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Salute

Ennesimo caso di malasanità all’ASL Napoli 3 Sud, condito da malagiustizia: Giovanna Bifulco morta per errori medici, ora si chiedono nuove indagini!

Gli avvocati dello Studio Associati Maior denunciano: “Errori medici gravi e ripetuti hanno privato Giovanna Bifulco delle sue chance di sopravvivenza”

Lo Studio Associati Maior, rappresentato dagli avvocati Pierlorenzo Catalano, Michele Francesco Sorrentino e Filippo Castaldo, con il supporto del medico legale Dott. Marcello Lorello, denuncia con fermezza la tragica vicenda che ha portato alla morte della Sig.ra Giovanna Bifulco Accardi. La donna, appena quarantenne e in perfetta salute, è deceduta il 3 febbraio 2004 a causa di una catena di omissioni e negligenze mediche che le hanno negato cure adeguate. Giovanna Bifulco iniziò ad accusare vomito e diarrea il 31 gennaio 2004. Nonostante il rapido peggioramento delle sue condizioni, i medici coinvolti si limitarono a prescrizioni telefoniche e somministrazioni di farmaci inadeguati, senza mai visitarla. Nessuno, dal medico curante alla guardia medica, dispose un ricovero ospedaliero o effettuò accertamenti clinici approfonditi. Il 3 febbraio 2004, alle ore 13:00, Giovanna manifestò gravi sintomi di sofferenza respiratoria e, quando arrivò il 118, era ormai troppo tardi. Trasportata presso la clinica Santa Lucia di San Giuseppe Vesuviano, vi giunse già priva di vita.

Il procedimento penale avviato in seguito al decesso evidenziò, tramite la Consulenza Tecnica disposta dalla Procura, gravissime omissioni mediche, tra cui l’assenza di visite adeguate e la prescrizione di farmaci senza un corretto inquadramento clinico. Tuttavia, nonostante queste chiare censure, il caso venne archiviato attribuendo la morte della donna a una “complicanza virale imprevedibile”. I familiari di Giovanna Bifulco, ritenendo ingiusta questa decisione, hanno intrapreso un’azione civile per ottenere giustizia. Anche in questa sede, il CTU nominato dal Tribunale ha confermato le gravi negligenze mediche, riconoscendo che “i mancati controlli dei sanitari hanno determinato il non riconoscimento della gravità del caso clinico”. Eppure, con una contraddizione inspiegabile, si è concluso che tali omissioni non avrebbero comunque potuto evitare la morte della paziente. Il Tribunale di Nola ha quindi rigettato la domanda attorea, e tale decisione è stata confermata sia in Appello che in Cassazione. Gli avvocati dello Studio Associati Maior, insieme al medico legale Dott. Marcello Lorello, chiedono con forza la riapertura delle indagini per accertare finalmente le responsabilità di chi, con condotte omissive e negligenti, ha negato a Giovanna Bifulco la possibilità di ricevere cure adeguate. “È inaccettabile che errori medici così evidenti siano stati minimizzati, impedendo l’accertamento delle dovute responsabilità” denunciano i legali. Oltre alla denuncia/querela già depositata per la riapertura delle indagini, i familiari di Giovanna Bifulco hanno avviato un’azione di sensibilizzazione istituzionale affinché tragedie simili non restino impunite. I sindaci dei Comuni coinvolti hanno espresso la loro vicinanza alla famiglia e si stanno valutando azioni congiunte per garantire finalmente giustizia.

 

Studio Associati Maior

Redazione Napoli

Carenza di medici sportivi nel Lazio e nel resto d’Italia: una minaccia alla sicurezza degli atleti e alla qualità del servizio

ROMA 21 FEB 2025 – La carenza di medici sportivi nel Lazio, così come a livello nazionale, rappresenta una delle principali problematiche sanitarie che minaccia non solo la qualità delle prestazioni mediche, ma anche la sicurezza degli atleti. Il Dott. Francesco Roccaro, specialista in medicina dello sport, sottolinea apertamente come questo fenomeno stia avendo gravi ripercussioni sul settore, causando turni di lavoro massacranti per i professionisti e un abbassamento della qualità dei controlli preventivi, a discapito della salute degli atleti stessi.

 

La carenza di medici sportivi: un fenomeno rilevante

Secondo le stime recenti, entro il 2030 il Lazio rischia di subire l’impatto con una carenza di circa 30.000 medici, un dato allarmante che coinvolge sia il settore pubblico che privato. Questo deficit di professionisti ha gravi implicazioni sulla qualità del servizio offerto, con una crescente difficoltà nel garantire un’assistenza adeguata agli atleti. Come sottolinea Roccaro, “la difficoltà nel trovare spazi adeguati e nel gestire il volume di pazienti porta a turni massacranti per i medici, il che riduce il tempo da dedicare a ogni singolo atleta e, di conseguenza, la qualità delle diagnosi”.

L’importanza della prevenzione nella medicina sportiva

Roccaro ribadisce che la medicina sportiva è principalmente una medicina preventiva. “La nostra missione è analizzare ogni dettaglio, dall’anamnesi ai test diagnostici come l’ECG e la spirometria. Ogni singolo elemento potrebbe rappresentare un segnale di allarme per un problema di salute”, afferma il dottore. La carenza di specialisti e il sovraccarico di lavoro rischiano di compromettere questa capacità di diagnosi, con potenziali danni alla salute degli atleti.

Le conseguenze della pressione sui medici sportivi

I turni di lavoro estenuanti e la ridotta disponibilità di medici specializzati si traducono in una minore attenzione alle visite, aumentando il rischio di errori diagnostici. Roccaro mette in evidenza come questo fenomeno stia diventando una sfida per molti colleghi, che si trovano costretti a comprimere il numero di pazienti visitati per far fronte alla pressione economica e alla carenza di personale. “Quando un medico è costretto a lavorare per più di 12 ore al giorno, l’attenzione cala, e il rischio di errori aumenta”, avverte Roccaro.

