. Si trattava infatti di uno slogan fondato su un’operazione di “gaslighting” che sollevava più di una contraddizione.
Il motivo di questo dietrofront, nonostante sia pacifico che Israele abbia il diritto a difendersi, così come lo ha l’Italia, la Francia e la Germania, risiede nello stesso diritto alla difesa che non poteva essere negato al popolo palestinese, sotto oppressione da più di un secolo, così come testimoniato già nel 1891 da Ahad Ha’am. Anzi, la questione dell’autodifesa diventava ancora più imbarazzante quando, andando a interrogare il corpus giuridico internazionale, emergeva che il popolo palestinese godeva perfino di una tutela legale nella sua lotta armata.

Cerchiamo di capire quest’ultimo passaggio assieme facendo un salto indietro nel tempo, e ritornando a quel 10 giugno del 1967; il giorno che concluse la Guerra dei Sei Giorni.
A quella data Israele si ritrovò ad occupare tutto un plateau di territori che fino a cinque giorni prima non facevano parte dei suoi confini (legalmente, neanche oggi farebbero parte dei suoi confini). Nello specifico, quelli che qui ci interessano sono la Striscia di Gaza, strappata all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, prese alla Giordania, e le Alture del Golan, di proprietà della Siria.
Territori conquistati a seguito di un’azione bellica e, in quanto tali, normati da precisi regolamenti internazionali.

Su questo punto occorre consultare l’art. 2.4 dello Statuto delle Nazioni Unite (a cui Israele aderisce) che vieta “l’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Stesso concetto peraltro ribadito dalla Risoluzione ONU n. 242 in cui si richiedeva formalmente il ritiro di Israele dai territori. Il punto che qui ci preme sottolineare, per procedere nel nostro ragionamento, è che tali territori vengono espressamente indicati, al punto 1.i, come territori “occupati”.

Il passaggio successivo diventa dunque capire cosa uno stato può e cosa non può fare nei territori da lui occupati. Qui entra in gioco la Quarta Convenzione di Ginevra, ratificata anch’essa da Israele nel 1951, che all’art. 49 così recita: La potenza occupante non può procedere a deportazioni o trasferimenti forzati di parte della popolazione civile del territorio occupato, né può trasferire nella zona occupata parte della propria popolazione civile.

Sarebbe inutile in questo articolo elencare tutte le deportazioni forzate, né le centinaia di colonie create dentro i territori occupati in quanto patrimonio documentale già acquisito dal lettore. Quello che dobbiamo fare, per proseguire nel nostro ragionamento, è sottolineare l’effettiva violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Va altresì specificato che non tutte le violazioni alla Convenzione di Ginevra sono classificabili con la stessa gravità. Esiste una fonte di diritto internazionale appositamente creata per elencare le violazioni e classificarle. Nel nostro caso specifico, in base all’art.8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale “si intende per «crimini di guerra» […] viii) il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio”

Abbiamo qui raggiunto un punto fermo: lo stato di Israele è uno stato criminale non perché lo afferma qualche terrorista esagitato o qualche manifestante con la bandiera palestinese garrente al vento; lo stato di Israele è colpevole di crimini di guerra a norma del diritto internazionale e, a meno che non si decida di stracciare la legge a favore di questo o quello stato amico, la questione è indiscutibile.
Ma la domanda iniziale non verteva sull’oggettiva o meno colpevolezza di Israele, quanto sul suo diritto alla difesa e sul diritto alla difesa del popolo palestinese. Ci servono altri due passaggi per arrivare alla conclusione del ragionamento.

Il primo è la natura coloniale del progetto sionista e quindi della politica israeliana. Non è un caso se si parla di “colonie” ebraiche e, per estensione, di un progetto di colonialismo di insediamento. Su questo punto c’è una vastissima letteratura e poco importa se, in un processo di ribaltamento della realtà, i coloni ebrei affermano di non essere coloni ma proprietari della terra a norma biblica.