Affidarsi a centri specializzati: la soluzione per una medicina sportiva di qualità

In un contesto così delicato, il Dott. Roccaro consiglia agli sportivi di rivolgersi a centri specializzati, dove la qualità dell’assistenza è garantita da professionisti altamente qualificati e strutture adeguate. “Solo con una formazione continua e strutture all’avanguardia possiamo garantire che ogni atleta riceva il livello di cura che merita”, conclude Roccaro.

Prevenzione e diagnosi: fondamentali per la salute degli atleti

Il messaggio più forte che il Dott. Roccaro lancia è quello di non fermarsi ai controlli minimi obbligatori, ma di integrare questi con esami facoltativi che possano fornire un quadro completo della salute dell’atleta. “Ogni test, dalla misurazione della pressione al controllo cardiaco, passando attraverso gli esami osseo-articolari, è fondamentale per prevenire complicazioni gravi. La prevenzione è la chiave per garantire un futuro sano a chi pratica sport”, afferma.

Investire nella salute degli atleti: un imperativo

La situazione del Lazio, così come quella nelle altre regioni italiane, evidenzia la necessità urgente di investire, da parte delle istituzioni, nella formazione dei medici sportivi e nel potenziamento delle strutture sanitarie specializzate. Affrontare questa emergenza con politiche adeguate è fondamentale non solo per garantire un’assistenza di qualità, ma anche per tutelare la sicurezza e il benessere degli atleti.

 

UFFICIO STAMPA DOC,  DIAGNOSTICA PER OBESI E CLAUSTROFOBICI SRL

Redazione Roma

Petizione Novara-Pellai: “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”.

Il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai, il 10 settembre 2024, hanno lanciato nei sulla piattaforma Change.org una raccolta firme molto importante dal titolo “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”. La motivazione, secondo i promotori, è che la popolazione si sta avviando sempre più verso un uso precoce se non precocissimo all’uso dello smartphone e dei social. “Essere sempre connessi – secondo i promotori – danneggia il sonno, i rapporti sociali, l’attenzione, e può dare dipendenza”. Come ha dichiarato Pellai (che sull’argomento ha scritto più di un libro, l’ultimo è “Allenare alla vita”) in un’intervista a La Repubblica :«Non possiamo più rimanere in silenzio. Nessuno ha niente contro la tecnologia, il tema è l’autogestione del minore. I dati ci dicono che non ha l’abilità per difendersi dalla tecnologia, torniamo ai vecchi cellulari usati solo per comunicare» – aggiungendo «Tra gli 11 e i 14 anni, il funzionamento della parte emotiva del cervello di un adolescente è potentissimo. Si vede bene nel film Inside out 2: si schiaccia il bottone della pubertà e il cervello emotivo diventa esplosivo. È affamato di divertimento, di eccitazione, di dopamina. Tra i dieci e i 14 anni si ha la massima vulnerabilità nei confronti dell’ingaggio dopaminergico, che è tanto presente nell’online. Il cervello cognitivo matura più tardi». Sui social «Non vengono proposti soltanto documentari, ma una serie di esperienze. E da un’architettura che non parla al cervello che pensa, ma a quello che sente» – incalcava Pellai – «A partire dal 2012, gli indicatori di salute mentale in età evolutiva sono sempre andati peggiorando proprio quando i cellulari sono diventati smartphone. Prima avevamo uno strumento di comunicazione», mentre ora abbiamo avuto in mano strumenti di connessione che ci tengono attivi tutto il giorno. Nella vita online vengono fortemente sviluppati quattro aspetti: la deprivazione di sonno, la deprivazione sociale, la frammentazione dell’attenzione, la stimolazione a fare sempre più cose nella vita virtuale senza riuscire a smettere. Questo è un male nell’età evolutiva perché il cervello per svilupparsi e strutturarsi ha bisogno di stare di più nella vita reale.
Nella petizione si chiede di proibire i social media prima dei 16 anni poiché, prima di questa età, sviluppa un’ansia performativa, una riduzione dell’autostima e un senso di inadeguatezza rispetto alla propria immagine. Affermava Pellai: «Non possiamo più non dire che i social media non rappresentano un fattore di rischio per la salute degli adolescenti. Non è un’opinione». Per questi motivi, vista la poca risonanza mediatica che continua ad avere questa petizione, ci sembra giusto rilanciarla affinchè raggiunga più adesioni possibile. Riportiamo qui di seguito il testo:

Se è vero che spesso le tecnologie migliorano la qualità della vita, questo non accade quando si parla di educazione nella prima infanzia e nella scuola primaria. I bambini e le bambine che utilizzano strumenti tecnologici e interagiscono con gli schermi subiscono due danni:
– Uno diretto, legato alla dipendenza.
– Uno indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita.
È ormai chiaro che prima dei 14 anni avere uno smartphone personale possa essere molto dannoso così come aprire, prima dei 16 anni, un proprio profilo personale sui social media.
La nostra non è una presa di posizione anti-tecnologica ma l’accoglimento di ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato: ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale.
Simili comportamenti in età prescolare portano ad alterazioni della materia bianca in quelle aree cerebrali fondamentali per sostenere l’apprendimento della letto-scrittura.
I fatti lo dimostrano: nelle scuole dove lo smartphone non è ammesso, gli studenti socializzano e apprendono meglio. Prima dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi.
Anche nelle scuole bisogna essere coerenti con quello che ci dicono le neuroscienze. Smartphone e tablet devono essere usati solo dai docenti per arricchire le proposte didattiche senza prevedere, in classe o a casa e almeno fino ai 15 anni, alcun uso autonomo degli studenti.

APPELLO
Chiediamo quindi al Governo italiano di impegnarsi per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16. Aiutiamo le nuove generazioni.

Possibilità di sottoscrivere il testo al seguente link: https://www.change.org/p/stop-smartphone-e-social-sotto-i-14-e-16-anni-ogni-tecnologia-ha-il-suo-giusto-tempo

Primi Firmatari
Daniele Novara, pedagogista e counselor – direttore del CPPP
Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta
Manuela Andretta, magistrato Corte d’Appello di Milano
Laura Beltrami, pedagogista, formatrice e counselor
Lorella Boccalini, pedagogista, formatrice e counselor
Anna Boeri, formatrice, counselor, psicodrammatista
Silvia Bonino, psicologa e psicoterapeuta
Francesco Cappa, pedagogista, università Bicocca-Milano
Lorenza Comi, pedagogista, formatrice e counselor
Emanuela Cusimano, pedagogista e counselor
Cristina Dell’Acqua Grecista, grecista e insegnante
Teresa De Pascale, magistrato della Corte d’appello di Milano
Idor De Simone, medico optometrista
Roberto Farnè, pedagogista, università Bologna
Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva , università La Sapienza, Roma
Brunella Fiore, Università Bicocca-Milano
Michele Gagliano, educatore e formatore
Secondo Giacobbi, psicoanalista
Antonella Gorrino, pedagogista e formatrice
Giovanni Grandi, filosofia morale, università di Trieste
Luca Grion, filosofia morale, università di Udine
Ivano Giuseppe Gamelli, pedagogista, università Bicocca-Milano
Natalia Imarisio, magistrato della Corte d’Appello di Milano
Simone Lanza, insegnante
Fabrizio Lertora, esperto di processi organizzativi e collaborativi
Ivo Lizzola, pedagogista, università Bicocca-Milano
Federica Lucchesini, direttrice rivista “Gli Asini”
Massimo Lussignoli, pedagogista, formatore e counselor
Luigi Luzi, magistrato della Procura della Repubblica di Milano
Raffaele Mantegazza, pedagogista università Bicocca-Milano
Luca Milani, magistrato del Tribunale di Milano
Monica Minciu, università di Torino
Diego Miscioscia, psicologo e psicoterapeuta
Pietro Moscianese, magistrato della Procura della Repubblica per i minori di Milano
Paola Nicolini, psicologa dello sviluppo e dell’educazione, università di Macerata
Alberto Oliverio, neurobiologo, università La Sapienza, Roma
Paolo Orio, Associazione italiana elettrosensibili
Vanja Paltrinieri, pedagogista, formatrice e counselor
Francesca Parola, magistrato della Procura della Repubblica di Busto Arsizio
Elena Passerini, formatrice e psicogrammista
Eva Pattis, analista junghiana
Elisabetta Romoli, insegnante
Maria Teresa Pepe, pedagogista, formatrice e counselor
Laura Petrini, formatrice e consulente educativa
Filippo Sani, formatore, sociologo, pedagogista e counselor
Donatella Savio, pedagogista
Barbara Tamborini, psicopedagogista
Bruno Tognolini, scrittore
Sergio Tramma, pedagogista, università Bicocca-Milano
Silvia Vegetti Finzi, psicologa e scrittrice, università di Pavia
Marta Versiglia, pedagogista
Michele Zappella, neuropsichiatra infantile
Luigi Zoja, psicoanalista

UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Stefano Accorsi, attore *
Silvia Avallone, scrittrice e poetessa
Marco Bonini, attore *
Valeria Bruni Tedeschi, attrice e regista *
Francesca De Martino, attrice *
Paolo Calabresi, attore e conduttore *
Maria Pia Calzone, attrice *
Paola Cortellesi, attrice e regista *
Pierfrancesco Favino, attore *
Anna Foglietta, attrice *
Claudia Gerini, attrice *
Valeria Golino, attrice e regista *
Edoardo Leo, attore e regista *
Valentina Lodovini, attrice *
Giorgio Marchesi, attore *
Vinicio Marchioni, attore *
Paola Minaccioni, attrice e conduttrice radiofonica *
Carlotta Natoli, attrice *
Claudia Pandolfi, attrice *
Vittoria Puccini, attrice *
Luisa Ranieri, attrice e conduttrice televisiva *
Alba Rohrwacher, attrice *
Francesco Bolo Rossini, attore e regista *
Fabrizia Sacchi, attrice *
Vanessa Scalerà, attrice *
Greta Scarano, attrice *
Stefano Scherini, attore *
Francesco Scianna, attore *
Pietro Sermonti, attore *
Tiberio Timperi, giornalista e conduttore
Thomas Trabacchi, attore *
Luca Zingaretti, attore *

(*) Fanno parte di UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Presentazione dell’appello dei pedagogisti – smartphone fuori legge prima dei 14 anni https://www.youtube.com/live/P2n6bTcR6mA
Presentazione in Senato della petizione “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni” https://www.youtube.com/watch?v=K59SYPgS5Fg

Ulteriori approfondimenti
https://www.orizzontescuola.it/stop-ai-cellulari-in-classe-mercoledi-al-senato-la-presentazione-della-petizione-con-novara-e-pellai/
https://www.agensir.it/italia/2024/09/13/no-smartphone-agli-under-14-alberto-pellai-puo-diventare-una-trappola-che-crea-dipendenza/

 

Redazione Italia

Ultima Generazione: al via la campagna “Giusto Prezzo”

ROMA, INTERROTTO LO SPETTACOLO AL TEATRO VITTORIA
Apriamo gli occhi sul disastro che vivono milioni di italiani
Roma, 22 febbraio 2025 – Ieri sera a Roma, alle ore 21, cinque persone aderenti alla campagna “Il giusto prezzo” di Ultima Generazione, hanno interrotto lo spettacolo del duo comico Nuzzo di Biase andato in scena al Teatro Vittoria. Le persone sono salite sul palco mostrando cartelli con scritto “Ultima generazione” e “Fuori è il disastro apriamogli occhi”.

Alfredo, pensionato, dal palco ha dichiarato: “Ringraziamo gli artisti perché con la loro drammaturgia esprimono benissimo l’assurdo di questa contrapposizione tra due mondi, quello di fuori e quello di dentro. Noi cerchiamo di rimuovere il mondo di fuori perché lo riteniamo irreale; invece è drammaticamente vicino e reale. Noi cerchiamo di portare consapevolezza sul mondo di fuori”.