Il secondo punto è la natura di apartheid e segregazione razziale dell’occupazione, come messo nero su bianco dalla Corte Internazionale di Giustizia nel luglio 2024 (Summary 2024/8 – 19 July 2024).
Dunque, di fronte a queste due condizioni in substrato, i combattenti palestinesi hanno il diritto a difendersi o, per meglio dire, alla resistenza? Al di là della retorica di pancia, che potrebbe portarci ad affermare un SÌ empatico, esistono anche qui dei puntelli legali in grado di dirimere la questione dal punto di vista normativo.

Nello specifico, l’art. 1.4 del protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra tutela come (legittimi) combattenti quei “popoli (che n.d.r.) lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale”.

Va qui chiarito che, nell’Occidente del pacifismo, può risultare arduo comprendere che per lotta armata non si intende sparare a salve in aria per incutere timore al nemico. Quando si parla di lotta armata si intende guerra. Una guerra soggetta anch’essa alle normative internazionali (ad esempio sulla tutela dei civili e sulla loro salvaguardia), ma pur sempre una guerra armata in cui il confine tra combattente e terrorista non lo decidono le cancellerie amiche o nemiche ma i codici internazionali.

Una guerra che nessuno di noi vorrebbe e che potrebbe forse essere disinnescata togliendo ogni legittimità a quei combattenti palestinesi nel momento in cui venissero meno i due requisiti di cui sopra: occupazione e apartheid. Una strada furba, a mio avviso, che potrebbe essere imboccata il prima possibile, con una obbligatoria pacificazione tra i due popoli finalizzata a una soluzione a due stati.

 

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Il diritto di Israele a difendersi è diventato un presunto diritto a invadere e colonizzare”

Benvenuti alla terza parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Il “diritto di Israele a difendersi” è un altro mantra che sentiamo spesso pronunciare dalle nostre classi dirigenti liberali (conservatrici o progressiste che siano) sia nazionali sia europee. Cosa ha di fortemente ambiguo questo mantra e quanto confonde l’oppresso con l’oppressore?

È curioso notare come, dopo l’iniziale bombardamento post 7 ottobre, questo claim si sia lentamente rarefatto fino a evaporare quasi completamente dal lessico delle cancellerie. Si trattava infatti di uno slogan fondato su un’operazione di “gaslighting” che sollevava più di una contraddizione.
Il motivo di questo dietrofront, nonostante sia pacifico che Israele abbia il diritto a difendersi, così come lo ha l’Italia, la Francia e la Germania, risiede nello stesso diritto alla difesa che non poteva essere negato al popolo palestinese, sotto oppressione da più di un secolo, così come testimoniato già nel 1891 da Ahad Ha’am. Anzi, la questione dell’autodifesa diventava ancora più imbarazzante quando, andando a interrogare il corpus giuridico internazionale, emergeva che il popolo palestinese godeva perfino di una tutela legale nella sua lotta armata.

Cerchiamo di capire quest’ultimo passaggio assieme facendo un salto indietro nel tempo, e ritornando a quel 10 giugno del 1967; il giorno che concluse la Guerra dei Sei Giorni.
A quella data Israele si ritrovò ad occupare tutto un plateau di territori che fino a cinque giorni prima non facevano parte dei suoi confini (legalmente, neanche oggi farebbero parte dei suoi confini). Nello specifico, quelli che qui ci interessano sono la Striscia di Gaza, strappata all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, prese alla Giordania, e le Alture del Golan, di proprietà della Siria.
Territori conquistati a seguito di un’azione bellica e, in quanto tali, normati da precisi regolamenti internazionali.

Su questo punto occorre consultare l’art. 2.4 dello Statuto delle Nazioni Unite (a cui Israele aderisce) che vieta “l’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Stesso concetto peraltro ribadito dalla Risoluzione ONU n. 242 in cui si richiedeva formalmente il ritiro di Israele dai territori. Il punto che qui ci preme sottolineare, per procedere nel nostro ragionamento, è che tali territori vengono espressamente indicati, al punto 1.i, come territori “occupati”.