AL VIA LA CAMPAGNA “IL GIUSTO PREZZO”
L’Italia sta affrontando una crisi agricola senza precedenti. Il prezzo dell’olio, della frutta e di altri generi alimentari di base è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Dietro questi aumenti ci sono fenomeni climatici estremi come siccità, alluvioni e grandinate, che stanno mettendo in ginocchio l’agricoltura italiana. Ma la crisi non colpisce solo i consumatori: anche gli agricoltori si trovano in difficoltà, schiacciati tra la crisi climatica e le logiche della grande distribuzione organizzata, che li costringe a vendere i loro prodotti a prezzi irrisori.
Per affrontare questa emergenza e costruire un’alleanza tra agricoltori e famiglie italiane preoccupate per il futuro, abbiamo lanciato martedì 19 febbraio la nostra nuova campagna: “Il Giusto Prezzo”.

COSA CHIEDIAMO?
PROTEGGERE I RACCOLTI: L’agricoltura italiana sta affrontando una crisi senza precedenti. Siccità, ondate di calore, grandinate e alluvioni devastano i campi, compromettendo raccolti e coltivazioni. Dobbiamo proteggere i raccolti e, per farlo, è necessario promuovere una transizione verso un nuovo sistema agricolo che sia resiliente e sostenibile economicamente ed ecologicamente.

AGGIUSTARE I PREZZI: Il costo degli alimenti nei supermercati sta diventando insostenibile, mentre ai produttori arriva solo una minima parte del prezzo finale. Chiediamo alle Istituzioni di intervenire immediatamente per garantire un giusto prezzo al cibo, equo per chi compra e per chi produce.

FAR PAGARE I RESPONSABILI: Chi rompe paga. Vogliamo che a finanziare questa transizione verso un sistema agricolo più sostenibile non siano le nostre tasse ma siano, piuttosto, gli extraprofitti dei reali responsabili della crisi attuale – la finanza, la GDO, i top manager delle multinazionali del cibo e l’industria del fossile.

PRESENTAZIONE ONLINE
Per approfondire il tema e discutere insieme le prossime azioni, ti invitiamo a partecipare al nostro incontro pubblico online il 23 febbraio. Sarà un’occasione per confrontarci, ascoltare esperti e costruire insieme un piano d’azione concreto.

PROSSIMI INCONTRI:
Prossimo incontro online è il 23 alle ore 21 – iscrizione a questo link: http://vai.ug/e/250223?cs
Milano: 4 marzo ore 20.30: Cinema Mexico, cineforum di Berlinguer insieme al regista Andrea Segre e Ultima Generazione
Roma: 11 marzo ore 21.00: Cinema Giulio Cesare, cineforum di Berlinguer insieme al regista Andrea Segre e Ultima Generazione

PROSSIMI PROCESSI:
Milano – 25 febbraio ore 9.45: Blocco stradale viale don Sturzo

I NOSTRI CANALI
Aggiornamenti in tempo reale saranno disponibili sui nostri social e nel sito web:
Sito web:https://ultima-generazione.com

 

Ultima Generazione

L’indagine di Greenpeace: Acque senza Veleni

I PFAS sono subdoli. La loro azione dannosa per la salute si manifesta con l’accumulo nei nostri organismi, dove entrano silenziosamente per non uscire mai più. Fanno irruzione nella dimensione più intima delle nostre vite, quella domestica. Scorrono dai rubinetti delle nostre case, quelle di tutta Italia, secondo la mappatura realizzata da Greenpeace Italia.

L’indagine di Greenpeace “Acque senza Veleni” ha raccolto campioni di acqua potabile nelle acque di 235 città distribuite in tutte le regioni. Nel 79% dei casi ha trovato presenza di diversi PFAS. Le molecole più diffuse sono il PFOA, già dichiarato cancerogeno e presente in quasi la metà dei campioni; il composto a catena ultracorta TFA, il più diffuso al mondo tra le molecole PFAS, per il quale però in Italia non esistono dati pubblici di misurazione; il PFOS, bandito dalla Convenzione di Stoccolma e dichiarato possibile cancerogeno dall’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricerca sul cancro. In Italia ospitiamo due delle più gravi contaminazioni di PFAS a livello europeo in Veneto e in Piemonte, dove è ancora attiva la produzione.

Le concentrazioni di PFAS nell’acqua potabile rilevate da Greenpeace

L’analisi di Greenpeace ha trovato PFAS in almeno tre campioni di acqua potabile per Regione, a eccezione della Valle d’Aosta, dove ha analizzati sono due. In Liguria, Trentino Alto Adige e Veneto i PFAS sono presenti in tutti i campioni esaminati, in altre regioni si sfiora la totalità (in Veneto sono 19 su 20, l’Emilia-Romagna 18 su 19, in Calabria 12 su 13).

Chiaramente, i possibili rischi per la salute dipendono non solo dalla diffusione dei PFAS, ma anche dalla loro concentrazione. All’inizio del 2026 dovrà entrare in vigore la direttiva europea 2020/2184 che stabilisce in tutt’Europa il valore massimo di 100 nanogrammi per litro per la presenza complessiva di 24 PFAS nell’acqua potabile. Il campione prelevato da Greenpeace ad Arezzo supera questa soglia, con 104,3 nanogrammi per litro. Tutti gli altri sono al di sotto, ma merita attenzione Milano con 90,1 ng/l in via Padova e 58,6 in via delle Forze Armate. A Perugia si raggiungono i 57 ng/l.

Oltretutto, la stessa Agenzia europea per l’ambiente ritiene che il limite imposto dalla direttiva europea sia inadeguato a proteggere la salute umana. Paesi come Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione delle Fiandre hanno già introdotto soglie più basse nelle legislazioni nazionali. Stessa cosa negli Stati Uniti. Il 41% dei campioni raccolti da Greenpeace sfora le soglie previste dalle leggi danesi. Il 22% supera quelle in vigore negli Stati Uniti.