Il passaggio successivo diventa dunque capire cosa uno stato può e cosa non può fare nei territori da lui occupati. Qui entra in gioco la Quarta Convenzione di Ginevra, ratificata anch’essa da Israele nel 1951, che all’art. 49 così recita: La potenza occupante non può procedere a deportazioni o trasferimenti forzati di parte della popolazione civile del territorio occupato, né può trasferire nella zona occupata parte della propria popolazione civile.

Sarebbe inutile in questo articolo elencare tutte le deportazioni forzate, né le centinaia di colonie create dentro i territori occupati in quanto patrimonio documentale già acquisito dal lettore. Quello che dobbiamo fare, per proseguire nel nostro ragionamento, è sottolineare l’effettiva violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Va altresì specificato che non tutte le violazioni alla Convenzione di Ginevra sono classificabili con la stessa gravità. Esiste una fonte di diritto internazionale appositamente creata per elencare le violazioni e classificarle. Nel nostro caso specifico, in base all’art.8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale “si intende per «crimini di guerra» […] viii) il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio”

Abbiamo qui raggiunto un punto fermo: lo stato di Israele è uno stato criminale non perché lo afferma qualche terrorista esagitato o qualche manifestante con la bandiera palestinese garrente al vento; lo stato di Israele è colpevole di crimini di guerra a norma del diritto internazionale e, a meno che non si decida di stracciare la legge a favore di questo o quello stato amico, la questione è indiscutibile.
Ma la domanda iniziale non verteva sull’oggettiva o meno colpevolezza di Israele, quanto sul suo diritto alla difesa e sul diritto alla difesa del popolo palestinese. Ci servono altri due passaggi per arrivare alla conclusione del ragionamento.

Il primo è la natura coloniale del progetto sionista e quindi della politica israeliana. Non è un caso se si parla di “colonie” ebraiche e, per estensione, di un progetto di colonialismo di insediamento. Su questo punto c’è una vastissima letteratura e poco importa se, in un processo di ribaltamento della realtà, i coloni ebrei affermano di non essere coloni ma proprietari della terra a norma biblica.

Il secondo punto è la natura di apartheid e segregazione razziale dell’occupazione, come messo nero su bianco dalla Corte Internazionale di Giustizia nel luglio 2024 (Summary 2024/8 – 19 July 2024).
Dunque, di fronte a queste due condizioni in substrato, i combattenti palestinesi hanno il diritto a difendersi o, per meglio dire, alla resistenza? Al di là della retorica di pancia, che potrebbe portarci ad affermare un SÌ empatico, esistono anche qui dei puntelli legali in grado di dirimere la questione dal punto di vista normativo.

Nello specifico, l’art. 1.4 del protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra tutela come (legittimi) combattenti quei “popoli (che n.d.r.) lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale”.

Va qui chiarito che, nell’Occidente del pacifismo, può risultare arduo comprendere che per lotta armata non si intende sparare a salve in aria per incutere timore al nemico. Quando si parla di lotta armata si intende guerra. Una guerra soggetta anch’essa alle normative internazionali (ad esempio sulla tutela dei civili e sulla loro salvaguardia), ma pur sempre una guerra armata in cui il confine tra combattente e terrorista non lo decidono le cancellerie amiche o nemiche ma i codici internazionali.

Una guerra che nessuno di noi vorrebbe e che potrebbe forse essere disinnescata togliendo ogni legittimità a quei combattenti palestinesi nel momento in cui venissero meno i due requisiti di cui sopra: occupazione e apartheid. Una strada furba, a mio avviso, che potrebbe essere imboccata il prima possibile, con una obbligatoria pacificazione tra i due popoli finalizzata a una soluzione a due stati.

 

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Conferenza su “Colonialismo e sanità: GAZA, la salute negata”. A Cagliari una straordinaria partecipazione

Una sala gremita, quella del T Hotel di Cagliari, ieri sera per la conferenza sulla salute negata alla popolazione di Gaza, organizzata dal “Comitato sardo di solidarietà con la Palestina”, dall’ “Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, con il contributo di A.M.D.P. Ha introdotto e coordinato l’incontro, Claudia Ortu dell’associazione Amicizia Sardegna Palestina. La prima relazione dal titolo “Prima del 7 ottobre. Breve storia della Striscia di Gaza”, è stata tenuta da Patrizia Manduchi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all’Università di Cagliari.