Il caso della ex Miteni a Trissino, in Veneto

In provincia di Vicenza, a Trissino, c’è una delle contaminazioni più gravi d’Europa. L’azienda Miteni per anni ha prodotto PFAS che sono stati rilasciati nelle acque superficiali. Si sono diffusi nell’aria, nell’acqua, nella terra e nel sangue della popolazione in un’area tra Vicenza, Verona e Padova che conta circa 350mila abitanti.

La vicenda è iniziata sessant’anni fa quando l’azienda chimica locale Ricerche Marzotto (RiMar) acquistò i brevetti delle aziende produttrici di PFAS DuPont e 3M. Nel 1977 ci fu la prima denuncia da parte della popolazione locale: l’acqua dei rubinetti di casa era diventata gialla. Analisi successive svelarono la contaminazione da benzotrifloruri (BTF). RiMar passò per diverse gestioni fino alla definitiva acquisizione da parte di EniChem e Mitsubishi: divenne Miteni. Nel ’96 la proprietà passò interamente a Mitsubishi, che vendette nel 2009 alla tedesca ICIG per la cifra simbolica di un euro.

Le indagini sui PFAS nell’acqua potabile in Veneto

Per anni l’acqua contaminata è stata usata per l’agricoltura, è entrata nelle falde ed è stata consumata dalla popolazione e dagli animali. Un’indagine dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con l’allora ministero dell’Ambiente svelò i livelli allarmanti di concentrazione nell’acqua potabile. Nel 2013, quando era tutto noto, l’ICIG comunicò all’ARPA del Veneto che sotto la fabbrica c’era un’altissima contaminazione da PFAS e altre sostanze. Si chiamò fuori da qualsiasi responsabilità. Erano state le gestioni passate. Indagini successive del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri dimostrarono che, in segreto, avevano già fatto interventi idraulici contenitivi. Sul territorio vennero installati filtri a carboni attivo per la distribuzione di acque potabili e cominciarono i biomonitoraggi della popolazione.

La regione fu divisa in area rossa, arancione, gialla e verde a seconda della gravità della contaminazione. Gli 85mila cittadini residenti in area rossa parteciparono a un piano di sorveglianza sanitaria regionale che mostrò altissime percentuali di PFAS nel loro sangue. Scoppiò il caso mediatico. Era il 2016, la ex Miteni continuava a lavorare sul territorio. Non produceva più PFAS: si occupava di purificare i filtri a carbone attivo degli stabilimenti di Dupont (poi Chemours) di Dordrecht, nei Paesi Bassi.
Nell’autunno del 2018 la proprietà ha dichiarato il fallimento: troppo elevati i costi di adeguamento degli impianti e di bonifica del sottosuolo. Nel 2019 è cominciato il processo per inquinamento ambientale.

A Spinetta Marengo si producono ancora PFAS

Come ricorda Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Greenpeace, nel nostro Paese non esiste una legge che vieti la produzione e l’utilizzo di queste molecole. Lo dimostra il fatto che ci sia una fabbrica che ancora li produce. È la ex Solvay – oggi Syensqo – di Spinetta Marengo, ad Alessandria. Qui si produce il cC6O4, trovato nelle acque potabili di Torino, della Val di Susa e in provincia di Sondrio. Le falde sotto lo stabilimento hanno la concentrazione di Cc604 più alta d’Europa e 100 volte più alta anche dei livelli di PFOA della ex Miteni. Nell’aprile scorso sono state trovate schiume sospette nel fiume Bormida, in corrispondenza degli scarichi dell’azienda. Ne è seguito uno stop alle attività dello stabilimento che è durato oltre 30 giorni. L’azienda ha ripreso le sue normali attività lo scorso 26 luglio, con il via libera della Provincia di Alessandria.

Un studio dell’Asl di Alessandria ha rivelato un eccesso di mortalità locale rispetto alle medie regionali. Per gli uomini le cause sono melanoma, malattie reumatiche croniche, ipertensione arteriosa e asma. Per le donne, tumori del rene e malattie reumatiche croniche. Proprio in questi mesi si attendono i risultati di un nuovo biomonitoraggio effettuato nel 2024. Anche se non ci sono ancora i risultati definitivi, si sa che nel sangue analizzato ci sono tracce della miscela di PFAS Adv e di Cc604. Il dato è rilevante: sono entrambi prodotti esclusivamente dallo stabilimento. E sono stati trovati anche dai deposimetri Arpa in città: sono nell’aria.

Rita Cantalino 

articolo ripreso da PFAS: nuovi dati (drammatici) e un appello – La Bottega del Barbieri

Link all’articolo originale: https://valori.it/pfas-acqua-potabile-italia/

Redazione Italia

Greenpeace e ReCommon in Cassazione domani

GREENPEACE ITALIA E RECOMMON: DOMANI LA CASSAZIONE STABILIRÀ SE IN ITALIA È POSSIBILE INTENTARE CAUSE CLIMATICHE

ROMA, 17.02.25 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno domani alle ore 10 per l’udienza relativa all’ammissibilità della “Giusta Causa”, la causa climatica portata avanti da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini.

L’udienza si terrà a porte chiuse e i tempi di pubblicazione del verdetto dipenderanno dal calendario stabilito dai giudici.

Nel maggio 2023, le due associazioni e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.

ENI, CDP e MEF hanno eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo quindi che nel nostro Paese una causa climatica non sia procedibile.

Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui chiedono un pronunciamento nel merito in via definitiva.

Quanto delibererà la Corte di Cassazione avrà un impatto su ogni causa climatica in corso o intentata in futuro in Italia e, quindi, sulla tutela anche nel nostro Paese dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

«I tribunali di tutta l’Unione Europea – dai Paesi Bassi al Belgio, fino a Francia e Germania – riconoscono la competenza sulle cause climatiche.
Sarebbe un grave passo indietro se l’Italia si isolasse da questo quadro giuridico europeo, contravvenendo anche a quanto recentemente stabilito dalla Corte di Strasburgo.

Confidiamo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione accolgano il nostro ricorso, riconoscendone l’ammissibilità e la fondatezza», affermano le organizzazioni.

«L’emergenza climatica si sta aggravando e i suoi impatti in Italia sono sempre più drammatici, sia in termini di vittime che di danni economici.

È in ballo la violazione dei diritti umani fondamentali di un numero crescente di persone.

Chiediamo che a pagare siano i responsabili di questa crisi, in primis le grandi società fossili, che da decenni sono consapevoli della tragedia che avrebbero causato.
È una questione di giustizia climatica».

Greenpeace International

In Italia sempre più spesa sanitaria privata

Secondo i dati ISTAT del sistema dei conti della sanità (ISTAT-SHA), nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia è stata pari a € 176,1 miliardi. Una cifra che comprende la spesa pubblica (€ 130,3 miliardi) e quella privata, suddivisa nelle sue due componenti: la spesa out-of-pocket (€ 40,6 miliardi), sostenuta direttamente dalle famiglie, e la spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (€ 5,2 miliardi). Le corrispondenti distribuzioni percentuali riflettono tre realtà di fatto: il sottofinanziamento pubblico, il carico economico sulle famiglie e l’ipotrofia del sistema di intermediazione. Infatti, il 74% della spesa sanitaria è pubblica, mentre della spesa privata l’88,6% è a carico delle famiglie e solo l’11,4% è intermediata. Sono alcuni dei dati del Report della Fondazione GIMBE sulla spesa sanitaria privata, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al CNEL.

La spesa out-of-pocket, che nel 2023 ha raggiunto il 23% della spesa sanitaria totale (ben oltre il limite ideale del 15% indicato dall’OMS), si legge nel Report della Fondazione GIMBE, non può essere semplicemente ridotta attraverso un aumento della spesa intermediata. Per raggiungere questo obiettivo tre sono le principali azioni necessarie: potenziare il finanziamento pubblico, migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e rimodulare i LEA per renderli sostenibili. In questo contesto, il secondo pilastro deve integrare il sistema pubblico, anziché tentare di sostituirlo, concentrandosi sulle prestazioni extra-LEA.”

Infatti, la Fondazione GIMBE lancia un allarme anche a proposito dei fondi sanitari, sottolineando come l’incapacità del SSN di garantire prestazioni in tempi adeguati aumenti il numero di iscritti ai fondi sanitari, mentre la crisi economica e l’inflazione continuano a limitare la possibilità di incrementare i contributi. Uno scenario che porterà ad un aumento della spesa out-of-pocket (che già oggi pone l’Italia al di sopra della media UE) per chi può permetterselo e a una crescente rinuncia alle cure da parte delle fasce più svantaggiate della popolazione, con un inevitabile peggioramento degli esiti di salute. In sostanza il secondo pilastro può essere sostenibile solo se integrato in un SSN “in salute”. Diversamente, sottolinea GIMBE, rischia di crollare insieme al sistema pubblico, spianando la strada alla privatizzazione della sanità, aggravando diseguaglianze e iniquità e tradendo l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN.

Dal lavoro della Fondazione GIMBE emerge una situazione che spinge sempre di più verso la rinuncia alle cure. Infatti, la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Differenze tra Regioni che appaiono sempre più marcate: parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di € 730 pro-capite, con un range che va dai € 1.023 della Lombardia ai € 377 della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Ma per cosa spendono le famiglie? Secondo i dati ISTAT-SHA, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (€ 18,1 miliardi). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a € 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di € 4,4 miliardi. “Tuttavia – spiega il Presidente della Fondazione GIMBEle stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Qui per scaricare il Rapporto: https://salviamo-ssn.it/attivita/osservatorio/spesa-sanitaria-privata-2023.

Giovanni Caprio

Senza tremori anche con Mr PK

Da dicembre dell’anno scorso è iniziata una collaborazione tra Movimento Lento, associazione che promuove il viaggio a piedi e in bicicletta e APB, ovvero gli Amici Parkinsoniani Biellesi.

Potrebbe sembrare una strana collaborazione, ma non lo è.

La condizione di quelli che convivono con Mr PK, ovvero con la malattia di Parkinson è quella di “trovarsi a compiere un viaggio con una persona imprevista e – colmo della sfortuna – anche assolutamente di non piacevole compagnia perché invadente (si prende senza ritegno roba mia) , recidiva (continua a farlo anche se ho tentato di spigarle che la cosa non mi garba affatto), impunita (nessuno riesce a togliermela definitivamente dai piedi!)”. Così descrisse, con precisione e ironia, Mr Pk Don Giorgio Chatrian, fondatore dell’APB in qualità di persona affetta dalla malattia di Parkinson.

Nelle righe successive del suo libro, edito 10 anni fa da Sensibili alle foglie, non esita a definire Mr PK un lestofante, anzi una ladra in quanto per Don Giorgio si trattava di una femmina, esattamente di Lady Park.

Personalmente associo di più la malattia di Parkinson al maschile. L’invadenza, la recidività e l’impunità sono molto più comuni tra noi dotati di cromosoma X che nel gentil sesso. Per non parlare della pratica del furto. Basti dire, a riprova, che il 95,8% delle persone detenute in Italia è di sesso maschile.

Ma di che furto stiamo parlando?

Quelle che vengono a mancare quando sei affetto dal Parkinson sono le cellule nervose del sistema dopaminergico.

Per semplificare diciamo che Mr Pk si frega la nostra dopamina.

La dopamina è un neurotrasmettitore del sistema nervoso che regola molte cose; tra queste il piacere, il movimento e il sonno. Insomma chi convive con Mr Pk non ha vita semplice.

E’ possibile guarire?

Risposta: no. E’ una malattia degenerativa, ovvero che progredisce con maggiore o minore intensità a secondo dei casi, ma non c’è guarigione.