Sala Conferenze T Hotel di Cagliari – foto di Pierpaolo Loi

Un quadro storico-geografico e politico che ha permesso di comprendere l’origine e lo sviluppo del conflitto israelo-palestinese dalla spartizione della Palestina decisa dall’ONU nel 1947, con conseguente prima Nakba del 1948. Le guerre succedutesi, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i tentativi di accordi di pace (Oslo) falliti, le guerre ripetutesi ininterrottamente contro i Gazawi, dal momento in cui Hamas ha vinto le elezioni, fino alla guerra genocidiaria contro la popolazione di Gaza condotta dal governo di Netanyahu dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in territorio israeliano.

L’attuale tregua con il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e di prigionieri palestinesi da parte di Israele, che si spera possa durare nel tempo, non è risolutiva certo dell’emergenza creatasi con la distruzione massiva di ospedali, abitazioni, coltivazioni, ecc. che continueranno a mietere vittime.

Il secondo intervento è stato affidato al cardiologo pediatra dott. Roberto Tumbarello, ex direttore SC cardiologia pediatrica Arnas Brotzu, che ha collaborato per molti anni come volontario con il “Palestine’s Children’s Relief Fund” (PCRF) partecipando attivamente alle missioni umanitarie per curare i bambini palestinesi nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e a Ramallah.

La sua relazione, “Emergenza sanitaria a Gaza. Panoramica dell’emergenza sanitaria in corso”, ha ben reso, anche attraverso le immagini, quanto sia stato distruttiva l’azione del IDF (esercito israeliano) condotta contro le strutture ospedaliere presenti nella Striscia, dal Nord al Sud e come sia stato impedito l’approvvigionamento di materiali e farmaci atti a curare la popolazione, in special modo i feriti, sopravvissuti ai bombardamenti, la maggior parte bambini e bambine, vecchi/ie e donne.

Intervento del dott. Tumbarello – foto diPierpaolo Loi

«In questi 15 mesi – si legge nel dépliant informativo – tra i principali obiettivi della campagna genocidiaria ci sono stati proprio gli ospedali, intesi come l’insieme degli edifici, macchinari e personale che per anni hanno garantito un’assistenza sanitaria alla popolazione palestinese di Gaza in situazioni che erano già emergenziali, visto l’assedio totale a cui è sottoposta la Striscia almeno dal 2007”. Dottor Tumbarello si è soffermato sulle cifre delle vittime, il cui numero appare sottostimato: la stima reale dovrebbe superare le centomila persone.

L’intervento di Claudia Penzavecchia, dietista, divulgatrice scientifica e attivista, nella sua relazione su “Sanità negata e carestia imposta”, ha approfondito la situazione di estrema precarietà nutrizionale a cui è sottoposta la popolazione gazawi. Ha esposto le diverse tipologie di denutrizione, da quella acuta a quella cronica, che soprattutto nei bambini è causa di danni irreparabili nella crescita fisica e nello sviluppo cognitivo.

Pur non essendo stata dichiarata “carestia” dalle istituzioni preposte, di fatto l’impedimento alla distribuzione degli aiuti alimentari, dell’acqua potabile, ha causato una vera e propria carestia. Dunque, oltre alla sanità negata, anche la denutrizione e la fame imposta alla popolazione di Gaza, dimostrano l’intento genocidiario del governo d’Israele. D’altra parte, le carestie sono state spesso funzionali al sistema coloniale.