Arriviamo così alla collaborazione tra APB e Movimento Lento, perché quello che è possibile fare con Mr Pk è rallentarlo. E movimento e convivialità sono due antidoti.

Addirittura quando ci si muove sparisce una delle sintomatologie tipiche di Mr Pk: il tremore. Questo, infatti, è presente in molte persone che hanno il Parkinson ma si manifesta solo da fermi.

Se, putacaso, cammini e usi anche i bastoncini da trekking il tremolio sparisce. E non solo, eserciti anche il coordinamento, la postura e l’equilibrio.

Senza tremori è un’esperienza, sostenuta da Fondazione Cassa di Risparmio Biella e Vercelli, che prevede, da dicembre 2024 a ottobre 2025, un programma di camminate per persone derubate da Mr Pk, ma non solo. I luoghi dove queste esperienze avvengono sono i sentieri del Biellese, luoghi che riconciliano con la bellezza dei paesaggi. Li nomino al plurale perché il nostro territorio è molto variegato, dalla pianura alla montagna, dal lago al torrente.

Altro elemento essenziale di questo progetto, anzi preferirei definirla esperienza, è la convivialità. Di volta in volta, nei diversi luoghi, avvengono incontri, occasioni di scambio, a volte anche mettendo le gambe sotto il tavolo, a volte no.

Sabato scorso c’è stata la sesta uscita del gruppo. In diciassette, alcuni di noi con Mr Pk e altri no, siamo andati in passeggiata al Roc della Regina, masso erratico molto significativo che si trova nel territorio di Roppolo.

Sul ritorno alcuni roppolesi hanno accolto i camminatori nella frazione di Peverano, accendendo il forno comunitario e preparando focacce e altre prelibatezze per i convenuti.

E’ stato un atto di generosa accoglienza da parte di quattro amici: Mariangela, Fabio, Arianna e Enrico. Altri ce ne sono stati nelle passeggiate precedenti e, altri ne avverranno in futuro.

Da adesso in poi sarà mio compito tenervi aggiornati e informati. Fino ad adesso ho taciuto per dar tempo al gruppo di conoscersi e costituirsi.

Il gruppo ora è formato ma siamo aperti a nuove partecipazioni. Se siete interessati, con o senza Mr Pk, scrivetemi all’indirizzo ettore.macchieraldo@pressenza.com

Articolo pubblicato su https://www.movimentolento.it/

Ettore Macchieraldo

Ferrara, Manifestazione Nazionale di Animal Liberation e LIMAV per la liberazione dei macachi reclusi nell’Università

La vicenda coinvolge Clarabella, Archimede, Cleopatra, Eddi, Cesare e Orazio, i nomi dei sei macachi reclusi negli stabulari dell’Università di Ferrara a scopi di vivisezione.

Già nel 2014 le associazioni animaliste avevano chiesto di chiarire se le condizioni di detenzione degli animali fossero idonee e compatibili con la loro etologia e il loro benessere. Successivamente, dopo alcune archiviazioni, l’inchiesta aveva poi ripreso vigore nel 2021, grazie a un nuovo esposto firmato dalle associazioni Animal Liberation e LIMAV Italia, la Lega Internazionale dei Medici per l’Abolizione della Vivisezione.

Numerose associazioni, infatti, lottano da molti anni per fermare tutti gli esperimenti in atto sui primati non-umani in Italia, chiedendo di liberare immediatamente i macachi per affidarli a strutture e rifugi dove possano vivere il resto della loro vita in condizioni migliori.

Secondo gli animalisti, i sei macachi dell’Università vivono isolati e perennemente rinchiusi all’interno di gabbie molto piccole, alloggiate in stanze prive di luce naturale.

Nel 2023 tra gli indagati iscritti nel fascicolo vi erano l’ex rettore Giorgio Zauli, il direttore del centro di sperimentazione Luciano Fadiga, il medico veterinario Ludovico Scenna e l’attuale rettrice dell’Università degli Studi di Ferrara, Laura Ramaciotti, la quale è stata ascoltata in procura dal Pubblico Ministero Andrea Maggioni per fornire spiegazioni in merito all’inchiesta in corso che ha l’intento di chiarire le condizioni in cui vengono tenuti sei macachi all’interno dei laboratori dell’università.

L’ipotesi di reato inizialmente era quella di maltrattamento di animali, ma è stata poi derubricata e cambiata in abbandono, poiché i primati non sono attualmente sottoposti ad alcuna sperimentazione scientifica.

In questi mesi la situazione si è ulteriormente aggravata e il macaco ORAZIO, sottoposto a esperimenti, è morto proprio a causa dei trattamenti subiti. Gli altri aspettano la stessa sorte, vivendo nel frattempo una continua dolorosa condizione di non-vita, isolati, imprigionati ognuno in un’angusta gabbia che impedisce i movimenti tipici della specie, senza vedere mai la luce del sole, costretti a stare perennemente su una rete metallica, mentre i macachi sono animali sociali che in natura cooperano.
ANIMAL LIBERATION E LIMAV, assistiti dall’avvocato David Zanforlini, hanno denunciato per maltrattamento di animali e per custodia in condizioni incompatibili con la specie, l’attuale rettrice dall’Università di Ferrara Laura Ramaciotti, il precedente rettore Giorgio Zauli, il direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Luciano Fadiga e il responsabile del benessere animale Ludovico Scenna.

I macachi devono essere sottratti alla vivisezione e a condizioni di vita che sono un maltrattamento continuo!

PER RECLAMARE IL SEQUESTRO DEI MACACHI, ANIMAL LIBERATION E LIMAV  HANNO LANCIATO LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE  sabato 22 febbraio a Ferrara, dalle 10,45 alle 14, in piazza Cattedrale e corteo fino all’Università.

Con la compattezza e forza dell’ANIMALISMO ITALIANO, hanno aderito tantissime associazioni:

Animal Defenfers, Animalisti Italiani, Animal Voices United, A Coda Alta, AsolAnimale, AVI Associazione Vegani Internazionale, BolognAnimale, CAART Coordinamento Associazioni Animaliste Toscane, CADAPA, Città Visibili Bologna, Cruelty Free, CRCSSA Centro Ricerca Cancro Senza Sperimentazione Animale, Il Vagabondo, LAC Emilia Romagna, LAER, LAV, LEAL, LIDA Firenze, LNDC Animal Protection, META, Movimento Antispecista, NOmattatoio Milano, OIPA, Progetto Vivere Vegan, Rete dei Santuari di Animali Liberi, Salviamo gli Orsi della Luna, SOS Angels, Vita da Cani.

https://www.kodami.it/inchiesta-sui-macachi-alluniversita-di-ferrara-ascoltata-in-procura-la-rettrice/

https://www.lanuovaferrara.it/ferrara/cronaca/2023/11/13/news/ferrara-la-rettrice-di-unife-e-altri-tre-sotto-indagine-per-i-macachi-1.100420475

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/14/macachi-in-gabbia-indagata-anche-la-rettrice-delluniversita-di-ferrara-la-replica-piena-osservanza-della-legge/7352944/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/16/macachi-laboratorio-universita-ferrara-liberazione/7878245/

In Italia la sperimentazione con animali di laboratorio è richiesta per legge per l’approvazione di farmaci e altri trattamenti, prima di quella clinica direttamente con gli esseri umani. Per quanto le attività siano regolate da norme molto severe che stabiliscono le modalità di stabulazione e i ricercatori siano obbligati a rispettare le leggi e i regolamenti che proteggono gli animali usati nella ricerca secondo le leggi nazionali e gli standard internazionali, queste norme non tutelano gli animali e il loro benessere ma anzi di fatto legalizzano una forma di violenza sistematica sugli animali ad esclusivo uso e consumo umano considerando la sperimentazione animale “inevitabile”.

In realtà ad oggi sappiamo che le pratiche della sperimentazione animale e della vivisezione non sono convalidate scientificamente e sono superate dai nuovi metodi sostitutivi di sperimentazione su modelli human-based. Secondo l’FDA, il 92% dei farmaci che superano la sperimentazione animale non superano la sperimentazione umana e il 51% dei farmaci negli USA presentano gravi reazioni avverse non scoperte prima dell’approvazione della commercializzazione (1)

(1) Moore T.J. e altri. Time to act on drug safety. JAMA, vol. 279: pp. 1571-1573, 1998

Redazione Romagna

Ennesimo caso di malasanità all’ASL Napoli 3 Sud, condito da malagiustizia: Giovanna Bifulco morta per errori medici, ora si chiedono nuove indagini!

Gli avvocati dello Studio Associati Maior denunciano: “Errori medici gravi e ripetuti hanno privato Giovanna Bifulco delle sue chance di sopravvivenza”

Lo Studio Associati Maior, rappresentato dagli avvocati Pierlorenzo Catalano, Michele Francesco Sorrentino e Filippo Castaldo, con il supporto del medico legale Dott. Marcello Lorello, denuncia con fermezza la tragica vicenda che ha portato alla morte della Sig.ra Giovanna Bifulco Accardi. La donna, appena quarantenne e in perfetta salute, è deceduta il 3 febbraio 2004 a causa di una catena di omissioni e negligenze mediche che le hanno negato cure adeguate. Giovanna Bifulco iniziò ad accusare vomito e diarrea il 31 gennaio 2004. Nonostante il rapido peggioramento delle sue condizioni, i medici coinvolti si limitarono a prescrizioni telefoniche e somministrazioni di farmaci inadeguati, senza mai visitarla. Nessuno, dal medico curante alla guardia medica, dispose un ricovero ospedaliero o effettuò accertamenti clinici approfonditi. Il 3 febbraio 2004, alle ore 13:00, Giovanna manifestò gravi sintomi di sofferenza respiratoria e, quando arrivò il 118, era ormai troppo tardi. Trasportata presso la clinica Santa Lucia di San Giuseppe Vesuviano, vi giunse già priva di vita.

Il procedimento penale avviato in seguito al decesso evidenziò, tramite la Consulenza Tecnica disposta dalla Procura, gravissime omissioni mediche, tra cui l’assenza di visite adeguate e la prescrizione di farmaci senza un corretto inquadramento clinico. Tuttavia, nonostante queste chiare censure, il caso venne archiviato attribuendo la morte della donna a una “complicanza virale imprevedibile”. I familiari di Giovanna Bifulco, ritenendo ingiusta questa decisione, hanno intrapreso un’azione civile per ottenere giustizia. Anche in questa sede, il CTU nominato dal Tribunale ha confermato le gravi negligenze mediche, riconoscendo che “i mancati controlli dei sanitari hanno determinato il non riconoscimento della gravità del caso clinico”. Eppure, con una contraddizione inspiegabile, si è concluso che tali omissioni non avrebbero comunque potuto evitare la morte della paziente. Il Tribunale di Nola ha quindi rigettato la domanda attorea, e tale decisione è stata confermata sia in Appello che in Cassazione. Gli avvocati dello Studio Associati Maior, insieme al medico legale Dott. Marcello Lorello, chiedono con forza la riapertura delle indagini per accertare finalmente le responsabilità di chi, con condotte omissive e negligenti, ha negato a Giovanna Bifulco la possibilità di ricevere cure adeguate. “È inaccettabile che errori medici così evidenti siano stati minimizzati, impedendo l’accertamento delle dovute responsabilità” denunciano i legali. Oltre alla denuncia/querela già depositata per la riapertura delle indagini, i familiari di Giovanna Bifulco hanno avviato un’azione di sensibilizzazione istituzionale affinché tragedie simili non restino impunite. I sindaci dei Comuni coinvolti hanno espresso la loro vicinanza alla famiglia e si stanno valutando azioni congiunte per garantire finalmente giustizia.

 

Studio Associati Maior

Redazione Napoli