La dottoressa Claudia Zuncheddu esponente di ISDE medici per l’Ambiente ha posto il “Focus sulla salute ambientale”. Le distruzioni di interi quartieri, la devastazione dei campi coltivati, le tonnellate di bombe esplose rilasciando nell’ambiente residui di ogni tipo, hanno creato a Gaza un ambiente altamente inquinato, con la contaminazione delle falde acquifere, la non depurazione delle acque reflue, che inciderà fortemente e a lungo sulla salute delle persone. Un quadro allarmante, quello sanitario, di cui anche la Sardegna – con le debite differenze – sta facendo le spese.

La conferenza, così pregnante di dati e di informazioni, ha avuto il suo momento culmine nella testimonianza toccante di Salah Zakut, accademico di Gaza, che ha raccontato la storia della sua famiglia, durante la Nakba del quarantotto costretta a lasciare la propria casa – pensando di doverci tornare dopo qualche settimana – alla situazione creatasi dopo il 7 ottobre 2023, con diverse vittime tra i familiari. In conclusione del suo intervento, Salah Zakut ha affermato che mai e poi mai i palestinesi abbandoneranno di nuovo le loro case. Resilienza e resistenza.

Resilienza e resistenza – foto di Pierpaolo Loi

Infine, il dott. Fawzi Ismail, presidente dell’”Associazione Amicizia Sardegna Palestina”, che ha tradotto dall’arabo l’intervento dell’accademico di Gaza, ha fatto un appello per continuare ad aderire alla raccolta di contributi destinati all’ospedale Al Awda e alle associazioni che si occupano dell’assistenza agli sfollati.

Ha reso noto, inoltre, al pubblico presente in sala la petizione per chiedere l’adesione del Comune di Cagliari alla campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sazioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane. Ha brevemente illustrato il programma della XXI edizione di Al Ard Film Festival, uno dei film festival sulla Palestina e il mondo arabo più popolari in Europa, dal 25 febbraio al 1° marzo, al Teatro Massimo di Cagliari (vedi  https://alardfilmfestival.com/al-ard-film-festival-xxi-edition-the-prog…).

 

 

 

 

Pierpaolo Loi

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Il diritto di Israele a difendersi è diventato un presunto diritto a invadere e colonizzare”

Benvenuti alla terza parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Il “diritto di Israele a difendersi” è un altro mantra che sentiamo spesso pronunciare dalle nostre classi dirigenti liberali (conservatrici o progressiste che siano) sia nazionali sia europee. Cosa ha di fortemente ambiguo questo mantra e quanto confonde l’oppresso con l’oppressore?

È curioso notare come, dopo l’iniziale bombardamento post 7 ottobre, questo claim si sia lentamente rarefatto fino a evaporare quasi completamente dal lessico delle cancellerie. Si trattava infatti di uno slogan fondato su un’operazione di “gaslighting” che sollevava più di una contraddizione.
Il motivo di questo dietrofront, nonostante sia pacifico che Israele abbia il diritto a difendersi, così come lo ha l’Italia, la Francia e la Germania, risiede nello stesso diritto alla difesa che non poteva essere negato al popolo palestinese, sotto oppressione da più di un secolo, così come testimoniato già nel 1891 da Ahad Ha’am. Anzi, la questione dell’autodifesa diventava ancora più imbarazzante quando, andando a interrogare il corpus giuridico internazionale, emergeva che il popolo palestinese godeva perfino di una tutela legale nella sua lotta armata.

Cerchiamo di capire quest’ultimo passaggio assieme facendo un salto indietro nel tempo, e ritornando a quel 10 giugno del 1967; il giorno che concluse la Guerra dei Sei Giorni.
A quella data Israele si ritrovò ad occupare tutto un plateau di territori che fino a cinque giorni prima non facevano parte dei suoi confini (legalmente, neanche oggi farebbero parte dei suoi confini). Nello specifico, quelli che qui ci interessano sono la Striscia di Gaza, strappata all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, prese alla Giordania, e le Alture del Golan, di proprietà della Siria.
Territori conquistati a seguito di un’azione bellica e, in quanto tali, normati da precisi regolamenti internazionali.

Su questo punto occorre consultare l’art. 2.4 dello Statuto delle Nazioni Unite (a cui Israele aderisce) che vieta “l’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Stesso concetto peraltro ribadito dalla Risoluzione ONU n. 242 in cui si richiedeva formalmente il ritiro di Israele dai territori. Il punto che qui ci preme sottolineare, per procedere nel nostro ragionamento, è che tali territori vengono espressamente indicati, al punto 1.i, come territori “occupati”.

Il passaggio successivo diventa dunque capire cosa uno stato può e cosa non può fare nei territori da lui occupati. Qui entra in gioco la Quarta Convenzione di Ginevra, ratificata anch’essa da Israele nel 1951, che all’art. 49 così recita: La potenza occupante non può procedere a deportazioni o trasferimenti forzati di parte della popolazione civile del territorio occupato, né può trasferire nella zona occupata parte della propria popolazione civile.

Sarebbe inutile in questo articolo elencare tutte le deportazioni forzate, né le centinaia di colonie create dentro i territori occupati in quanto patrimonio documentale già acquisito dal lettore. Quello che dobbiamo fare, per proseguire nel nostro ragionamento, è sottolineare l’effettiva violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Va altresì specificato che non tutte le violazioni alla Convenzione di Ginevra sono classificabili con la stessa gravità. Esiste una fonte di diritto internazionale appositamente creata per elencare le violazioni e classificarle. Nel nostro caso specifico, in base all’art.8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale “si intende per «crimini di guerra» […] viii) il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio”

Abbiamo qui raggiunto un punto fermo: lo stato di Israele è uno stato criminale non perché lo afferma qualche terrorista esagitato o qualche manifestante con la bandiera palestinese garrente al vento; lo stato di Israele è colpevole di crimini di guerra a norma del diritto internazionale e, a meno che non si decida di stracciare la legge a favore di questo o quello stato amico, la questione è indiscutibile.
Ma la domanda iniziale non verteva sull’oggettiva o meno colpevolezza di Israele, quanto sul suo diritto alla difesa e sul diritto alla difesa del popolo palestinese. Ci servono altri due passaggi per arrivare alla conclusione del ragionamento.

Il primo è la natura coloniale del progetto sionista e quindi della politica israeliana. Non è un caso se si parla di “colonie” ebraiche e, per estensione, di un progetto di colonialismo di insediamento. Su questo punto c’è una vastissima letteratura e poco importa se, in un processo di ribaltamento della realtà, i coloni ebrei affermano di non essere coloni ma proprietari della terra a norma biblica.

Il secondo punto è la natura di apartheid e segregazione razziale dell’occupazione, come messo nero su bianco dalla Corte Internazionale di Giustizia nel luglio 2024 (Summary 2024/8 – 19 July 2024).
Dunque, di fronte a queste due condizioni in substrato, i combattenti palestinesi hanno il diritto a difendersi o, per meglio dire, alla resistenza? Al di là della retorica di pancia, che potrebbe portarci ad affermare un SÌ empatico, esistono anche qui dei puntelli legali in grado di dirimere la questione dal punto di vista normativo.

Nello specifico, l’art. 1.4 del protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra tutela come (legittimi) combattenti quei “popoli (che n.d.r.) lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale”.

Va qui chiarito che, nell’Occidente del pacifismo, può risultare arduo comprendere che per lotta armata non si intende sparare a salve in aria per incutere timore al nemico. Quando si parla di lotta armata si intende guerra. Una guerra soggetta anch’essa alle normative internazionali (ad esempio sulla tutela dei civili e sulla loro salvaguardia), ma pur sempre una guerra armata in cui il confine tra combattente e terrorista non lo decidono le cancellerie amiche o nemiche ma i codici internazionali.

Una guerra che nessuno di noi vorrebbe e che potrebbe forse essere disinnescata togliendo ogni legittimità a quei combattenti palestinesi nel momento in cui venissero meno i due requisiti di cui sopra: occupazione e apartheid. Una strada furba, a mio avviso, che potrebbe essere imboccata il prima possibile, con una obbligatoria pacificazione tra i due popoli finalizzata a una soluzione a due stati.

 

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli